Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-07-15, n. 202206036

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-07-15, n. 202206036
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202206036
Data del deposito : 15 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/07/2022

N. 06036/2022REG.PROV.COLL.

N. 06176/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6176 del 2021, proposto dalla società Terna – Rete Elettrica Nazionale S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati M C, M E e A I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

contro

i signori A L e G L, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

della sentenza del T.a.r. Lazio, sede di Roma, sez. III, 14 maggio 2012 n. 5747, che ha accolto in parte il ricorso n. 14180/2016 R.G. proposto per la condanna

di Terna S.p.a. alla restituzione, in quanto occupato sine titulo, del terreno di proprietà di A L e G L situato in Comune di Barletta, contrada Muridano, S.S. 170, Km 23+450, distinto al relativo catasto al foglio 124 part. 406, 407, 384, 435, 434 e 433, al risarcimento del danno, ovvero al pagamento del valore venale e delle somme dovute ai sensi dell’art. 42 bis del d. P.R. 8 giugno 2001 n.327;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2022 il Cons. F G S e viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti appellati hanno acquistato, come da atto 15 giugno 1990 rep. n.669 racc. n.218 Notaro Branno di Andria, un terreno situato nella campagna di Barletta, in contrada Muridano, sulla S.S. 170 al Km 23+450, distinto al relativo catasto al foglio 124 part. 406, 407, 384, 435, 434 e 433 (doc. 1 in I grado ricorrenti appellati, nota di trascrizione acquisto). Su questo terreno, è stato realizzato un elettrodotto a 150 KV che lo attraversa per una lunghezza di 98 metri, corrispondenti ad una superficie asservita di 2640 mq, ricadenti nella fascia di asservimento larga metri 29 e comprende un traliccio di sostegno con un basamento di 70 mq (doc. 6 1 in I grado ricorrenti appellati, verbale di immissione in possesso). Si controverte delle ragioni eventualmente spettanti ai proprietari del terreno in dipendenza dalla costruzione di quest’opera, che si assume effettuata senza perfezionare la richiesta procedura di esproprio.

2. I fatti di causa, come tali non contestati, si riassumono così come segue.

2.1 Con decreto 27 novembre 1990 n.2001 dell’Assessore ai lavori pubblici della Regione Puglia, l’allora gestore di rete ENEL è stato autorizzato “in via provvisoria” a costruire l’elettrodotto in questione, con atto che ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. 18 marzo 1965 n.342 vale dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza dell’opera (doc. 4 1 in I grado ricorrenti appellati).

2.2 Con decreto 13 novembre 1992 n.409 del Presidente della Provincia di Bari, lo stesso ENEL è stato autorizzato alla occupazione temporanea dei terreni necessari, fra i quali quello per cui è causa, per una durata di cinque anni (doc. 5 1 in I grado ricorrenti appellati).

2.3 Con verbale 29 dicembre 1992, intestato “espropriazione per pubblica utilità- servitù di elettrodotto”, l’ENEL si è immesso nel possesso del terreno (doc. 6 1 in I grado ricorrenti appellati, cit.).

2.4 Con decreto 17 dicembre 1999 n.52 del Dirigente di settore della Provincia di Bari, l’ENEL ha ottenuto, testualmente, la “autorizzazione definitiva” alla costruzione ed esercizio dell’elettrodotto, con termine per completare il procedimento di esproprio al 20 febbraio 2005 (doc. 9 1 in I grado ricorrenti appellati). Con successivo decreto 23 marzo 2005 n.559, l’ENEL ha ottenuto una proroga di 36 mesi a questo termine (doc. 14 1 in I grado ricorrenti appellati), ma non consta che il decreto di esproprio sia stato mai emanato.

2.5 Non essendo riusciti a trovare un accordo con l’intimata appellata Terna S.p.a. succeduta all’ENEL come gestore di rete, per ottenere l’indennizzo a loro avviso dovutogli, gli interessati la hanno quindi convenuta avanti il Giudice di I grado, con ricorso notificato il 29 dicembre 2016 per sentirla condannare, in sintesi, alla restituzione del terreno e al risarcimento del danno, ovvero al pagamento del valore venale e delle somme dovute ai sensi dell’art. 42 bis del d. P.R. 8 giugno 2001 n.327.

3. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r ha accolto il ricorso, nei termini che seguono.

3.1 In primo luogo, il T.a.r. ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione dedotta dall’intimata appellante, ritenendo che comunque si controverte in materia di espropriazione, materia come noto soggetta alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.

3.2 Il T.a.r. ha poi respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata sempre dall’intimata appellante, la quale ha sostenuto di non dover rispondere di fatti verificatisi prima del giorno 1 novembre 2005, ovvero della data dalla quale è divenuta proprietaria della rete in luogo dell’ENEL. Il T.a.r. ha infatti rilevato che la società intimata appellata, in quanto successore dell’ENEL in tutti i rapporti giuridici relativi all’attività in cui è subentrata, deve ritenersi legittimata passiva anche per controversie relative a fatti anteriori al proprio subentro.

3.3 Il T.a.r. ha poi respinto l’eccezione per cui la servitù di elettrodotto si sarebbe costituita per atto dell’autorità amministrativa, quindi senza bisogno di un decreto di esproprio in senso stretto, sostenendo che l’esistenza di quest’atto non sarebbe stata dimostrata.

3.4 Ancora, il T.a.r. ha ritenuto l’eccezione per cui la servitù per cui è causa si dovrebbe comunque ritenere usucapita in primo luogo inammissibile, perché non proposta nelle forme della domanda riconvenzionale, e quindi del ricorso incidentale, e comunque infondata, per non essere decorso il relativo periodo.

3.5 Ciò posto, il T.a.r. ha respinto il ricorso quanto alle domande di condanna per il danno non patrimoniale e per il danno ulteriore diverso dall’occupazione dipendente dall’illegittima privazione del bene;
lo ha accolto nel resto e condannato l’intimata: a) “alla reintegra nel possesso, mediante restituzione in favore della parte ricorrente, previo ripristino dell'originario stato, dei suoli siti attualmente oggetto di occupazione illegittima, con salvezza degli ulteriori provvedimenti di cui all'art. 42 bis ” del d. P.R. 327/2001;
b) al risarcimento del danno per l’occupazione illegittima, “nella misura del 5% annuo del valore venale dei terreni agricoli con caratteristiche simili a quelle dei terreni in questione nel momento in cui l'occupazione è divenuta illegittima per effetto della scadenza del termine finale fissato per l'occupazione d'urgenza, commisurato a tutto il periodo intercorrente dalla scadenza del termine finale dell'occupazione, come fissato dai provvedimenti che l'hanno disposta, fino alla restituzione dei terreni, con interessi legali e rivalutazione per lo stesso periodo”;
c) alle spese di giudizio.

4. Contro questa sentenza, l’intimata ha proposto impugnazione, con appello che contiene quattro motivi, così come segue.

4.1 Con il primo di essi, deduce falso presupposto e sostiene che la servitù di elettrodotto si sarebbe costituita, così come dedotto in I grado, per atto amministrativo, diverso secondo logica dall’esproprio, ovvero in forza del D.M. 27 febbraio 2009 e dell’elenco ad esso allegato, che le ha trasferito una serie di linee elettriche, fra le quali quella per cui è causa (doc. ti 5 e 6 in I grado intimata appellante). Sostiene poi (pp. 13-16 dell’atto) che la sentenza avrebbe comunque errato a condannarla al risarcimento, perché il relativo diritto sarebbe estinto per prescrizione quinquennale, per lo meno (pp. 15-16) per il periodo anteriore al quinquennio che precede la proposizione dell’azione.

4.2 Con il secondo motivo, ripropone comunque l’eccezione di usucapione della servitù, evidenziando che l’eccezione riconvenzionale non richiede una domanda incidentale.

4.3 Con il terzo motivo, sostiene che la restituzione del bene sarebbe impossibile anche sotto un altro profilo, ovvero dato che si tratta di opera parte della rete elettrica nazionale, a suo avviso inamovibile ai sensi dell’art. 122 del R.D. 11 dicembre 1933 n.1775 e dell’art. 14 della l.r. Puglia 9 ottobre 2008 n.25.

4.4 Con il quarto motivo, contesta il capo di sentenza che la ha condannata alle spese, nonostante la complessità delle questioni trattate e la parziale soccombenza.

5. I ricorrenti appellati non si sono costituiti;
l’intimata appellante ha ribadito le proprie difese con memoria 15 gennaio 2022.

6. All’udienza del giorno 12 maggio 2022, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

7. L’appello è solo parzialmente fondato, nei termini e nei limiti di cui ora si dirà.

8. Il primo motivo di appello è infondato e va respinto nella sua prima parte, in cui sostiene l’avvenuta costituzione di una servitù di elettrodotto. Infatti, il D.M. 27 febbraio 2009 con allegato elenco delle linee elettriche trasferite all’intimata appellata (doc. ti 5 e 6 in I grado intimata appellante) non è interpretabile, a semplice lettura, come costituzione di servitù coattiva. In primo luogo, nel corpo dell’atto non si ritrova alcuna espressione letterale interpretabile in modo espresso come volontà amministrativa di costituire servitù di qualche tipo, né appare possibile desumerla dal contenuto, che come si è detto è un semplice elenco di strutture, che non entra nel dettaglio della loro conformazione e localizzazione, dettaglio che, si osserva, sarebbe oltretutto indispensabile ai fini della debita trascrizione del titolo nei registri immobiliari.

9. In ordine logico, va esaminato il secondo motivo di appello, volto, così come il primo, a sostenere che una servitù si sarebbe costituita, e quindi a contestare per intero la pretesa dei ricorrenti appellanti.

