Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-02-09, n. 202401337

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-02-09, n. 202401337
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202401337
Data del deposito : 9 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/02/2024

N. 01337/2024REG.PROV.COLL.

N. 06132/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6132 del 2021, proposto da
Comune di Mola di Bari, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M L, S N, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A D V in Roma, viale G. Mazzini n. 73;

contro

-OMISSIS-,-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato D E P, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 485/2021, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS- e di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2023 il consigliere Angela Rotondano e udito per gli appellanti l’avvocato Petronella;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Gli originari ricorrenti, odierni appellati, impugnavano dinnanzi al T.a.r. Puglia- sede di Bari, in uno agli atti presupposti e consequenziali, l’ordinanza n. 1 del 31 agosto 2020, a firma del Responsabile del Settore Economico- Finanziario, notificata ai destinatari in varie date, a partire dal 3 settembre 2020 e sino all’8 ottobre 2020, con la quale il Comune di Mola di Bari aveva ingiunto lo sgombero di un immobile sito in territorio comunale, identificato catastalmente al foglio di mappa 4, particella 117, bene acquisito di diritto al patrimonio disponibile del Comune (con ordinanza n. 28 del 24 marzo 1992) e occupato senza titolo da terzi.

2. Avverso gli atti gravati, si formulavano plurime doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere, deducendo, con il primo motivo, la nullità dell’ordinanza di sgombero ai sensi dell’art. 21- septies della legge n. 241/1990, poiché adottata dal Comune di Mola di Bari in carenza assoluta di potere, mentre con ulteriori cinque motivi, proposti in via subordinata, se ne deduceva l’illegittimità per:

- violazione dell’art. 7 della legge 241/1990 poiché non sarebbe stata preceduta da comunicazione di avvio del procedimento;

- violazione degli articoli 3 e 21- septies della legge 241/1990 poiché non indicherebbe le ragioni giuridiche e le norme di legge poste alla base dell’azione autoritativa esercitata dal Comune di Mola di Bari;

- difetto di presupposto, stante la nullità o l’illegittimità per difetto di competenza dell’ordinanza n. 20/1992, di acquisizione al patrimonio comunale dell’immobile in contestazione, in quanto emessa dall’Assessore all’Urbanistica e non dal Sindaco;

- vizio di omessa notifica dell’ordinanza impugnata e degli atti presupposti ai ricorrenti;

- intervenuta usucapione dei beni.

2.1. Si costituiva in resistenza il Comune intimato, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

3. Accolte le istanze cautelari in sede monocratica e collegiale, il Tribunale amministrativo, con la sentenza impugnata, accoglieva il ricorso, ritenendolo ammissibile e fondato con riferimento al primo motivo “avuto riguardo all’impiego illegittimo, da parte del Comune, di uno strumento di autotutela esecutiva per conseguire il recupero di un bene appartenente al patrimonio disponibile dell’Ente civico” , con assorbimento delle ulteriori censure, e compensava le spese di giudizio.

4. Il Comune di Mola ha appellato la sentenza, invocandone la riforma per tre motivi di diritto, così rubricati: “1. Error in iudicando . Sull’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente la legittimazione attiva degli appellati.

2. Error in iudicando. Erronea applicazione dell’art. 823 del codice civile. Omesso esame della natura del provvedimento. Omesso esame e/o applicazione delle previsioni di cui all’art. 18 della legge n.47/1985. Omessa ed erronea ricostruzione della vicenda in punto di fatto. Illogicità. Irragionevolezza.

2. In via subordinata. Sull’omessa pronuncia in relazione all’eccezione di difetto di giurisdizione. Sulla violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art.112 c.p.c.
.

4.1. Gli appellati, costituitisi in giudizio, hanno chiesto il rigetto del gravame, di cui hanno illustrato l’infondatezza e, con la medesima memoria, hanno riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. i motivi di ricorso avanzati in primo grado e assorbiti dalla sentenza (compreso quello con cui si era chiesto di esaminare, ex art. 8 c.p.a., la questione incidentale dell’intervenuta usucapione dell’immobile per possesso ventennale e ininterrotto da parte dei medesimi appellati), insistendo per il loro accoglimento.

4.2. Con ordinanza n. 4785/2021 il Collegio su richiesta di parte appellante ha disposto l’abbinamento al merito dell’istanza cautelare.

4.3. All’udienza del 13 luglio 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

5. È appellata dall’Amministrazione comunale la sentenza in epigrafe che, ritenendo fondato in via assorbente il primo motivo di doglianza proposto sull’illegittimo ricorso all’autotutela esecutiva con riferimento a un bene del patrimonio disponibile, ha dichiarato nulla ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990 l’ordinanza di sgombero sul rilievo per cui, per ottenerne il rilascio, il Comune non avrebbe potuto esercitare poteri autoritativi, ma avrebbe dovuto agire innanzi al giudice ordinario, ricorrendo agli strumenti previsti dalla legge per la tutela della proprietà e del possesso.

6. L’appello, come esposto in fatto, è affidato a tre motivi.

6.1. Con il primo motivo, il Comune contesta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente la legittimazione attiva dei ricorrenti, malgrado gli stessi non fossero stati neppure individuati come occupanti abusivi degli immobili. Né i medesimi avrebbero dato prova in ordine alla detenzione dell’area.

6.2. Col secondo motivo, ricostruite compiutamente le vicende pregresse che hanno interessato l’immobile in questione, il Comune lamenta che il T, recependo acriticamente gli assunti dei ricorrenti e sulla base di una ricostruzione dei fatti sganciata dalle risultanze di causa, si sia esclusivamente soffermato sulla riconducibilità del bene immobile oggetto del provvedimento di sgombero al patrimonio disponibile dell’Ente, ritenendo perciò illegittimo che quest’ultimo avesse tentato di recuperarlo autoritativamente, anziché “mediante l’esercizio della tutela privatistica, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio” .

6.2.1. Secondo il Comune appellante tali statuizioni, con cui il T ha ritenuto che nella fattispecie il Comune, per il recupero del bene del patrimonio disponibile, “avrebbe dovuto avvalersi degli ordinari strumenti giurisdizionali” , anziché esercitare l’autotutela esecutoria ex art. 823 c.c., sarebbero errate in quanto “non terrebbero minimamente conto delle ragioni che avevano condotto all’intimazione dello sgombero” : l’atto di sgombero in questione costituirebbe, infatti, nient’altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380/2001), del connotato dell’esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione, senza l’intermediazione dell’autorità giudiziaria.

6.2.2. Si tratterebbe, in particolare, di atto esecutivo del precedente provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale dell’immobile ai sensi dell’art. 18 della legge n. 47/1985.

Non si verterebbe, pertanto, dell’esercizio dei poteri di autotutela disciplinati dall’art. 823 comma 2 del codice civile, bensì di quelli di vigilanza e repressione, afferenti “alle funzioni di controllo e sanzione in materia edilizia” , di cui il Comune è titolare.

6.2.3. E tanto limpidamente sarebbe emerso dagli atti di causa depositati nel giudizio di primo grado, nonché dalle deduzioni difensive con cui l’Amministrazione ha evidenziato che:

- con ordinanza sindacale n. 20/1985, il Comune contestava agli allora proprietari del fondo in questione (che lo avevano acquistato pro indiviso in virtù di atto pubblico notarile del 20 luglio 1983 e con successivi atti traslativi) l’illegittimo frazionamento per presunte finalità di utilizzo edificatorio, desunte da una serie di elementi ivi puntualmente indicati;

- con l’ordinanza n. 80 del 6.7.88, adottata ai sensi dell’art. 18, commi 1 e 7, della legge n. 47/1985 e trascritta nei pubblici registri immobiliari, l’allora Sindaco del Comune vietava quindi ai proprietari dell’area “di disporre con atti tra vivi dell’immobile” ;

- in assenza di revoca e impugnazione del provvedimento nei termini di legge e dopo che all’esito di un successivo sopralluogo, effettuato dalla Polizia Municipale in data 13 marzo 1992, si era accertata l’esistenza di opere abusive con lavori in corso sull’area in oggetto (come documentato dal verbale di contravvenzione prot. n. 4333 redatto nei confronti dei ricorrenti in pari data), con ordinanza dell’Assessore all’Urbanistica n. 28 del 24 marzo 1992, anch’essa trascritta presso la Conservatoria dei Registri immobiliari, le aree venivano acquisite di diritto al patrimonio disponibile del Comune, come previsto dal comma 8 dell’art. 18 dell’allora vigente legge n.47/1985 (a norma del quale “Trascorsi novanta giorni (cfr. dall’accertamento della lottizzazione dei terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione), ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma precedente, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui sindaco deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia del sindaco si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all'articolo 7” ) ; si disponeva, altresì, con la medesima ordinanza che l’Ufficio Tecnico provvedesse alla demolizione delle opere e dei manufatti abusivi di cui al verbale di contravvenzione prot. n. 4333 del 13.3.1992;

- i su indicati provvedimenti presupposti dell’ordinanza di sgombero impugnata sono divenuti definitivi, atteso che tutte le impugnazioni proposte dai ricorrenti avverso gli stessi, al pari di quella contro la successiva ordinanza n. 91 del 10.8.1995 che pure disponeva lo sgombero delle medesime aree di proprietà comunale, erano dichiarate perente, dopo che il T adito aveva già respinto le istanze cautelari a corredo dei ricorsi;

- a seguito di protratta occupazione sine titulo dell’area di proprietà comunale da parte degli odierni appellati, accertata da ispezione eseguita dalla Polizia Municipale nel corso del 2019, il Comune adottava l’ordinanza impugnata dai ricorrenti in primo grado.

6.2.4. Tanto premesso, il Comune sostiene che l’ordinanza di sgombero dell’immobile occupato, al pari degli atti presupposti, sarebbe stata legittimamente adottata nell’esercizio dei poteri di vigilanza e di repressione delle violazioni urbanistico-edilizie commesse sul territorio, poteri conferiti all’ente dall’allora vigente legge n. 47/1985 e oggi dal d.P.R. n. 380/2001, e che sarebbe perciò di per sé connotata dal carattere dell’esecutorietà.

6.2.5. Più precisamente, l’ordinanza impugnata sarebbe finalizzata a eseguire l’acquisizione al patrimonio del bene (disposta a suo tempo con la menzionata ordinanza n. 28 del 24.3.1993) e a consentire la demolizione delle opere costruite senza titolo sul fondo in questione, nel legittimo esercizio da parte dell’ente comunale del potere amministrativo di sgombero di aree acquisite a norma di legge a seguito di accertati abusi edilizi (nella specie, l’accertata lottizzazione abusiva ai sensi dell’art. 18, comma 8, della legge 47/1985).

Tali evidenze non sarebbero poi smentite neppure da quanto infondatamente dedotto dagli appellanti ed erroneamente ripetuto dalla sentenza appellata circa il fatto che, anche a seguito dell’adozione dell’ordinanza n. 28 del 1992, il Comune avrebbe consentito “che i ricorrenti continuassero a possedere detto immobile e a pagare l’I.M.U. ed altri tributi locali” .

6.3. Col secondo motivo proposto in via gradata, per il caso in cui si ritenga che l’azione amministrativa non sia riconducibile all’esercizio di poteri pubblicistici, il Comune ripropone l’eccezione, formulata in primo grado, di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, eccezione che il Tribunale non avrebbe esaminato, in violazione dell’art. 112 c.p.c.

7. L’appello è infondato.

7.1. Non può, innanzitutto, essere condiviso il primo motivo.

7.1.2. Sono corrette le statuizioni della sentenza secondo cui “Anche se i ricorrenti non sono i destinatari del provvedimento impugnato, essi hanno legittimazione attiva a ricorrere in quanto deducono di aver conservato fino ad oggi il possesso prolungato dell’immobile” .

7.1.3. Non sono, invece, condivisibili i rilievi dell’appellante.

7.1.4. Gli appellati, coniugati in regime di comunione legale dei beni, acquistarono, con atto notarile del 20 luglio 1983, la proprietà indivisa del fondo sito in agro di Mola di Bari, individuato catastalmente al foglio 4, particella 117: ovvero il bene rispetto al quale il Comune, come meglio si dirà, contestò a uno dei ricorrenti (precisamente, il -OMISSIS-) e ad altri il frazionamento illegittimo per finalità edificatorie.

In seguito, il Comune notificò sempre al solo ricorrente -OMISSIS- le ordinanze adottate nel 1992 e nel 1995, con le quali si dispose l’acquisizione del bene al patrimonio comunale e si ordinò lo sgombero dell’area occupata.

7.1.5. Gli appellati hanno dunque certamente interesse ad agire in giudizio avendo altresì formulato eccezione riconvenzionale per l’accertamento della maturata usucapione del fondo a loro favore.

7.2. Tanto preliminarmente osservato nel merito vanno confermate le statuizioni della sentenza appellata, pur con le seguenti precisazioni.

7.3. In linea generale, va ribadito che, come affermato dalla giurisprudenza che il Collegio condivide, il provvedimento con il quale l’amministrazione comunale ordina lo sgombero di un immobile abusivamente realizzato, acquisito al patrimonio pubblico a seguito di inottemperanza all’ordine di demolizione, “costituisce esercizio di poteri pubblicistici di repressione dell’abusivismo e conseguentemente la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo” (Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 20 marzo 2020 n. 194).

L’atto di sgombero dell’immobile abusivo che sia stato acquisito al patrimonio comunale per inottemperanza all’ordine di demolizione notificato al privato - che si inserisce nell’ambito dei provvedimenti repressivi dell’abusivismo ordinariamente di competenza dirigenziale - ha dunque natura provvedimentale e autoritativa, essendo riconducibile all’esercizio di poteri pubblicistici dell’ente locale, il che dà luogo alla potestas iudicandi del giudice amministrativo sulle relative controversie.

7.3.1. A tal riguardo le sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n.19889/2014 hanno chiarito che: “Occorre in proposito rilevare che il potere di demolizione (ed il "propedeutico" potere di sgombero) di un manufatto abusivo spetta al giudice penale ed all'Amministrazione comunale in maniera autonoma e concorrente, spettando in particolare al giudice dell'esecuzione penale i profili applicativi dell'ordine di demolizione impartito nella sentenza penale ed al giudice amministrativo la giurisdizione sui provvedimenti sanzionatori adottati dalla P.A.. Ne discende che la giurisdizione in relazione al provvedimento di demolizione (e, per quel che concerne la fattispecie in esame, in relazione a quello "propedeutico" di sgombero) adottato dalla P.A. spetta al giudice amministrativo, e ciò a prescindere dalle ragioni addotte in tale provvedimento - che saranno eventualmente sindacate dinanzi a quel giudice - onde ogni eventuale contestazione circa la spettanza del relativo potere in capo alla Amministrazione che ha adottato il provvedimento ovvero circa le modalità con cui esso è stato esercitato (anche in relazione ai presupposti del medesimo ed alla motivazione con riguardo ad una eventuale concessione in sanatoria, profilo quest'ultimo espressamente sottolineato dai ricorrenti e in ogni caso non costituente doglianza proponibile in relazione all'ordine di demolizione disposto dal giudice penale) configura questione devoluta al giudice amministrativo, peraltro concernente eminentemente il merito, perciò esorbitante le questioni proponibili col regolamento in esame. Deve essere pertanto dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo ….” .

7.3.2. Non sono, invero, mancate nella giurisprudenza amministrativa differenti opzioni interpretative, rimaste ancorate al rilievo dell’appartenenza o meno dell’immobile abusivo, acquisito dal comune, al patrimonio indisponibile o disponibile dell’ente stesso, con conseguente differente modulazione della forma di invalidità dell’ordinanza di sgombero, nonché del riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e ordinario (cfr. Cons. giust. amm. sic., sez. giur. 3 aprile 2018, n. 178).

Tale orientamento, muovendo dalla considerazione per cui l’art. 823 c.c. ammette il ricorso dell’Amministrazione all’esercizio dei poteri amministrativi al solo fine di tutelare i beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile, sicché il potere di autotutela esecutiva presuppone il previo accertamento della natura del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria, ha, in particolare, ritenuto che: “ Secondo, infatti, l’art. 15 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, sostituito dal Capo I della legge n. 47/85 e poi dall’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, “qualora il responsabile dell’abuso non provveda alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti gratuitamente al patrimonio del comune”. L’art. 15 cit. fa quindi riferimento al “patrimonio” del comune senza ulteriori aggettivi (disponibile/indisponibile) idonei ad identificare la natura del patrimonio. Nello stesso senso anche il comma quinto dell’art. 31, secondo cui l’opera abusiva, acquisita al “patrimonio” del comune a seguito dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’aspetto idrologico. Sicché è l’accertamento della vocazione dell’immobile acquisito al soddisfacimento di finalità pubbliche da parte del consiglio comunale che ne consente l’inclusione nel patrimonio indisponibile dell’ente. (...) Diversamente, in assenza di una deliberazione in tale senso, quale potrebbe essere la destinazione ad un pubblico servizio, il bene rientra nella categoria dei beni patrimoniali disponibili, con la conseguenza che l’Amministrazione può, ove richiesto, adottare solo i rimedi di carattere ordinario. Ipotesi che ricorre nella controversia oggetto dell’appello, non avendo l’immobile di cui si discute i requisiti che ne consentirebbero la qualificazione come bene appartenente al patrimonio indisponibile. Con la conseguenza che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia in ordine all’ordinanza di sgombero di un immobile che si colloca nell’alveo del patrimonio disponibile del comune, essendo stata tale ordinanza emessa in carenza assoluta di potere e, pertanto nulla, con conseguente lesione di diritti soggettivi tutelabili innanzi al giudice ordinario” (così testualmente Cons. giust. amm. sic., sez. giur. 3 aprile 2018, n. 178;
cfr. nello stesso senso, Cons. Stato, sez. VII, 19 maggio 2023 n. 4987;
Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934).

