Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2009-10-29, n. 200906686

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2009-10-29, n. 200906686
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200906686
Data del deposito : 29 ottobre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08164/2008 REG.RIC.

N. 06686/2009 REG.DEC.

N. 08164/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso n.8164 del 2008, proposto dalla società Iris s.r.l., in persona della signora S B, rappresentata e difesa dagli avvocati G B e L F L, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Bissolati n.76;

contro

- le società Cardinali Tessili di Cardinali Andrea &
C. S.a.s., Impronte S.n.c. di Castellani &
Provvedi, costituitasi in giudizio in persona della signora A C, Res S.n.c. di Anderlini &
Ceccarelli, in persona della signora M C, Petrini S.n.c. di Petrini Franco &
C. in persona del signor Juri Petrini;
Spigarelli Giancarlo &
C. S.n.c. in persona del signor Giancarlo Spigarelli, i signori Primo Cardinali, Marco Capoccia e Remo Giombini, l’associazione Confcommercio Sezione di Gualdo Tadino, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Umberto Segarelli, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via G. B. Morgagni N. 2/A;
- i signori Barbara Bazzucchi, Katia Bori, Giuseppina Giombini, Graziella Rossi, Sandro Ursi e Antonietta Vitali, non costituiti in giudizio;

nei confronti di

il comune di Gualdo Tadino, non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale per l’ Umbria n. 329 del 3 luglio 2008;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

visto il controricorso delle società, dell’associazione e delle altre persone sopra indicate;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2009 il consigliere R C e uditi per le parti i difensori indicati nel verbale d’udienza;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

1. Gli antefatti della vicenda contenziosa possono così sintetizzarsi.

In primo grado vennero impugnati con sei distinti ricorsi, proposti da un certo numero di esercenti di Gualdo Tadino e dall'associazione di categoria Confcommercio, a tutela del loro interesse a non subire la concorrenza dei nuovi esercizi, una sequenza di atti del Comune finalizzati a consentire alle società Iris l'apertura di un esercizio classificato, secondo le definizioni di cui all'art. 4 della legge regionale n. 24/1999, "struttura di vendita medio-superiore", in sigla M2.

L'esercizio della società Iris avrebbe avuto per oggetto prodotti non alimentari e pertanto, secondo la legge regionale di cui sopra, era classificato M2-e.

Il

TAR

Umbria, dopo avere riuniti i sei ricorsi, annullò l’autorizzazione 4.10.2004 prot. n. 33404-aut. 866/15 per commercio al dettaglio non alimentare tipologia M2/E per una superficie di vendita di mq 2500 accordata alla soc. Iris.

2. Con atto notificato a mezzo posta il 14 ottobre 2008 la s.r.l. Iris ha impugnato la sentenza del primo giudice deducendo motivi vari di inammissibilità ed irricevibilità dei ricorsi e di erroneità della sentenza del primo giudice.

Si sono costituiti in giudizio gli appellati indicati in epigrafe chiedendo la conferma della sentenza.

Sono state depositate numerose memorie difensive.

La causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione all’udienza del 26 giugno 2009.

DIRITTO

1. Con una pluralità di ricorsi e successivi motivi aggiunti i ricorrenti in primo grado, attuali appellati, hanno impugnato il piano attuativo delle aree per insediamenti produttivi (P.I.P.) in variante al vigente regolamento edilizio e all’annesso piano di fabbricazione approvato con deliberazione del Consiglio comunale n.109/2001, il piano attuativo delle aree per insediamenti produttivi in ulteriore variante al vigente regolamento edilizio e all’annesso piano di fabbricazione approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 69/2002, il regolamento per l’assegnazione delle aree P.I.P., il permesso di costruire n.100/2004 rilasciato alla soc. Iris, il permesso di costruire n.101/004 rilasciato alla Piagge s.r.l., la deliberazione comunale n.73 del 2007 di approvazione della variante al P.I.P. conseguente all’entrata in vigore del nuovo piano regolatore generale.

Con altri paralleli ricorsi e relativi motivi aggiunti le stesse parti hanno impugnato altresì l’autorizzazione al commercio tipo M2/E 4 ottobre 2004, prot. n.33404, aut. 866/15 rilasciata alla appellante, l’autorizzazione al commercio tipo M2/A 20 settembre 2004 prot. n.31210, Aut. 864/14 rilasciata alla Piagge s.r.l., la presupposta determinazione dirigenziale 7 settembre 2004 n.1610, gli atti di proroga dei termini di attivazione delle strutture di vendita rilasciati in favore di entrambe le Società.

In concreto i ricorsi ed i motivi aggiunti avevano in oggetto da un lato i provvedimenti di ordine urbanistico ed edilizio adottati dal Comune, dall’altro i provvedimenti concernenti le autorizzazioni commerciali ed i rispettivi provvedimenti di proroga.

Con la sentenza appellata il tribunale amministrativo dell’Umbria, dopo avere riunito tutti i ricorsi, li ha parzialmente accolti dichiarando inammissibili ed infondate le censure riferite ai provvedimenti di carattere urbanistico e di governo del territorio dedotte avverso la formazione del P.I.P. in variante al piano regolatore, avverso la successiva variante al P.I.P. (deliberazione 2 luglio 2007 n.73), avverso il regolamento per l’assegnazione dei lotti P.I.P., avverso gli atti di assegnazione delle relative aree ed i permessi di costruire, mentre ha accolto le censure concernenti le autorizzazioni commerciali ed in specie ha annullato l’autorizzazione al commercio 4 ottobre 2004 prot. n. 33404, aut. n.866/15, rilasciata ad Iris e quella 4 ottobre 2004, prot. n. 31210, aut. n. 864/14 rilasciata a Piagge s.r.l..

L’odierno appello della soc. Iris si rivolge avverso il capo della sentenza che reca l’annullamento dell’autorizzazione al commercio 4 ottobre 2004 prot. 33404, aut. 866/15 rilasciata alla medesima Iris.

2. La Sezione ritiene di omettere l’esame delle eccezioni sollevate dalla soc. Iris in quanto l’appello nel merito deve essere accolto.

Con il secondo e fondamentale motivo d’impugnazione la soc. Iris censura la motivazione della sentenza del primo giudice nella parte in cui ha ritenuto che i progetti delle due medie strutture di vendita presentati dalla Iris e dalla Piagge s.r.l., pur formalmente distinti, dissimulavano il progetto unitario di un vero e proprio "centro commerciale" con l’effetto che, considerata unitariamente, la struttura raggiungeva le dimensioni della "grande struttura di vendita", con necessità di un diverso iter autorizzatorio.

Il primo giudice ha ritenuto che tutti gli elementi di fatto acquisiti dimostrano che la distinzione fra le due strutture è solo apparente, mentre in realtà la struttura è frutto di un’iniziativa economica unitaria e di un progetto strutturale unitario.

L'unitarietà dell'iniziativa emergerebbe dal fatto che le due società titolari delle rispettive strutture hanno sempre agito, nei confronti del Comune e delle altre autorità pubbliche, come un soggetto unico.

Anche i progetti edilizi delle due strutture sarebbero frutto di una visione unitaria. Dal punto di vista architettonico, estetico e funzionale sono in tutto e per tutto edifici "gemelli", opera non solo di uno stesso progettista, ma, in più, di un autore che ha volutamente perseguito tale perfetta similarità, intuitivamente per dare all'osservatore la sensazione visiva dell'unicità del complesso.

3. La Sezione ritiene che le pur perspicue argomentazioni del primo giudice non possano essere condivise, in quanto frutto di elementi indiziari non univoci, alcuni facilmente sovrapponibili, altri smentiti in fatto dalle risultanze documentali e di progetto.

Nessun rilievo ha l’unicità dell’investimento economico, né la contestualità della procedura amministrativa di autorizzazione per l’autorizzazione al commercio ed ancor meno il materiale pubblicitario utilizzato;
più in generale, non ha nessun rilievo giuridico il fatto che le due società abbiano agito di conserva in modo da ottenere un insieme coordinato di esercizi commerciali. Gli elementi che depongono in tal senso, ai quali il giudice di primo grado ha dato grande rilievo, prfesentano un notevole grado di occasionalità e di marginalità, ma in ogni caso non sono risolutivi, mentre in relazione alla fattispecie assume esclusiva rilevanza, alla stregua delle indicazioni normative di riferimento, la sussistenza o meno di determinate caratteristiche strutturali e funzionali degli immobili destinati all’attività commerciale.

Occorre al riguardo osservare che il d.lgs. n. 114 del 1998 all’art. 4 dispone che per centro commerciale deve intendersi “una media o grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente”.

La legge regionale dell’Umbria n. 24 del 1999, nel testo vigente al momento del rilascio della autorizzazione commerciale, all’articolo 10 determinava ulteriori caratteristiche proprie del centro commerciale quali la presenza di un corpo comune di collegamento tra due o più medie o grandi strutture di vendita fisicamente staccate, un complesso commerciale concepito e realizzato sulla base di un apposito progetto, l’attivazione di un complesso immobiliare unitario ed altro.

Tali condizioni, nella fattispecie in esame, non sussistono, in quanto le due strutture, per quanto caratterizzate da vicinanza trattandosi di due lotti limitrofi, sono distinte e materialmente separate e prive di collegamenti nonché dotate ciascuna di propri servizi e destinate ad autonoma e separata gestione.

Lungo l’intero perimetro di ciascun edificio è stata collocata una recinzione alta metri 2,40 che impedisce ogni accesso e comunicazione tra un complesso e l’altro. Né appare di particolare significato, come sostenuto dai resistenti, la data in cui la recinzione in questione è stata assentita dal comune (5 agosto 2006), data comunque successiva a due delle tre proroghe della autorizzazione commerciale intervenute. Tale recinzione rende evidente anche visivamente la separazione tra i due immobili, sicchè non è condivisibile l’affermazione resa dal primo giudice di una “sensazione visiva della unicità del complesso”. Non puo’ condividersi nemmeno l’affermazione che “l’iniziativa coordinata, sinergica e composita dei titoli accordati finisca per offrire alla clientela un insieme integrato di esercizi commerciali in modo tale che le rispettive potenzialità attrattive si sommino ed integrino reciprocamente non ostandovi la esigua ed appena percebile separazione fisica tra i due corpi di fabbrica”.

In realtà le due strutture sono tra loro incomunicabili, non usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente, criterio questo individuato dall’art.4 del d.lgs. 114 del 1998 per individuare i centri commerciali.

Si aggiunga che l’art. 2 delle norme di attuazione del piano per le medie strutture di vendita approvato dal comune di Gualdo Tadino con deliberazione di consiglio comunale 17 marzo 2001 n.23 aveva ulteriormente chiarito che per infrastrutture comuni si intendono: “le gallerie commerciali, le aree di carico e scarico, i magazzini, i depositi, uffici comuni, parcheggi comuni con un unico accesso ed unica regolamentazione di pagamenti e carrelli e simili”.

Nulla di tutto questo emerge nella fattispecie in esame.

In disparte l’aspetto impiantistico pur marginale per il quale gli edifici sono dotati di una autonoma centralina elettrica, di un separato impianto di condizionamento e sistema antincendio, di un separato sistema di raccolta delle acque reflue, soprattutto rileva che le due strutture sono dotate di una autonoma viabilità esterna, di ingressi separati e di distinti parcheggi privi di collegamento, non hanno gallerie comuni, aree di carico e scarico comuni, magazzini, uffici, o altro in comune.

Inconferente è il richiamo del primo giudice, al fine di dedurre l’unitarietà materiale ed operativa delle due strutture, all’ art.10 lett. b) della legge regionale dell’Umbria 24 del 1999 nel testo risultante dalla modifica introdotta con la legge regionale n.26 del 2005 ai sensi del quale “si è in presenza di un centro commerciale anche qualora ricorra ... una distanza tra medie strutture di vendita di tipo M2, tra medie strutture di vendita di tipo M2 e grandi strutture e tra grandi strutture di vendita, inferiore a quaranta metri lineari, calcolata dai rispettivi muri perimetrali salvo la maggiore distanza stabilita nei regolamenti locali comunque non superiore a metri sessanta.”

