Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-02-02, n. 202100948

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-02-02, n. 202100948
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202100948
Data del deposito : 2 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/02/2021

N. 00948/2021REG.PROV.COLL.

N. 07261/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7261 del 2019, proposto da
S V, G F, Giuseppina D'Intino, M C C, C D L, rappresentati e difesi dagli Avvocati V C I e L G, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti e domicilio fisico presso lo studio V C I in Roma, via Dora n. 1;

contro

Inps, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli Avvocati A G, P M e C C, presso la sede legale dell’Ente in Roma, via Cesare Beccaria 29;

nei confronti

Francesco Ammaturo, Daniele Severi non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 2896/2019, resa tra le parti, in data 5 marzo 2019, non notificata, con la quale era respinto il ricorso integrato dai motivi aggiunti, inteso ad ottenere l’accertamento del diritto dei ricorrenti a svolgere l’attività libero professionale al di fuori dell’orario di ufficio senza previa richiesta di autorizzazione, ed inteso altresì all’annullamento dei seguenti atti:

a) determinazione del Commissario Straordinario INPS n. 19 del 6 marzo 2014, con cui era adottato il regolamento per la “ Disciplina delle incompatibilità e delle autorizzazioni a svolgere attività esterne all'ufficio per i dipendenti dell'Istituto nazionale previdenza sociale, ai sensi dell'art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ”;

b) regolamento INPS cit., adottato con la predetta determinazione e comunicato con circolare n. 37 del 24 marzo 2014, nella parte in cui: I) vieta ai medici dipendenti dell'INPS di svolgere attività libero professionale al di fuori dell'orario di ufficio;
II) subordina l'esercizio di detta attività libero professionale a preventiva autorizzazione dell'Ente;
III) impone la preventiva autorizzazione per lo svolgimento dell'incarico di CTU nei giudizi diversi da quello penale;

c) circolare del Direttore Generale INPS n. 37 del 24 marzo 2014 ed ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente (gravati con ricorso introduttivo);

d) circolare del Direttore Generale INPS n. 62 del 16 maggio 2014, avente ad oggetto “ modifiche al regolamento recante la “Disciplina delle incompatibilità e delle autorizzazioni a svolgere attività esterne all'ufficio per i dipendenti dell'Istituto nazionale previdenza sociale, ai sensi dell'art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ” – Determinazione Commissariale n. 19 del 6 marzo 2014 – Istruzioni operative dipendenti inquadrati nell'Area medica” ed ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente (gravati con ricorso per motivi aggiunti);

b) regolamento INPS cit., adottato con la predetta determinazione e comunicato con circolare n. 37 del 24 marzo 2014, nella parte in cui: I) vieta ai medici dipendenti dell'INPS di svolgere attività libero professionale al di fuori dell'orario di ufficio;
II) subordina l'esercizio di detta attività libero professionale a preventiva autorizzazione dell'Ente;
III) impone la preventiva autorizzazione per lo svolgimento dell'incarico di CTU nei giudizi diversi da quello penale;

c) circolare del Direttore Generale INPS n. 37 del 24 marzo 2014 ed ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente (gravati con ricorso introduttivo);

d) circolare del Direttore Generale INPS n. 62 del 16 maggio 2014, avente ad oggetto “ modifiche al regolamento recante la “Disciplina delle incompatibilità e delle autorizzazioni a svolgere attività esterne all'ufficio per i dipendenti dell'Istituto nazionale previdenza sociale, ai sensi dell'art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 – Determinazione Commissariale n. 19 del 6 marzo 2014 – Istruzioni operative dipendenti inquadrati nell'Area medica ” ed ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente (gravati con ricorso per motivi aggiunti);


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli artt. 25 del d.l. n. 137/2020 e 4 del d.l. n. 28/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 70/2020, quanto allo svolgimento con modalità telematica delle udienze pubbliche e delle camere di consiglio del Consiglio di Stato nel periodo 9 novembre 2020 - 31 gennaio 2021;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Inps;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza con modalità da remoto del giorno 14 gennaio 2021 il Cons. Solveig Cogliani;
nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I – Con il ricorso indicato in epigrafe, gli appellanti, medici dipendenti dell’INPS, chiedono la riforma della sentenza di primo grado, con cui era in parte dichiarato improcedibile ed in parte respinto il ricorso, nonché erano rigettati i motivi aggiunti proposti per l’annullamento della determinazione n. 19 del Commissario straordinario dell’Istituto relativa alla disciplina delle autorizzazioni a svolgere attività esterna ai sensi dell’art. 53 d.lgs. n. 165\2001, nonché il Regolamento interno disciplinante la stessa materia adottato con la medesima determinazione, nella parte in cui tali atti vietano ai medici dipendenti dell’INPS di svolgere attività libero-professionale al di fuori dell’orario d’ufficio, subordinano la medesima attività a preventiva autorizzazione dell’Ente e impongono la preventiva autorizzazione per l’assunzione di incarichi di CTU nei giudizi diversi da quelli penali e le conseguenti determinazioni direttoriali. Il primo giudice, peraltro, riteneva di superare l’eccezione di inammissibilità per mancata impugnazione della precedente determinazione n. 12\2012 dell’INPS.

Riteneva, inoltre, infondato l’assunto da cui partiva la prospettazione di parte ricorrente, ovvero l’attuale equiparazione tra medici del Servizio Sanitario Nazionale e medici dell’INPS;
ed ancora, infondato il terzo motivo del ricorso introduttivo, con cui si lamentava l’insufficienza del termine di trenta giorni approntato per l’autorizzazione agli incarichi extra moenia , in ragione dell’applicabilità dell’art. 53 comma X del d.lgs. n. 165 del 2001. Dichiarava l’improcedibilità dell’ultimo motivo del ricorso introduttivo per sopravvenuto difetto di interesse, atteso che esso censurava la disciplina apportata dalla determinazione n. 19 del 6 marzo 2014 in materia di consulenze tecniche d’ufficio affidate ai medici dell’INPS (lamentandosi l’assoggettamento ad autorizzazione delle CTU diverse da quelle svolte nel processo penale) la quale era riformata dalla successiva determinazione INPS n. 62 del 16 maggio 2014.

Quanto ai motivi aggiunti, il primo giudice concludeva per l’infondatezza del primo motivo con il quale si assumeva che la nuova regolamentazione interna impedirebbe ai medici dipendenti di svolgere attività privata nei locali dell’Istituto, con disposizione innovativa rispetto al passato;
e tanto sarebbe illegittimo sia sotto il profilo della incompetenza del Direttore Generale ad adottare l’atto che in ragione della innovatività stessa della disciplina introdotta, evidenziando che la determinazione commissariale n. 19 del 2014 sarebbe intervenuta in forza di precise disposizioni di legge, che hanno abrogato il precedente quadro normativo (che equiparava i medici dell’INPS a quelli del Servizio Sanitario Nazionale) ed hanno introdotto il nuovo regime di incompatibilità (art. 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001). La linea direttrice delle disposizioni sarebbe pertanto l’esigenza di evitare situazioni di conflitti d’interesse fra medici dipendenti ed Amministrazione di appartenenza, che informa anche tutto l’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001. Decideva egualmente per l’infondatezza del secondo motivo aggiunto: il divieto di svolgere attività certificativa in determinate materie e la necessità di richiedere una autorizzazione generale per l’iscrizione negli Albi territoriali dei CTU in campi diversi da quello penale sarebbero ispirati dall’esigenza di evitare i suddetti conflitti di interesse.

