Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-22, n. 202302903

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-22, n. 202302903
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302903
Data del deposito : 22 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/03/2023

N. 02903/2023REG.PROV.COLL.

N. 04870/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4870 del 2018, proposto dal dottor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M C e G G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M C in Roma, via Pier Luigi da Palestrina, 63,

contro

il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Salute;

Viste le successive memorie dell’appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 16 marzo 2023, il Cons. Fabrizio Di Rubbo e udito per parte appellante l’avvocato G G;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso al competente T.a.r. il dottor -OMISSIS- – ivi qualificatosi medico specializzato nella cura dell’obesità, ideatore nel 1980 della cosiddetta -OMISSIS-, fondata su un’alimentazione iperocalorica, purché secondo la modulazione dell’apporto di carboidrati sviluppanti calorie, i glucidi, il cui controllo è realizzato mediante la somministrazione del Math ’80, un prodotto galenico magistrale a base di amfepramone, fendimetrazina e benfluorex) ha chiesto la condanna del Ministero della Salute (già Ministero della Sanità), al risarcimento dei danni patiti per effetto dell’adozione dei decreti ministeriali del 26 maggio 1987, 13 aprile 1993 e 24 gennaio 2000, restrittivi dell’attività professionale del ricorrente, tutti in precedenza annullati da decisioni del medesimo T.a.r.

In particolare:

a ) con decreto ministeriale 26 maggio 1987 (pubblicato in G.U. 8 giugno 1987), l’allora Ministero della Sanità aveva vietato la preparazione, anche da parte delle farmacie, di prodotti galenici contenenti una o più delle seguenti sostanze: amfepramone, fendimetrazina, fentermina, benzfetaminem, fenfluramina e benfluorex;
avendo il Consiglio Superiore della Sanità ritenuto criticabile l’uso a scopo dimagrante di preparazioni magistrali di associazioni di farmaci anoressizzanti con altri farmaci;

b ) con successivo decreto ministeriale 13 aprile 1993 (pubblicato in G.U. del 24 aprile 1993), lo stesso Ministero aveva vietato alle imprese farmaceutiche di preparare, su richiesta del medico ex art. 25, comma 4, d.lgs. n. 178/1991, medicinali contenenti alcune sostanze, tra le quali amfepramone, dexeflenfluramina, fendimetrazina, fenfluramina, precisando al riguardo che: a ) il medico era tenuto ad astenersi dal prescrivere medicinali contenenti tali entità; b ) nel trattamento farmacologico del sovrappeso, questi doveva anche astenersi dal prescrivere, contestualmente a una specialità medicinale contenente le predette entità o a un medicinale preparato estemporaneamente, anche altro preparato medicinale magistrale costituito da una miscela di sostanze, se « l’innocuità ed efficacia della miscela non è documentata in un medicamento autorizzato all’immissione sul mercato italiano come specialità medicinale »;

c ) con l’ulteriore decreto ministeriale 24 gennaio 2000 (pubblicato in G.U. n. 25 dell’1 febbraio 2000), il Ministero della Sanità aveva infine vietato ai farmacisti di eseguire preparazioni magistrali contenenti fentermina, amfepramone, fendimetrazina, mazindolo, norpseudoefedrina, fenbutrazato, propilexdrina, e comunque tutte le altre sostanze che da sole o in associazione fra di loro o con altre sostanze abbiano lo scopo di ottenere un effetto anoressizzante ad azione centrale, stabilendo che i medici erano tenuti ad astenersi dal prescriverle.

I primi due decreti ministeriali (quelli del 26 maggio 1987 e del 13 aprile 1993) sono stati annullati, con riferimento alla metodica del ricorrente, dalla sentenza del T.a.r. Lazio 10 aprile 2000, n. 2965.

Il decreto ministeriale 24 gennaio 2000 è stato poi annullato dalla sentenza del T.a.r. Lazio -OMISSIS-, sempre con riferimento alla metodica del ricorrente.

Soggiunge il ricorrente che, in ragione della prima decisione citata nonché di conformi conclusioni raggiunte dal giudice penale, la Commissione centrale esercenti professioni sanitarie, con decisione n. 22 del 3 aprile 2001, confermata dalla sentenza della Corte di cassazione n. 1951/2002, ha riformato il provvedimento disciplinare in precedenza pronunciato in proprio danno.

Ciò premesso in punto di fatto, il dottor -OMISSIS-, ravvisata la giurisdizione del giudice amministrativo, ha chiesto che il Ministero della salute fosse condannato a risarcirgli i danni patiti per effetto dei predetti provvedimenti, da liquidarsi: a ) in € 7.095.556,57 a titolo di danni materiali subiti per effetto della notevole contrazione del numero dei pazienti seguita alle inibizioni arrecate dai dd.mm. poi annullati, i quali hanno avuto riflessi anche sulla credibilità professionale del medico; b ) in € 3.547.778,25 per il danno esistenziale ex art. 2059 c.c., identificabile nella compromissione della qualità della vita del professionista derivante dalle annose vicende giudiziarie, con riflessi negativi sull’immagine perduranti nel tempo, da quantificare nella metà di quello materiale, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

In particolare, il ricorrente ha ritenuto la sussistenza di tutti i presupposti del risarcimento richiesto, identificati: a ) nella « illegittimità dei decreti ministeriali » acclarata dalle sentenze citate; b ) nella « illiceità della condotta » posta in essere dal Ministero e connotata da colpa grave, per come si evincerebbe dal tenore stesso dei provvedimenti annullatori del giudice amministrativo che avevano evidenziato gravi carenze dell’istruttoria; c ) nel « danno ingiusto » e nel « nesso eziologico » esistente tra condotta ed evento lesivo.

Il Ministero della salute, evocato in giudizio, non si è costituito.

Il ricorrente ha poi effettuato produzioni documentali e depositato una memoria conclusionale.

All’esito dell’udienza del 17 novembre 2017 (ove il ricorrente ha depositato una tabella dei danni patiti tra il 1987 e il 2002 aggiornata anche con interessi e rivalutazione monetaria), il ricorso è stato respinto con la seguente motivazione, utile anche all’ulteriore ricognizione dei fatti di causa:

< 1. Va in primo luogo apprezzata la tempestività della domanda risarcitoria in esame, proposta con ricorso notificato nel dicembre 2004 a fronte di pronunce demolitorie rese negli anni 2000 e 2002. Infatti, ove la fonte di responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione si sia perfezionata prima dell’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, deve trovare applicazione la disciplina previgente, con la conseguenza che all’azione risarcitoria da illegittimo esercizio della funzione amministrativa proposta in via autonoma dopo l’annullamento degli atti amministrativi si applica il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2947, comma 1, c.c., che decorre dalla data del passaggio in giudicato della decisione di annullamento del giudice amministrativo (C.d.S., IV, 30 gennaio 2017, n. 361).

2. Quanto al merito della domanda condannatoria, ritiene invece il Collegio che essa non sia fondata, non essendo configurabile in capo al Ministero della salute il requisito dell’imputabilità della condotta lesiva, sub specie della colpa dell’amministrazione, né risultando contestualizzata la c.d. spettanza del bene della vita.

2.1. A tal proposito va premesso che, in linea generale, il mero accertamento dell’illegittimità dell’atto non rende superflua l’indagine sulla colpa e, in particolare, ove il vizio riconosciuto sia ascrivibile a figure sintomatiche dell’eccesso di potere quali il travisamento di fatti, il difetto d’istruttoria e di motivazione, è ragionevole che si proceda alla disamina della condotta della pubblica amministrazione emanante, proprio per accertarne l’ascrivibilità o meno a titolo di colpa (cfr. C.d.S., III, 28 novembre 2011, n. 6274 e Tar Liguria, II, 29 febbraio 2012, n. 349).

Peraltro, ove l’annullamento sia fondato su tali vizi di legittimità (in particolare il difetto di istruttoria), in quanto esso non implica anche un accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, non può costituire il presupposto per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno (cfr. C.d.S., V, 14 ottobre 2014, n. 5155;
Tar Campania, Napoli, III, 24 luglio 2017, n. 3926).

2.2. Ciò posto, la sentenza n. -OMISSIS- (che ha annullato i dd.mm. 26 maggio 1987 e 13 aprile 1993) ha ritenuto l’illegittimità in parte qua dei provvedimenti presi in considerazione, in quanto non assistiti «da adeguata istruttoria».

Essa, come messo in luce anche dal ricorrente, ha in particolare apprezzato l’illegittimità amministrativa con riguardo al fatto che il Ministero non aveva di fatto consentito a questi «di dimostrare che la terapia non è assimilabile a una utilizzazione “indiscriminata e inappropriata” dei preparati in argomento e non è suscettibile di comportare né ha comportato alcun danno alla salute», secondo quanto pure argomentabile alla luce del fatto che: a) un’indagine a campione della Procura di Torino su pazienti di ampie zone del Paese non aveva rilevato effetti negativi;
b) i numerosi procedimenti penali instaurati in riferimento a possibili conseguenze letali o lesioni derivanti dal metodo
de quo erano stati archiviati;
c) il
dictum ministeriale era fondato su un parere reso dal Consiglio Superiore della Sanità il quale non aveva tenuto conto della documentazione scientifica relativa alla metodica del ricorrente, sollecitata dal Ministero ed effettivamente inviata;
d) la metodica in questione aveva vita ultradecennale ed era stata sperimentata come innocua su migliaia di pazienti.

E tuttavia, nella stessa sentenza il Tribunale ha considerato: a) che da una relazione peritale redatta in un procedimento penale a carico dello -OMISSIS- era emerso che «le preparazioni del ricorrente “pur possedendo una loro logica terapeutica, non sono suffragate da quella documentazione farmacologica, tossicologica, clinica, analitica, che accompagna la registrazione delle specialità medicinali e condiziona il permesso di vendita per la vigente legislazione italiana. Tutti i prodotti usati dal Dr -OMISSIS- sono infatti presenti in specialità medicinali, ma non esiste alcun prodotto che li contenga in miscela. Né si può pensare che la conoscenza della proprietà delle singole sostanze, le loro eventuali controindicazioni, le incompatibilità, possono essere estrapolate dalle proprietà della miscela di esse, senza adeguate e verificate documentazioni sperimentali”»;
b) che «in sostanza i periti non si pronunciano sulla innocuità della miscela né ritengono di poter “trarre conclusioni sulla efficacia terapeutica di formulazioni quali quelle proposte, in assenza di dati scientifici sperimentali accettati dalle autorità sanitarie italiane” e che «le riserve dei periti relative agli effetti della miscela, essendo formulate con riguardo alla interazione dei principi attivi, dovrebbero logicamente essere riferibili non solo all’utilizzo dei preparati magistrali, ma anche all’associazione (cioè all’utilizzo contestuale) delle diverse specialità medicinali basate sui medesimi principi attivi», ciò che, se rende incompleto sul punto il decreto in esame rispetto a quello successivo adottato il 30 ottobre 1998, non incide sulla legittimità dell’atto perché la disciplina da questo prevista «è conforme all’intento manifestato dal Consiglio superiore di sanità di ridurre il possibile danno derivante da una utilizzazione indiscriminata e inappropriata dei medicinali anoressizzanti, sia preparati in farmacia sia dalle imprese farmaceutiche su richiesta del medico, avuto riguardo alla circostanza che per molte delle sostanze in argomento “non sono state mai possibili le valutazioni sulla sicurezza di impiego per mancanza di dossier di registrazione delle relative specialità medicinali” (….)»;
c) che il parere del Consiglio superiore di sanità e il decreto ministeriale fondato su di esso evidenziavano «il carattere strettamente cautelare del provvedimento stesso, diretto ad evitare una lesione potenziale della salute pubblica, in quanto non è basato su una serie di segnalazioni di eventi lesivi».

Dall’insieme degli elementi così rassegnati emerge allora un quadro ben più complesso di quello rappresentato in ricorso, con riguardo al quale, assieme al difetto di istruttoria innervato dalla mancanza del frammento contraddittorio del procedimento di adozione, convivono elementi che rendono quantomai incerto il sicuro apprezzamento della colpa dell’amministrazione e della c.d. spettanza del bene della vita, elementi identificabili: a) nel carattere «strettamente cautelare» dell’atto in funzione della finalità di prevenzione di rischi, anche solo potenziali per la salute, che rende certamente più compressi ed asciutti i tempi e i modi della statuizione;
b) nell’assenza di un quadro chiaro e documentato in ordine alla innocuità della miscela;
c) nell’impossibilità, in base agli elementi scorsi dalla decisione in esame, di concludere con ragionevole certezza in ordine al fatto che, ove il Consiglio superiore di sanità avesse valutato i documenti offerti in visione dall’odierno ricorrente, avrebbe assunto conclusioni opposte rispetto a quelle concretamente assunte.

2.3. Analoghe conclusioni possono essere prese con riguardo alla sentenza n. 4204/2002.

Questa ha infatti ravvisato l’illegittimità dell’atto gravato (il d.m. 24 gennaio 2000) per difetto di adeguata istruttoria, «anche in relazione allo svolgimento sul piano formale del procedimento di valutazione degli effetti sulla salute dell’impiego di farmaci anoressizzanti, attivato in data 12.10.1999 dal Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza con formulazione di richiesta di parere in merito alla Commissione Unica del Farmaco».

In particolare, rileva la sentenza che, pur avendo tale Commissione affidato l’esame della questione ad apposita Sottocommissione – che nella seduta del 15 novembre 1999 aveva formulato proposta di introdurre divieto di esecuzione di preparati magistrali contenenti gli anoressizzanti fentermina, amfepramone, fendimetrazina, mazindolo, norpseudoefedrina, fenbutrazato, propilexdrina – non era tuttavia seguito il conclusivo parere della Commissione Unica del Farmaco, «così che il decreto impugnato è intervenuto in assenza della valutazione dell’organo abilitato alla effettiva sussistenza degli effetti pregiudizievoli per la salute dei farmaci in questione».

Ne era dunque risultata compromessa l’istruttoria anche sul piano sostanziale, non emergendo dalla documentazione esibita in giudizio elementi idonei a giustificare l’adottata misura di inibitoria dei farmaci.

Anche in questo caso – al di là quest’ultima valutazione, effettuata dal Tribunale (per la verità per relationem proprio alla sentenza n. -OMISSIS- e senza alcuna contestualizzazione) sulla scorta di elementi probatori che, si deve supporre, sono sovrapponibili a quelli considerati nel precedente richiamato – rimangono i medesimi significativi profili di incertezza appena esaminati in ordine alla sussistenza dell’imputabilità della condotta e alla spettanza del bene della vita, cui deve aggiungersi il fatto che il parere della Sottocommissione, benché non incluso in una conclusiva valutazione della Commissione Unica del Farmaco, era stato reso, sul piano squisitamente tecnico, in senso sfavorevole al ricorrente, con argomentazioni delle quali la sentenza costitutiva in parola non dà conto in alcun modo.

2.4. In definitiva, il mancato sicuro riscontro della sussistenza dell’elemento psicologico e della spettanza del bene della vita, quali indefettibili presupposti per ravvisare la responsabilità aquiliana e fondare una condanna al risarcimento del danno, conduce alla reiezione dell’odierna domanda . (…)>.

Ha proposto rituale appello il ricorrente avverso tale decisione.

L’appellante censura entrambe le ragioni di rigetto indicate nella sentenza gravata.

Adduce in sintesi, sul piano oggettivo, che egli fosse titolare di un interesse legittimo di tipo oppositivo e non pretensivo rispetto ai provvedimenti impugnati, e che di conseguenza l’illegittima lesione di tale interesse, accertata dalle sentenze intervenute, ha automaticamente ripristinato il diritto – tuttavia medio tempore pregiudicato - a svolgere l’attività professionale anche attraverso l’utilizzo delle sostanze precluse dai decreti impugnati;
e, sul piano soggettivo, che sussiste nella fattispecie la colpa dell’Amministrazione (richiamando C.d.S., Sez. VI, n. 5611/2015 che ritiene la natura “speciale” della responsabilità della p.a., ancorandola pur sempre anche all’elemento soggettivo), sostenendo quanto segue: <(…) il problema della mancata istruttoria che aveva comportato l’annullamento dei decreti ministeriali con riferimento alla posizione dell’odierno appellante non si riferiva ad una attività che si intendeva intraprendere e di cui non si conosceva nulla, ma al problema della limitazione di una attività – legittimamente – in atto, di cui si sapeva tutto e che veniva compressa in difetto in assenza di presupposti (danni causati o pericolo di danni ). Le sentenze del TAR Lazio hanno distinto la posizione -OMISSIS- stabilendo che i divieti di utilizzazione di determinati principi attivi non si estendessero alla metodica creata da questi e - in tal modo – hanno dato atto che la sperimentazione, per c.d. sul campo e antecedente ai provvedimenti impugnati, della metodica terapeutica dell’odierno appellante era sufficiente a dimostrare le possibilità e capacità terapeutiche della predetta (metodica) che, per tale motivo e in difetto di prova contraria, non poteva essere oggetto dei divieti (…) D’altra parte, se così non fosse stato (…) i ricorsi a suo tempo proposti dallo -OMISSIS- non sarebbero stati accolti. Anche in sede impugnatoria, invero, si potevano formulare le ipotesi, qui censurate in quanto non suffragate da presupposto fattuale di sorta, sui possibili e più svariati esiti di una istruttoria (…) La preclusione all’utilizzazione della metodica terapeutica (…) non era , quindi, giustificata (e neppure giustificabile) da incertezze scientifico/sperimentali circa l’esito di eventuali sperimentazioni (…) , bensì riconducibile ad una non ammissibile dimenticanza di una rilevante situazione di fatto, che non consentiva che la posizione dell’odierno appellante fosse accorpata ad una situazione di carattere generale da ccui essa andava distinta. (…)>
(cfr. atto d’appello, pagg. 13 e s., ove poi si argomenta anche dall’acquiescenza prestata alle sentenze di annullamento).

Conclude chiedendo di < Accertare e dichiarare l’illiceità della condotta posta in essere dal Ministero della Salute, per omessa valutazione (…) della metodologia clinica applicata dal Dott. -OMISSIS- >
e, per l’effetto, condannare l’Amministrazione al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, già richiesti in primo grado.

Si è costituito con atto formale, per resistere al ricorso, il Ministero convenuto.

Il ricorrente ha poi depositato una memoria ex art. 73 c.p.a., e una memoria di replica ove si è limitato a constatare la mancanza di difese dell’Amministrazione e l’attuale commerciabilità di alcune delle sostanze che erano state vietate dai suddetti provvedimenti impugnati ed annullati.

All’udienza pubblica del 16 marzo 2023 la causa è passata in decisione.

Il Collegio non ravvisa i presupposti per l’accoglimento dell’appello, per la dirimente ragione che non risulta comprovata la colpa dell’Amministrazione ex art. 2043 c.c. - applicabile alla fattispecie, in adesione al prevalente orientamento precedente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, dovendosi disattendere la minoritaria tesi del ricorrente sulla natura speciale della responsabilità della p.a. - nella complessa vicenda sostanziale in esame.

La rimproverabilità dell’Amministrazione per avere emesso i decreti limitativi dell’attività del ricorrente è stata esclusa dalla sentenza impugnata in quanto <(…) Dall’insieme degli elementi così rassegnati [ supra già riportati in sede di narrazione, n.d.e.] emerge allora un quadro ben più complesso di quello rappresentato in ricorso, con riguardo al quale, assieme al difetto di istruttoria innervato dalla mancanza del frammento contraddittorio del procedimento di adozione, convivono elementi che rendono quantomai incerto il sicuro apprezzamento della colpa dell’amministrazione e della c.d. spettanza del bene della vita, elementi identificabili: a) nel carattere «strettamente cautelare» dell’atto in funzione della finalità di prevenzione di rischi, anche solo potenziali per la salute, che rende certamente più compressi ed asciutti i tempi e i modi della statuizione;
b) nell’assenza di un quadro chiaro e documentato in ordine alla innocuità della miscela;
c) nell’impossibilità, in base agli elementi scorsi dalla decisione in esame, di concludere con ragionevole certezza in ordine al fatto che, ove il Consiglio superiore di sanità avesse valutato i documenti offerti in visione dall’odierno ricorrente, avrebbe assunto conclusioni opposte rispetto a quelle concretamente assunte.

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