9.1 Il motivo in esame sostiene infatti che, a prescindere da atti autoritativi di sua costituzione, la servitù sarebbe ugualmente costituita in forza di usucapione.

9.2 Si può infatti prescindere dal profilo procedurale, ovvero dalla necessità o meno che l’eventuale usucapione sia fatta valere con domanda riconvenzionale, ovvero con semplice eccezione, perché il motivo va respinto nel merito, in base a quanto affermato dalla Sezione, da ultimo nella propria sentenza 11 settembre 2020 n.5340, ove ampie ulteriori citazioni.

9.3 La sentenza citata osserva che un’usucapione di diritto pubblico, che si innesti su un procedimento espropriativo non correttamente portato a termine si potrebbe configurare, a tutto concedere, solo ove il necessario ventennio di occupazione pubblica, pacifica, continuata e ininterrotta fosse decorso a partire dalla data di entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, “il cui art. 43 ha sancito il superamento normativo dell'istituto dell'occupazione acquisitiva che costituiva una vera e propria fattispecie ablatoria seppure atipica”.

9.4 La stessa sentenza afferma infatti che sino all’entrata in vigore della norma citata era regola di diritto giurisprudenziale assolutamente consolidata quella per cui l’occupazione abusiva di un terreno da parte della p.a. seguita dalla sua irreversibile trasformazione ad uso pubblico produceva l’acquisto per accessione invertita a favore dell’amministrazione stessa, sì che “il privato spossessato … non avrebbe potuto validamente esercitare alcuna opzione reintegratoria specifica, e non avrebbe potuto conseguire la restituzione dell'area, in quanto già passata in proprietà dell'Amministrazione”.

9.5 La sentenza quindi conclude nel senso che ai fini dell’usucapione della proprietà – e lo stesso principio non può non valere anche per l’usucapione di una servitù- è irrilevante il periodo di occupazione anteriore all’entrata in vigore del d.P.R. 327/2001, dato che sarebbe iniquo fare operare l’istituto a danno di un proprietario che nulla avrebbe potuto fare per opporvisi.

9.6 Applicando il principio delineato al caso di specie, è evidente che l’usucapione non può configurarsi, dato che i ricorrenti hanno proposto il ricorso di I grado in tempo utile per interromperla, ovvero il giorno 29 dicembre 2016, ai sensi degli artt. 1165 e 2943 comma 2 c.c.

10. Sempre in ordine logico, va esaminato il terzo motivo di appello, che è a sua volta infondato, poiché degli interessi pubblici allegati dalla parte appellante – ovvero l’interesse all’integrità della rete elettrica nazionale- si fa carico l’art. 42 bis del d.P.R. 327/2001, che prevede lo strumento per evitare la restituzione del bene, appunto a tutela di un interesse pubblico ritenuto prevalente e può sicuramente essere attivato, ricorrendone i presupposti, dalla parte interessata.

11. È invece fondata la seconda parte del primo motivo, che eccepisce la prescrizione del risarcimento per l’occupazione illegittima per il periodo eccedente i cinque anni che precedono la domanda giudiziale, dato che – sul punto, C.d.S. sez. IV 11 luglio 2016 n.3065, che si cita per tutte- la prescrizione in materia è appunto quinquennale e decorre dalle singole annualità.

12. Da ultimo è infondato il quarto motivo di appello, che censura la decisione sulle spese.

12.1 In generale, per costante giurisprudenza, la compensazione delle spese di giudizio è una facoltà che il Giudice può esercitare discrezionalmente, e che si può sindacare in sede di appello solo ove sia violato il limite dell’impossibilità di porle a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero si siano adottate pronunce abnormi: così per tutte C.d.S. sez. VI 20 giugno 2022 n.362 e sez. III 3 agosto 2016 n.3513.

12.2 Nel caso di specie, nessuno di questi limiti è stato superato. In primo luogo, la stessa parte appellante riconosce che in I grado essa fu in parte soccombente. In secondo luogo, l’importo delle spese liquidate non si può dire abnorme, dato che risulta inferiore ai minimi previsti dai parametri di cui al D.M. 8 marzo 2018 n.37 per una causa di valore indeterminabile e di complessità media.

13. In conclusione, la sentenza di I grado va riformata, così come indicato in dispositivo, quanto al capo che condanna al risarcimento, ridotto nel quantum ;
rimane invece ferma nei capi restanti, ovvero, come sopra si è detto, quanto alla condanna “alla reintegra nel possesso, mediante restituzione in favore della parte ricorrente, previo ripristino dell'originario stato, dei suoli siti attualmente oggetto di occupazione illegittima, con salvezza degli ulteriori provvedimenti di cui all'art. 42 bis ” del d. P.R. 327/2001” e quanto alla condanna alle spese.

14. L’accoglimento dell’appello soltanto parziale e limitato all’entità del risarcimento, intatto il capo principale della sentenza, che dispone la restituzione del bene, giustifica la compensazione delle spese di questo grado di giudizio.

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