Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-22, n. 202302917

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-22, n. 202302917
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302917
Data del deposito : 22 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/03/2023

N. 02917/2023REG.PROV.COLL.

N. 07350/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7350 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati P N, R M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



contro

il Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
la Prefettura – UTG di Roma e la Questura di Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;



per la riforma

della sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. I-ter, n. -OMISSIS-, con il quale è stato respinto il ricorso proposto avverso i provvedimenti del Questore di Roma e del Prefetto di Roma, concernenti rispettivamente la revoca della licenza di porto di fucile e il divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti.


Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2023 il Cons. G F e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO

1. In data 23 ottobre 2020 la Questura di Roma ha revocato la licenza di porto di fucile per uso venatorio rilasciata al signor -OMISSIS-.

Il provvedimento ha tratto fondamento dalla segnalazione operata dal Commissariato di P.S. Fidene Serpentara in merito al coinvolgimento del predetto nell’episodio in cui il figlio di cinque anni è stato attinto da un colpo d’arma da fuoco ed è successivamente deceduto.

In particolare, il 13 agosto 2020 il signor -OMISSIS- si era recato presso l’abitazione del padre con il proprio figlio minore, affetto da autismo. Mentre si trovava nel bagno dell’appartamento, il padre dell’interessato, nel riporre in luogo idoneo le pistole legittimamente detenute che aveva per dimenticanza lasciato appoggiate su un mobile dello studio, avrebbe inavvertitamente fatto partire un colpo, causando così la morte del nipote.

2. Con l’atto introduttivo del ricorso proposto innanzi al Tar Lazio, il signor -OMISSIS- ha impugnato tale provvedimento questorile.

3. In data 11 novembre 2020 il Prefetto della Provincia di Roma, su proposta della Questura, ha imposto al padre del bambino il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti ai sensi dell’art. 39, r.d. n. 773 del 1931 (cd. TULPS).

4. Con successivo atto di motivi aggiunti, il signor -OMISSIS- ha impugnato anche il decreto prefettizio.

5. Con sentenza n. -OMISSIS- il Tar Lazio ha respinto il ricorso, escludendo l’affidabilità del titolare della licenza in ragione della condotta negligente da lui tenuta, e consistente “nell’avere lasciato il figlio di cinque anni in una stanza con il nonno dove erano presenti in bella vista due armi, senza preoccuparsi di farle riporre in luogo sicuro e non accessibile”.

6. La citata sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato il 5 settembre 2022 e depositato il successivo 23 settembre, affidando il gravame a due motivi di ricorso.

Con il primo motivo è stato dedotto il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 94 Cost., 3, l. n. 241 del 1990, 331 c.p.p., 40, 41, 110, 589 c.p., nonché il vizio di eccesso di potere per carenza di motivazione. In particolare, è stato censurato il manifesto travisamento dei fatti in cui sarebbero incorsi l’Amministrazione e il primo giudice, atteso che l’appellante non sarebbe stato indagato per la morte del figlio, né avrebbe mai violato la disciplina in materia di detenzione e porto di armi.

Con il secondo motivo di impugnazione è stato dedotto il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 24, comma 6 e 94 Cost., 32, comma 2 c.p.a., 99 e 112 c.p.c., 2907 c.c., per avere il giudice di primo grado operato una illegittima integrazione giudiziale postuma della motivazione dei provvedimenti, valorizzando circostanze mai emerse in atti. Tra queste, l’appellante ha sottolineato che i provvedimenti impugnati non hanno fatto nessun cenno alla circostanza che lo stesso si sarebbe avveduto della presenza di armi nello studio del padre, nel quale non sarebbe mai entrato prima di aver udito lo sparo.

7. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio senza espletare difese scritte.

8. La Prefettura – UTG di Roma e la Questura di Roma non si sono costituite in giudizio.

9. All’udienza pubblica del 19 gennaio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.



DIRITTO

1. L’appello è infondato.

Giova premettere che la materia del rilascio del porto d’armi è disciplinata dagli artt. 11 e 43 di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773. Il legislatore nella materia de qua affida all’Autorità di pubblica sicurezza la formulazione di un giudizio di natura prognostica in ordine alla possibilità di abuso delle armi, da svolgersi con riguardo alla condotta e all’affidamento che il soggetto richiedente può dare.

Il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110 del 1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire.

La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse». Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che «dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi