Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-01-26, n. 201500340

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-01-26, n. 201500340
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201500340
Data del deposito : 26 gennaio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06227/2014 REG.RIC.

N. 00340/2015REG.PROV.COLL.

N. 06227/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6227 del 2014, proposto da:
C A G E, rappresentato e difeso dagli avv. F C e S G, con domicilio eletto presso S G in Roma, Via Germanico, n. 172;

contro

Ministero della Salute, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione III Quater, n. 11141 del 24 dicembre 2013, resa tra le parti, concernente il mancato riconoscimento del titolo di medico specialista in chirurgia generale.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Salute;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2014 il Cons. Dante D'Alessio e uditi per le parti l’avvocato S G e l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Il T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, con sentenza della Sezione III Quater n. 11141 del 24 dicembre 2013, ha respinto il ricorso che era stato proposto dal dr. C A G E per l'annullamento del provvedimento con il quale il Ministero della Salute, in data 28 dicembre 2010, aveva rigettato l'istanza dell’interessato volta ad ottenere il riconoscimento del titolo di medico specialista in chirurgia generale rilasciato dall'Universidad Nacional Autonoma de Mexico il 5 agosto 2004.

2.- Il dr. G E ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.

L’appellante ha ricordato di essersi laureato in medicina, nel giugno del 1999, presso l'Instituto Tecnologico y de Estudios Superiores de Monterrey, di aver poi conseguito la specializzazione in chirurgia generale, in data 5 agosto 2004, presso l'Universidad Nacional Autonoma de Mexico, e di avere successivamente svolto attività professionalizzanti, proseguendo la formazione post laurea, in Messico e negli Stati Uniti.

2.1.- Trasferitosi in Italia, il dr. G E ha chiesto al Ministero della Salute, con istanza in data 15 settembre 2008, il riconoscimento del titolo di "Medico Cirujano” (medico chirurgo) e del titolo di medico specialista in chirurgia generale.

2.2.- Il Ministero della Salute gli ha tuttavia riconosciuto, il 17 novembre 2009, solo il titolo di Medico Cirujano (medico chirurgo), quale titolo abilitante all'esercizio in Italia della professione di medico, dopo il superamento della prova attitudinale, mentre non gli ha riconosciuto, con l’impugnato provvedimento del 28 dicembre 2010, il titolo di medico specialista in chirurgia, all’esito delle valutazioni espresse dalla Conferenza dei servizi, di cui all'art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 206 del 2007, nelle riunioni del 14 gennaio 2010 e del 2 marzo 2010.

3.- Prima di passare all’esame dei motivi dell’appello, si deve ricordare che i cittadini stranieri in possesso di un titolo professionale conseguito in un paese non appartenente all'Unione Europea possono presentare, al fine di esercitare la corrispondente professione in Italia, una domanda di riconoscimento del titolo, ai sensi degli articoli 49 e 50 del D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394, recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).

In particolare, ai sensi dell’art. 49, comma 2, del D.P.R. n. 394 del 1999, per le procedure di riconoscimento dei titoli si applicano le disposizioni dei decreti legislativi 27 gennaio 1992, n. 115, e 2 maggio 1994, n. 319, compatibilmente con la natura, la composizione e la durata della formazione professionale conseguita.

3.1.- Ai sensi del successivo art. 60, comma 3, del d.lgs. 9 novembre 2007, n. 206, di attuazione della direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, il riferimento ai decreti legislativi 27 gennaio 1992, n. 115, e 2 maggio 1994, n. 319, contenuto nel citato secondo comma dell’art. 49 del D.P.R. n. 394 del 1999, deve intendersi fatto al titolo III del medesimo d.lgs. n. 206 del 2007.

3.2.- L’art. 49, comma 3, del D.P.R. n. 394 del 1999 ha poi previsto che, ove ricorrano le condizioni, il Ministro competente, cui è presentata la domanda di riconoscimento, sentite le conferenze dei servizi di cui all'articolo 12 del decreto legislativo n. 115 del 1992 e all'articolo 14 del decreto legislativo n. 319 del 1994, può stabilire, con proprio decreto, che il riconoscimento sia subordinato ad una misura compensativa, consistente nel superamento di una prova attitudinale o di un tirocinio di adattamento.

3.3.- L’art. 50 del D.P.R. n. 394 del 1999 detta poi disposizioni particolari per gli esercenti le professioni sanitarie e prevede che l'iscrizione negli albi professionali e negli elenchi speciali tenuti dal Ministero della Salute sono disposte previo accertamento della conoscenza della lingua italiana e delle speciali disposizioni che regolano l'esercizio professionale in Italia, con modalità stabilite dallo stesso Ministero (comma 4).

L’art. 50 del D.P.R. n. 394 prevede, inoltre, che, con le procedure di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 49, il Ministero della Salute provvede, ai fini dell'ammissione agli impieghi e dello svolgimento di attività sanitarie nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, al riconoscimento dei titoli accademici, di studio e di formazione professionale, complementari di titoli abilitanti all'esercizio di una professione o arte sanitaria, conseguiti in un paese non appartenente all'Unione europea (comma 7), e che la dichiarazione di equipollenza dei titoli accademici nelle discipline sanitarie, conseguiti all'estero, nonché l'ammissione ai corrispondenti esami di diploma, di laurea o di abilitazione, con dispensa totale o parziale degli esami di profitto, non danno titolo all'esercizio delle relative professioni in assenza del preventivo parere favorevole del Ministero della Salute (comma 8).

3.4.- L’articolo 2, comma 2, della citata direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, stabilisce poi che il primo riconoscimento di un titolo conseguito in un paese terzo debba avvenire, in uno Stato membro, nel rispetto delle condizioni minime di formazione previste dalla medesima direttiva.

4.- Dal complesso di tali disposizioni si evince che, per poter esercitare in Italia una professione per la quale l’ordinamento nazionale prevede un titolo professionale, lo straniero extracomunitario deve ottenere il riconoscimento del titolo conseguito all’estero, attraverso una verifica della formazione da lui conseguita che può prevedere anche l’eventuale superamento di una prova attitudinale o di un tirocinio di adattamento.

4.1.- Tali disposizioni trovano la propria giustificazione, in un ordinamento caratterizzato dal principio della libertà economica ma nel quale l’esercizio di determinate professioni è subordinato all’acquisizione di specifici titoli e all’iscrizione in appositi albi, nell’interesse pubblico volto a garantire un livello di qualità adeguato nell’esercizio di determinate attività. Ciò vale, in particolare, per l’esercizio delle attività sanitarie che è reso possibile solo a chi è in possesso di adeguato titolo professionale, al fine di evitare possibili danni a diritti fondamentali, come quello della salute.

4.2.- Spetta, quindi, al competente Ministero della Salute il compito di verificare l’attitudine del titolo conseguito dallo straniero all’estero all’esercizio dell’attività sanitaria. Tale compito comporta una prudente valutazione, di natura tecnico-discrezionale, sull’idoneità del titolo conseguito all’estero a fornire un grado di preparazione culturale e tecnica adeguato e almeno corrispondente alla preparazione richiesta dall’ordinamento nazionale ed a quello comunitario per l’esercizio della professione sanitaria.

5.- Sulla base di tali elementi, come si rileva dagli atti, il Ministero della Salute, vista la domanda presentata dal dr. G E e la documentazione da lui prodotta, gli ha riconosciuto, il 17 novembre 2009, il titolo di Medico Cirujano (medico chirurgo), quale titolo abilitante all'esercizio in Italia della professione di medico, dopo il superamento di apposita prova attitudinale, mentre non gli ha riconosciuto, con l’impugnato provvedimento del 28 dicembre 2010, (anche) il titolo di medico specialista in chirurgia, all’esito delle valutazioni espresse dalla Conferenza dei servizi, di cui all'art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 206 del 2007, nelle riunioni del 14 gennaio 2010 e del 2 marzo 2010.

5.1.- Nell’effettuare la prescritta comparazione tra il percorso formativo svolto dall’appellante nel Messico, dove il titolo è stato conseguito, e quello prescritto in Italia per ottenere la corrispondente qualifica professionale, l’Amministrazione ha, infatti, osservato che il titolo era stato conseguito all’esito di un percorso formativo di quattro anni, inferiore sia al periodo formativo di cinque anni previsto dalla normativa comunitaria (punto 5.1.3. della Direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali) sia al periodo formativo di sei anni previsto dalla vigente disciplina italiana di settore (D.M. 1 agosto 2005, concernente il riassetto delle scuole di specializzazione dell’area sanitaria), con il conseguente divario formativo derivante dalle diverse modalità di svolgimento dei corsi nonché dalla diversità degli obiettivi formativi e dei relativi percorsi didattici.

5.2.- Inoltre, ha aggiunto l’Amministrazione, la specializzazione in chirurgia generale richiede lo svolgimento di attività professionalizzanti, fra le quali, in particolare, l'effettuazione di un certo numero di interventi chirurgici di differente complessità, mentre dal certificato attestante gli esami sostenuti dall’interessato durante il corso di specializzazione seguito non risultava attestato lo svolgimento delle attività professionalizzanti obbligatorie.

6.- Alla luce delle suindicate disposizioni normative il giudizio tecnico discrezionale espresso dall’Amministrazione, sulla base del quale è stato adottato il provvedimento negativo impugnato dall’interessato, non può ritenersi manifestamente illogico.

7.- Con il primo e centrale motivo di appello, il dr. G E ha sostenuto che, se è incontestato che il corso di specializzazione da lui frequentato presso l'Universidad Nacional Autonoma de Mexico ha avuto la durata di quattro anni, meno chiaro, è l'elemento di comparazione che l’Amministrazione ha utilizzato per valutare l'inadeguatezza di tale durata. Infatti, dapprima l’Amministrazione ha evocato la Direttiva CE 2005/36, che fissa la durata minima del corso di specializzazione in chirurgia generale in cinque anni, e poi ha citato il D.M.

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