Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-29, n. 201600837

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-29, n. 201600837
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600837
Data del deposito : 29 febbraio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05544/2015 REG.RIC.

N. 00837/2016REG.PROV.COLL.

N. 05544/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al n. 5544/2015 RG, proposto dal Ministero della difesa e dal Ministero dell'economia e delle finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall' Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

L M, rappresentato e difeso dagli avv.ti E B e P G, con domicilio eletto in Roma, via Crescenzio, n. 2;

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio – Roma, sez. I-bis, n. 4345/2015, resa tra le parti e concernente il diniego di riconoscimento all’appellato della sua infermità come dipendente da causa di servizio;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del sig. Motta;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 14 gennaio 2016 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, l’avv. Gambino (in proprio e in dichiarata delega di Bonanni) e l'avvocato dello Stato Camassa;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO

Il sig. L M, sottocapo in SPE della Marina militare, dichiara d’aver partecipato fin dai primi anni 2000 a varie missioni militari italiane all’estero, rimanendo esposto, a causa dell’intensa attività operativa, a contaminazioni da uranio impoverito, tant’è che gli fu diagnosticato un linfoma di Hodgkin classico.

Sicché il sig. Motta, in data 7 marzo 2006, propose un’istanza al Ministero della difesa affinché gli fosse riconosciuta la dipendenza di tal patologia da causa di servizio. La CMO di Taranto, in esito agli accertamenti clinici, il 9 febbraio 2007 confermò sì che il sig. Motta fosse affetto da tal malattia ma senza ascriverla ad alcuna categoria, per cui egli presentò un’istanza di revisione. Con parere n. 18074 del 18 dicembre 2009, il CVCS non riconobbe tal patologia come dipendente da causa di servizio, non avendo al riguardo l’interessato addotto ragioni circostanziate e scientificamente fondate. Dal che l’emanazione del decreto n. 814 del 1° marzo 2010, con il quale il Ministero della difesa rigettò la pretesa del sig. Motta.

Questi impugnò tal decreto in una con gli atti presupposti innanzi al TAR Lazio, con il ricorso n. 10354/2010 RG, deducendone l’illegittimità per difetto di motivazione e d’istruttoria, per illogicità, per travisamento, per ingiustizia manifesta e per violazione dell’art. 3, c. 6 del DPR 3 marzo 2009 n. 37 (ora, dall’art. 1079, c. 1 del Dlg 15 marzo 2010 n. 90), oltre a produrre vario materiale sulle conseguenze patologiche dell’esposizione all’uranio impoverito e sugli effetti delle vaccinazioni compiute senza criterio.

Con sentenza n. 4345 del 19 marzo 2015, l’adito TAR ha accolto, con molti argomenti, la pretesa azionata sotto il profilo assorbente del difetto di motivazione del parere del CVCS , stante l’ampia letteratura sulla correlazione tra talune malattie neoplastiche (compreso il linfoma di Hodgkin) e l’esposizione del paziente all’uranio impoverito, tant’è che il legislatore ne ha riconosciuto il rischio specifico legato all’impiego in vari teatri operativi.

Appellano quindi il Ministero della difesa ed il Ministero dell’ economia e delle finanze, col ricorso in epigrafe, contestando l’ impugnata sentenza sotto il profilo sia del preteso difetto di motivazione che non sussiste in concreto e sulla scorta del quadro clinico dell’appellato, sia dell’onere della prova (non essendo stato egli impiegato né in teatri di combattimento, né a mansioni che previdero in modo diretto tali impieghi), sia della non riconducibilità della patologia alla somministrazione delle varie vaccinazioni cui egli fu sottoposto nelle missioni alle quali partecipò. Resiste in giudizio il sig. Motta, che conclude per il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2016, il ricorso in epigrafe è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il TAR Lazio ha annullato il decreto ed il presupposto parere del CVCS che hanno escluso, in capo all’appellato (militare in SPE partecipante a varie missioni militari italiane all’estero), la dipendenza della di lui patologia (linfoma di Hodgkin classico) da causa di servizio per una contaminazione da uranio impoverito o per gli effetti di vaccinazioni subite nel corso dell’attività operativa.

L’appello, che con il ricorso in epigrafe il Ministero della difesa ed il Ministero dell’ economia e delle finanze hanno interposto avverso tal annullamento, non ha pregio e va disatteso.

Al riguardo, si legge in detto parere del CVCS il linfoma di cui soffre l’appellato che non dipende da fatti di servizio, «… non sussistendo nel servizio prestato specifiche noxae potenzialmente idonee ad assurgere a fattori causali o concausali efficienti e determinanti, la forma in questione ( del linfoma – NDE) non può attribuirsi allo stesso, pur considerando tutti i suoi aspetti descritti agli atti …», null’altro.

Sicché rettamente il TAR ha censurato tal parere, nulla più che una mera clausola di stile buona per ogni vicenda e qualunque patologia, appunto perché a sua volta inficiato da un evidente e fin qui mai sanato difetto di motivazione. Per contro, nei casi come quelli in esame, nell’accertare i presupposti sostanziali della dipendenza della patologia da causa di servizio la P.A. procedente ed i suoi organi tecnici sono gravati da un onere d’istruttoria e di motivazione assai stringente, circa la sussistenza, in concreto, delle circostanze straordinarie e dei fatti di servizio che hanno esposto il militare ad un maggior rischio rispetto alle condizioni ordinarie d’attività. Non considerano le appellanti che, nei casi delicati qual è quello in esame, all’interessato basta dimostrare l’insorgenza della malattia in termini probabilistico–statistici, non essendo sempre possibile stabilire un nesso diretto di causalità tra l’insorgenza della neoplasia ed i contesti operativi complessi o degradati sotto il profilo bellico o ambientale in cui questi è chiamato ad operare. Viceversa, la P.A. procedente, che ha disposizione dati aggiornati e più precisi e le professionalità più acconce per effettuare la verifica della concreta posizione del militare, pure in ordine alla ricostruzione dell’attività da lui svolta con riguardo ai di lui qualifica e profilo d’impiego operativo, ben più facilmente può tratteggiare, partendo da questi ultimi dati, una seria probabilità d’insorgenza, o meno, della malattia denunciata.

Se si fa riferimento a quanto descritto dalle appellanti e da taluni atti versati nella presente causa, il dato fattuale dell’impiego dell’appellato non sembra dirimente per concludere in un senso, anziché in un altro a favore della di lui tesi. Infatti, il tipo di operazioni cui egli fu inviato ed il profilo di suo impiego personale non sembrerebbero tali da giustificare, secondo la regola del « più probabile che non » ed anche per il tempo di formazione della sofferta neoplasia, una diretta dipendenza di essa da esposizioni all’uranio impoverito, mentre così non è possibile concludere per le vaccinazioni.

Ma in entrambi i casi, sono le appellanti a fornire, in corso di causa, i dati rilevanti sulla vicenda de qua , di talché sfugge al Collegio per qual ragione questi ultimi, evidentemente già esistenti al tempo in cui fu reso l’annullato parere, non potessero esservi inclusi nella motivazione e così resi noti allo stesso appellante. Non basta allora né predicarli, né ostenderli in corso di causa, perché ciò non è che una integrazione postuma, e con scritti difensionali, d’un parere fintamente motivato, il difetto del quale era e resta tuttora evidente. Ciò però non toglie che sarebbe stato (ed è tuttora) possibile adoperarli in ogni momento al fine di correggere detta motivazione, nell’esercizio dell’autotutela da parte sia dell’organo tecnico, sia della P.A. procedente nell’interlocuzione con esso e nella pienezza del contraddittorio procedimentale. Tanto affinché la definizione dell’ assetto tecnico degli interessi contrapposti trovasse (e trovi, in sede di riedizione del potere malamente esercitato) la sua acconcia e giusta sede nel provvedimento conclusivo, come impongono gli ordinari canoni di legittimità, efficacia ed imparzialità dell’azione amministrativa.

In questi termini, non giova asserire che il parere della CVCS è definitivo, quando esso accerta la riconducibilità di una patologia all’attività di servizio ed il rapporto di causalità tra i fatti e siffatta infermità. Questo è vero, ma solo nel senso dell’efficacia del parere come obbligatorio e vincolante in ordine ai dati così accertati, non potendo esser confuso tal effetto ex lege con i diversi profili, per un verso, della congruità fattuale e scientifica dell’accertamento svolto e, per altro verso, dell’esatta rappresentazione di esso in forma intelligibile a qualunque terzo, che nella specie è mancata. Pare al Collegio, anzi, che vi sia un fraintendimento di fondo, nell’appello, rispetto a quello che scrive il TAR in ordine sia al difetto di motivazione (che emerge ictu oculi e NON è seriamente revocabile in dubbio), sia all’onere della prova (che è ripartito tra i vari attori del procedimento amministrativo nei sensi dianzi descritti). Non è chi non veda come il difetto di motivazione è il sintomo più chiaro dell’assenza del clare loqui della P.A. in un contesto in cui la delicatezza della questione in sé e dei vari interessi implicati ne imporrebbe l’esposizione con dovizia di particolari, ma non determina di per sé solo, almeno allo stato, il riconoscimento d’alcunché all’appellato.

Se, dunque, le appellanti, come mostrano nel ricorso in epigrafe, hanno i dati e gli argomenti per paralizzare ogni pretesa dell’appellato, la doverosa riedizione della statuizione, la quale di regola consegue al giudicato, sarà l’opportuna sede per statuire in tal senso. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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