Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-11-10, n. 202309650
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Pubblicato il 10/11/2023
N. 09650/2023REG.PROV.COLL.
N. 05731/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5731 del 2017, proposto da
C V s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato E S, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via degli Avignonesi 5;
contro
Comune di Napoli, in persona del sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati A A e F M F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato N L, in Roma, via Denza 50/a;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania - sede di Napoli (sezione terza) n. 674/2017
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie e tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza straordinaria ex art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm. del giorno 24 ottobre 2023 il consigliere Fabio Franconiero, sull’istanza di passaggio in decisione di parte appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La C V s.r.l. agisce nel presente giudizio per l’annullamento dell’ordinanza n. 24 del 17 marzo 2010 del Comune di Napoli, con la quale le è stata ingiunta la cessazione immediata dell’attività commerciale da essa svolta nei locali ubicati in via Pigna n. 28, in cui esercitava la vendita al dettaglio e all’ingrosso di elettrodomestici e prodotti elettrici. L’ordine di cessazione era diretto all’« area eccedente mq 250 », limite di superficie autorizzato. L’attività commerciale era stata in origine autorizzata con provvedimento comunale del 16 maggio 1988, n. 880584, rilasciato « per svolgere attività di vendita al minuto dei generi compresi nelle seguenti tabelle merceologiche: Tabb. XII e XIV cioè materiale idraulico, igienico-sanitario, rubinetteria, piastrelle e lampadari ». In seguito al sopralluogo in data 19 febbraio 2010 della polizia municipale, che essa occupava una superficie pari a mq. 1437, eccedente quella sopra richiamata di 250 mq, assentita in occasione dell’aggiornamento dell’autorizzazione, avvenuto in data 22 ottobre 1998. Da qui l’emanazione del provvedimento impugnato in questo giudizio.
2. Con la propria impugnazione, proposta in primo grado davanti al Tribunale amministrativo regionale per la Campania - sede di Napoli, la società ricorrente sostiene che l’ordinanza impugnata sarebbe illegittima, perché nell’area eccedente quella autorizzata è stata da sempre svolta l’attività di vendita all’ingrosso di prodotti elettrici, esercitabile senza bisogno di assenso amministrativo in base alla legislazione dell’epoca congiuntamente a quella autorizzata di vendita al dettaglio, per la quale sarebbe sempre stato rispettato il limite di superficie assentito in base al titolo e al suo successivo aggiornamento nel 1998.
3. Le censure così sintetizzate sono state respinte dall’adito Tribunale amministrativo con la sentenza in epigrafe.
4. Questa ha statuito che in mancanza di un titolo autorizzativo per la distinta attività di vendita all’ingrosso la società ricorrente non poteva esimersi « dal rispetto del principio di coincidenza e corrispondenza della superficie impegnata per la vendita, anche all’ingrosso, con quella oggetto dell’autorizzazione comunale ». Pertanto, non era utile il richiamo all’art. 26, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 ( Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 ), che nel ribadire il divieto di « esercitare congiuntamente nello stesso punto di vendita le attività di commercio all’ingrosso e al minuto » fa comunque « salvo il diritto acquisito dagli esercenti in attività » alla data di entrata in vigore del decreto. Sul punto, per la sentenza la facoltà consentita dalla legge di esercizio congiunto delle due attività nello stesso locale non comporta « alcuna deroga al rispetto dei limiti di superficie ». Sono poi state respinte le ulteriori censure formulate in ricorso, concernenti la misurazione della superficie complessiva destinata all’attività commerciale e al preteso assenso ottenuto in sede di aggiornamento dell’autorizzazione ad una superficie corrispondente a quella accertata in occasione del sopralluogo all’esito del quale è stato emesso il provvedimento impugnato.
5. Contro la pronuncia di primo grado il cui fondamento è così sintetizzabile la società ricorrente ha proposto il presente appello, contenente le censure già respinte in primo grado, ed in resistenza del quale si è costituito il Comune di Napoli.
DIRITTO
1. In via preliminare va respinta l’eccezione di inammissibilità/improcedibilità dell’appello riproposta dal Comune di Napoli e fondata sulla perdita « del requisito della conformità urbanistica ed edilizia » a sostegno dell’attività commerciale, per effetto dell’ordine di demolizione dell’immobile in cui questa era svolta, emesso dalla stessa amministrazione comunale con disposizione dirigenziale del 21 aprile 2010, n. 144, la cui legittimità è stata confermata all’esito del separato contenzioso tra le parti recentemente definito (con sentenza di questo Consiglio di Stato, VI sezione, del 1° luglio 2022, n. 5482). Sulla base delle incontestate deduzioni difensive svolte dalla ricorrente in replica all’eccezione non risulta infatti dimostrato che nelle costruzioni di cui è stata ingiunta la demolizione rientri il fabbricato a destinazione commerciale cui si riferisce l’ordine di cessazione impugnato nel presente giudizio. L’eventuale assenza del sopra menzionato requisito potrà peraltro essere accertata nella competente sede amministrativa e non già in questo giudizio.
2. Nel merito, l’appello premette che in base alla normativa nazionale di settore vigente all’epoca in cui è stata rilasciata l’autorizzazione commerciale alla società ricorrente, e cioè la legge 11 giugno 1971, n. 426 ( Disciplina del commercio ), ora abrogata, il divieto di esercizio congiunto « nello stesso punto di vendita le attività di commercio all’ingrosso e al minuto », enunciato dall’art. 1, comma 4, era derogato per alcune categorie di attività, elencate nel successivo comma 5, in forza del quale il divieto in questione « non si applica (va)». Tra queste categorie era testualmente prevista la vendita all’ingrosso di « materiale elettrico », che si deduce la ricorrente abbia sin dall’avvio della propria attività sempre commerciato all’ingrosso, come risultante anche dalla certificazione camerale ad essa relativa. Viene poi sottolineato che la deroga è stata confermata in occasione del riordino normativo del settore dal sopra citato art. 26, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (nella versione applicabile ratione temporis , antecedente alla sua riformulazione, ad opera del decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147 (recante Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno ). Quindi, si aggiunge che nel 1998, in sede di aggiornamento del titolo autorizzativo originario, rilasciato per una superficie di 178,64 mq, quest’ultima è stata aumentata fino al limite massimo di 250 mq per l’attività di commercio al minuto;e che in questa occasione è stata « allegata una planimetria raffigurante la superficie complessiva dell’esercizio commerciale della ricorrente, pari a 1.428,25 mq », onde distinguere le superfici rispettivamente destinate al commercio al minuto e all’ingrosso: rispettivamente: 250 e 826,77 mq (ai quali vanno aggiunti 89,67 mq di locali di servizio e 261,81 mq di deposito).
3. Tutto ciò premesso, con un primo motivo d’appello è riproposta la censura di violazione delle sopra indicate disposizioni normative. Si sostiene che la sentenza non avrebbe erroneamente riconosciuto la salvezza dei diritti acquisiti nel vigore della disciplina previgente al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, sancita dal citato art. 26, comma 2, di cui la società avrebbe titolo per beneficiare, come ricavabile dall’aggiornamento dell’autorizzazione originaria. Al riguardo viene ribadito che l’ordine comunale di cessazione dell’attività impugnato nel presente giudizio sarebbe inficiato dalla mancata considerazione che l’attività di vendita al minuto è sempre stata svolta nei limiti di superficie assentiti, mentre quella all’ingrosso, « non (…) sottoposta ad alcuna autorizzazione comunale », sarebbe « rimessa alla libera determinazione degli esercenti privati ». Di ciò - si aggiunge - si avrebbe evidenza documentale agli atti dell’amministrazione comunale, in particolare attraverso la sopra menzionata planimetria del locale commerciale, allegata all’aggiornamento dell’autorizzazione.
4. Il motivo, in cui non è ravvisabile alcuna contraddizione tale da renderlo inammissibile, come ulteriormente eccepito dall’amministrazione comunale, è fondato e assorbente.
5. Costituisce in primo luogo dato pacifico, in diritto, che all’epoca in cui la società è stata autorizzata all’esercizio del commercio al minuto era consentito l’esercizio congiunto del commercio all’ingrosso, in deroga al divieto di carattere generale, per alcune categorie merceologiche, ai sensi del sopra citato art. 1, comma 5, dell’allora vigente legge 11 giugno 1971, n. 426, tra cui per quanto di interesse nel presente giudizio il « materiale elettrico ». Del pari è incontroverso che i diritti acquisiti nel vigore della precedente disciplina normativa sono stati fatti salvi in occasione del riordino dal parimenti sopra richiamato art. 26, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.
6. Inoltre, la legislazione dell’epoca richiamata assoggettava ad autorizzazione amministrativa, tra l’altro «(l’) apertura di esercizi al minuto, il trasferimento in altra zona e l’ampliamento degli esercizi già esistenti mediante l’acquisizione di nuovi locali di vendita » (art. 24 della legge 11 giugno 1971, n. 426), mentre come rileva l’appello un analogo titolo di carattere autorizzatorio non era richiesto per la vendita all’ingrosso. Oltre che sul piano commerciale le due diverse attività erano dunque eccezionalmente considerate compatibili anche dal punto di vista del carico urbanistico, sulla base di una valutazione astratta a livello normativo primario, incentrata sull’inesistenza nel caso della vendita all’ingrosso di una clientela diffusa presso il pubblico [ai sensi della definizione contenuta nell’art. 4, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, quest’ultima consiste nell’« attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende ad altri commercianti, all’ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande »].
7. Dal quadro normativo finora esaminato la sentenza di primo grado ha nondimeno ricavato la conseguenza che la superficie assentita in relazione al commercio al minuto dovesse comprendere entrambe le attività. L’assunto in questione si pone tuttavia in contrasto con quanto finora rilevato, e cioè con l’incontroversa circostanza che alcun titolo autorizzativo era normativamente previsto per l’esercizio congiunto del commercio al dettaglio con quello all’ingrosso, nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge. Ne deriva il corollario per cui sottoporre ai limiti di superficie correlati a quest’ultima attività il commercio all’ingrosso equivale a sottoporre la stessa al regime amministrativo proprio della prima, in contrasto con la normativa primaria.
8. La situazione di fatto del locale commerciale della società ricorrente era inoltre nota all’amministrazione comunale, sulla base della sopra menzionata planimetria allegata all’aggiornamento dell’autorizzazione del 1998. Anche sul punto la sentenza ha errato nel considerare irrilevante la circostanza, avuto riguardo al fatto che l’aggiornamento non era stato rilasciato per l’intera superficie risultante dalla planimetria, ma solo nei limiti massimi consentiti per il commercio al dettaglio, pari a 250 mq. L’errore è nello specifico consistito nel supporre ancora una volta che l’attività di commercio all’ingrosso esercitabile congiuntamente con quella al dettaglio nei tassativi casi consentiti ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge 11 giugno 1971, n. 426, fosse soggetto ad un regime di autorizzazione amministrativa, quod non in ragione di tutto quanto finora esposto.
9. Al medesimo riguardo, nelle proprie difese l’amministrazione comunale trae argomenti a sostegno del proprio operato dalla riscrittura dell’art. 26, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, ad opera del citato decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147, recante disposizioni correttive del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno. Per effetto della novella normativa in questione la disposizione di salvezza dei diritti acquistati nel previgente ordinamento di settore è oggi così formulata: «(n) el caso di esercizio promiscuo nello stesso locale dell’attività di vendita all’ingrosso e al dettaglio, l’intera superficie di vendita è presa in considerazione ai fini dell’applicazione di entrambe le discipline per le due tipologie di attività ».
10. Sennonché è infondata la pretesa di applicare retroattivamente una disposizione in cui non sono ricavabili i requisiti della norma di carattere interpretativo, e alla quale va dunque attribuita portata innovativa rispetto alla disciplina previgente, operante per il futuro, e conseguentemente non in grado di incidere sui diritti acquisiti nel vigore di quest’ultima, espressamente fatti salvi. A conferma dell’effetto innovativo della modifica normativa va rilevato che essa ha segnato il superamento del previgente divieto legislativo di esercizio congiunto del commercio al dettaglio e all’ingrosso, eccezionalmente derogato, in un contesto in cui anche la seconda categoria di attività è ora soggetta ad un regime amministrativo (oggi alternativamente sottoposta a comunicazione o s.c.i.a., ai sensi della tabella A allegata al decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222, recante l’ Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124 ).
11. L’appello va quindi accolto. Per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, deve essere accolto il ricorso della società C V ed annullati gli atti con esso impugnati. La novità della questione controversa giustifica nondimeno la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.