In questa sede, gli appellanti deducono i seguenti motivi di censura:

I. erroneità della sentenza appellata per aver ritenuto infondati i motivi di ricorso intesi a denunciare “ violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 53 comma 6 del d.lgs. 165/01 in relazione all’ art. 13, l. 222/84 ”, nullità del regolamento ex art. 56, comma 6 d. lgs. 165/01, eccesso di potere per contraddittorietà (primo motivo del ricorso introduttivo), per disparità di trattamento, violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. (secondo motivo del ricorso introduttivo);

II. in via subordinata, erroneità della sentenza per aver ritenuto infondato il motivo di ricorso inteso a denunciare l’eccesso di potere per sviamento di potere (terzo motivo del ricorso introduttivo);

III. erroneità della sentenza per aver ritenuto in parte improcedibili ed in parte infondate le doglianze intese a contestare le disposizioni del regolamento e della circolare Inps n. 62/2014 che subordinano all’ ottenimento di una previa autorizzazione l’assunzione degli incarichi di consulente tecnico nei giudizi diversi da quello penale (quarto motivo del ricorso introduttivo e secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti);

IV. erroneità della sentenza per aver respinto le censure intese a denunciare l’illegittimità del divieto di svolgere l’attività professionale nella forma intramuraria, per eccesso di potere sotto il profilo dell’incompetenza e dello sviamento di potere (primo motivo del ricorso per motivi aggiunti);

V. erroneità della sentenza per aver respinto le censure contenute nel secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, intese a denunciare “ violazione e falsa applicazione dell’ art. 53, co. 6 d. lgs. 165/01 in relazione all’ art. 13 l. 222/84;
eccesso di potere – illogicità – disparità di trattamento”
.

Si è costituita per resistere l’INPS ribadendo la correttezza della sentenza appellata, insistendo per l’eccezione di improcedibilità già avanzata in primo grado.

Di seguito l’Inps ha depositato ulteriore memoria in replica.

Ad esito dell’udienza del 6 febbraio 2020 il Collegio disponeva un’ordinanza istruttoria, n. 1043 del 2020, per acquisire una dettagliata relazione da parte del Ministero della salute in ordine alla disciplina dell’attività intra ed extra-muraria dei medici pubblici operanti nelle diverse Amministrazioni, inclusi INPS e INAIL , nonché da parte dell’INPS su modalità e criteri da osservare, sulla base della disciplina contestata in questa sede, nella formulazione, valutazione e definizione delle richieste di autorizzazione, tenendo conto della peculiarità delle attività da autorizzare, costituite dalle prestazioni mediche.

In adempimento alla richiesta istruttoria, l’Amministrazione ha depositato una relazione in cui essenzialmente ha ricostruito l’assetto ordinamentale.

Ad esito dell’udienza del 15 ottobre 2020 il Collegio ha verificato che l’INPS aveva risposto parzialmente alle richieste istruttorie, rimanendo ancora da chiarire le modalità con le quali l’Istituto intende procedere al rilascio delle autorizzazioni delle prestazioni private, alla, luce delle criticità evidenziate in atti dagli appellanti, laddove evidenziano che l’eventuale attesa dell’autorizzazione per la singola visita vanificherebbe la possibilità per il medico di esercitare la professione. Pertanto ha emesso l’ordinanza 6340 del 2020 per ottenere chiarimenti in ordine alle procedure seguite dall’Ente per l’autorizzazione agli incarichi.

L’Amministrazione ha adempiuto alla istruttoria, evidenziando che la prassi ha dimostrato che le richieste di autorizzazione non riguardano singole prestazioni, ma si riferiscono ad incarichi annuali sì da consentir l’evasione della procedura nel termine massimo di 30 giorni. Tuttavia, ha rilevato che deve ritenersi applicabile il principio generale secondo cui, nel caso di esigenze particolari che rendano necessaria una risposta immediata, essa può certamente essere resa in termini del tutto ridotti.

A tale risposta, l’appellante ha contro argomentato circa la non esaustività ai fini della garanzia di tempestività.

All’udienza con modalità da remoto del 14 gennaio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

II – Ritiene il Collegio che l’eccezione di improcedibilità non sia condivisibile, anche sulla base di quanto espresso dal giudice contabile (Corte dei conti della Campania nella sentenza 482/2016), che ha evidenziato il carattere non meramente esplicativo del Regolamento del 2014.

