Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-01-09, n. 202400289

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-01-09, n. 202400289
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202400289
Data del deposito : 9 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/01/2024

N. 00289/2024REG.PROV.COLL.

N. 06913/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6913 del 2020, proposto da Ciro D’Arco, rappresentato e difeso dall’avv. P L, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia;

contro

il Comune di Pompei, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. R V, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. L N, sito in Roma, via Girolamo Da Carpi n. 6;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania (Sezione terza) n. 5993/2019.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio e la memoria del Comune di Pompei;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore il cons. Giuseppe La Greca;

Udito all’udienza pubblica del 16 novembre 2023 l’avv. G. Terracciano, in sostituzione dell’avv. R. Veniero, per il Comune di Pompei;
nessuno presente per la parte appellante;

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1.- Oggetto della domanda di annullamento veicolata con il ricorso di primo grado era la determinazione dirigenziale n. 6434/2015 con la quale il Comune di Pompei rigettava l’istanza di condono proposta ai sensi della l. n. 326 del 2003, riguardante «opere consistenti nella realizzazione del piano terra di un fabbricato per civile abitazione […] catastalmente identificate al fg. 12, particella 2063, sub. 2».

1.2.- Le ragioni di diniego erano correlate ai seguenti elementi:

- l’immobile sarebbe stato realizzato, con incremento di cubatura, su area soggetta a preesistenti (alle opere abusive) vincoli di cui al d. lgs. n. 42 del 2004 e, dunque, non sanabile ai sensi di quanto previsto dall’art. 32, comma 26, lett. a) e comma 27 d.l. n. 269 del 2003;

- l’immobile insisterebbe su area sulla quale vigerebbe il divieto di sanatoria di cui all’art. 3, comma 2, l.r. camp. n. 10 del 2004;

- le opere non sarebbero conformi alle norme urbanistiche.

1.3.- Le doglianze proposte in primo grado dalla parte privata erano così articolate:

1) Violazione del giusto procedimento, violazione art. 6 l. n. 241 del 1990 carenza di istruttoria e omissione di atti necessari. Il provvedimento impinguato, sottoscritto dal dirigente, non avrebbe recato l’indicazione del parere rilasciato dal responsabile del procedimento:

2) Violazione art. 7 l. n. 241 del 1990 e carenza di istruttoria. La mancanza del parere del responsabile del procedimento avrebbe impedito di comprendere l’iter che ha condotto il Comune a far proprio l’esito delle verifiche compiute in sede istruttoria dalla società incaricata Rina Check s.r.l.;

3) Violazione di legge (art. 32 d.l. n. 269 del 2003 e l.r. camp. n. 10 del 2004), manifesta irragionevolezza. L’(asserita) intervenuta formazione del silenzio-assenso avrebbe imposto l’adozione di un provvedimento di autotutela prima dell’emanazione dell’impugnato diniego di condono;

4) Violazione di legge (art. 3 l. n. 241 del 1990;
l. n. 1497 del 1939, d. lgs. n. 42 del 2004);
eccesso di potere sotto diversi profili. Il Comune non avrebbe specificato quale sarebbe il vincolo ostativo al rilascio del provvedimento di condono (e data di relativa apposizione), né avrebbe acquisito il parere della Soprintendenza in presenza di un vincolo che non avrebbe precluso l’edificazione;

5) Violazione art. 32, comma 26, lett. a), l. n. 326 del 2003;
eccesso di potere per carenza di istruttoria e contraddittorietà. I vincoli imposti dal PTP non possono, in tesi, essere considerati vincoli di inedificabilità assoluta e il provvedimento non avrebbe specificato su quale area del medesimo PTP l’intervento insisterebbe;

6) Violazione l.r. camp. n. 10 del 2004 e l.r. camp. n. 21 del 2003;
violazione art. 32, comma 2, lett. d) l. n. 326 del 2003;
difetto di istruttoria e di motivazione. Il vincolo di inedificabilità da c.d. «zona rossa»- rischio vulcanico, non potrebbe, in tesi, spiegare effetti in relazione ad attività edilizia anteriore alla sua apposizione.