E’ evidente (e di ciò è pienamente consapevole anche il primo giudice) che la norma non è applicabile alla fattispecie in esame, atteso che il regime delle autorizzazioni commerciali è quello risultante dalle disposizioni in vigore al momento del loro rilascio.

In realtà nessun parametro legato alla distanza tra edifici era previsto dalla legislazione in vigore al momento del rilascio delle autorizzazioni e non puo’ certo pretendersi di ricavare dalla norma sopravvenuta un criterio interpretativo applicabile retroattivamente alla fattispecie.

In conclusione il motivo di appello avverso le argomentazioni sulle quali si incentra la sentenza del primo giudice merita accoglimento.

4. La Sezione deve farsi carico di alcune censure assorbite dal primo giudice ma reiterate dai resistenti.

Con il quarto motivo del ricorso n.166 del 2006 e del ricorso n.165 del 2006 ed il motivo C di cui al primo atto di “motivi aggiunti” al ric. n.166 del 2006, identico al primo atto di “motivi aggiunti” al ricorso n.165 del 2006 e con ulteriori motivi sempre di analogo tenore, i resistenti si dolgono che le due società abbiano presentato progetti edilizi per superfici di vendita inferiori a quelli ben maggiori oggetto di autorizzazione e che le autorizzazioni commerciali siano state oggetto di proroga sempre nella originaria dimensione.

Tali argomentazioni non hanno pregio.

Nelle autorizzazioni rilasciate l’indicazione della superficie di vendita è stata effettuata in astratto, in conformità ai limiti generali al momento operanti per la zona e comunque prima del rilascio dei permessi a costruire;
cio’ in virtù di quanto previsto dall’art. 5 comma 7 dei criteri approvati con deliberazione di Consiglio comunale n. 23 del 2001, che dispone: “è ammesso l’inoltro di istanze in assenza di locali o della loro disponibilità da parte del richiedente”. Ed invero l’art. 24 comma 3, della legge regionale n. 31 del 1997 prevede che l’autorizzazione amministrativa possa essere rilasciata solo in conformità agli strumenti urbanistici e previa verifica delle condizioni di compatibilità delle dotazioni di standards urbanistici in relazione alla tipologia dell’esercizio insediato o risultante dall’ampliamento.

In sostanza, la circostanza che le due società abbiano in concreto presentato, nel procedimento urbanistico edilizio, progetti per superficie di vendita inferiori a quelle in linea teorica ammissibili, non può inficiare le autorizzazioni commerciali previamente ottenute, rilasciate sulla base di previsioni di ordine generale tanto più che i vari titoli edilizi possono essere sempre adeguati su richiesta delle parti interessate e nel rispetto della vigente pianificazione.

5. Anche l’altro motivo dedotto (motivo b, di cui al primo atto dei “motivi aggiunti” al ric. 166 del 2006 identico al motivo b di cui al primo atto di motivi aggiunti al ric. 165 del 2006) non merita accoglimento.

Vengono impugnate le determinazioni in data 11 settembre 2006 n. 1157 e n. 1158 con le quali erano stati concessi alle società Iris e Piagge sei mesi di proroga a decorrere dall’ottobre 2006. Tali atti, secondo gli appellati, sono illegittimi, in particolare sotto il profilo della non cumulabilità delle proroghe.

Emerge tuttavia un valido motivo per il quale sono state concesse le proroghe in questione in base all’art. 22 del d.lgs. n. 114 del 1998.

Il motivo risiede nel fatto che si erano verificate ragioni di necessità diverse e sopravvenute rispetto a quelle prese a riferimento negli analoghi provvedimenti anteriori, in quanto si dovevano realizzare opere di viabilità pubblica non ancora assentite dal Comune.

6. In conclusione l’appello merita accoglimento e per l’effetto la sentenza di primo grado deve essere riformata nei sensi di cui in motivazione, i ricorsi di primo grado respinti.

7. Tuttavia, in relazione alla peculiarità della vicenda contenziosa ed alla natura degli interessi coinvolti, Spese ed onorari di giudizio possono essere compensati.

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