7.3.3. Tuttavia, ciò precisato per doverosa completezza, non sembra al Collegio dubitabile che ogni qualvolta in cui l’atto di sgombero costituisca “ nient’altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380/2001), del connotato dell’esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione e senza l’intermediazione dell’autorità giudiziaria” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316), esso viene a configurarsi a guisa di vero e proprio provvedimento amministrativo, esecutivo di precedenti misure repressive di opere abusive, attratto, come tale, al sistema tipizzato delle sanzioni in materia edilizia, vertendosi in un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia ai sensi dell’ art. 133, lett. f), c.p.a. (cfr. in tal senso anche Cons. giust. amm. sic., 194/2020 cit.).

Sempre in linea generale e per quanto di interesse nella presente fattispecie, giova anche precisare che il testo unico per l’edilizia ha espressamente individuato la natura da attribuire ai terreni oggetto di lottizzazione abusiva avendo per tale ipotesi previsto, all’art. 30 (e già al previgente art. 18 legge n. 47 del 1985), che l’amministrazione dispone la sospensione dei lavori con conseguente acquisizione, trascorsi novanta giorni, delle aree lottizzate al “patrimonio disponibile del comune” e conseguente demolizione delle opere realizzate.

7.4. Orbene, tanto chiarito e così tracciate sinteticamente le coordinate ermeneutiche alla luce delle quali va esaminata la fattispecie, la prospettazione del Comune non può essere condivisa.

7.5. Sebbene, come detto, l’amministrazione possa legittimamente agire seguendo le regole proprie dell’esercizio dei poteri autoritativi di sgombero nell’ambito del procedimento repressivo-ripristinatorio degli abusi edilizi così come tratteggiato dalla disciplina del d.P.R. n. 380 del 2001 al fine di ottenere il rilascio dell’immobile occupato da soggetti privati (il più delle volte gli ex proprietari), onde eseguire concretamente l’immissione in possesso finalizzata alla successiva demolizione dello stesso oppure, a determinate condizioni, al suo utilizzo per fini pubblici, di tanto, però, non vi è alcuna evidenza nell’ordinanza di sgombero impugnata.

7.6. Se è vero che l’atto di sgombero è certamente strumento idoneo a perseguire il mancato rilascio dei beni, spesso occupati, anche dopo l’acquisizione, dagli stessi soggetti che hanno perpetrato l’illecito edilizio, deve, tuttavia, rilevarsi come il provvedimento impugnato non contenga alcun riferimento all’esercizio dei poteri repressivi in materia edilizia ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001, né cenno alcuno all’abusività dei manufatti o a eventuali ordinanze di demolizione che non risultano nel frattempo neanche adottate (né la difesa dell’Amministrazione ha dato prova contraria), avendo il Comune soltanto disposto, con la più volte menzionata ordinanza assessorile del 1992, che l’Ufficio tecnico avesse cura di provvedere alla loro adozione.

7.6.1. L’ordinanza di sgombero si limita, infatti, a enunciare che sui lotti occupati senza titolo dei ricorrenti in cui è suddiviso il terreno “vi sono dei manufatti edili diversi tra loro per tipologia, forma e utilizzo di materiali costruttivi con annessa strada interpoderale delimitata da due cancelli metallici, uno posizionato in corrispondenza della complanare, l’altra a delimitazione della spiaggia” e a richiamare succintamente le risalenti ordinanze n. 80/1988, n. 28/1992 e n. 91/1995, con le quali, rispettivamente, si vietò di disporre con atto tra vivi dell’immobile, se ne dispose l’acquisizione di diritto al patrimonio del Comune e si ordinò, a suo tempo, lo sgombero dell’area già occupata;
ma non contiene il benché minimo riferimento alla commissione di abusi edilizi o indicazione sulla loro concreta consistenza.

