Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-08-08, n. 201204532
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 04532/2012REG.PROV.COLL.
N. 01980/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 1980/2011 RG, proposto dal CODACONS e l’ Associazione utenti dei Servizi Radio Televisivi (AUSR) – ONLUS, con sede in Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dagli avvocati C R e M R, con domicilio eletto in Roma, v.le G. Mazzini n. 73,
contro
- la RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dal prof. A P e P L, con domicilio eletto in Roma, piazza delle Muse n. 8 e
- la TELECOM ITALIA s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dal prof. Francesco Cardarelli e dall’avv. Filippo Lattanzi, con domicilio eletto in Roma, via G. Pierluigi Da Palestrina n. 47,
per la revocazione
della sentenza di questo Consiglio, sez. VI, n. 6576/2010, resa tra le parti e concernente il diniego di accesso agli atti relativi alle modalità di svolgimento del c.d. “televoto”, nella trasmissione di Miss Italia per l’anno 2009;
Visti il ricorso per revocazione ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all'udienza pubblica dell’8 giugno 2012 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Ramadori, Pace e Cardarelli;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – Il CODACONS e l’Associazione utenti dei Servizi Radio Televisivi (AUSR) – ONLUS, entrambi con sede in Roma, dichiarano che, nel settembre 2009, si svolse il concorso di bellezza Miss Italia 2009 , trasmesso in televisione dalla RAI s.p.a. nella rete Rai Uno .
Dette Associazioni rendono noto l’apporto decisivo del c.d. “televoto” nella definizione del predetto concorso, essendo questo lo strumento per permettere la diretta partecipazione del pubblico da casa, pur nel limite massimo di sette voti per utenza telefonica, fissa o mobile, per 24 ore. Avendo tali Associazioni ricevuto alquante segnalazioni in ordine alla regolarità del “televoto”, con istanza del 28 settembre 2009 esse hanno chiesto alla RAI s.p.a. e alla TELECOM ITALIA s.p.a., oltre che ad altri operatori di telefonia fissa e mobile, d’accedere agli atti ed ai documenti sulla gestione di siffatta modalità di votazione. In particolare, le Associazioni domandano copia: a) - degli atti di verbalizzazione del televoto relativo alla trasmissione Miss Italia 2009 ;b) – delle comunicazioni del notaio e dell’Autorità garante o del Gestore del servizio telefonico dei televoti effettuati, separati per singolo concorrente e pervenuti per tutta la durata della trasmissione;c) - dei contratti sottoscritti tra i gestori telefonici e la RAI;d) - degli atti da cui risultano le generalità dei notai verbalizzanti, garanti della correttezza delle operazioni di televoto e di esclusione dei concorrenti del predetto concorso;e) - dei contratti tra l’emittente televisiva RAI e detti notai.
La RAI s.p.a. e la TELECOM ITALIA hanno negato l’invocato accesso, nella considerazione che: 1) – l’istanza implica un controllo generalizzato da parte delle richiedenti;2) – una parte degli atti richiesti non esiste;3) – occorre proteggere i dati personali e la riservatezza di soggetti terzi;4) – con riguardo all’Associazione utenti dei Servizi Radio Televisivi, essa deve dimostrare la sua iscrizione nell’ elenco delle associazioni consumeristiche a livello nazionale.
2. – Avverso tale diniego le predette Associazioni hanno allora adito il TAR Lazio che, con sentenza n. 1620 dell’8 febbraio 2010 in parte ha dichiarato inammissibile il ricorso e lo ha respinto per la restante parte.
Dette Associazioni hanno impugnato la sentenza n. 1620/2010, ma questo Consiglio (sez. VI), con decisione n. 6576, resa in forma semplificata il 13 settembre 2010, ha rigettato l’appello, in tal modo confermando l’arresto del TAR sotto un duplice profilo. Per un verso, questo Consiglio qualifica la pretesa dedotta in giudizio come controllo generalizzato sull’attività sottoposta ad esame; per altro verso, afferma che non è «… stato specificato l’interesse diretto ed attuale che sostiene la domanda di accesso, al di fuori di una ipotetica funzione di vigilanza che non rientra nei compiti …» delle stesse Associazioni.
3. – Queste ultime, con il ricorso in epigrafe e ribadito il proprio interesse all’invocato accesso ai fini di garantire la trasparenza del servizio di televoto —tant’è che poi l’AGCOM ha emanato un regolamento che prevede la presenza d’un rappresentante di consumatori e utenti alle operazioni di televoto—, propone ricorso per la revocazione della decisione n. 6576/2011. Al riguardo, le ricorrenti deducono l’erroneità in fatto della sentenza revocanda in ordine: A) – alla finalità dell’invocato accesso ed all’interesse diretto ed attuale delle Associazioni stesse, posto che essa statuisce in contrario avviso rispetto a varie decisioni della medesima sez. VI;B) – al compito d’un certo rilievo pubblicistico che il Dlg 6 settembre 2005 n. 206 assegna alle Associazioni consumeristiche;C) – alla circostanza che solo attraverso l’accesso alla documentazione richiesta le ricorrenti avrebbero potuto constatare l’effettiva irregolarità della procedura di telefoto e, quindi, tutelare i diritti e gli utenti del servizio pubblico radiotelevisivo. Le ricorrenti deducono poi, per quanto concerne la fase rescissoria, le censure d’appello avverso la sentenza del TAR Lazio.
Resiste in giudizio l’intimata RAI s.p.a., che afferma la tardività della memoria depositata l’11 maggio 2012 e conclude per l’inammissibilità e l’infondatezza della pretesa revocatoria azionata in questa sede. Pure la TELECOM ITALIA s.p.a. s’è costituita nel presente giudizio, concludendo per il rigetto del ricorso in epigrafe.
Alla pubblica udienza dell’8 giugno 2012, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
4. – Non convince l’eccezione di tardività del ricorso in epigrafe, ancorché, per vero, esso sia stato notificato a mezzo del servizio postale il 9 marzo 2011, ossia entro sei mesi dalla pubblicazione della decisione n. 6576/2010, ma oltre il termine per la revocazione (tre mesi) oggidì risultante dall’art.. 87, c. 3 c.p.a. (su tale termine “trimestrale”, ossia semestrale dimidiato, cfr., da ultimo, Cons. St., V, 10 gennaio 2012 n. 28).
Osserva al riguardo il Collegio che, ferma l’entrata in vigore del c.p.a. alla data del 16 settembre 2010, il ricorso in epigrafe soggiace piuttosto alla regola di ultrattività della previgente disciplina processuale, come appunto mantenuta dall’art. 2 dell’All. 3 al Dlg 2 luglio 2010 n. 104. Invero, la disposizione de qua consente che, per i termini in corso alla data d’entrata in vigore del codice stesso, continuino a trovare applicazione le norme previgenti. Sicché, essendo la revocazione rivolta avverso una sentenza di questo Consiglio pubblicata il 13 settembre 2011, ma non notificata, la notificazione del ricorso in epigrafe deve intendersi tempestiva. E tanto nella considerazione che, trattandosi nella specie di controversia in tema d’accesso ai documenti amministrativi instaurata sotto il regime dell’art. 25, c. 5 della l. 7 agosto 1990 n. 241, mancava in quel testo un termine generale dimidiato per i ricorsi a tutela del diritto d’accesso del tipo di quello oggi indicato nell’art. 87, c. 3, c.p.a.
È appena da far presente che, per quanto né gli artt. 28 e 36 della l. 6 dicembre 1971 n. 1034, né l’art. 86 del RD 17 agosto 1907 n. 642 non avessero disposto in modo preciso sui termini del ricorso per revocazione per sentenze non notificate, il riferimento all’art. 396 c.p.c., colà indicato, implica a sua volta il richiamo a tutto il sistema dei termini per le impugnazioni di cui al precedente art. 327, I c., anche per il c.d. termine “lungo” ( ratione temporis nel testo novellato dall’art. 46, c. 17 della l. 18 giugno 2009 n. 69).
5. – Non è condivisibile neppure l’eccezione di difetto di legittimazione attiva in capo all’Associazione AUSR, ancorché, invero, essa non sia inserita nell’elenco ministeriale delle associazioni dei consumatori ed utenti ex art. 137 del Dlg 206/2005, presupposto per la speciale legittimazione processuale ai sensi dei successivi artt. 139 e 140.
Sul punto, non sfugge certo al Collegio l'avviso della prevalente giurisprudenza (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 16 giugno 2011 n. 3662, sull’art. 13 della l. 8 luglio 1986 n. 349), in virtù della quale siffatta speciale legittimazione processuale ex lege va intesa come rigorosamente circoscritta alle sole associazioni riconosciute. Mutuando da tali concetti si deve concludere sull’impossibilità d’attribuire una legittimazione de facto a qualsiasi soggetto collettivo, ancorché dimostrasse di possedere determinati requisiti in termini di radicamento sul territorio.
Ora, non v’è dubbio che detta legittimazione discenda dall'intervento del legislatore, preordinato appunto a colmare il deficit di tutela degli interessi diffusi grazie al riconoscimento che il citato art. 13 (o anche l’art. 139 del Dlg 206/2005 e, prima, l’art. 5 della l. 30 luglio 1998 n. 281) opera in capo alle associazioni medesime.
V’è, però, spazio ad un diverso approccio a tal questione: invero, tal speciale legittimazione non può essere estesa sic et simpliciter anche a soggetti estranei al regime di legittimazione speciale, ma essa non esclude di per sé sola altri tipi di legittimazione ad agire, foss’anche in ambito territoriale ben circoscritto. E ciò soprattutto a favore di comitati spontanei che si costituiscano al precipuo scopo di proteggere esigenze localizzate in un dato territorio, oppure di sodalizi che, pur se articolati, o non possiedano strutture locali, o s’incentrino in forma non occasionale su dati settori di mercato o per argomenti o esigenze consumeristiche stabili, e via di seguito. Questo Giudice ha quindi titolo per riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull’attività dei consumatori o degli utenti dei servizi pubblici, purché perseguano nel loro oggetto statutario ed in modo non occasionale obiettivi di tutela di siffatte esigenze, a condizione che abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona o, a seconda dei casi, alla categoria degli interessi metaindividuali (nella specie, degli utenti de radiotelevisivi o dei servizi telefonici) che possano esser soddisfatti anche con la tutela in via d’azione (arg. ex Cons. St., VI, 23 maggio 2011 n. 3107;cfr. pure id., V, 22 marzo 2012 n. 1640).
Non basta allora predicare la non iscrizione ex art. 137 per escludere ogni forma di legittimazione in capo al sodalizio consumeristico, giacché ciò concerne solo il sistema automatico delineato dai successivi artt. 139 e 140, ma non esclude a priori l’accertamento, da parte del Giudice adito, di alcuni indizi precisi e concordanti affinché, per le associazioni non riconosciute, possano vedersi riconosciuta la legittimazione “normale”.
Ebbene, nella specie, l’Associazione AUSR deposita il proprio statuto, oltre alla comunicazione del riconoscimento come persona giuridica,sicché essa offre un serio principio di prova in ordine alla propria attività, anche decentrata nel territorio, di tutela e salvaguardia dei consumatori dei servizi radiotelevisivi, anche con riguardo all’incremento della comunicazione radiotelevisiva di carattere sociale, a favore dei soggetti più bisognosi. Detto sodalizio ha anche proposto ricorsi innanzi a questo Giudice per vicende di seria rilevanza sulle necessità di trasparente ed efficace fruizione collettiva del mercato radiotelevisivo, segnatamente per le questioni scaturenti dal progressivo passaggio, nel mercato italiano, delle trasmissioni televisive dal sistema analogico a quello digitale.
6. – Ciò posto, si può prescindere da ogni considerazione sulla (non) tempestività del deposito del ricorso in data 11 maggio 2012, giacché la pretesa revocatoria è inammissibile.
È jus receputum (cfr., per tutti, Cons. St., V, 24 gennaio 2011 n. 503) che l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c., deve rispondere a tre distinti requisiti, consistenti: A) – nel derivare da una pura e semplice errata od emessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto provato documentalmente;B) – nell'attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;C) – e nell'essere stato tutto ciò un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando cioè un rapporto di causalità tra l'erronea supposizione e la pronuncia stessa.
È perciò consolidato l’avviso (ora con Cons. St., ad. plen., 17 maggio 2010 n. 2;cfr., da ultimo, ex plurimis , CGA, 12 agosto 2010 n. 1108;Cons. St., V, 29 marzo 2011 n. 1910;id., 23 maggio 2011 n. 3083) che l'errore di fatto revocatorio si debba configurare come un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l'una emergente dalla sentenza e l'altra risultante dagli atti e documenti legittimamente acquisiti nel giudizio. Per contro, sono vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell'erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione come tale, non censurabile in questa sede a pena di mutare la revocazione in un giudizio di terzo grado.
Le ricorrenti affermano che l’impugnata decisione della Sez. VI, essendo questa, a loro dire, «… assunta sulla base di una situazione fattuale affatto diversa da quella desumibile dagli atti difensivi di causa …». In particolare, le ricorrenti individuano il preteso errore di fatto, presupposto della revocazione invocata, nell’erronea percezione «… di quella che è: - da un lato la funzione dell’accesso se esercitata da un’Associazione di promozione sociale, con funzioni para – pubblicistiche in un contesto in cui allo strapotere delle P.A. / concessionari di servizi pubblici… si contrappone il singolo utente debole;- dall’altro, la dimostrata oggettiva e fattuale inerenza ed immediata riconducibilità dei documenti richiesti alla posizione sostanziale riferibile… » di detti Sodalizi.
Ora, si può discettare se tali Associazioni consumeristiche abbiano, o no, grazie alla speciale legittimazione discendente dai ripetuti artt. 137 e 139 del d.lgs. 206/2005, un’altrettanto peculiare idoneità all’accesso ad atti e/o documenti detenuti dalla P.A. o da altri soggetti pubblici o privati investiti di funzioni o servizi pubblici, sì da “svincolarsi” dai limiti che la legge pone circa l’oggetto e l’interesse all’accesso.
A parte che tale legittimazione processuale non concede a dette Associazioni un siffatto privilegio, non è questo il dato controverso e qui dedotto, il quale va individuato piuttosto nella riconducibilità dell’affermazione della sentenza revocanda, in ordine al controllo generalizzato mercé tale accesso e sull’assenza del sotteso interesse, a quell’abbaglio dei sensi indicato dall’art. 395, n. 4, c.p.c. quale presupposto di revocazione. Ebbene, l’affermazione della decisione revocando non è errore di o sul fatto, ma è giudizio, ossia qualificazione giuridica, in termini negativi per le ricorrenti, della loro istanza d’accesso e, di conseguenza, della loro domanda giudiziale. Qui, come si vede, la decisione ha fornito rebus sic stantibus non un accertamento di fatto, ma la definizione giuridica della pretesa sostanziale delle ricorrenti, come poi da loro azionata in sede di cognizione ed oggetto di evidente controversia tra le parti. E tale definizione, nella consistenza resa dall’interpretazione evincibile dalla decisione medesima, può esser contestata in diritto, ma non rientra in alcuna definizione di errore di fatto che la consolidata giurisprudenza di questo Giudice indica come causa revocatoria. Sicchè, nella specie, la censura di essa si rivela come nient’altro che il tentativo di un ulteriore riesame d’una pretesa disattesa in sede di cognizione e non più revocabile in dubbio.
Né l’errore di fatto si può giammai configurare nell’asserita difformità della decisione stessa da altri precedenti di giurisprudenza (sul contrasto di giudicati ex art. 395, n. 5, c.p.c., cfr. Cons. St., ad. plen., 11 giugno 2001 n. 3;nonché id., VI, 9 giugno 2008 n. 2776), oppure nella disamina, anche critica, delle risultanze documentali o delle prove, in quanto il relativo risultato, condivisibile o no, non è che la valutazione ponderata e discrezionale delle vicende di causa, in esito alla quale il Giudice ha reputato d’assumere le proprie scelte interpretative in un senso, piuttosto che in un altro. È solo da precisare che i precedenti giurisprudenziali, cui si riferiscono le ricorrenti, non sono attinenti alla vicenda in esame, posto che riguardarono non certo casi di controllo generalizzato attraverso l’uso strumentale del diritto d’accesso, ma vicende d’ostensione di specifici atti ben definiti o, addirittura, direttamente relativi al soggetto CODACONS come tale.
7. – Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.