Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-09-07, n. 202005378

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-09-07, n. 202005378
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202005378
Data del deposito : 7 settembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/09/2020

N. 05378/2020REG.PROV.COLL.

N. 08872/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8872 del 2017, proposto dalla Toscolombarda S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G F, G G e A U S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G F in Roma, via Giunio Bazzoni, n. 15;

contro

Comune di Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A M e A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G L in Roma, via Polibio, n. 15;
Regione Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Lucia Bora, Arianna Paoletti e Barbara Mancino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marcello Cecchetti in Roma, piazza Barberini, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) n. 691 del 2017, resa tra le parti, concernente risarcimento dei danni derivanti da annullamento della procedura espropriativa.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Firenze e della Regione Toscana, contenenti appello incidentale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 84 del decreto legge n. 18 del 2020;

Relatore, nella udienza pubblica del giorno 4 giugno 2020, il Cons. G C e uditi per le parti gli avvocati A U S, G G, Barbara Mancino e A P ai sensi dell'art. 4 d.l. 28/2020.


FATTO e DIRITTO

1. La sentenza ha per oggetto l’appello principale proposto dalla società Toscolombarda srl e due appelli incidentali, l’uno proposto dal Comune di Firenze e l’altro proposto dalla Regione Toscana, avverso la sentenza del T.a.r. n. 691 del 2017, che ha parzialmente accolto l’originario ricorso di risarcimento del danno proposto dalla società.

1.1. Tutte le parti hanno depositato memorie, anche di replica.

1.2. La causa è stata trattenuta dal Collegio in decisione all’udienza pubblica del 4 giugno 2020, ai sensi dell’art. 84 del decreto legge n. 18 del 2020.

2. La controversia concerne la domanda – proposta dalla società nel 2011, come precisata con memoria dell’ottobre 2016 - di risarcimento dei danni subiti per il periodo in cui le aree (con estensione di circa 6.000 mq) sono state effettivamente occupate a seguito della procedura di esproprio, sulla base di provvedimenti presupposti (il PEEP e la variante al PRG che l’aveva recepito) annullati con la sentenza del T.a.r. per la Toscana n. 517 del 2 novembre 1998, confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3670 del 27 giugno 2007.

3. Per una migliore comprensione della controversia è opportuno dare preliminarmente conto, in estrema sintesi, delle vicende urbanistiche nelle quali la controversia si inserisce.

3.1. Il primo PRG del Comune di Firenze (c.d. Piano Detti), approvato con d.P.R. del 5 Settembre 1966 - rispetto ad un compendio immobiliare sito nel Comune di Firenze di ampia superficie (circa 48.000 mq.) di proprietà della società Toscolombarda, facente parte di un’area più vasta, parzialmente anche di proprietà comunale - aveva recepito le previsioni di cui al “progetto di lottizzazione n. 110” presentato dalla società;
tale progetto prevedeva una volumetria edificabile pari a 341.374 mc, di cui 273.274 mc insistenti su terreni di proprietà della società, a condizione (art. 26 NTA) che fosse stipulata una regolare convenzione.

3.2. Il Comune di Firenze, con due varianti parziali al PRG del 1977 e del 1981, aveva destinato l’intero compendio a servizi ed impianti pubblici e a verde pubblico. In esito all’impugnazione dei relativi atti da parte della società, le varianti furono definitivamente annullate con la sentenza del Consiglio di Stato n. 495 del 1988, “ per difetto di motivazione, trattandosi di varianti incidenti su una porzione specifica del territorio ”.

3.2.1. La richiesta della società di stipulare, in ottemperanza alla richiamata sentenza del 1988, la convenzione prevista nel PRG del 1966, fu rigettata dal Comune, sulla base dell’art. 15, comma 3- quater , della l.r. n. 74 del 1984, come modificato dalla successiva l.r. n. 24 del 1987, secondo il quale, rispetto agli strumenti urbanistici approvati anteriormente al 15 Gennaio 1972, era sospesa l’adozione di piani urbanistici attuativi relativi a zone di espansione sino all’adozione di un nuovo PRG o di una variante al piano vigente.

Il T.a.r., con la sentenza n. 250 del 1993, ritenne legittima la sospensione del piano del 1966, in mancanza di convenzione.

3.3. In particolare, rispetto alla controversia di risarcimento del danno oggetto della decisione, rilevano le vicende di seguito descritte.

3.3.1. Il Comune di Firenze, con il PEEP del 1992/1993 (delibera del Consiglio Comunale n. 6415/1992 e n. 564/1993, delibera regionale n. 4260/1995) ha localizzato il Comparto 6 (Viale Guidoni) del programma di edilizia residenziale pubblica in parte sulle aree di proprietà della società (circa 6.000 mq.) per gli interventi affidati all’ATER e ARDSU;
aree prima ricomprese nella lottizzazione n. 110 cit. come zone di espansione residenziale;
nel 1993 il Comune (delibera n. 604/1993) ha adottato la variante al PRG che recepiva il PEEP, ed ha destinato la parte maggiore restante dell’area di proprietà della società a Zona C, sottozona C2 “di ristrutturazione urbanistica.

3.3.2. La società ha impugnato i suddetti atti generali con più ricorsi del 1993, del 1995 e del 1996.

3.3.2.1. I ricorsi sono stati decisi con la sentenza del T.a.r. n. 517 del 1998, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3670 del 2007;
i suddetti atti generali sono stati annullati, in parte qua , per difetto di motivazione, avendo il giudice riconosciuto in capo alla società una aspettativa qualificata, con conseguente obbligo di motivazione in capo all’amministrazione comunale.

3.3.2.2. Nelle more del processo di primo grado e del deposito della motivazione dello stesso, sono intervenuti i provvedimenti di espropriazione delle aree: - del 2 dicembre 1996 (foglio 33/b, particella 969);
- del 15 giugno 1998 (foglio 33/b, particelle 982, 983, 985 e 986).

3.3.3. Su istanza della società, successiva al passaggio in giudicato della sentenza di annullamento con la conferma da parte del Consiglio di Stato, il Comune, il 4 ottobre 2007, ha annullato in autotutela i provvedimenti di esproprio ed ha reintestato i beni alla società.

4. Tornando al processo in trattazione, il T.a.r., con la sentenza n. 691 del 2017, gravata dagli appelli, ha così statuito:

a) ha rigettato l’eccezione di prescrizione dell’azione sollevata dal Comune di Firenze;

b) ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla Regione Toscana;

c) ha ravvisato: - c1) un fatto illecito di natura permanente nella perdurante occupazione dei terreni della ricorrente, divenuta sine titulo a seguito dell’annullamento dei decreti di esproprio per effetto dell’annullamento della corrispondente previsione urbanistica;
- c2) gli altri elementi costitutivi della responsabilità aquiliana per danno ingiusto nel comportamento dell’Amministrazione comunale, sussistendo, oltre ai profili di illegittimità evidenziati nelle richiamate sentenze (quella del T.a.r. del 1998 e quella di questo Consiglio del 2007 cit.), sia l’elemento psicologico della colpa, per la negligenza dimostrata nell’adozione dell’illegittima variante urbanistica, sia il nesso causale tra l’azione amministrativa ed il danno patito per effetto della illegittima sottrazione del godimento del bene e della trasformazione dei luoghi;

d) ha specificato che il risarcimento spettante non può consistere nel valore venale del bene, atteso che la società, per effetto delle statuizioni rese dal giudice amministrativo e dell’annullamento in autotutela disposto dal Comune, è ancora titolare della proprietà delle aree, con la conseguenza che il risarcimento del danno deve coprire il solo valore d'uso del bene, dal momento della sua illegittima occupazione sino alla data della cessazione dell’occupazione illecita;

e) ha rigettato, per mancanza di prova, la domanda di risarcimento fondata sulla privazione della possibilità di alienazione e sul deprezzamento delle aree di proprietà limitrofe;
su tale statuizione si è formato il giudicato per mancanza di impugnazione;

f) ha ritenuto applicabile, in via equitativa, l’art. 42- bis del d.P.R. n. 327 del 2001, richiamando la giurisprudenza del Consiglio di Stato;

g) ha liquidato all'attualità: a) il risarcimento del pregiudizio patrimoniale nel 5% annuo del valore venale del terreno , calcolato ai sensi e nelle forme indicate dallo stesso articolo 42- bis , dalla data di occupazione e fino alla restituzione dei terreni;
il risarcimento del pregiudizio non patrimoniale una tantum , nel 10% del valore venale del terreno;

h) in particolare, in riferimento al parametro del valore venale, ha precisato:

h1) che il valore venale su cui calcolare la percentuale annua del 5% e la percentuale una tantum del 10% non è quello proprio di un terreno edificabile ai sensi del PRG del 1966 o della variante del 1993, rilevando il regime di salvaguardia sancito dall’art. 15, comma 3- quater , della l. r. n. 74 del 1984, come modificato dalla l. r. n. 24 del 1987, il quale ha reso sostanzialmente assimilabile ad una “zona bianca” il compendio in cui ricade la proprietà della società istante;

h2) che la particolarità della fattispecie, consistente nella circostanza che la successiva pianificazione urbanistica generale cui faceva riferimento la legge regionale avrebbe dovuto tenere conto del predisposto progetto di lottizzazione n. 110 del 1966 (come si evince dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3670 del 2007), si traduce in un valore economico base delle aree corrispondente a quello proprio delle zone bianche, ma da incrementare in via equitativa e forfettaria nella misura del 10%, in ragione dell’affidamento della società risultante dalle sentenze di annullamento;

h3) che il periodo di occupazione illecita rilevante ai fini del calcolo, anno per anno, della percentuale del 5%, per il terreno di cui al foglio 33/b, particella 969, è compreso tra il 2 dicembre 1996 e il 4 ottobre 2007, mentre per i terreni di cui al foglio 33/b, particelle 982, 983, 985 e 986, il periodo di riferimento è compreso tra il 15 giugno 1998 e il 4 ottobre 2007 (rilevando quale dies a quo la data di emissione del decreto di esproprio e di occupazione definitiva e il provvedimento amministrativo di annullamento in autotutela);

i) ha condannato il Comune e la Regione, in solido tra loro, a risarcire il danno ed a proporre congiuntamente alla società ricorrente il pagamento della somma risarcitoria entro un termine ed in base ai criteri descritti in motivazione.

5. Con un unico e complesso motivo dell’appello principale, la società ha censurato la sentenza nella parte in cui ha determinato il valore venale dei beni, quale base di calcolo delle percentuali rilevanti da applicare ai sensi dell’art. 42- bis cit., dando rilievo al regime di salvaguardia disposto dalle leggi regionali.

5.1. Con l’appello, la società sostanzialmente ripropone le tesi sostenute dinanzi al T.a.r., e specificamente disattese dal primo giudice, secondo le quali per individuare il valore economico dei beni di sua proprietà occupati sine titulo , avrebbe dovuto farsi riferimento agli indici edificatori del PEEP del 1992, in subordine, alla capacità edificatoria riconosciuta per le restanti aree di proprietà dell’appellante dalla variante al PRG adottata nel 1993 e definitivamente approvata nel 1998 (aree incluse in aree di ristrutturazione urbanistica C2) ed, in ulteriore subordine, agli indici di fabbricabilità della lottizzazione n.110 del 1966.

5.2. Il Comune di Firenze ha censurato la sentenza con quattro motivi;
la Regione Toscana con cinque motivi.

5.2.1. In particolare:

- con il primo motivo, il Comune ripropone l’eccezione di prescrizione dell’azione di risarcimento;

- con il primo motivo, la Regione ripropone l’eccezione del proprio difetto di legittimazione passiva e con il secondo censura la propria condanna in solido al risarcimento;

- il Comune con il secondo motivo e la Regione con il terzo motivo criticano la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto esistenti gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana;

- il Comune, con il terzo motivo, ha censurato la sentenza in riferimento ai profili soggettivi dell’illecito aquiliano rilevando, soprattutto, l’omessa considerazione del concorso del fatto colposo del creditore ai sensi dell’art. 1227 c.c.;

- il Comune, con il quarto motivo, oltre che la Regione, con parte del secondo, nonché con il quarto motivo, censurano la sentenza nella parte in cui ha fatto ricorso all’applicazione dell’art. 42- bis in via equitativa per il mancato godimento delle aree;

- infine, la Regione, con il quinto motivo, censura in particolare l’incremento del 10% nell’individuazione del valore venale ai fini della base di calcolo del valore venale del bene.

6. Ritiene il Collegio che la questione centrale e dirimente per la decisione della controversia sia quella posta dal Comune con il terzo motivo di appello incidentale, nella parte in cui mette in rilievo che il primo giudice ha omesso di considerare l’incidenza del comportamento della società nella causazione del danno lamentato.

6.1. La valutazione di tale comportamento, tale da determinare l’interruzione del nesso causale ed impedire il risarcimento del danno che sarebbe stato evitabile, come si chiarirà nel prosieguo, consente di non soffermarsi neanche sulla questione preliminare della prescrizione del diritto, pure riproposta dal Comune con il primo motivo di appello.

7. L’accoglimento della suddetta censura si fonda sulle considerazioni che seguono.

7.1. La regola della non risarcibilità dei danni evitabili e, quindi, dell’incidenza dell’interruzione del nesso causale tra il comportamento illecito dell’amministrazione e il danno lamentato, determinata dal comportamento del danneggiato, è prevista dall’art. 1227, comma 2 c.c. ed è stata riconosciuta come operante nella giurisprudenza amministrativa anche prima che venisse chiaramente sancita dall’art. 30, comma 3, c.p.a.

Come noto, l’A.P. n. 3 del 2011, coerentemente con quanto già desumibile dall'art. 1227, c. 2, c.c., ha stabilito che l’art. 30, co. 3 c.p.a. deve interpretarsi nel senso che la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo o la mancata proposizione di un ricorso amministrativo o, ancora, l'omessa attivazione di iniziative volte a sollecitare la rimozione o la modificazione in autotutela del provvedimento lesivo possono essere ritenuti comportamenti contrari a buona fede nell'ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno.

La giurisprudenza consolidata successiva ha affermato che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’ art. 30, co. 3, cit., come interpretato dall’organo nomofilattico della giustizia amministrativa, è ricognitiva di principi già evincibili da un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’art. 1227 c.c. e, pertanto, trova applicazione anche per le domande e per i fatti illeciti antecedenti all’entrata in vigore del c.p.a. (cfr. ex multis , Cons. Stato, sez. IV, n. 241 del 2018 e n. 5237 del 2017;
sez. V, n. 1649 del 2016).

7.2. Nella fattispecie, il danno lamentato è il danno da mancato godimento dei beni, derivante dai decreti di espropriazione, illegittimi per effetto dell’annullamento per difetto di motivazione degli atti presupposti di dichiarazione di pubblica utilità, sino al momento in cui il Comune ha annullato in autotutela e reintestato i beni alla società. Pertanto, il periodo temporalmente rilevante dell’illecita sottrazione del godimento dei beni - come temporalmente individuato dal primo giudice (cfr. § 4, lett. h3) e non contestato dalla società sotto tale profilo – è compreso tra il 2 dicembre 1996 (per una particella), il 15 giugno 1998 (per tutte le altre) e il 4 ottobre 2007.

7.3. In generale, va rilevata la non condivisibile prospettiva assunta dal primo giudice quando, nel considerare il profilo soggettivo di colpa in capo all’Amministrazione, ha valutato l’illegittimità degli atti presupposti dei decreti di espropriazione, annullati dal giudice amministrativo, e l’illegittimità conseguente di questi ultimi. Infatti, rispetto al danno richiesto da mancato godimento dei beni per il periodo di tempo rilevante riconosciuto dal primo giudice e non contestato con l’appello, il periodo di tempo rilevante per valutare il comportamento colpevole dell’Amministrazione è quello successivo ai decreti di esproprio sino al momento in cui, per effetto della sentenza del T.a.r. favorevole, la società avrebbe potuto ottenere il godimento dei beni e la loro reintestazione.

7.4. In questa ottica, rispetto al comportamento dell’Amministrazione, emerge il breve lasso di tempo tra i decreti di espropriazione (del dicembre 1996 e del giugno del 1998) e la sentenza del T.a.r. del novembre 1998.

Rispetto al comportamento della società, va da subito messo in rilievo un dato decisivo, e cioè che la società stessa avrebbe potuto in realtà chiedere la restituzione dei beni sin dalla sentenza del T.a.r. n. 517 pubblicata il 2 novembre 1998, della quale non è dedotta l’intervenuta sospensione dell’efficacia esecutiva.

Può dirsi pertanto che ad avviso del Collegio il comportamento della società risulta nel suo complesso caratterizzato da un sostanziale disinteresse a riottenere appena possibile la disponibilità dei beni e la reintestazione degli stessi. Infatti, l’invito della società all’Amministrazione di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto è stato formulato solo il 2 agosto 2007, dopo che la sentenza di primo grado era divenuta definitiva con la pubblicazione, il 27 giugno 2007, della sentenza di questo Consiglio n. 3670. Solo in tale data la società ha segnalato il grave pregiudizio subito per effetto dei provvedimenti illegittimi e l’inevitabile aggravarsi dello stesso in caso di ritardo.

Per contro, il comportamento del Comune risulta dal pronto adempimento effettuato con il provvedimento del 4 ottobre 2007.

7.4.1. Il comportamento di sostanziale disinteresse della società rispetto alla esecuzione della sentenza favorevole di primo grado, trova conferma nell’andamento delle trattative intraprese con il Comune dopo la sentenza e volte ad ottenere, anche nel contesto di altri contenziosi pendenti, un beneficio maggiore della mera restituzione dei beni.

7.4.2. L’esame della documentazione in atti è inequivocabile in tale direzione:

a) dalla delibera della Giunta Comunale n. 941/697 dell’8 giugno 1999, risulta che: - la società, al fine di definire il contenzioso pendente, aveva proposto un Progetto Unitario Convenzionato per poter utilizzare sul proprio compendio l’intera volumetria prevista per l’edilizia privata, compresa anche quella imputabile all’area di proprietà del Comune;
- la commissione urbanistica aveva espresso parere favorevole, con prescrizioni, alle quali la società si era adeguata;
- di conseguenza, era stato approvato il PUC e la relativa convenzione;

b) la delibera della Giunta Comunale n. 940/790 del 17 giugno 1999 - dove si dà atto del contenzioso in corso - approva lo schema dell’atto di transazione;
questo contiene la rinuncia della società agli effetti della sentenza del T.a.r. n. 517 del 1998, all’appello pendente, ad altro giudizio di risarcimento del danno avviato dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, ad ogni pretesa risarcitoria dipendente dagli atti annullati e da altri atti successivi impugnati, nonché la rinuncia del Comune agli effetti dei provvedimenti di esproprio;
in dipendenza di tali rinunce reciproche, si prevede che, con compravendita, la società trasferisce al Comune due lotti e il Comune trasferisce alla società la volumetria edificatoria imputabile all’area di proprietà del Comune compresa nel PUC;

c) in esito a rinvii della sottoscrizione della transazione - richiesti dalla società per la produzione delle certificazioni ipotecarie e per la non disponibilità dei propri rappresentanti, cui si accompagnano contatti informali della stessa per ottenere un variazione del PUC approvato cui si collega la transazione - dal gennaio al febbraio, e dal giugno sino a dicembre del 2000, si susseguono i solleciti del Comune ad indicare una serie di date utili rilevandone l’urgenza per via delle esigenze dell’ATER di realizzare gli edifici di ERP;

c1) i solleciti provenienti dal Comune continuano nel febbraio 2001 e nel marzo successivo con indicazione della data del 30 marzo per la sottoscrizione;

d) da una relazione della direzione urbanistica all’avvocatura comunale del novembre 2001, risulta che la società aveva presentato una proposta di modifica del PUC concordato, che era stata istruita positivamente, che dopo la disponibilità dell’assessore, nel giugno del 2001, a rivedere la transazione, il legale rappresentante della società aveva promesso di incaricare della modifica un tecnico, ma non aveva rispettato l’impegno non provvedendo in tal senso;

e) nell’aprile del 2004, gli eredi dell’originario rappresentante legale della società Toscolombarda, alcuni anche nella qualità di legali rappresentanti della stessa e di altre società collegate, richiamando alcuni contenziosi in atto, tra i quali l’appello pendente avverso la sentenza n. 517 del 1998 – rilevante nella causa in argomento – hanno prospettato una nuova proposta di transazione, che prende in considerazione anche altri contenziosi concernenti le società collegate;
proposta che si conclude con una compensazione dei crediti delle società e del Comune e all’accettazione di tale proposta di transazione si collega la rinunzia a tutti i giudizi;

f) dal verbale della Giunta comunale del 17 ottobre 2006, emerge che l’assessore all’urbanistica informa sull’esito degli incontri con gli eredi rispetto alla nuova proposta transattiva, nel senso che il Comune elimina dal PEEP il comparto 6 e il Comune e la Regione rinunciano all’appello avverso la sentenza n. n. 517 del 1998, e rappresenta la necessità di un rinvio per trattative;
la Giunta autorizza a coltivare la proposta transattiva, dando mandato ai legali di chiedere un rinvio.

f1) il 24 ottobre 2006, la causa è trattenuta in decisione e si concluse con il rigetto dell’appello con la sentenza n. 3670 del 2007 cit.

7.5. In definitiva, può dirsi che il comportamento della società si è obiettivamente sostanziato in un utilizzo della pendenza del processo di appello avverso la sentenza favorevole del T.a.r. del 1998 finalizzato a condizionare l’Amministrazione nella rivalutazione delle scelte urbanistiche delle aree, per ottenere una destinazione urbanistica più favorevole, che andasse ben oltre la zona bianca discendente dagli annullamenti per difetto di motivazione a fronte di una aspettativa riconosciuta qualificata, peraltro avente origine in un Piano attuativo del 1966, mai convenzionato, al quale hanno fatto seguito le norme di salvaguardia regionale proprio per consentire nuove scelte generali.

E quindi – in termini piani - la società stessa non può ora ragionevolmente chiedere di essere risarcita per lo spossessamento di terreni la cui restituzione non aveva invece mai domandato, pur essendo tale restituzione imposta da una sentenza esecutiva di annullamento degli atti ablativi, preferendo seguire una diversa strategia procedimentale.

7.5.1. Né, in questa ottica, assume rilievo il mancato rinvio del giudizio di appello pendente nel 2006, atteso che la valutazione favorevole dell’assessore competente rispetto ad una regolamentazione urbanistica dell’area che escludesse totalmente il PEEP, sulla base della nuova proposta di transazione proveniente dalla società, non si era ancora tradotta nella preannunciata investitura del Consiglio Comunale.

7.5.2. Così come non assume rilievo il fatto che, successivamente, il Comune, con la delibera n. 63 del 2012 si è rideterminato sulla destinazione dell’area in senso favorevole alle richiesta della società.

7. 6. L’accoglimento del motivo esaminato determina il rigetto del ricorso proposto dinanzi al T.a.r., con conseguente assorbimento di tutte le altre censure prospettate negli appelli incidentali ed improcedibilità dell’appello principale, essendo quest’ultimo volto a contestare i criteri per la quantificazione del danno riconosciuto dal primo giudice.

8. In conclusione: è accolto il terzo motivo dell’appello incidentale del Comune di Firenze, con assorbimento degli altri motivi, e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza gravata, è rigettato il ricorso proposto dinanzi al T.a.r.;
è assorbito il ricorso incidentale proposto dalla Regione Toscana;
è improcedibile il ricorso principale proposto dalla società.

9. In ragione della complessità della controversia sono integralmente compensate le spese processuali del doppio grado di giudizio.

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