Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-12-28, n. 202211421

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-12-28, n. 202211421
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202211421
Data del deposito : 28 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/12/2022

N. 11421/2022REG.PROV.COLL.

N. 08793/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8793 del 2020, proposto da
R C, G C, rappresentati e difesi dagli avvocati A G, D V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili (già Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti);
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Stalettì, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria n. 735/2020;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili (già Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 settembre 2022 il Cons. P M e udito per le parti appellanti l’avvocato Raffaele Izzo, su delega dell’avvocato A G;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. Con ricorso in appello, ritualmente notificato e depositato in giudizio, gli odierni appellanti hanno impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - Sez. II ha respinto il ricorso di primo grado, avente ad oggetto la domanda di annullamento dell’ordinanza n. 39 del 7 febbraio 2019, con la quale il Comune di Stalettì ha disposto, ai sensi degli artt. 27 e 31 del d.P.R. n. 380/2001, il rilascio (nel termine di 30 giorni) di un appezzamento di terreno sito in località Panaja Caminia del Comune di Stalettì, a valle del tracciato ferroviario della linea Taranto-Reggio Calabria, specificamente indicato nel provvedimento.

1.2. Gli appellanti, che dichiarano di avere la disponibilità e il godimento di un piccolo manufatto in un’area denominata “Caminia Panaja” del Comune di Stalettì, premettono quanto segue:

- Il Comune di Stalettì, negli anni ’60, per soddisfare le esigenze degli abitanti del luogo, con delibera consiliare n. 4 del 21 febbraio 1964, sul presupposto della titolarità comunale del fondo denominato Caminia-Panaja, ha stabilito di cedere a titolo oneroso una parte della predetta area, segnatamente “ quella che più si presta previa lottizzazione e alienando i lotti ai cittadini che intendono costruire delle casette o villette al mare per la cura dei bagni ”;

- In esecuzione della predetta delibera, il Sindaco pro tempore , tramite bando pubblico, ha invitato i cittadini ad occupare una porzione di terreno di proprietà comunale posta a valle della ferrovia, compresa tra linea ferroviaria e la spiaggia (valutata in 5.706,58 mq), in attesa di procedere alla lottizzazione e quindi alla cessione a titolo oneroso del suolo;

- La cessione a titolo oneroso dei lotti non ha mai avuto luogo, in quanto – proprio a partire dalla fine degli anni ’60 - tra l’Amministrazione statale e il Comune di Stalettì sono insorti contrasti in ordine alla natura demaniale del fondo;
il Comune di Stalettì ne avrebbe rivendicato la proprietà, negando la sua appartenenza al Demanio marittimo;

- Negli ultimi anni, il Comune di Stalettì avrebbe intrapreso la procedura di ricognizione delle fasce costiere “ finalizzata alla proposta di revisione organica delle zone di demanio marittimo ricadenti nei propri territori ” (prevista dell’art. 7, comma 9-septiesdecies del decreto legge n.78 del 19 giugno 2015, convertito nella legge n. 125 del 6 agosto 2015), al fine di individuare le “ aree pubbliche che hanno perso le caratteristiche di demanialità ”;
il relativo procedimento sarebbe ancora in itinere ;

- Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con nota dell’Ufficio Circondariale Marittimo – Guardia Costiera di Soverato, ha accertato “ l’occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo ” sul quale insiste il manufatto di cui gli appellanti hanno la disponibilità;

- Sulla base della nota da ultimo richiamata, il Responsabile del Settore Tecnico del Comune di Stalettì ha adottato il provvedimento impugnato, con il quale è stato ingiunto il rilascio dell’area in questione.

1.3. Tanto premesso, gli odierni appellanti, dopo aver ribadito la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio, hanno contestato la sentenza impugnata sotto diversi profili.

2.1. Si sono costituiti in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili (già Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, evidenziando che la natura demaniale dell’area in questione è stata accertata dalla Corte di Cassazione (sia pure con riguardo ad una diversa particella facente parte della stessa mappa 14), con la sentenza n. 12629 del 7 aprile 2016, depositata il 17 giugno 2016, che ha confermato la sentenza n. 763 della Corte di Appello di Catanzaro del 18 giugno 2010;
hanno quindi contestato le deduzioni delle parti appellanti, chiedendo il rigetto del gravame.

2.2. Il Comune di Stalettì, ancorché ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

3. All’udienza pubblica del 27 settembre 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

4.1. Con un primo motivo, gli appellanti fanno rilevare di aver dedotto in primo grado le seguenti censure: “ Omesso accertamento della demanialità dell’area. Violazione dell’art. 32 Cod. Navigazione. Violazione del principio del contraddittorio. Eccesso di potere per difetto d’istruttoria, contraddittorietà manifesta, travisamento dei fatti e difetto dei presupposti ”.

In particolare, in primo grado, dopo aver evidenziato che, per pacifica giurisprudenza, la qualificazione catastale ha natura solamente formale e quindi il dato della demanialità marittima non poteva darsi per scontato e per acquisito solo sulla base dei dati catastali, ma doveva essere previamente accertato tramite il procedimento in contraddittorio previsto dall’art. 32 del Codice della Navigazione, i ricorrenti si erano lamentati del fatto che alcun accertamento definitivo fosse intervenuto nel caso di specie in ordine alla titolarità dell’area oggetto del provvedimento di rilascio.

Avevano evidenziato che, ai fini dell’accertamento della titolarità dell’area, non poteva assumere rilevanza giuridica la nota dell’Ufficio Circondariale Marittimo, richiamata nel provvedimento comunale impugnato, in quanto si sarebbe trattato di un accertamento meramente formale e cartolare, basato esclusivamente sui dati catastali, senza porre in essere alcun’altra verifica e sulla base di documenti risalenti nel tempo.

Il Comune di Stalettì avrebbe invece erroneamente ritenuto l’accertamento definitivo e cogente, per cui, spogliandosi dei propri poteri, ha intimato agli appellanti lo sgombero dell’area, senza procedere a proprie valutazioni e verifiche, secondo l’art. 32 del Codice della Navigazione.

In conclusione, i ricorrenti in primo grado avevano dedotto che il provvedimento impugnato era viziato da eccesso di potere, per difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti, carenza dei presupposti, atteso che la nota dell’Ufficio Circondariale Marittimo citata nel provvedimento di sgombero non poteva in realtà avere alcuna funzione diretta e definitiva, in quanto posta in essere sulla base della sola evidenza documentale, per altre finalità e in altro procedimento. Mentre non si poteva prescindere da un concreto accertamento, tenendo conto dei tanti elementi di oggettiva incertezza, determinati dal lungo tempo trascorso rispetto all’acquisizione del dato catastale e dallo spostamento della linea demaniale evincibile dal procedimento di revisione in essere dal 2016, basato proprio sui dati reali e sull’inattualità dell’originaria linea demaniale indicata dal catasto.

Tanto premesso, gli odierni appellanti fanno rilevare che la sentenza appellata ha sostenuto che non sarebbe stato necessario accertare preliminarmente la natura demaniale del suolo, poiché, qualunque fosse stato il risultato della verifica, la conseguenza demolitoria, ai sensi dell’art. 35 T.U. edilizia, sarebbe rimasta immutata;
infatti, poiché l’art. 35 T.U. fa riferimento a tutte le aree demaniali o patrimoniali degli Enti pubblici territoriali, seppure si fosse accertata la proprietà comunale, anziché quella statale, il Comune avrebbe egualmente dovuto ingiungere lo sgombero delle aree.

A giudizio degli appellanti, le conclusioni del giudice di primo grado si porrebbero in contrasto con la motivazione del provvedimento impugnato, dalla quale emerge che lo stesso è stato adottato dopo aver richiamato “ la nota (PEC) del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Ufficio Circondariale Marittimo – Guardia Costiera di Soverato … con la quale è stata accertata l’occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo … mediante il mantenimento di un manufatto in Località Caminia … ”;
dopo di che il provvedimento recita: “ Ritenuto necessario tra l’altro tutelare gli interessi demaniali marittimi ”. Sarebbe dunque innegabile che il provvedimento è stato adottato sul presupposto – ritenuto erroneamente acquisito – della demanialità marittima dei luoghi e al fine di tutelare il Demanio marittimo.

Il Tar avrebbe travalicato i limiti della sua funzione, sostituendosi all’Amministrazione in violazione dell’art. 34 comma 2 c.p.a.

Le conclusioni della sentenza appellata non solo sarebbero irrituali (non essendo ammissibile ipotizzare come avrebbe potuto agire l’Amministrazione), ma sarebbero errate;
a giudizio degli appellanti, nel caso in cui l’area de qua fosse di proprietà comunale, il Comune di Stalettì non avrebbe interesse ad ordinarne lo sgombero, per non incorrere in contraddizione rispetto ai comportamenti tenuti nel corso degli anni pregressi.

Sostengono inoltre gli appellanti che non si potrebbe escludere che l’area (ipotizzando che essa ricada nel patrimonio disponibile del Comune) sia divenuta di proprietà privata, atteso che gli occupanti si sono sempre comportati – nel corso di oltre 40 anni - " uti domini ", senza che la P.A. abbia manifestato in proposito alcuna opposizione e, anzi, agendo in maniera tale da riconoscere la proprietà altrui.

Non si potrebbe neppure escludere che la predetta area sia di proprietà delle Ferrovie dello Stato, atteso che i terreni, che sono a valle dei binari, in origine furono espropriati per il demanio ferroviario e costituiscono un reliquato che è residuato alla costruzione della linea ferroviaria.

4.2. Con un secondo ordine di censure, gli appellanti evidenziano di aver dedotto in primo grado: “ Violazione dell’art. 7, comma 9 - septiesdecies del decreto-legge n.78 del 19 giugno 2015, convertito nella legge n. 125 del 6 agosto 2015. Eccesso di potere per illogicità manifesta. Violazione dei principi dell’affidamento, della buona fede e del buon andamento ”.

Nel ricorso introduttivo del giudizio, i ricorrenti (odierni appellanti) avevano fatto rilevare che l’art. 7, comma 9 - septiesdecies del decreto-legge n.78 del 19 giugno 2015 (recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali), convertito nella legge n. 125 del 6 agosto 2015 – ha previsto un’apposita procedura di ricognizione delle fasce costiere “ finalizzata alla proposta di revisione organica delle zone di demanio marittimo ricadenti nei propri territori ” e aveva sostenuto che una volta attivato il relativo procedimento e presentata una formale proposta, non sarebbe stato ammissibile adottare provvedimenti che si ponessero in evidente contrasto con l’iter amministrativo intrapreso.

A giudizio degli appellanti, fino alla conclusione del procedimento di cui sopra, non sarebbe legittimo da parte del Comune porre in essere alcuna attività amministrativa di carattere sanzionatorio.

Tanto premesso, gli appellanti fanno rilevare che il giudice di primo grado nel respingere le censure si è limitato a sostenere che “ il procedimento di revisione del demanio marittimo non si pone in rapporto di pregiudizialità-dipendenza con l’ordinanza impugnata ”.

La sentenza appellata non solo sarebbe carente sotto il profilo della motivazione, ma non avrebbe fatto buon governo degli ordinari canoni di logica, coerenza, interesse pubblico, efficacia dell’azione amministrativa. Se, invero, è in essere un procedimento previsto dalla legge, avviato dal Comune, che ha la finalità di revisionare le zone di demanio marittimo che “hanno perso le caratteristiche di demanialità”, un procedimento successivo su iniziativa dello stesso Comune che ordina lo sgombero delle medesime aree a tutela del Demanio marittimo, si porrebbe in contrasto con l’azione già intrapresa.

4.3. Da ultimo, gli appellanti fanno rilevare di aver contestato la legittimità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001, che disciplina gli “ Interventi abusivi su suoli di proprietà dello Stato o di Enti pubblici ”.

Nel ricorso introduttivo del giudizio avevano fatto rilevare che l’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001 dispone che, qualora sia accertata la realizzazione d’interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo “ su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo ”.

Il procedimento disciplinato dall’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001, pertanto, postula la coesistenza di tre elementi: a) l’appartenenza dell’area allo Stato o ad Enti pubblici;
b) la preventiva diffida;
c) l’abusività dell’opera realizzata.

Il provvedimento del Comune di Stalettì, oltre ad essere carente sul primo punto (ossia, in ordine all’accertamento della titolarità dell’area), con conterrebbe la “ diffida non rinnovabile ” e avrebbe ritenuto esistente il presupposto dell’abusività del manufatto (che gli appellanti reputano insussistente).

Tanto premesso, fanno rilevare che nella sentenza impugnata, quanto all’assenza della diffida, il giudice di prime cure ha richiamato la giurisprudenza secondo la quale alla diffida può seguire immediatamente l'ordinanza di demolizione senza che il destinatario possa trarre alcun beneficio dalla sua preventiva notificazione né alcuna concreta lesione dalla sua mancanza (Cons. St., Sez. II, 5.07.2019, n. 4662;
Cons. St., sez. VI, 31.05.2017, n. 2618) VI, 31 maggio 2017, n. 2618)”. A dire del TAR, la diffida “ serve unicamente a consentire al privato di provvedere da sé alla demolizione … Di conseguenza, la diffida contenuta nello stesso ordine demolitorio non contravviene allo spirito della norma ”.

Gli appellanti evidenziano che la giurisprudenza cui ha fatto cenno la sentenza appellata non afferma la possibilità di eliminare del tutto la diffida, ma solo che la stessa può anche essere contenuta direttamente nel provvedimento di demolizione. Ovviamente, perché si verifichi tale ipotesi, devono sussistere due distinte parti nell’ambito del provvedimento: una che diffida entro un determinato termine a porre rimedio spontaneo alla dedotta abusività;
e l’altra di avviso di demolizione coatta, con ulteriore termine, una volta decorso il termine di cui alla diffida. Nel caso in oggetto, però, vi è solo l’ingiunzione a demolire entro un termine specifico, mentre non vi è alcuna traccia della preventiva diffida, imposta dalla legge. Avrebbe errato, pertanto, il giudice di prime cure a rigettare il motivo.

Riguardo all’abusività, la sentenza riconosce espressamente che “ il bando conteneva l’invito a occupare, anche con costruzioni, l’area in oggetto in attesa di procedere alla lottizzazione e alla cessione a titolo oneroso dei suoli risultanti ”. Nonostante ciò, il giudice di primo grado ha ritenuto i manufatti realizzati abusivi, stante “ l’estrema evanescenza dell’invito e la sua anteriorità rispetto alla lottizzazione e alla cessione dei terreni ai privati ”, che “ impediscono di riconoscere al bando del 1964 natura di titolo edilizio – legittimo o illegittimo che sia – e portano, di conseguenza, a escludere che i privati potessero riporre su di esso alcun legittimo affidamento circa le regolarità delle edificazioni ”.

L’assunto sarebbe erroneo, ove si tenga conto dei concreti eventi:

- si tratta di opere costruite dopo e per effetto di un bando pubblico del Comune del 1964 che invitava i “naturali” ad occupare il suolo e a realizzare manufatti;

- il Comune, dopo aver invitato i “naturali” all’occupazione della striscia di terra, ha coerentemente provveduto ad asfaltare la zona, ad illuminarla, a dotarla di fognatura, a permettere agli occupanti l’allaccio all’acquedotto comunale e ai vari servizi di urbanizzazione, a dotare la zona del servizio di raccolta rifiuti, a richiedere il pagamento dei tributi collegati ai manufatti.

Da quanto sopra indicato consegue che il Comune ha dapprima invitato i cittadini all’occupazione dell’area de qua , poi nel corso degli anni ha provveduto a realizzare opere di urbanizzazione, senza mai eccepire alcunché nei confronti degli occupanti.

Alla luce delle considerazioni che precedono, sostenere che le opere siano abusive e che neanche si possa essere formato affidamento, sarebbe affermazione illogica, ingiusta e decisamente forzata, che non tiene conto delle circostanze di fatto.

Non vi sarebbero i presupposti per ritenere il manufatto “abusivo” o l’affidamento degli occupanti non meritevole di tutela, poiché il Comune di Stalettì avrebbe avallato, con suoi ripetuti e continuati comportamenti, l’occupazione solo oggi contestata. Allo stesso modo, non sarebbe possibile richiamare vincoli sorti in via successiva.

4.4. Infine, gli odierni appellanti deducono l’erroneità della sentenza appellata, in quanto il giudice di prime cure non avrebbe esaminato la documentazione depositata nel giudizio di primo grado attestante il rilascio di un titolo abilitativo per la realizzazione di un fabbricato di civile abitazione in località Caminia.

In particolare, evidenziano che in favore della loro dante causa (S R) era stato rilasciato dal Sindaco pro tempore in data 4 marzo 1970 nulla osta per la esecuzione di lavori edili, con la conseguenza che il manufatto non potrebbe ritenersi privo di titolo abilitativo.

5. Le censure sono infondate;
esse vengono esaminate congiuntamente attenendo a profili connessi.

Occorre premettere che il manufatto di cui il Comune di Stalettì ha ordinato la rimozione è stato realizzato su area qualificata dal vigente P.R.G. come “ Zona di riqualificazione del litorale ”, sottoposta ai vincoli di tutela paesaggistica, ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, e al vincolo idrogeologico, di cui all’art. 1 della legge forestale 30 dicembre 1923 n. 3267.

Il provvedimento impugnato è stato adottato dal Comune di Stalettì, richiamando anche gli artt. 27 e 31 del d.P.R. n. 380/2001;
quest’ultimo in particolare contiene la disciplina applicabile agli interventi edilizi eseguiti in assenza di titolo abilitativo.

5.1. Tanto premesso, anzitutto destituite di fondamento sono le censure dedotte nel primo motivo d’appello.

Come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure, a prescindere dalla natura giuridica (demaniale o comunale) del terreno occupato, risulta pacifico che le parti appellanti non sono proprietarie dell’area sulla quale insiste il manufatto di cui dichiarano di avere la disponibilità né titolari di altro diritto reale o personale di godimento e quindi non erano legittimate alla realizzazione del predetto manufatto.

Il fatto che gli appellanti (o i loro danti causa) l’abbiano posseduta per quaranta anni non è elemento sufficiente a qualificarli come proprietari, in assenza di un accertamento giudiziale della intervenuta usucapione.

Nell’ipotizzare che il Comune di Stalettì non avrebbe proceduto alla adozione della ordinanza di demolizione, ove avesse preliminarmente accertato l’appartenenza al patrimonio disponibile del Comune dell’area di sedime, sono in realtà gli stessi appellanti a sostituirsi inammissibilmente all’Amministrazione comunale.

Generiche e prive di riscontro probatorio sono poi le deduzioni delle parti appellanti secondo cui l’area in questione potrebbe appartenere alle Ferrovie dello Stato e costituirebbe un reliquato formatosi per effetto della costruzione della linea ferroviaria.

Un dato è incontrovertibile: gli odierni appellanti non hanno dimostrato di aver acquisito la titolarità dell’area, avendo esse stesse riconosciuto che la programmata lottizzazione dell’area de qua non ha avuto esecuzione e che non sono state poste in essere le cessioni a titolo oneroso delle aree occupate, con la conseguenza che deve ritenersi legittimo il provvedimento di rilascio dell’area.

5.2. Del pari sono infondate le censure dedotte nel secondo motivo dell’atto di appello.

Il fatto che il Comune di Stalettì abbia o meno avviato il procedimento di cui all’art. 7, comma 9 - septiesdecies del decreto - legge n.78 del 19 giugno 2015, convertito nella legge n. 125 del 6 agosto 2015, finalizzato alla revisione organica delle zone di Demanio marittimo ricadenti nel proprio territorio, è giuridicamente irrilevante ai fini della tutela della posizione soggettiva degli appellanti.

Come sopra evidenziato, risulta pacifico che gli appellanti non hanno acquisito la titolarità dell’area in questione.

A tale riguardo, si deve evidenziare che non si può attribuire alla delibera consiliare adottata dal Comune di Stalettì nel 1964 valenza di autorizzazione alla realizzazione del manufatto in questione.

Il Collegio deve rilevare che la deliberazione del Consiglio comunale di Stalettì n. 4 del 21 febbraio 1964, avente ad oggetto: “ Lottizzazione fondo comunale Caminia Panaia per la vendita di lotti per costruzione casette o villette al mare ”, poteva al più avere il valore di atto prodromico alla lottizzazione dell’area e alla successiva cessione, a titolo oneroso dei lotti, che, per stessa ammissione degli appellanti, non hanno poi avuto luogo.

A tale riguardo, nessun legittimo affidamento (ma al più una mera aspettativa) poteva ingenerarsi in capo agli appellanti sulla acquisizione della titolarità dell’area o sulla legittimazione alla realizzazione del manufatto che su di essa insiste, atteso che alla deliberazione consiliare del 1964 non è poi seguita la prevista lottizzazione e la cessione a titolo oneroso dei singoli lotti.

5.3. Destituite di fondamento sono anche le censure dedotte nel terzo motivo di appello.

Conformemente all’orientamento già adottato dalla Sezione in analoghe fattispecie ( ex multis , sentenza n. 8873/2022), deve ritenersi che non possa attribuirsi valenza invalidante alla dedotta violazione, da parte del Comune, della scansione procedimentale di cui all’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001;
in presenza di un provvedimento al quale, per quanto sopra detto, va riconosciuta natura di atto dovuto nell’adozione e vincolato nel contenuto, i suindicati vizi procedimentali non potrebbero comunque condurre alla sua caducazione in virtù della regola di non annullabilità stabilita dall’art. 21- octies , comma 2, della l. n. 241/1990.

Secondo la giurisprudenza il solo fatto della realizzazione dell’abuso sul suolo di proprietà comunale (o comunque pubblica) giustifica l’irrogazione della misura vincolata ex art. 35 del d.P.R. n. 380/2001, rivolta a tutelare le aree demaniali o di Enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, senza che si debba accertare l’epoca di tale realizzazione e senza la possibilità di configurare affidamenti tutelabili alla conservazione di una siffatta situazione d’illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto (C.d.S., Sez. VI, 3 gennaio 2019, n. 85;
id., 5 gennaio 2015, n. 13;
Sez. V, 21 aprile 2016, n. 1580).

Il fatto che il Comune di Stalettì abbia inizialmente adottato una deliberazione consiliare finalizzata alla lottizzazione dell’area o abbia posto in essere delle opere di urbanizzazione (strade;
fognature;
illuminazione pubblica) non consente di giustificare il permanere della occupazione dell’area da parte degli appellanti, atteso che, come sopra evidenziato, per effetto del contenzioso insorto tra l’Amministrazione statale e il Comune di Stalettì in ordine alla qualificazione giuridica dell’area de qua , la programmata lottizzazione dell’area e la cessione a titolo oneroso dei lotti agli occupanti non hanno poi avuto luogo.

5.4. Né a diverse conclusioni si può pervenire sulla base della documentazione depositata in giudizio dalle parti appellanti, ossia sulla base del nulla - osta rilasciato dal Sindaco del Comune di Stalettì in data 4 marzo 1970.

In primo luogo, il Collegio deve rilevare che nel ricorso introduttivo del giudizio i ricorrenti (odierni appellanti) non hanno articolato una specifica censura a riguardo, essendosi limitati a depositare nel corso del giudizio di primo grado la copia del predetto nulla - osta;
ne consegue che le doglianze formulate a riguardo dagli appellanti sono innanzitutto inammissibili, in quanto irritualmente proposte.

In secondo luogo, in considerazione della natura demaniale dell’area di sedime (definitivamente accertata dalla Corte di Cassazione, nella sentenza sopra richiamata, con riferimento ad aree facenti parte della stessa mappa catastale), ritiene il Collegio che il predetto atto autorizzativo sia nullo, per difetto di uno dei presupposti essenziali, non essendo giuridicamente ammissibile il rilascio di un titolo abilitativo per la realizzazione di opere edilizie di proprietà privata su aree appartenenti al Demanio marittimo statale.

La Suprema Corte ha avuto modo di precisare la natura demaniale dei beni appartenenti al Demanio marittimo necessario, derivante dalla corrispondenza con uno dei beni normativamente definiti negli articoli 822 del c.c. e 28 del codice della navigazione,  permane anche qualora una parte di esso sia stata utilizzata per realizzare una strada pubblica, non implicando tale evento la sua sdemanializzazione, così come la sua attitudine a realizzare i pubblici usi del mare non può venir meno per il semplice fatto che un privato abbia iniziato a esercitare su di esso un potere di fatto, realizzandovi abusivamente opere e manufatti (Cassazione civile, Sez. II, 16 ottobre 2020 n. 22567).

In buona sostanza, le parti appellanti non hanno dimostrato la sdemanializzazione dell’area de qua (che richiede un provvedimento formale e non può avvenire in via di fatto) né tantomeno la sua acquisizione (previa formale sdemanializzazione) a mezzo di atto di cessione o per intervenuta usucapione o la titolarità di altro diritto reale o personale di godimento sull’area de qua , risultando di conseguenza del tutto privi di legittimazione alla sua utilizzazione per fini personali, con conseguente illegittima sottrazione della stessa alla fruizione collettiva.

6. In conclusione, l’appello è infondato e va respinto.

7. La peculiarità delle questioni dedotte in giudizio giustifica nondimeno l’equa compensazione delle spese di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi