Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-11-29, n. 202210493
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Testo completo
Pubblicato il 29/11/2022
N. 10493/2022REG.PROV.COLL.
N. 02032/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2032 del 2018, proposto da
L.V.G. s.r.l., in persona del presidente del consiglio d’amministrazione e legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati D V, F D M e B S, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Bazzoni 3;
contro
Comune di Milano, in persona del sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati G L, P C, A M, A M A, A M P, M L B e E M F, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Polibio 15;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - sede di Milano (sezione seconda) n. 1604/2017
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;
Viste le memorie e tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza ex art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm. del giorno 11 novembre 2022 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati F D M e A M P;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La L.V.G. s.r.l. ha domandato nel presente giudizio l’accertamento negativo dell’obbligo di corrispondere al Comune di Milano il contributo di costruzione per i lavori eseguiti sull’immobile di sua proprietà sito in Milano, viale Monza 268 (a catasto al foglio 109, mappali 4 e 5), di cui all’istanza risalente al 1995 (n. 57954) della precedente proprietaria, di permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 ( Misure di razionalizzazione della finanza pubblica ). Accolta la domanda di sanatoria con il rilascio del titolo in data 17 dicembre 2010 (n. 4235), ad esso faceva seguito la nota comunale del 25 novembre 2013 (prot. n. 762455), di quantificazione del contributo ancora dovuto, pari ad € 62.501,91, al netto dell’acconto di € 38.068,05 già versato, contestato nel presente giudizio.
2. L’azione di accertamento negativo proposta, cui è cumulata la domanda di annullamento della citata nota con cui è stato richiesto il saldo del contributo, si fonda sull’assunto secondo cui i lavori oggetto della sanatoria, consistenti nel mutamento d’uso da produttivo ad uffici di porzioni dei diversi piani dell’immobile, sarebbero corrispondenti e pertanto “assorbiti” in quelli per cui la dante causa della ricorrente, CST s.p.a. - Centro Servizi Telematici, ha in seguito domandato e ottenuto due titoli edilizi ed in particolare: il condono chiesto il 23 novembre 2004 (prot. n. 1178279) ed la d.i.a. in data 6 agosto 2004 (prot. n. 482065), entrambi relativi a mutamento d’uso da laboratori ad uffici di alcune porzioni dell’immobile. In ragione di ciò si suppone che il versamento in contestazione costituirebbe un’indebita duplicazione illegittimamente pretesa dall’amministrazione comunale. In conseguenza di ciò è stata pertanto richiesta la restituzione della somma di € 95.096,97.
3. Con motivi aggiunti la società ricorrente ha inoltre impugnato il provvedimento comunale, emesso in pendenza del ricorso di primo grado, con cui è stata applicata la sanzione del 40% prevista dall’art. 42, comma secondo, lett. c), del testo unico dell’edilizia (DPR 6 giugno 2001, n. 380, per un totale di € 87.509,87.
4. All’esito dell’istruttoria svolta, attraverso una verificazione diretta ad accertare se i lavori relativi al permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal Comune di Milano in data 17 dicembre 2010 sull’istanza della dante causa del 1995 fossero « identici » a quello oggetto di d.i.a. in data 6 agosto 2004, le domande come sopra sintetizzate sono state giudicate infondate dall’adito Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - sede di Milano con la sentenza in epigrafe, che ha pertanto respinto il ricorso.
5. Le medesime domande sono riproposte dalla L.V.G. con il presente appello, in resistenza del quale si è costituito il Comune di Milano
DIRITTO
1. Con il primo motivo d’appello è riproposta l’eccezione di prescrizione decennale del credito vantato dall’amministrazione comunale, decorrente « dalla formazione del silenzio-assenso sulla domanda di condono intervenuta il 1 marzo 1997, ovvero decorsi 24 mesi dalla presentazione della domanda avvenuta il 1 marzo 1995 », che la sentenza avrebbe erroneamente respinto sul presupposto dell’incompletezza della domanda relativamente al contributo di costruzione ancora dovuto, e quindi della carenza sotto questo profilo dei presupposti della fattispecie di sanatoria tacita ai sensi dell’art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ( Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie ), applicabile anche al condono ai sensi del sopra citato art. 39, comma 4, della legge 23 dicembre 1994, n. 724. In contrario si oppone che la domanda di condono era completa, come ricavabile dal fatto che nel decennio utile a prescrivere mai l’amministrazione comunale ha chiesto integrazioni documentali o il pagamento di somme ulteriori, fino al suo accoglimento nel 2010, cui ha inopinatamente fatto seguito la nota del 2013 impugnata nel presente giudizio, emessa a distanza di 18 anni dalla domanda. Al medesimo riguardo sarebbe inoltre erroneo il riferimento all’incompletezza del pagamento del contributo di costruzione, dal momento che in sede di domanda di condono era necessario versare soltanto un anticipo della somma dovuta, destinata ad essere poi calcolata nella sua interezza al momento del perfezionamento (anche implicito) del titolo, con eventuale conguaglio, come avvenuto nel caso di specie.
2. Con il secondo motivo d’appello è riproposta la tesi secondo cui la somma pretesa dal Comune di Milano ed in contestazione nel presente giudizio costituirebbe « una duplicazione di oneri già pagati ». La tesi si fonda sul fatto che l’immobile di proprietà della società ricorrente è stato oggetto di numerosi interventi edilizi, « tutti interessanti il mutamento d’uso del bene da produttivo a terziario ed uffici, compreso quello oggetto di domanda condono nel 1995 », risalenti agli anni 2000-2004, realizzati dalla dante causa della medesima ricorrente, CST s.p.a., ed in particolare degli interventi di cui alla d.i.a. presentata nel 2004. Si sottolinea al riguardo che i lavori in questione avrebbero « interessato proprio le medesime superfici oggetto del condono del 1995 con stesso mutamento d’uso », e che per essi è stato versato l’ammontare a titolo di contributo di costruzione di € 170.421,10. In relazione ai medesimi lavori si lamenta che nel respingere la censura la sentenza si sia soffermato sull’aspetto, non rilevante, relativo all’identità delle opere edilizie per le quali nel 1995 è stato chiesto il condono, e si osserva in contrario che il profilo dirimente consiste nel fatto che i lavori hanno riguardato le « stesse identità di superfici e di cambio di destinazione d’uso », per cui dall’uno all’altro non vi è stato un incremento del carico urbanistico che potesse incidere sulle somme dovute a titolo di oneri.
3. Al medesimo riguardo viene censurato il convincimento espresso nella sentenza di primo grado, fondato sulla verificazione in esso svolta, secondo cui la somma oggetto della presente controversia sarebbe legittimo poiché i lavori di cui alla d.i.a. del 2004 rispetto a quelli oggetto di condono presentato nel 1995 hanno riguardo « porzioni dell’immobile diverse, non sovrapponibili, fatto salvo una esigua porzione di consistenza irrisoria ». In contrario si deduce che la diversità delle superfici interessate dagli interventi sarebbe apparente, ed imputabile al fatto che « entrambe sono state interessate da almeno altri due atti abilitativi nel frattempo assunti, che tuttavia non sono stati considerati dal verificatore ». Si precisa al riguardo che ciò sarebbe comprovato, sulla base della dalla relazione peritale di parte ricorrente depositata nel giudizio di primo grado, dal fatto che la superficie lorda di pavimento complessivamente autorizzata è superiore a quella effettiva (di 112,90 mq), e che ciò è dovuto al fatto che per gli interventi eseguito nel 2004 dalla dante causa non erano stati conteggiati anche i vani scale. Su questa base si conclude nel senso che gli interventi realizzati nel 2004 avrebbero assorbito quelli oggetto di condono richiesto nel 1995.
4. Con il terzo motivo d’appello, svolto in via subordinata, viene contestata la quantificazione degli oneri di concessione da parte del Comune di Milano, attraverso l’applicazione dei parametri e dei coefficienti vigenti all’epoca in cui è stato rilasciato il titolo in sanatoria nel 2010, così da rendere l’amministrazione arbitra delle somme dovute a proprio credito, rispetto ad una prescrizione già maturata per effetto del silenzio-assenso formatosi sulla domanda di condono.
5. Con il quarto motivo d’appello è riproposta la domanda di ripetizione della somma di € 25.218,83, versata in eccesso dalla dante causa della ricorrente C.S.T. s.p.a. in sede di domanda di condono presentata in data 23 novembre 2004 (prot. n. 1178279), e poi accolta con il rilascio del titolo in sanatoria in data 25 marzo 2014, n. 318. Alle ragioni a fondamento del rigetto della domanda da parte della sentenza di primo grado, incentrate sul presupposto che l’indebito oggettivo ex art. 2033 cod. civ. si è realizzato in danno di un soggetto diverso dalla ricorrente, si oppone che in seguito alla cessione dell’immobile in favore di quest’ultima nel 2004, la medesima ricorrente sarebbe succeduta alla cedente nel credito a titolo di indebito nei confronti del Comune di Milano, secondo il meccanismo circolatorio tipico delle obbligazioni propter rem quale il contributo di costruzione.
6. Con il quinto motivo d’appello, svolto in via subordinata rispetto a quello con cui è riproposta l’eccezione di prescrizione del credito per il contributo, è riproposta la domanda di restituzione della somma di € 69.851,14, pari alla differenza tra gli oneri versati con la d.i.a. del 2004 e quelli ulteriormente pretesi dall’amministrazione comunale per il condono del 1995. La censura si fonda sull’assunto che i due interventi « riguardano le medesime superfici e le medesime destinazioni d’uso ».
7. Con il sesto ed ultimo motivo d’appello viene contestata l’applicazione nei confronti della ricorrente della sanzione per omesso versamento della somma pretesa dall’amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 42 del testo unico dell’edilizia di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380, benché la stessa non sia l’autrice della domanda di condono del 1995 e dunque non possa essere per la stessa ritenuta responsabile a qualsiasi titolo.
8. I motivi sopra sintetizzati sono infondati.
9. Non può innanzitutto ritenersi verificata alcuna prescrizione, per difetto del presupposto dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso sulla domanda di condono del 1995. Infatti, ai sensi del sopra richiamato art. 35 della legge sul primo condono edilizio, 28 febbraio 1985, n. 47, la domanda si intende accolta « ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio » (comma 17). Presso la giurisprudenza (da ultimo Cons. Stato, IV, 20 giugno 2022, n. 5053) si è formato un indirizzo restrittivo sul punto, in base al quale per la formazione del silenzio-assenso non è sufficiente la presentazione della domanda, ma occorre che unitamente ad essa si sia provveduto « al pagamento di tutte le somme (oblazione, oneri urbanizzazione, contributo costo costruzione) ». Nel dare ad esso continuità la sentenza di primo grado non è dunque censurabile, nemmeno sulla base del fatto che l’amministrazione comunale non abbia mai chiesto un’integrazione documentale, posto che comunque in sede di verificazione si è accertato che la società originaria proprietari dell’immobile aveva versato l’anticipo degli oneri di concessione « facendo erroneamente riferimento alla superficie netta in luogo della SLP » (pag. 6 della relazione), ovvero della superficie lorda di pavimento, utilizzata quale parametro di commisurazione del contributo.
10. Inoltre, con specifico riguardo al secondo condono, di cui al più volte menzionato art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, sempre in giurisprudenza si afferma che il silenzio-assenso non si forma con la consumazione del termine assegnato all’amministrazione comunale per provvedere, ma occorre che l’istante provveda agli ulteriori adempimenti a suo carico « quali il pagamento dell’oblazione, la dichiarazione sostitutiva della documentazione da allegare alla domanda, la documentazione fotografica, l’eventuale progetto di adeguamento statico e la denuncia catastale, ciò al fine di consentire all’amministrazione di esercitare utilmente i propri poteri di verifica » (Cons. Stato, VI, 20 aprile 2021, n. 3208). L’indirizzo si fonda tra l’altro sul comma 4, già citato, del medesimo art. 39, secondo il quale «(i) l pagamento dell’oblazione dovuta ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, dell’eventuale integrazione di cui al comma 6, degli oneri di concessione di cui al comma 9, nonché la documentazione di cui al presente comma e la denuncia in catasto nel termine di cui all’articolo 52, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (…) ed il decorso del termine (…) di due anni per i comuni con più di 500.000 abitanti dalla data di entrata in vigore della presente legge senza l’adozione di un provvedimento negativo del comune, equivale a concessione o ad autorizzazione edilizia in sanatoria salvo il disposto del periodo successivo;ai fini del rispetto del suddetto termine la ricevuta attestante il pagamento degli oneri concessori e la documentazione di denuncia al catasto può essere depositata entro la data di compimento dell’anno ». In relazione alla disposizione da ultimo richiamata si sono quindi concentrate le difese del Comune di Milano, che ha dedotto, senza contestazione di controparte, che la domanda di condono dell’allora proprietaria dell’immobile oggi di proprietà della L.V.G. non era corredata da tutta la documentazione prescritta dalla legge, ed in particolare: l’attestazione del versamento del saldo dell’oblazione;l’attestazione del versamento del saldo degli oneri concessori;la documentazione catastale;la certificazione antimafia;la perizia giurata e il certificato di idoneità statica, la certificazione comprovante l’eventuale titolo alla riduzione dell’oblazione nei casi previsti dall’art. 34 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;ed inoltre che la medesima società non ha dimostrato di avere corrisposto tutti gli oneri dovuti a titolo di anticipazione, ai sensi dell’art. 39 comma 9, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, in data anteriore alla richiesta del Comune.
11. Con riguardo alle censure concernenti il merito della pretesa creditoria da quest’ultimo vantata, ed in relazione alla quale la società ricorrente oppone la duplicazione di oneri, va innanzitutto dato atto che non vi è contestazione da parte di quest’ultima sul fatto che le opere oggetto di condono del 1995, con cui è stata modificata la destinazione d’uso, da produttivo a commerciale dell’immobile, hanno riguardato superfici diverse da quelle interessate. Nessuna contestazione si registra sul punto ora evidenziato sin dal giudizio di primo grado, ed in particolare in sede di verificazione, nella cui relazione finale l’ausiliario nominato dal Tribunale amministrativo ha tra l’altro dato atto che nelle proprie osservazioni conclusive il consulente tecnico di parte ricorrente « riconosce che se il confronto delle due pratiche edilizie, come richiesto dal quesito, viene eseguito solo con il confronto tra le planimetrie di riferimento delle stesse, si può giungere alla considerazione che sono riferite ad interventi tra loro differenti ».
12. La stessa relazione di verificazione puntualizza che la posizione contraria al pagamento degli oneri oggetto del presente contenzioso di parte ricorrente nasce dal fatto che del mutamento di destinazione d’uso oggetto di condono del 1995 non si sarebbe tenuto conto nei successivi interventi sull’immobile, tra cui quelli di cui alla d.i.a. del 2004, che pertanto avrebbe determinato una modifica del carico urbanistico del fabbricato sovrapponibile e tale da assorbire quella derivante dai lavori condonati.
13. In ordine al punto ora enucleato gli assunti di parte appellante non risultano tuttavia fondati. Dirimente innanzitutto è il fatto, accertato dal verificatore, che i due interventi edilizi in questione hanno riguardato « porzioni dell’immobile diverse, non sovrapponibili, fatto salvo una esigua porzione di consistenza irrisoria » (pag. 8 della relazione). Nel dettaglio, riferito a ciascun piano dell’immobile, l’ausiliario nominato in primo grado ha precisato che:
- al piano terreno, le opere di condono sono consistite nella « sola trasformazione dello spazio da parcheggio a magazzino con permanenza di persone », con incremento della superficie lorda di pavimento di 211,71 mq;mentre la stessa porzione dell’immobile non è stata interessata dalla d.i.a. del 2004;
- al primo piano, il condono ha riguardato lavori comportanti « la trasformazione della porzione di nord-ovest del compendio da laboratorio ad ufficio per la superficie lorda di mq 176,80 »;« tutt’altra porzione » invece è stata interessata dagli interventi di cui alla d.i.a. del 2004, e cioè quella « contigua all’Ufficio citato al precedente capoverso », con l’« ampliamento dello stesso a seguito della demolizione dei tavolati, che occupa la parte nord-est, est e sud-est del primo piano della costruzione per la SLP complessiva di mq 536,18» ;
- al secondo piano, il condono è relativo al « cambio d’uso da laboratorio ad Uffici della porzione nord del fabbricato », per un superficie lorda di pavimento di 220,14 mq;e la « trasformazione da locale senza permanenza di persone ad Ufficio con permanenza di persone ( ampliamento) della porzione del fabbricato posto nell’angolo di nord-est ( contigua a quella testè indicata) », per una superficie lorda di pavimento pari a 105,33 mq, cui si aggiunge la trasformazione « di un piccolo spazio prospiciente la via Columella da inabitabile ad abitabile per essere accorpato al contiguo locale mensa previa rimozione di un arredo », per un ulteriore incremento di superficie di 11,2 mq;la d.i.a. del 2004 ha invece riguardato « il cambio d’uso da laboratorio ad ufficio della porzione dell’immobile ubicata nella zona est e sud » per una superficie lorda di pavimento di 558,00 mq.
14. n risposta alle osservazioni del consulente di parte ricorrente, Il verificatore ha anche accertato che « le superfici delle porzioni del piano primo e secondo oggetto del condono del 1995 (…) sono state escluse nel cambio di destinazioni di uso da produttivo ad ufficio nella DIA prot 842065/2004 » (pag. 12 della relazione), mentre per le opere realizzate al piano terreno ed oggetto di condono, ovvero la sopra menzionata trasformazione dell’autorimessa in magazzino con presenza di persone, non interessata dalla d.i.a. del 2004, gli oneri per il cambio di destinazione d’uso sono stati assolti dalla dante causa della ricorrente con la sanatoria di cui al permesso rilasciato dal Comune di Milano il 25 marzo 2004, n. 318.
15. Del pari in sede di verificazione è stato confutato l’assunto secondo cui i lavori oggetto delle diverse pratiche edilizie non avrebbero comportato un effettivo incremento delle superfici lorde di pavimento, fondato tuttavia su prospettivi non corrispondenti alla consistenza fisica dell’immobile: di complessivi 3460,81 mq contro i 2775,31 mq calcolati dal consulente tecnico della medesima ricorrente. Inoltre il verificatore ha ribadito che il condono del 1995 ha riguardato opere comportanti un aumento della superficie lorda di pavimento complessivamente pari a 328,31 mq, derivanti dalle seguenti trasformazioni: al piano terra dell’autorimessa in magazzino con permanenza di persone (per 211,71 mq);e di spazi da uso produttivo a ufficio e mensa al secondo piano (per i restanti 116,60 mq). Sul punto nella relazione si precisa che i medesimi ambienti non sono stati successivamente interessati da altre domande per il rilascio di titoli edilizi.
16. In ragione delle risultanze probatorie finora descritte deve essere pertanto esclusa l’ipotesi posta a fondamento della contestazione degli oneri richiesti dal Comune di Milano nel 2013 per il condono del 1995, ovvero che questi costituirebbero una duplicazione rispetto ad un mutamento di destinazione d’uso già verificatosi, e realizzato con gli interventi eseguiti dalla dante causa della ricorrente nel 2004, che a loro volta non avrebbero tenuto conto della precedente domanda di sanatoria.
17. Sono inoltre infondati tutti gli altri motivi d’appello.
18. In primo luogo quello concernente la quantificazione degli oneri di concessione dovuti va confermata la statuizione di rigetto della sentenza di primo grado, fondata sull’univoca giurisprudenza secondo cui a questo scopo occorre fare riferimento esclusivo al momento in cui è rilasciato il titolo edilizio in sanatoria, poiché è da quel momento che l’immobile interessato dagli abusi diviene legittimo sul piano urbanistico, e concorre così alla formazione del peso insediativo che costituisce il presupposto sostanziale del pagamento del contributo concessorio (in questo senso, da ultimo: Cons. Stato, II, 19 febbraio 2021, n. 1485). In contrario non vale invocare la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di condono, non verificatasi nel caso di specie per le ragioni in precedenza esposte.
19. Del pari vanno respinte le domande di restituzione degli oneri già versati per l’immobile in questione dalle precedenti proprietarie, dal momento che, innanzitutto, in base alla verificazione disposta in primo grado è emerso che, come in precedenza esposto, le opere per cui è stato richiesto il condono nel 1995 sono diverse tanto da quelle di cui alla d.i.a. in data 6 agosto 2004 (prot. n. 482065), quanto da quelle oggetto dell’ulteriore domanda di condono, presentata dalla C.S.T. s.p.a., dante causa della società ricorrente, in data 23 novembre 2004 (prot. n. 1.178.279), per la quale è stata poi rilasciata la sanatoria con provvedimento del Comune di Milano in data 25 marzo 2014, n. 318. In secondo luogo, come correttamente statuito dalla sentenza di primo grado, l’azione di ripetizione per oneri concessori spetta ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. al solvens ;essa si riferisce ad un « pagamento non dovuto », circoscritto alla relazione intersoggettiva tra l’allora proprietario dell’immobile su cui gli oneri sono dovuti e l’autorità comunale, non trasmissibile con la cessione dell’immobile medesimo a terzi, estranei alla vicenda solutoria che ha dato origine al supposto indebito oggettivo.
20. Va infine respinta la censura relativa alla sanzione ex art. 42 DPR 6 giugno 2001, n. 380, posto che il legittimo destinatario delle stesse è il proprietario dell’immobile al momento in cui viene manifestata la pretesa di pagamento del contributo di costruzione.
21. L’appello deve pertanto essere respinto, per cui va confermata la sentenza di primo grado, ma per la natura e la complessità in fatto ed in diritto delle questioni controverse le spese di causa possono essere compensate.