Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-05-10, n. 202404218

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-05-10, n. 202404218
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202404218
Data del deposito : 10 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/05/2024

N. 04218/2024REG.PROV.COLL.

N. 03464/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3464 del 2020, proposto da
La Tonneria S.r.l.S, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato F C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Generale Gonzaga del Vodice n. 4;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato S S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli Uffici della Avvocatura Capitolina in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 3482/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e Ministero dello Sviluppo Economico;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. M S, nessuno è comparso per le parti costituite in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams”.

Viste le conclusioni delle parti come da verbale.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La Tonneria s.r.l. è titolare di esercizio di gastronomia calda e vicinato in Roma, via dei Serpenti n. 1.

2. A seguito di sopralluogo effettuato dalla Polizia Roma Capitale – U.O. I Gruppo Centro (ex Trevi) in data 18.07.2018 veniva accertato l’esercizio di attività di somministrazione abusiva, in assenza di prescritta autorizzazione amministrativa o SCIA.

3. All’atto del sopralluogo veniva inoltre rilevata la presenza su oltre il 70% della superficie di piani di appoggio di dimensioni non congrue all’ampiezza o ricettività del locale con sedute abbinabili e relative modalità di utilizzo che consentono la permanenza nel luogo di consumo. Inoltre si riscontrava l’assenza, nei pannelli porta menù a disposizione della clientela, dell’indicazione chiara ed inequivocabile di prodotti congelati.

4. La p.a., avviato il relativo procedimento, provvedeva a definire lo stesso con la Determinazione Dirigenziale CA/896/2019 del 21.03.2019 recante “Ordine di Cessazione attività di somministrazione intrapresa” entro 15 giorni dalla notificazione del procedimento.

5. Con ricorso al Tar Lazio la Tonneria s.r.l.s. impugnava il provvedimento, deducendo che la il DL 223/2006 non vieterebbe agli esercizi di gastronomia l’uso di tavoli e sedute abbinabili, la violazione dei principi di liberalizzazione, nonché la violazione del legittimo affidamento maturato sulla base di precedenti controlli e sulla circolare interpretativa di Roma Capitale prot. 58010 del 03.08.2011;
censurava infine la violazione e falsa applicazione della D.A.C. 47/18.

6. Il Tar Lazio, Sez.II Ter, ha respinto il ricorso ritenendo che “(…) nel caso in esame, gli indici che univocamente convergono per l’esercizio di una attività (non di consumo, ma) di somministrazione sono svariati: la concreta tipologia e consistenza degli arredi rinvenuta nel locale (si noti che la Scia di vicinato alimentare riserva alla relativa vendita due soli mq;
tutto la parte rimanente dell’ambiente, per mq 43,42, è destinata al preteso “consumo sul posto”);
l’offerta desumibile dal menu, di evidente natura “ristorativa”;
la cottura e preparazione espressa degli alimenti nei locali cucina e la loro vendita a porzione e non per peso né per unità di misura;
il consumo sul posto di prodotti (non di gastronomia, ma) di propria produzione da parte di esercente non iscritto all’albo degli artigiani alimentari;
la mescita di prodotti alcolici e non;
ed ancora il tenore delle osservazioni rese dalla ricorrente in replica all’avviso di avvio del procedimento laddove si collega ripetutamente l’assenza di una attività di somministrazione alla sola ed esclusiva circostanza che non è stato riscontrato un “servizio assistito” (e cioè un servizio al tavolo svolto da personale di sala): elementi tutti che rendono pienamente plausibile la conclusione cui sono giunti (dopo più sopralluoghi) gli accertatori di Roma Capitale e legittimo il conseguente provvedimento di chiusura della (sola) attività di somministrazione (…)”.

7. Ha proposto appello La Tonneria s.r.l.s. chiedendo la sospensione della gravata sentenza e riproponendo, nella sostanza, le censure avanzate in primo grado, sebbene riadattate all’impianto motivazione della sentenza gravata.

8. Si sono costituite in giudizio Roma Capitale e il Ministero dello Sviluppo Economico per resistere al ricorso.

Il Ministero dello sviluppo economico ha altresì eccepito l’inammissibilità dell’appello per difetto di procura speciale dell’appellante in quanto nella delega non vi sarebbe alcuna indicazione del provvedimento impugnato.

9. Con le ordinanze n. 3429/2020 e 175/2020 La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha respinto le istanze cautelari presentate dall’appellante.

10. All’udienza straordinaria dell’8 maggio 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione.

11, L’appello si articola in 6 motivi:

11.1. Con il primo motivo l’appellante lamenta che il primo giudice non avrebbe considerato che il D.L. 223/2006 non impone agli esercizi di gastronomia alcun divieto di uso di tavoli e sedute abbinabili. Tale interpretazione, peraltro, lederebbe l'interesse alla libera iniziativa economica privata senza al contempo salvaguardare gli altri interessi di pari rango costituzionale elencati dalle novelle liberalizzatrici.

11.2. Con il secondo motivo l’appellante lamenta che secondo le norme liberalizzatrici i sacrifici al privato possono essere imposti esclusivamente laddove si rinvengano lesioni di altri valori di pari rango costituzionale.

11.3. Con il terzo motivo l’appellante lamenta che il Ministero non avrebbe competenza nella materia del commercio che spetterebbe, invece, esclusivamente alle Regioni.

11.4. Con il quarto motivo l’appellante lamenta che il provvedimento non terrebbe conto del legittimo affidamento maturato sulla base di controlli ed accessi del passato, in cui nulla era stato contestato, e sulla base della circolare interpretativa di Roma Capitale prot. 58010 del 3 agosto 2011 che non ha mai imposto alcun divieto d'uso di tavoli e sedute abbinabili.

11.5. Con il quinto motivo di appello l’appellante lamenta che il primo giudice avrebbe confermato il provvedimento nella sua interezza, pur essendo oggetto di contestazione esclusivamente l'assunto capitolino che vieta l'abbinabilità tra tavoli e sedute. Inoltre, avendo preso atto dell'annullamento dell'art. 5 del Regolamento capitolino di cui alla D.A.C. 47/18, avrebbe dovuto accogliere il gravame dato che il provvedimento è stato adottato in applicazione di tale regolamento.

11.6. Il TAR, infine, non avrebbe considerato che la risposta di controparte alle controdeduzioni non direbbe alcunchè.

12. Va preliminarmente rigettata l’eccezione della Avvocatura erariale dal momento che, come affermato a più riprese dalla Corte di Cassazione, la nullità della procura speciale è determinata dal contestuale ricorrere di quattro circostanze: riferimento ad attività tipiche del giudizio di merito;
mancanza della indicazione della data;
mancanza della indicazione del numero e dell'anno del provvedimento impugnato;
mancanza di una proposizione esplicita di conferimento del potere di proporre ricorso (Cass. civile, sez. II, 26 febbraio 2024, n. 5050). Ebbene, poiché nella specie si lamenta l’assenza di uno soltanto di tali cumulativi presupposti (ossia mancata indicazione dell’atto impugnato), va da sé che la stessa eccezione deve essere rigettata.

13. Nel merito, si affrontano congiuntamente il primo ed il secondo motivo. Sul punto si riporta la sentenza n. 3004 del 2 aprile 2024 di questa stessa sezione secondo cui, in particolare:

“2.1.1. Occorre premettere che l’art. 7, comma 3, d.lgs. n. 114 del 1998 (recante Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), in relazione agli «Esercizi di vicinato», stabilisce che «Fermi restando i requisiti igienico-sanitari, negli esercizi di vicinato autorizzati alla vendita dei prodotti di cui all’articolo 4 della legge 25 marzo 1997, n. 77, è consentito il consumo immediato dei medesimi a condizione che siano esclusi il servizio di somministrazione e le attrezzature ad esso direttamente finalizzati».

Al contempo, l’art. 3, comma 1, lett. f-bis), d.l. n. 223 del 2006 stabilisce che «Ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: […] f-bis) il divieto o l’ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie».

Da tale regime emerge dunque come presso gli esercizi di vicinato sia ammesso il consumo immediato dei prodotti di gastronomia «con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione».

La prevalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, al di là di alcune iniziali oscillazioni (su cui cfr., in particolare, Cons. Stato, V, 8 aprile 2019, n. 2280;
ma v. anche Id., 8 febbraio 2021, n. 1125), è nel senso che il significato da attribuire all’espressione «servizio assistito di somministrazione» “non può verosimilmente essere circoscritto alla presenza del c.d. servizio da sala, vale a dire alla presenza fisica di camerieri che ricevano le ordinazioni o prestino comunque il servizio al tavolo degli avventori. L’opposto tipo di servizio è, a bene considerare, in progressiva diffusione anche in alcuni ristoranti, dove, per ragioni di contenimento dei costi o di rapidità del servizio, è in uso la pratica del buffet e del self-service, in piedi o con tavoli, senza con ciò dubitarsi che si tratti di attività di ristorazione.

Il ‘servizio assistito di somministrazione’ di cui in questa sede si controverte può dunque includere anche pratiche senza camerieri.

Il discrimine effettivo consiste dunque nella predisposizione di risorse, non solo umane ma anche materiali, che siano di servizio al cliente assistendolo per consumare confortevolmente sul posto (id est, non in piedi) quanto acquistato in loco. Il che può dunque avvenire anche mediante tavolini e attrezzature di particola[re] evidenza.

Appare dunque coerente con la ratio legis fare riferimento al criterio funzionale cui guarda l’amministrazione e che è proprio di queste attrezzature materiali (tavolini, banche, panche, etc.), la cui presenza è di servizio all’avventore che intenda sùbito consumare sul luogo quanto ha acquistato. Naturalmente, secondo un ulteriore criterio di ragionevolezza, perché questa funzionalità alla somministrazione (anziché al mero consumo sul posto) vi sia, occorre che le attrezzature predisposte dall’esercente, pur senza un servizio al tavolo, siano di caratteri, dimensioni, quantità ed arredi tali da indurre indistintamente gli avventori al consumo sul posto dei prodotti appena acquistati;
il che, incidendo sulle caratteristiche commerciali effettive dell’intero esercizio, visto dalla potenziale clientela non più come un luogo di mero approvvigionamento, ma anche come un possibile ed ordinario luogo di ristoro, viene a rilevare sul piano urbanistico della regolamentazione generale del commercio dell’area e sul discrimine reale tra attività liberalizzate e attività non liberalizzate” (Cons. Stato, V, 15 aprile 2020, n. 2427;
31 dicembre 2019, n. 8923;
12 novembre 2020, n. 6972;
26 febbraio 2021, n. 1638)”
.

Nel caso di specie, emerge dal rapporto degli agenti verbalizzanti che: “All’atto del sopralluogo si nota: presenza su oltre il 70% della superficie di piani d’appoggio di dimensioni non congrue all’ampiezza o ricettività del locale con sedute abbinabili, mescita di vino;
gli arredi e le modalità utilizzate consentono la consumazione come seduti al tavolo con caratteristiche di richiamo quantitativo e qualitativo della clientela e di permanenza nel luogo di consumo”.

Da tali risultanze, in relazione ai quali l’appellante non ha proposto peraltro querela di falso, emergono elementi tali da confermare - sulla base del suindicato criterio funzionale - che veniva svolto presso il locale il servizio assistito di somministrazione: oltre alla presenza consistente di arredi con piani d’appoggio e sedute abbinabili, è stata riscontrata l’effettuazione di vendita a porzione nonché la mescita di vino.

Il che vale a far ravvisare, nel complesso, una dotazione tutt’altro che minimale e accessoria, e tale - sul piano funzionale - da dar luogo a un servizio assistito, in cui la prestazione della somministrazione è prevalente rispetto alla vendita del prodotto.

Di qui il rigetto dei due primi motivi di appello.

14. Il terzo motivo è infondato in quanto le determinazioni ministeriali richiamate dal giudice di primo grado (decreto ministero lavori pubblici n. 236 del 1989) sono state adottate quale atto regolamentare in un momento (prima della riforma del 2001 sul Titolo V) in cui lo Stato poteva adottare “atti di indirizzo” anche nelle materie riservate alla competenza ripartita o concorrente. All’indomani della riforma costituzionale, tali atti ante riforma trovano ancora applicazione in ossequio del principio di continuità di cui si trova traccia anche nella legge n. 131 del 2003 (art. 1, comma 2). Quanto invece al richiamo alle e Risoluzioni del Ministero dello Sviluppo Economico n. 146342/14, 86321/15, 174884/15 nonché la risoluzione n. 372321 del 28/11/2016, trattasi di atti meramente interpretativi di norme statali (art. 3 del DL n. 223 del 2006) pacificamente adottate in materia di libera concorrenza (che è di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Cost.). Il motivo è pertanto infondato.

15. Nessun affidamento potrebbe inoltre essere riposto in una serie di controlli che in precedenza non avevano rilevato simili irregolarità. In altre parole omessi o difettosi controlli amministrativi non equivalgono a sanatoria di comportamenti contrari a legge da parte del privato. Anche tale quarto motivo (sub 11.4.) deve pertanto essere rigettato.

16. Il quinto motivo è infondato dal momento che: a) il giudice di primo grado si è limitato a rigettare il ricorso senza entrare nel merito di singole parti (impugnate o meno) del provvedimento gravato. La circostanza che la appellante avrebbe impugnato solo una parte di tale provvedimento (abbinamento sedie e tavoli) non ha rilievo in termini di lesività dal momento che, se il resto del provvedimento è pacificamente accettato dalla stessa ditta appellante, la pronunzia del giudice di primo grado non è in grado di spostare o modificare tale assetto di interessi;
b) l’annullamento giurisdizionale dell’art. 5 della DAC n. 47 del 2018 non comporta la liberalizzazione incontrollata di tale parte del settore ma soltanto la sua regolamentazione (e soprattutto interpretazione) alla luce dei principi effettivamente ricavabili dall’art. 3 del DL n. 223 del 2006, prevalentemente sulla base degli approcci giurisprudenziali. Anche tale motivo deve pertanto essere rigettato.

17. Anche il sesto motivo deve essere rigettato in quanto il Comune non avrebbe comunque potuto adottare un atto diverso da quello poi formalizzato (la determinazione dirigenziale impugnata è del 21 marzo 2019 e dunque adottata prima della entrata in vigore del decreto-legge n. 76 del 2020 nella parte in cui è stato modificato l’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990).

18. In conclusione l’appello è infondato e deve essere rigettato. Le spese sono poste a carico dell’appellante, secondo criterio di soccombenza, e liquidate nella misura di cui in dispositivo in favore di Roma Capitale.

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