Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-02-09, n. 201100891

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-02-09, n. 201100891
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201100891
Data del deposito : 9 febbraio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00804/2010 REG.RIC.

N. 00891/2011REG.PROV.COLL.

N. 00804/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 804 del 2010, proposto dal signor F O, rappresentato e difeso dall'avv. B A, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cicerone,44;

contro

Il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

nei confronti di

I signori F C e P D, con costitutivi nel secondo grado del giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. del LAZIO – Sede di ROMA- SEZIONE I BIS n. 06467/2009, resa tra le parti, concernente ESCLUSIONE DAL CONCORSO PER LA STABILIZZAZIONE DEL PERSONALE VOLONTARIO DEL CORPO DEI VIGILI DEL FUOCO


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2010 il Consigliere F T e uditi per le parti gli avvocati così come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la decisione “breve” in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma- ha respinto il ricorso di primo grado con il quale era stato chiesto dall’appellante l'annullamento del provvedimento con cui questi era stato escluso dal concorso indetto per la “stabilizzazione” del personale volontario del Corpo Nazionale dei VV.FF.

Il Tribunale amministrativo regionale ha rilevato che il provvedimento impugnato era la naturale conseguenza del giudizio di inidoneità fisica, formulato a seguito degli accertamenti sanitari ai quali l’interessato era stato sottoposto ai sensi della vigente normativa di settore.

Peraltro gli esiti di tali accertamenti avevano trovato sostanziale conferma in occasione della “revisione” appositamente disposta dal Tribunale amministrativo regionale medesimo.

L’odierna parte appellante ha censurato la predetta sentenza chiedendone l’annullamento in quanto viziata da errori di diritto ed illegittima.

La lex generalis della selezione (DM 11 marzo 2008, n. 78) prevedeva che i candidati dovessero essere di statura almeno pari a metri 1,65.

In sede di visita disposta dalla commissione parte appellante era risultato di altezza inferiore (mt 1,62)

L’appellante nel giudizio di primo grado aveva prodotto un certificato rilasciato dall’azienda USL comprovante che era alto metri 1,65.

Il primo giudice – con una ordinanza - aveva disposto la ripetizione della visita medica, demandandola al medesimo organo (commissione medica) dell’amministrazione: l’appellante era risultato di altezza sì inferiore al parametro fissato dal bando (cm 163,4), sia pur superiore a quella accertata in sede di prima visita.

La contraddittorietà dei dati emersi avrebbe giustificato un ulteriore accertamento, demandato ad un organo terzo, e ciò tanto più che l’appellante aveva in passato svolto attività come vigile volontario e che dal foglio matricolare risultava che egli era in possesso del requisito fisico in parola.

In ogni caso, solo che si fossero valutate serenamente le risultanze (anche) processuali sarebbe emerso che l’azione giudiziaria intentata da parte appellante non era pretestuosa e, pertanto, la condanna alle spese del giudizio resa in primo grado si appalesava del tutto immotivata.

L’appellata amministrazione si è costituita, depositando una articolata memoria e chiedendo la reiezione del gravame: in entrambe le visite la statura dell’appellante è risultata inferiore a mt.1,65;
di nessun rilievo appariva la circostanza che egli abbia svolto la funzione di vigile del fuoco volontario, posto che i requisiti fisici di questi ultimi si rinvengono nel Decreto del Presidente della Repubblica 6 febbraio 2004, n. 76, e, in particolare, per costoro è prevista un’altezza minima di mt 1,62, inferiore a quella prevista per i vigili del fuoco permanenti (mt. 1,65).

DIRITTO

1. L’appello va respinto.

2. Va premesso che, per la pacifica giurisprudenza, in sede di giudizio di idoneità di un soggetto a prestare servizio nel Corpo Nazionale dei VV.FF., l'unico momento accertativo dell'idoneità dei candidati è quello contestuale all'effettuazione della visita da parte della commissione per gli accertamenti psico-fisici, le cui valutazioni sono impugnabili in sede giurisdizionale per i vari profili di eccesso di potere, tra cui per difetto di motivazione, travisamento dei fatti ed errore materiale (cfr. Sez. III, 4 maggio 1999, n. 31;
Sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1465 e 12 aprile 2001, n. 2254).

Ciò posto, nella fattispecie in esame il dato della statura del candidato risulta univoco e al Collegio non appare né necessario, né opportuno, procedere ad un ulteriore suo accertamento, siccome richiesto dall’appellante

Infatti, entrambe le misurazioni cui è stato sottoposto l’appellante, sebbene tra loro lievemente divergenti, hanno dato esito univoco, rilevando una statura ben al di sotto del minimo di mt 1,65 richiesto dal bando (rimasto inoppugnato).

3. Anche la censura relativa alla condanna alle spese resa nel giudizio di primo grado non merita accoglimento.

Per la pacifica giurisprudenza, il TAR ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (per tutte, Consiglio Stato, sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798;
sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471).

Nel caso di specie, la condanna al pagamento di 1.000 euro, per il primo grado, risulta la conseguenza non abnorme della risultata soccombenza.

4. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

La condanna al pagamento delle e degli onorari del giudizio segue la soccombenza e l’appellante deve essere condannato al pagamento, in favore di parte appellata, di Euro cinquecento (€ 500/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

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