Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-17, n. 201704795

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-17, n. 201704795
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704795
Data del deposito : 17 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/10/2017

N. 04795/2017REG.PROV.COLL.

N. 06653/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6653 del 2014, proposto dai Signori C E S M A, M D Il 18.11.2016 S, M N, E E D C A B, A E D C A B, A D Il 26.03.2015 C, D C P, S P, G G, M T M, G S, D P, Riccardo Erede S M. S, rappresentati e difesi dall'avvocato R P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Giuliana, 74;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato, costituitosi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’ Umbria – Sede di Perugia- Sezione I n. 79/2014, resa tra le parti, concernente esecuzione del giudicato formatosi sul decreto della corte d'appello di Perugia nr.32/09 - pagamento somme (legge-Pinto)


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2017 il consigliere Fabio Taormina e udito per la parte appellante l’avvocato R. Porpora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La parte oggi appellante con ricorso per ottemperanza ha chiesto al Tribunale di ordinare all’Amministrazione di eseguire il provvedimento del Giudice civile col quale le era stato riconosciuto l’indennizzo previsto dalla legge n. 89 del 2001 (c.d. legge Pinto) per la violazione dei termini di ragionevole durata del processo.

Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale da un lato ha accertato che l’Amministrazione aveva provveduto al pagamento dell’importo dovuto, dichiarando la cessazione della materia del contendere;
dall’altro, tenuto conto dell’andamento complessivo del processo e del comportamento diligente dell’Amministrazione, ha condannato l’amministrazione medesima alla rifusione, in favore dell’originaria parte ricorrente, delle spese di giudizio, liquidandole in euro duecento/00 (200,00).

La sentenza è impugnata con l’appello all’esame dalla parte originariamente ricorrente la quale lamenta che il modesto importo della condanna alle spese era ingiustificabile e si duole comunque della omessa indicazione, da parte del T.a.r., di specifiche ragioni che l’avevano indotto a discostarsi dalla notula.

L’appello non è fondato.

Premesso che la causa è sufficientemente istruita, e che va pertanto respinta l’istanza di acquisizione documentale formulata dall’appellante, si osserva che:

a) la decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa ( ex plurimis : Cassazione civile , sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14576);;

b) non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l'esercizio del potere discrezionale del giudice di merito sull'opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime: e tali princìpi trovano applicazione non soltanto quando il giudice abbia emesso una pronuncia di merito, ma anche quando egli si sia limitato a dichiarare l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'atto introduttivo del giudizio. Infatti, pure in tali ultimi casi può essere individuata, a carico di una delle parti, una soccombenza, sia pure virtuale;

c) detto principio è stato più volte predicato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare che la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l'ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate (( cfr. ex multis. Cons. Stato, III, n. 6450 del 2015;
IV, n. 489 del 2013;
VI, n. 7581 del 2005);

d) nel caso di specie il T.a.r. – pur avendo dichiarato correttamente l’improcedibilità del ricorso – (statuizione, questa, sulla quale neppure l’appellante ha nulla da obiettare)- ha applicato un criterio assimilabile a quello della c.d. “soccombenza virtuale” ed ha condannato l’Amministrazione;
ma, al contempo, ha chiarito che l’importo doveva tenere conto della diligenza dell’amministrazione medesima;

e) non è ravvisabile quindi alcun difetto di motivazione, nè il T.a.r. doveva attenersi alla notula presentata dal difensore;

f) non può non osservarsi infatti che la estrema semplicità della causa (di natura “seriale”) doveva essere tenuta in debito conto dal Collegio di primo grado.

Nessuno dei vizi prospettati dall’appello attinge la sentenza ed è peraltro infondata la tesi secondo cui sarebbe stato misconosciuto l’apporto della difesa tecnica.

L’appello va dunque respinto.

Le spese processuali del grado possono tuttavia essere compensate stante la particolarità della controversia.

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