III – Ai fini che rilevano vale osservare che il regolamento INPS, approvato con determina

presidenziale n.12 del 1 febbraio 2012, in materia di “ Disciplina delle incompatibilità e delle autorizzazioni a svolgere attività esterne all’Ufficio per i dipendenti dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale ” era sostituito da quello approvato con determinazione commissariale n. 19 del 6 marzo 2014. Quest’ultimo prevede il divieto, per tutto il personale INPS, di svolgere “ attività di tipo commerciale, industriale o professionale autonoma ed artigianale ” (art.3) ovvero incarichi che “ generano conflitto di interessi con le funzioni svolte dal dipendente o dalla struttura cui lo stesso è assegnato e, in generale, con l’attività istituzionale dell’Amministrazione ” ovvero ancora che “ per l’impegno richiesto o per le modalità di svolgimento, non consentono un tempestivo e puntuale svolgimento dei compiti d’ufficio da parte del dipendente in relazione alle esigenze della struttura cui è assegnato ” (art.5).

In ogni caso, “ gli incarichi saranno autorizzati di volta in volta, escludendosi il rilascio di autorizzazioni generiche riferite alla sola tipologia di attività ” (art. 10).

La violazione del divieto di svolgere “ qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo fatta eccezione per le attività autorizzate dall’Amministrazione (....) costituiscono giusta causa di recesso per l’Istituto ”.

Orbene, il predetto Regolamento si estende anche nei confronti del personale medico, contenendo l’art. 2 del Regolamento l’espresso riferimento “ a tutto il personale dell’INPS, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, determinato, a tempo pieno e a tempo parziale come descritto nei successivi articoli ”.

Il predetto art. 2, del resto, riporta la frase, del tutto sovrapponibile a quella già contenuta nel regolamento del 2012, “ Le disposizioni del presente regolamento trovano applicazione nei confronti di tutto il personale dell’INPS con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, determinato, a tempo pieno, nei limiti di quanto previsto nei successivi articoli ”, aggiungendovi semplicemente l’inciso “ come di seguito specificato:

a) dipendenti inquadrati nelle Aree professionali A, B e C;

b) dipendenti inquadrati nell’Area dei professionisti, nell’Area e nell’Area della dirigenza” .

La stessa circolare INPS n. 37 del 24 marzo 2014 evidenzia che l’art. 2 del Regolamento del 2014 definisce l’ambito applicativo dello stesso, “ chiarendo ” (evidentemente rispetto alla precedente disciplina regolamentare) la sua operatività anche nei confronti dei dipendenti dell’Area medica.

IV – Passando ad esaminare il merito della controversia in esame, osserva il Collegio che l’appello è infondato.

Il regolamento di cui si discute, infatti, con particolare riferimento al personale medico, risulta essere stato adottato dall’Istituto nell’esercizio di quella discrezionalità ed autonomia, cui la contrattazione collettiva (CCNL per il quadriennio 1994-1997, artt. 8 e 9), a sua volta legittimata dalla legge alla regolamentazione dei rapporti di lavoro, a seguito della c.d. privatizzazione del rapporto di pubblico impiego (art. 2 d.lgs 29/93, riprodotto all’art. 2, comma 3, d.lgs 165/2001), ha “..... demandato la disciplina dell’attività libero-professionale del personale medico del comparto ”.

Assumono gli istanti che le disposizioni gravate del regolamento in questione sarebbero illegittime – unitamente alle conseguenti determinazioni - in ragione della disciplina speciale recata, per i regimi di intramoenia ed extramoenia , dalle leggi nn. 833/78 (art.47) e 222/84 (art.13), nonché dal CCNL del 14 aprile 1997.

La predetta disciplina speciale, infatti, ai sensi del comma 6 dell’art. 53 d.lgs 165/2001, esonererebbe dal regime autorizzatorio preventivo i medici INPS.

Tale impostazione non può essere condivisa, in quanto, come correttamente evidenziato dal primo giudice e ricordato dall’INPS, la disciplina dell’incompatibilità trova adesso la sua generale regolazione a livello normativo primario nell’ art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 - peraltro temporalmente successiva ai contratti collettivi del 1997 - che introduce una vera e propria riserva di legge in materia di incompatibilità.

Orbene l’art. 53 d.lgs. n. 165/2001, ed in particolare il comma 7, già nella versione antecedente alla novella introdotta dall’art.1, comma 42, lett. c) l. 6 novembre 190/2012 (cd legge anticorruzione), statuiva che “ i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza ”, con l’evidente fine di evitare situazioni di conflitti di interesse fra medici dipendenti ed Amministrazione di appartenenza, che informa anche tutto l’art. 43 del d.lgs. n. 165 del 2001.

Del resto, come ricordato dalla difesa dell’INPS, la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che “l’obbligo di esclusività, desumibile dal richiamato art. 53, ha particolare rilievo nel rapporto di impiego pubblico perché trova il suo fondamento costituzionale nell’art. 98 Cost. con il quale il legislatore costituente, nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, ha voluto rafforzare il principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., sottraendo il dipendente pubblico dai condizionamenti che potrebbero derivare dall’esercizio di altre attività ” (cfr. ex multis, Cass.n. 427/2019 che richiama Cass. n. 20880/2018, Cass. n. 28797/2017;
Cass. 8722/2017 e Cass. n. 28975/2017).

Ne discende ulteriormente che la norma speciale di deroga alla regola generale, alla luce del comma 6 dell’art. 53 in menzione, non può essere rinvenuta nel contratto collettivo (peraltro antecedente alla novella legislativa riferita). Tale argomento vale anche a smentire l’ulteriore asserzione di parte appellante circa la disparità di trattamento, stante la necessità di espressa scelta da parte del legislatore a riguardo. In questi termini, peraltro, risulta– stante il particolare regime giuridico del dipendente INPS – la non equiparabilità dei medici INPS ai medici del SSN.

Per altro già con riferimento alla disciplina regolamentare del 2012 (reg. n. 12/2012) la Suprema Corte ha precisato (Cassazione civile sez. lav., 7 agosto 2019) – richiamando la sentenza n. 427 del 2019 – che “il d.lgs. n. 165 del 2001, mentre richiama e fa salva per i medici del servizio sanitario nazionale la disciplina dettata dalla L. n. 412 del 1991, art. 4, comma 7, “ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina”, non ne dispone l’applicabilità anche a categorie diverse da quelle contemplate dalla stessa legge, applicabilità che, come si è già detto, non può essere invocata sulla base dell’equiparazione fissata dalla L. n. 222 del 1984, venuta meno a seguito della contrattualizzazione del rapporto di impiego”.

V – Infondato è ancora il secondo motivo di appello, poiché la norma di cui al comma 10 dell’art. 53 cit., nell’indicare quale sia il procedimento da seguire per ottenere l’ autorizzazione per i casi in cui un incarico retribuito debba essere svolto da un dipendente pubblico, non può che legittimare la necessità di un termine entro cui presentare la richiesta di autorizzazione – demandata alla disciplina regolamentare come sopra precisato - alla luce e nel rispetto del principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione al fine di assicurare il servizio cui è istituzionalmente preposta. Sul punto, l’Istituto, nella relazione depositata a seguito della seconda, istruttoria disposta dal Collegio, dopo aver chiarito che le istanze di autorizzazione riguardano normalmente attività da espletare per un arco temporale annuale, ha comunque sostenuto che, in omaggio ai principi di buona fede, correttezza e lealtà, è nelle condizioni di rilasciare tempestivamente l’autorizzazione qualora la richiesta abbia ad oggetto una singola prestazione del medico dipendente. Alla stregua di tali precisazioni ritiene il Collegio di disattendere il motivo in esame con la precisazione che sarà cura e dovere dell’Istituto approntare un modulo organizzativo che consenta con effettività di non frustare il legittimo esercizio della professione medica e di la libertà di scelta terapeutica espressa dal paziente rivolgendosi al medico INPS: un modulo che consenta, quindi, anche qualora la richiesta di autorizzazione riguardi la singola prestazione medica di evaderla con immediatezza, comunque in modo da renderne possibile l’espletamento.

VI – Non può trovare accoglimento neppure il terzo motivo di appello relativo alla dedotta illegittimità della circolare n. 62/14 che subordina, da un lato, l’iscrizione dei medici Inps all’albo dei ctu in ambito civile al rilascio di un’autorizzazione e, dall’ altro, richiede comunque l’autorizzazione per il caso in cui il dipendente chiamato a svolgere l’incarico di ctu non sia iscritto al predetto albo. Tale censura si fonda sull’equivoco che l’ incarico di ctu, per i dipendenti pubblici, sia del tutto esente dal regime della previa autorizzazione. Tuttavia, nel caso che occupa, la disposizione regolamentare prescrive l’ autorizzazione per l’ iscrizione all’albo dei ctu e non per lo svolgimento dell’incarico di ctu in concreto conferito, che si giustifica con l’ esigenza di operare un necessario “ controllo – almeno preventivo – dell’ Amministrazione di appartenenza affinché tale conflitto non abbia a determinarsi ( ad esempio, in controversie in cui l’ Istituto è parte, nelle quali sono di regola trattate questioni di cui i medici Inps si occupano nell’ ambito della loro attività di istituto ) ”, come correttamente indicato dal primo giudice.

Né appare ipotizzabile una contraddittorietà con quanto disposto dagli artt. 63 c.p.c. e 20 c.pa che dispongono l’ obbligo di accettare l’ incarico per i ctu già iscritti nell’ albo o con quanto diversamente previsto in ambito penale atteso che l’ art. 359 c.p.c. non fa alcuna differenza tra ctu iscritti e non all’albo: “ Il pubblico ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare e avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la loro opera ”.

VII – Infine, con riguardo alla circolare n. 62/14, essa è intervenuta a dare le indicazioni operative per l’applicazione del suddetto regolamento al personale inquadrato nell’ Area medica, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 42, l. n. 190/12, che ha modificato ed integrato l’ art. 53, del d.lgs. n. 165/01, rafforzando i principi in materia di incompatibilità tra lo status di pubblico dipendente ed interessi privati da quest’ ultimo assunti all’ esterno, e dell’ art. 2, comma 13 quinquies del d.l. n. 101/13, convertito con modificazioni dalla l. n. 125/13 che ha introdotto una novella al comma 6 dell’ art. 53 del d. lgs. n. 165/01, prevedendo la nullità degli atti amministrativi in caso di violazione di disposizioni in tema di incompatibilità/incumulabilità di incarichi pubblici dipendenti e ampliato il novero delle fattispecie sottratte a tali previsioni.

VIII – Infondato è ancora il quinto motivo di gravame con il quale gli appellanti censurano la sentenza di primo grado per aver respinto le deduzioni avverso le limitazioni allo svolgimento dell’attività extra muraria introdotte dalla circolare n. 62/14, che invece trovano la propria giustificazione nella necessità evidenziata di prevenire ed evitare conflitti di interesse, in materie rientranti nel novero dei pubblici interessi curati dall’ Istituto – aspetto questo rispetto al quale gli appellanti omettono di elevare specifiche censure.

Né le censure relative alla modulistica sono idonee a scalfire l’efficacia della stessa nel controllo da parte dell’Amministrazione dell’attività dei medici INPS ai fini già sopra specificati.

Sul punto appare esaustivo il chiarimento da parte dell’Amministrazione a seguito delle richieste istruttorie della Sezione.

IX – Deve evidenziarsi che, dunque, l’appello è infondato, non potendo essere condivise le censure rivolte alla normativa regolamentare introdotta, fermo restando la responsabilità dell’Amministrazione per il caso di mancata tempestiva risposta alle istanze degli interessati, dovendo l’Istituto comunque non ostacolare – in assenza di cause di compatibilità – lo svolgimento dell’attività medica e, conseguentemente, predisporre appositi uffici per l’evasione delle domande di autorizzazione, alla luce dei principi sopra richiamati al capo V della presente motivazione.

X – Svolte siffatte precisazioni, l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza di primo grado n. 2896 del 5 marzo 2019.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio in ragione della particolarità della fattispecie esaminata.

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