2.- Il T.a.r. Campania, sez., 3, con sentenza n. 5993 del 2019, rigettava il ricorso sul rilievo – in via di estrema sintesi – che:

a) le risultanze delle verifiche condotte dalla Società deputata all’esame delle istanze di condono sarebbe stata espressamente condivisa e fatta propria sia dal responsabile del procedimento che dal Dirigente del settore;

- sarebbe da escludersi la formazione del silenzio-assenso, stante la preclusione derivante dal vincolo paesaggistico, considerato, peraltro, che il condono edilizio di cui alla legge n. 326 del 2003 non è consentito per i manufatti comportanti incremento volumetrico nelle zone assoggettate a tale vincolo (la cui natura di vincolo di inedificabilità assoluta escludeva l’acquisizione del parere dell’Amministrazione preposta alla relativa tutela);

- nel caso di specie non ci si troverebbe al cospetto di un c.d. abuso minore ed anzi la parte privata avrebbe proceduto ad un aumento di volume;

- il vincolo paesaggistico avrebbe impedito la condonabilità del manufatto.

Gli ulteriori motivi venivano assorbiti in considerazione del carattere plurimotivato del provvedimento impugnato, sicché il loro accoglimento non sarebbe stato comunque idoneo a soddisfare l'interesse della ricorrente ad ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato.

3.- Avverso la predetta sentenza ha interposto appello, chiedendone la riforma, la parte privata la quale ha così articolato le proprie doglianze:

1) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione art. 6 l. n. 241 del 1990, mancanza del parere del responsabile del procedimento.

Il diniego di condono non recherebbe indicazioni circa l’avvenuta acquisizione del parere del responsabile del procedimento, né sarebbero esplicitate le ragioni per le quali il Comune abbia ritenuto di uniformarsi alle risultanze dell’istruttoria svolte dalla incaricata soc. esterna Rina Check s.r.l.;

2) Error in iudicando. Eccesso di potere per carenza istruttoria, incompetenza, illegittimità della delega della funzione amministrativa, sviamento. Poiché il Comune avrebbe aderito acriticamente all’operato di Rina Check s.r.l senza porre alcuna attività di controllo o di riesame, esso avrebbe delegato, di fatto, la competenza attribuita dalla legge ai Comuni in ordine alla vigilanza e al controllo del territorio, a persona giuridica di diritto privato;
non vincolata, quest’ultima, nello svolgimento del proprio operato, al rispetto dei principi di buon amministrazione, terzietà e non tenuta a orientare le proprie valutazioni a fini di pubblico interesse;

3) Error in iudicando. Violazione art. 32 l. n. 326 del 2003 e l.r. della camp. n. 10 del 2004;
manifesta irragionevolezza. Poiché al momento della decisione di rigetto dell’istanza di condono (22 febbraio 2010) sarebbero trascorsi più di 24 mesi dalla presentazione della stessa (10 dicembre 2004), si sarebbe formato il silenzio-assenso il quale avrebbe imposto un provvedimento di autotutela prodromico al rigetto;

4) Error in iudicando. Violazione l. n. 1497 del 1939 e l.n. 42 del 2004;
eccesso di potere sotto vari profili;
violazione art. 67 c.p.a. Poiché il P.T.P. dei Comuni Vesuviani consentiva (e consentirebbe tutt’oggi) la possibilità di porre in essere interventi di tipo edilizio, il Comune avrebbe dovuto acquisire il parere della Soprintendenza per i beni culturali;
in tal senso sarebbe errata l’affermazione circa la presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta e comunque il T.a.r. non avrebbe indicato la specifica disposizione che impedirebbe alla predetta Soprintendenza il rilascio del parere (a fronte dell’art. 7 l. n. 1497 del 1939 che, invece, lo imporrebbe). In tal senso il T.a.r. avrebbe dovuto disporre la richiesta CTU per la verifica di compatibilità dell’abuso con l’assetto normativo dei luoghi.

L’appellante ha riproposto gli originari quinto e sesto motivo (asseritamente) proposti con il ricorso di prime cure, assorbiti dal T.a.r.:

5) Error in iudicando. Violazione art. 32, comma 26, lett. a) l. n. 326 del 2003;
carenza di istruttoria e contraddittorietà. Non sussisterebbe sull’area interessata dall’abuso un vincolo idrogeologico apposto anteriormente alla realizzazione delle opere abusive: il manufatto risalirebbe agli anni 1994 e 1995 mentre il piano per l’assetto idrogeologico sarebbe stato emanato nel 2002;

6) Error in iudicando. Violazione art.142 d.lgs. 42 del 2004 e art. 82 d.P.R. n. 616 del 1977;
eccesso di potere per carenza istruttoria e violazione dei principi sanzionatori in materia urbanistica. L’amministrazione avrebbe errato nell’affermare la sussistenza del vincolo sulla c.d. «zona rossa» previsto dalla l.r. camp. n. 21 del 2004 inapplicabile, sul piano temporale, al caso di specie (sicché il provvedimento impugnato illegittimamente ne avrebbe operato una applicazione retroattiva).

4.- L’appellante ha reiterato la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio.

5.- Si è costituito il Comune di Pompei il quale – non senza dubitare dell’ammissibilità dell’appello il quale si sarebbe limitato a riproporre i motivi di primo grado senza esprimere puntuali critiche alla sentenza impugnata – ha concluso per l’infondatezza delle avversarie pretese, così articolando le proprie tesi difensive:

- l’area interessata ricadrebbe in zona soggetta ai vincoli di cui al d. lgs. n. 42 del 2004 e a vincolo idrogeologico, asseritamente apposti in data anteriore alla realizzazione delle opere abusive;

- la presenza di nuovi volumi contrasterebbe con il divieto di edificazione previsto per la c.d. zona rossa;

- sul versante procedimentale, il provvedimento recherebbe il riferimento alla istruttoria svolta da Rina Check s.r.l. rispetto alla quale nessun ulteriore obbligo motivazionale gravava sul Comune, né era ravvisabile la necessità di una ulteriore autonoma relazione istruttoria dell’ufficio;

- non sarebbero suscettibili di sanatoria tacita gli immobili siti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico-ambientale;

- l’Amministrazione sarebbe stata tenuta ad acquisire d’ufficio il parere dell’autorità preposta alla gestione del vincolo paesaggistico-ambientale;

- il territorio del Comune di Pompei era sottoposto alla tutela prevista dal r.d. n. 1497 del 1939 e dal d. lgs. 490 del 1999 (oggi, d. lgs. n. 42 del 2004) in virtù dei decreti ministeriali del 17 agosto 1961 e del 28 marzo 1985;

6.- All’udienza pubblica del 16 novembre 2023, presente il procuratore della parte pubblica, l’appello, su richiesta dello stesso, è stato trattenuto in decisione.

7.- L’appello, alla stregua di quanto si dirà, è infondato. Tale esito esonera il Collegio, per evidenti ragioni di economia processuale, dallo scrutinio dell’eccezione con la quale il Comune di Pompei ha revocato in dubbio l’ammissibilità dell’appello.

7.1.- Le censure di carattere procedimentale, relative al fatto che l’istruttoria è stata esternalizzata e che non sussiste una relazione o proposta del responsabile del procedimento, non sono persuasive.

Il provvedimento, infatti, è stato adottato dall’organo competente, il dirigente del Settore urbanistica, ed è stato condiviso dal responsabile del procedimento, sulla base dell’istruttoria condotta dalla Rina Check s.r.l., incaricata.

In altri termini, da un lato, sia il responsabile del procedimento che il dirigente competente all’adozione dell’atto hanno espresso in termini chiari ed inequivoci la volontà dell’Amministrazione comunale di respingere la domanda di condono sulla base di una esaustiva motivazione, dall’altro, nessuna norma preclude all’Amministrazione di avvalersi di una struttura esterna, dotata di adeguata professionalità, per lo svolgimento della relativa istruttoria.

D’altra parte, il carattere strettamente vincolato dell’azione amministrativa contestata porta a ritenere che, ai sensi dell’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, la violazione di norme procedimentali o sulla forma degli atti non avrebbe in alcun caso potuto determinare l’annullamento del provvedimento di reiezione.

8.- Le doglianze relative alla prospettata formazione del silenzio-assenso, ai sensi dell’art. 32, comma 37, d.l. n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003, sono parimenti da disattendere.

In primo luogo, il Collegio rileva che, ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d) , della legge n. 326 del 2003 (c.d. terzo condono), fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria qualora siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Ne consegue che, in presenza di un vincolo ambientale e paesistico preesistente e di un aumento volumetrico non consentito, la formazione del silenzio-assenso non è neanche astrattamente configurabile, essendo la fattispecie totalmente estranea alla volontà condonistica.

Costituisce, in tal senso, ius receptum il principio secondo cui il silenzio-assenso non si integra, in caso di condono, ove l’opera sia in contrasto con i vincoli di inedificabilità (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI, 26 settembre 2022, n. 8303;
Id., 12 luglio 2022, n. 5853;
Id, 15 marzo 2022, n. 1813;
Id., 24 novembre 2020, n. 7382).

Inoltre, sempre con riguardo agli abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, va precisato che il condono previsto dall’art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e, previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni dei relativi strumenti.

Peraltro, la Corte costituzionale, ha ribadito che il comma 27, lettera d), dell’art. 32, attribuisce «carattere ostativo alla sanatoria anche in presenza di vincoli che non comportino l’inedificabilità assoluta» (Corte cost., n. 252 del 2022), con la conseguente carenza di obbligo di acquisizione del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

Nel caso di specie, il fabbricato si trova, tra l’altro, in area sottoposta a vincolo paesaggistico e risulta in contrasto con le prescrizioni del PRG, sicché non può ritenersi formato alcun silenzio-assenso atteso che, si ribadisce, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, tale fenomeno non si integra, in caso di condono, ove l’opera sia in contrasto con i vincoli di inedificabilità (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 26 settembre 2022, n. 8303;
Id., 12 luglio 2022, n. 5853;
Id, 15 marzo 2022, n. 1813;
Id., 24 novembre 2020, n. 7382).

9.- Con ulteriori doglianze, l’appellante ha sostenuto che il manufatto sarebbe stato realizzato in zona compatibile con gli interventi edilizi posti in essere.

La doglianza non è persuasiva.

In primo luogo, come risulta anche dal provvedimento impugnato, avuto riguardo alla descrizione dell’abuso contenuta nel provvedimento impugnato, non può sussistere dubbio sulla correttezza dell’affermazione della presenza di un aumento volumetrico prodotto dallo stesso, incompatibile anche con la disciplina della zona agricola.

D’altronde, il vincolo di tutela paesistica per il Comune di Pompei è stato posto con il d.m. 27 ottobre 1961, emanato dal Ministro per la pubblica istruzione, di concerto con il Ministro per il turismo e lo spettacolo, che ha decretato come «l’intero territorio del comune di Pompei (Napoli), ha notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, ed è quindi sottoposto a tutte le disposizioni contenute nella legge stessa», ciò che esclude ogni rilevanza, nel caso di specie, della disciplina dettata dall’art. 80 d. P.R. n. 616 del 1977.

10.- Il carattere ostativo alla sanatoria – nello specifico procedimento delineando dalla l. n. 326 del 2003 – dei vincoli (al di là del carattere assoluto o relativo), escludeva ogni obbligo di (non utile) acquisizione presso l’Amministrazione preposta alla relativa tutela, risolvendosi detta ipotetica acquisizione solo in un aggravamento del procedimento.

11.- Quanto, da ultimo, al riferimento contenuto nel provvedimento in contestazione ai vincoli derivanti dall’inclusione nella c.d. zona rossa, è sufficiente richiamare le condivisibili statuizioni contenute nella sentenza di questa Sezione n. 3508 del 5 aprile 2023.

Il Comune di Pompei è incluso nella c.d. «zona rossa», prevista dalla l.r. Campania n. 21 del 2003, rubricata «Norme urbanistiche per i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area Vesuviana».

Tale normativa è volta ad impedire che, nella detta zona, si realizzino nuove abitazioni con conseguente aumento del rischio per la sicurezza e l’incolumità pubblica, per cui si tratta, di un intervento normativo che regola le costruzioni future mentre interventi già realizzati e privi di titolo edilizio sono governati dalla normativa di cui alla l.r. della Campania n. 10 del 2004, emanata a seguito della sentenza n. 196 del 2004, con cui la Corte costituzionale riconosce la violazione delle competenze legislative regionali da parte della normativa statale sul c.d. terzo condono, affermando la necessità che alle Regioni sia riconosciuta la possibilità di emanare norme integrative attraverso una legge apposita, da emanare entro un congruo termine, successivamente fissato dal legislatore nazionale con la previsione di cui all’art. 5, comma 1, del d.l. n. 168 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 191 del 2004.

La l.r. Campania n. 10 del 2004 estende la normativa della c.d. zona rossa agli abusi assentibili con la normativa sul c.d. terzo condono;
inoltre, la disposizione di cui all’art. 3, comma 2, lettera d), della legge in esame esclude che possano formare oggetto di domanda di sanatoria le opere abusive rientranti tra le tipologie di cui al d.l. n. 269 del 2003, allegato 1, se le stesse siano state realizzate in uno dei Comuni di cui alla legge regionale 10 dicembre 2003, n. 21 (articolo 1) e abbiano destinazione residenziale, fatta eccezione per gli adeguamenti di natura igienico-sanitaria e funzionali di cui all'articolo 5, comma 2, della stessa legge.

Il limite imposto dalla L.r. della Campania n. 10 del 2004 mediante il richiamo alle previsioni generali di cui alla L.r. della Campania n. 21 del 2003, pertanto, non soltanto non è interessato dalle pronunce dell’organo di legittimità costituzionale ma neppure presenta il medesimo difetto delle disposizioni della l.r. della Campania n. 10 del 2004 interessate da tali pronunce non essendo attuativo del terzo condono ma trattandosi di una regolazione ordinaria che, «a completamento delle misure in generale volte a impedire che in zona rossa si realizzino nuove abitazioni», esclude il condono per abusi di tipo residenziale realizzati in tale area (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 aprile 2023, n. 3508, che richiama Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2023, n. 295;
Id., 30 luglio 2019, n. 5381;
Id, 23 luglio 2018 n. 4465).

12.- Il quinto motivo di appello, involgente la sussistenza o meno di un pregresso vincolo idrogeologico, attiene a questione – in disparte la sua irrilevanza, in ragione del carattere plurimotivato del provvedimento impugnato – proposta per la prima volta in appello e, dunque, inammissibile. L’originario quinto motivo di ricorso di primo grado qui asseritamente riproposto, riguardava, infatti, soltanto la dedotta conformità dell’intervento al PTP e non anche la violazione della disciplina del vincolo idrogeologico.

13. Il Collegio, in ragione di tutto quanto esposto, ritiene che non sussiste alcuna esigenza di disporre la CTU richiesta dalla parte.

14. In definitiva l’appello è infondato e deve essere rigettato.

15.- Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi