Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-07-22, n. 201905148

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-07-22, n. 201905148
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201905148
Data del deposito : 22 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/07/2019

N. 05148/2019REG.PROV.COLL.

N. 01851/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1851 del 2011, proposto dal Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A I, M B, N O, G V e Nicolo' Paoletti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Nicolo' Paoletti in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 34;

contro

il signor E J P B, rappresentato e difeso dagli avvocati F M C e G F R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G F R in Roma, via Cosseria, n. 5;

nei confronti

la signora G Cebich Creazza, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Manzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Federico Confalonieri, n.5;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 35/2010, resa tra le parti, depositata in data 8 gennaio 2010, concernente rimozione di opere abusive


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori E J P B e G Cebich Creazza, quest’ultima con proposizione di appello incidentale;

Vista l’ordinanza della Sez. IV di questo Consiglio di Stato del 17 ottobre 2008, n. 5487;

Viste le memorie e le memorie di replica delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2019 il Consigliere Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Natalia Paoletti, per delega dell’avvocato Nicolò Paoletti, l’avvocato F M C e l’avvocato Andrea Manzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Il Comune di Venezia ha interposto appello avverso la sentenza del T.A.R. per il Veneto n. 35 dell’8 gennaio 2010 con la quale è stato accolto il ricorso proposto dal signor E J P B avverso l’ordinanza ingiunzione a demolire una canna fumaria esterna posta su un immobile sito in Venezia, Sestriere San Marco, Corte Tron, San Beneto.

2. Nel corso del giudizio di prime cure, peraltro, in accoglimento dell’istanza cautelare dell’interessato, veniva sospesa l’esecutività del ridetto provvedimento con ordinanza n. 291/2008, confermata dalla Sez. IV di questo Consiglio di Stato (ordinanza n. 5487 del 17 ottobre 2008, citata in epigrafe), in quanto « pur tenendo conto della delicatezza del contesto urbanistico edilizio nel quale l’intervento contestato è stato realizzato » non veniva ravvisata l’attualità dei danni gravi ed irreparabili nella conservazione dello status quo .

3. Il Comune di Venezia lamenta in particolare l’errata lettura dell’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004 da parte del giudice di prime cure: l’elencazione di interventi non assoggettati ad autorizzazione paesaggistica (manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo), infatti, non può essere considerata esimente ex se , come affermato dal Tribunale, dovendo aversi comunque riguardo alla "qualità" degli stessi, ovvero alla loro capacità di incidere sullo « stato dei luoghi » e sull’ « aspetto esteriore degli edifici », alterandoli.

4. Con memoria in data 10 marzo 2011 si è costituita in giudizio la signora G Cebich Creazza, presentando anche ricorso incidentale c.d. “autonomo”. In particolare la stessa, proprietaria di un’unità immobiliare ubicata al primo piano del medesimo palazzo e contraddittore del ricorrente in un contenzioso civilistico concernente, tra l’altro, l’onere dei lavori svolti sulla canna fumaria in oggetto, aderisce alla prospettazione del Comune nel richiedere la riforma della sentenza appellata in ragione della violazione e falsa applicazione dell’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004. Ne supporta le conclusioni mediante il richiamo ai contenuti della nota prot. n. 518260/07 dell’11 dicembre 2007, con la quale il Comune aveva espressamente ricordato al signor B l’avvenuta « alterazione delle preesistenti caratteristiche » a causa della « non utilizzazione dei medesimi materiali »;
della nota prot. n. 400582 del 6 ottobre 2006, ove egualmente veniva stigmatizzato l’utilizzo di « materiali non tradizionali », peraltro in contrasto con l’art. 13, comma 1, delle norme tecniche di attuazione di variante al piano regolatore generale. Infine, quanto alla qualificazione dell’intervento come di manutenzione straordinaria, invoca la dicitura riportata nel computo metrico dell’impresa incaricata dell’esecuzione dei lavori e nella fattura emessa in relazione alla stessa.

5. Si costituiva in giudizio il signor B con atto depositato in data 15 marzo 2011, per chiedere la reiezione dell’appello e dell’appello incidentale, e la conseguente conferma della sentenza di primo grado. Nel merito, richiamava anche, senza tuttavia trascriverli, con mera formula di stile i motivi di ricorso non scrutinati dal T.A.R. in quanto assorbiti in quello posto a base della decisione. Con successiva memoria in data 9 maggio 2019, eccepiva altresì l’inammissibilità del ricorso e del ricorso incidentale, perché non notificati alla parte personalmente, in violazione dell’art. 330, ultimo comma, c.p.c., richiamato dall’art. 28 della l. n. 1034/1971, vigente ratione temporis ;
l’inammissibilità del solo appello incidentale per carenza di legittimazione ad agire della signora C C, estranea al procedimento avversato. Nel merito, richiamava esplicitamente, tra i motivi non esaminati dal T.A.R. l’avvenuta adozione del provvedimento senza la preventiva audizione della Commissione edilizia integrata di cui all’art. 6 della L.R. 31 ottobre 1994, n. 93 e 48 del Regolamento edilizio comunale, nonché l’irragionevolezza del termine di 30 giorni assegnatogli per richiedere l’accertamento di compatibilità paesaggistica, a decorrere dal ricevimento della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio in data 8 agosto 2007.

6. In vista dell’udienza, tutte le parti hanno depositato memorie e memorie di replica.

7. All’udienza dell’11 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

8. Preliminarmente il Collegio ritiene indispensabile affrontare le numerose eccezioni sollevate dalle parti nonché perimetrare con esattezza, alla luce dello stratificarsi delle doglianze di ciascuna, l’esatto ambito dell’odierno giudizio.

9. Anche a voler prescindere dall’avvenuta costituzione in giudizio dell’appellato, come tale sanante l’eventuale vizio di notifica in asserita violazione dell’art. 330 c.p.c., l’eccezione non merita accoglimento.

9.1. Sia l’appello proposto dal Comune di Venezia, che quello incidentale della signora C C sono stati notificati presso il procuratore legale del signor B, rispettivamente in data 16 febbraio 2011 e 17 febbraio 2011.

Al riguardo, in punto di diritto, può osservarsi quanto segue:

i- la disciplina dell’appello avverso le sentenze dei Tribunali amministrativi era ratione temporis contenuta nell’art. 28 della legge 6 dicembre 1971, n.1034, il quale individua(va) esclusivamente il cosiddetto “termine breve” di impugnazione e cioè quello di sessanta giorni da osservarsi, a pena di decadenza, nel caso in cui la sentenza di primo grado sia stata notificata alla parte soccombente;

ii- la disciplina dell’impugnazione nel cosiddetto “termine lungo” è stata invece pretoriamente individuata dalla giurisprudenza attraverso l’estensione al processo amministrativo dell’art. 327 c.p.c. (“decadenza dall’impugnazione”) nell’ipotesi in cui la sentenza (impugnanda) non sia stata notificata, prevedendosi che l’appello possa essere considerato tempestivo quando la sua notifica intervenga entro l’anno dalla pubblicazione della prima, tenuto conto ovviamente nel calcolo anche della sospensione dei termini nel periodo feriale;

iii- la disciplina del “luogo della notificazione”, per entrambi i suddetti casi, è contenuta nell’art. 330 c.p.c., cui espressamente rinvia l’art. 28 della legge n. 1034 del 1971 citata, il quale dispone (comma 3) che « Quando manca la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio e, in ogni caso, dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza, l'impugnazione, se è ancora ammessa dalla legge, si notifica personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti ».

9.2. Orbene, facendo applicazione sia degli elementi di fatto, che degli elementi di diritto indicati, emerge con immediata evidenza che, nel caso in esame, il termine per impugnare la sentenza, non essendo essa stata notificata, è quello annuale di cui all’art. 327 c.p.c., tenuto ovviamente conto della sospensione feriale dei termini processuali, e che il luogo della notificazione va individuato alla stregua di quanto dispone il primo comma dell’art. 330 c.p.c. Proprio in ragione di tale sospensione, la notifica dell’atto di appello in esame è stata correttamente effettuata presso il procuratore domiciliatario della parte, così come indicato in primo grado, ma non anche “personalmente” allo stesso nel suo domicilio non potendo trovare applicazione, nella specie, la norma del terzo comma dell’anzidetto art. 330 c.p.c., laddove dispone che “il luogo di notificazione dell’impugnazione” può essere corrispondente al personale domicilio della parte appellata se manca “la dichiarazione di residenza”, o manca “l’elezione di domicilio”, ovvero sia decorso “un anno dalla pubblicazione della sentenza” e l’impugnazione sia ancora ammessa dalla legge. Invero, le prime due ipotesi sono resistite, come già segnalato più innanzi, dalla indicazione in primo grado, del domicilio espressamente eletto presso il proprio difensore a fini processuali, e la terza ipotesi è, a sua volta, resistita dalla circostanza che, comunque, l’impugnazione è stata notificata entro l’anno - aumentato dal periodo di sospensione feriale, pari all’epoca a 45 giorni- dalla pubblicazione della sentenza, intervenuta l’8 gennaio 2010 (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. IV 15 maggio 2009, n. 3027).

10. Quanto all’asserita estraneità al procedimento della signora C C, in quanto tale non legittimata alla proposizione di appello incidentale, il Collegio ritiene sufficiente ricordare come la qualifica di controinteressata sia stata riconosciuta alla stessa dal medesimo ricorrente in primo grado, stante la sua avvenuta rituale intimazione, cui ha fatto seguito una fattiva partecipazione al giudizio, impugnando finanche innanzi al Consiglio di Stato l’ordinanza cautelare che disponeva la sospensione del provvedimento avversato.

10.1. In generale, peraltro, il tendenziale diniego del riconoscimento della qualità di controinteressato ai proprietari confinanti dell'area nella quale è stato realizzato un manufatto abusivo del quale è stata ordinata la demolizione dall'Autorità competente, va tuttavia, come rilevato in plurime occasioni da questo Consiglio di Stato, temperato nell’ipotesi in cui ci si trovi di fronte non già a un "generico vicino di casa", ma a un soggetto il cui diritto di proprietà risulta direttamente leso da un'opera edilizia abusiva e conseguentemente è direttamente avvantaggiato dall'ordine di demolizione, vantando un interesse qualificato a difendere la propria posizione giuridica di titolare di un diritto di proprietà su parti comuni (Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4174;
Sez. VI, 29 maggio 2012, n. 3212; id ., 29 maggio 2007, n. 2742). Nel caso di specie, peraltro, l’interessata riferisce di essere stata utente esclusiva fino al 2003 della canna fumaria in oggetto, con ciò ulteriormente rafforzando il rivendicato interesse ad opporsi ai lavori effettuati contro la propria volontà con le contestate modalità, anche tipologiche.

11. In sede di costituzione in giudizio il signor B si è limitato ad eccepire l’infondatezza in fatto e in diritto dell’appello del Comune di Venezia e dell’appello incidentale della controinteressata chiedendone il rigetto, « anche in accoglimento dei motivi di impugnazione assorbiti o comunque non esaminati e decisi dal Giudice di primo grado ». Ciò consente di circoscrivere l’oggetto dell’odierna decisione prescindendo dagli stessi, in quanto tacitamente rinunciati ex art. 101, comma 2, c.p.a. Come ripetutamente affermato da questo Consiglio di Stato, infatti, la modalità generica di riproposizione dei motivi di ricorso assorbiti o non esaminati dal Tribunale amministrativo, senza esplicitarli, non è idonea a devolvere la cognizione sugli stessi al giudice d’appello (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. III, 6 giugno 2011, n. 3371;
Sez. IV, 31 agosto 2016, n. 3735;
Sez. V, 27 luglio 2016, n. 3397; id . 27 ottobre 2014, n. 5282;
2 ottobre 2014, nn. 4897 e 4915). L’onere di riproposizione sancito dalla citata disposizione va infatti assolto mediante richiamo specifico dei motivi già articolati con il ricorso di primo grado, così da consentire alle controparti di esercitare con pienezza il proprio diritto di difesa e al giudice dell’appello di avere il quadro chiaro del thema decidendum devoluto nel giudizio di secondo grado, sul quale egli è tenuto a pronunciarsi. Un rinvio indeterminato alle censure assorbite ed agli atti di primo grado che le contenevano, privo della precisazione del loro contenuto - come nel caso di specie - è inidoneo ad introdurre nel giudizio d’appello i motivi in tal modo (solo genericamente) richiamati.

12. Il Comune di Venezia e la controinteressata C C, dunque, lamentano l’erronea interpretazione dell’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004 e la conseguente esaustività motivazionale del provvedimento demolitorio, a contenuto necessitato in ragione dell’avvenuta verifica dell’illecito di cui all’art. 167, comma 1, del medesimo Testo unico.

13. I ricorsi sono fondati e meritano accoglimento.

14. Il Giudice di prime cure ha sinteticamente individuato il vizio del provvedimento impugnato nel mancato inquadramento tipologico dell’intervento effettuato, dopo averne negato la riconducibilità al paradigma della manutenzione ordinaria, laddove « anche gli interventi di manutenzione straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo non richiedono il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ».

L’assunto, nella sua perentorietà espositiva, non può essere condiviso.

14.1. L’art. 152 del d.lgs. 490/1999, vigente quanto meno al momento degli iniziali lavori di consolidamento del camino, comunicati in via d’urgenza alla sola Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Venezia, il cui contenuto è stato pressoché recepito dal ridetto art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, indicava alla lett. a), fra gli interventi non soggetti ad autorizzazione ambientale, quelli di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici.

E’ evidente dunque che il discrimine tra interventi paesaggisticamente rilevanti e non, tanto in base alla vecchia che alla nuova disciplina discende dalla concreta valutazione circa l’idoneità degli stessi ad alterare o meno lo stato dei luoghi, valutazione che attiene al merito del giudizio rimesso alla p.a., al quale il proprietario del bene non può comunque sottrarsi allegando soggettive valutazioni circa l’inidoneità dello stesso ad alterare la qualità percettiva del materiale utilizzato ovvero della neutralità del mutamento delle preesistenti caratteristiche.

La circostanza, invece, che l’intervento rientri, dal punto di vista edilizio, nelle opere di ordinaria manutenzione, si palesa assolutamente irrilevante: quand’anche, infatti, si imponesse tale qualificazione, per contro reiteratamente negata anche in sede di istruttoria del provvedimento impugnato, dal Comune di Venezia, ciò che rileva è la sua idoneità - almeno potenzialmente – ad alterare l'aspetto esteriore dell’edificio, in un contesto peraltro di innegabile valore paesaggistico quale il centro storico di Venezia, ed è dunque soggetto ad autorizzazione, spettando la valutazione in concreto all’ Amministrazione.

14.2. La circostanza che si tratti, da un punto di vista edilizio, di un intervento di manutenzione ordinaria, piuttosto che straordinaria, si palesa egualmente neutra anche ai fini della riconosciuta possibilità di presentare domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica , stante che l’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004 la ammette in entrambe le ipotesi: tale facoltà, infatti, è stata comunque evocata in sede di comunicazione di avvio del procedimento in data 8 agosto 2007, invitando l’interessato a presentare la relativa istanza entro il termine di 30 giorni al medesimo Comune di Venezia, in quanto autorità preposta alla gestione del vincolo.

Essendo, dunque, la demolizione misura adottata in applicazione di norme a tutela di beni di rilievo ambientale, a nulla rileva la qualificazione edilizia dell’intervento: detto altrimenti, quand’anche l’intervento fosse stato qualificabile come manutenzione ordinaria, esso nondimeno, avendo alterato lo stato dei luoghi, avrebbe necessitato dell’autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 149, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 42/2004.

15. Una volta chiarita la neutralità, ai fini del provvedimento ex art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, della tipologia di intervento effettuato, risulta evidente la centralità della ritenuta alterazione dei luoghi conseguita allo stesso: la risposta alla richiesta di chiarimenti in data 6 ottobre 2006, pur non menzionando ancora la necessità di autorizzazione paesaggistica, tuttavia già stigmatizzava la realizzazione « con materiali non tradizionali »;
l’accertamento dell’illecito in data 7 agosto 2007, demanda a successiva istruttoria la prognosi di sanabilità dello stesso;
la comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, menziona espressamente la necessità della previa autorizzazione paesaggistica, riscontrata mancante;
la comunicazione in data 10 dicembre 2007, pur ribadendo la non sussumibilità dell’intervento ad un’ipotesi di manutenzione ordinaria, motiva tale diniego di inquadramento tipologico con riferimento all’omessa utilizzazione « dei medesimi materiali » nonché con « l’alterazione delle preesistenti caratteristiche »;
fattori ribaditi anche nella successiva nota di conferma dell’avvio del procedimento in data 11 dicembre 2008 nonché espressamente riportati nell’ordinanza di demolizione in data 15 febbraio 2008, ove si dà anche atto della mancata presentazione di qualsivoglia istanza di accertamento di compatibilità, malgrado peraltro siano trascorsi ben più dei trenta giorni, pure lamentati come esigui, dalla comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio.

16. Va ricordato infine che l’art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante la disciplina delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle prescrizioni poste a tutela dei beni paesaggistici, contiene (nella sua attuale formulazione) la regola della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali. Il trasgressore, infatti, è « sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese , fatto salvo quanto previsto al comma 4 ».

L’intenzione legislativa è chiara nel senso di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento. Il rigore del precetto è ridimensionato soltanto dalle poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull’assetto del bene vincolato, tra i quali rientrano anche gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria purché, appunto, non abbiano prodotto alcuna alterazione dei luoghi.

In sintesi, l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato, che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare ( ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 166).

La percepibilità della modificazione dell’aspetto esteriore del bene protetto costituisce un prerequisito di rilevanza paesaggistica ai fini della necessità dell’autorizzazione ambientale, in relazione agli interventi minori, quali quelli di cui all’art. 149, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 42/2004, con la conseguenza che l’avvenuta indicazione, contenuta nel provvedimento sanzionatorio, della modifica dell’aspetto esteriore, rilevante sotto l’aspetto paesaggistico, costituisce idonea motivazione, alla quale peraltro nel caso di specie l’interessato non si è in alcun modo opposto.

17. Infine priva di rilievo, e dunque non necessitante di maggior scrutinio, in quanto estranea alle doglianze di parte, la valutazione della regolarità dell’intervento anche sotto il profilo storico, artistico o archeologico, ovviamente necessaria in ragione della tipologia del palazzo sul quale insiste il manufatto e dell’inconfutabile pregio del contesto nel quale si colloca: il progetto dell’opera, infatti, ancorché originariamente comunicato in via di urgenza ex art. 23 del d.lgs. 490/1999, risulta essere stato approvato con nota prot. n. 12317 del 26 novembre 2003 dalla Soprintendenza per i beni architettonici, per il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Venezia e laguna.

18. Conclusivamente, pertanto, il Collegio ritiene che meritino accoglimento per le ragioni suesposte sia l’appello che l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per il Veneto n. n. 35/2010, debba essere respinto il ricorso di primo grado n.r. 700/2008 proposto dal sig. E J P B avverso l’ordinanza n. 40750 in data 28 gennaio 2008.

19. La complessità della vicenda giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

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