7.6.2. Solo in sede di giudizio, con le deduzioni processuali contenute negli atti di causa, il Comune ha sostenuto che l’impugnata ordinanza di sgombero sia riconducibile ad attività esecutiva del procedimento repressivo e sanzionatorio di illeciti edilizi avviato nel 1992 con l’acquisizione del bene al patrimonio disponibile a seguito del contestato frazionamento per finalità edificatorie.

7.6.3. Per contro, il provvedimento gravato non contiene alcun riferimento che consenta di ricondurlo all’esercizio dei poteri pubblicistici afferenti alle funzioni di controllo e sanzione in materia edilizia.

7.7. In sostanza il Comune ha soltanto ordinato il rilascio del bene disponibile di sua proprietà occupato sine titulo , dichiarando espressamente di agire con lo strumento in parola (cfr. frontespizio dell’atto) per far fronte alla “occupazione di immobile di proprietà comunale” .

7.8. Pertanto, in assenza di elementi che consentano di configurare l’ordinanza in questione come il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380/2001), del connotato dell’esecutorietà, secondo quanto asserito, ma non dimostrato dal Comune appellante, non resta in effetti al Collegio che ricondurre l’azione intrapresa dal Comune, per come concretamente esercitata, ai poteri di autotutela disciplinati dall’art. 823 comma 2 del codice civile.

7.9. In tal caso, tuttavia, al cospetto di un bene al patrimonio disponibile del comune- quale pacificamente è il terreno oggetto della presente controversia acquisito gratuitamente al patrimonio dell’ente a seguito dell’illegittimo frazionamento per pretese finalità edificatorie contestato ai ricorrenti - il Comune non avrebbe potuto esercitare l'autotutela amministrativa per le ragioni correttamente indicate dal primo giudice.

Il recupero del bene avrebbe dovuto essere seguire, invece, le vie contrassegnate dagli strumenti giurisdizionali ordinari, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934).

7.9.1. I poteri di tutela esecutoria dell’Amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sono da ritenersi sine titulo quando la Pubblica amministrazione agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l’esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento.

L’autotutela demaniale si collega, infatti, al regime dominicale del bene pubblico, in coerenza con le funzioni amministrative di disciplina, ordinata gestione e uso del bene medesimo e con l’esigenza di “reagire” rispetto a condotte appropriative o usurpative di carattere privato.

7.9.2. In questa direzione e con le precisazioni sopra indicate sono, dunque, corrette e vanno confermate le statuizioni di prime cure, che hanno ravvisato nell’ordinanza impugnata, intesa a recuperare un bene del patrimonio disponibile del Comune, un esercizio illegittimo della c.d. potestà d’autotutela esecutiva o esecutoria.

7.9.3. Sussiste, infatti, una effettiva e comprovata divergenza, nei sensi sopra indicati, fra l’atto di sgombero e la sua funzione tipica, essendo stato il potere esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dalla norma attributiva dello stesso.

8. In punto di giurisdizione, si osserva invece, preliminarmente, che:

- a fronte di un provvedimento impugnato avente innegabile portata autoritativa ed emesso facendo perno su chiare prerogative pubblicistiche e sulla scorta di una sottostante spendita di un potere, non è dubitabile il radicarsi nella presente controversia della giurisprudenza amministrativa, come peraltro indicato nel provvedimento di sgombero notificato ai ricorrenti che, espressamente, prevedeva la possibilità di proporre ricorso giurisdizionale innanzi al T.A.R. competente nel termine di 60 giorni dal giorno successivo alla data di notifica o, in alternativa, ricorso straordinario, entro 120 giorni dalla stessa data, al Presidente della Repubblica.

- vero è che la sola indicazione dell’Autorità giudiziaria dinanzi alla quale è possibile esperire i rimedi di giustizia non rappresenta ex se un indice dirimente in ordine alla sussistenza della giurisdizione del giudice così individuato, ma è altrettanto vero che prevalenti ragioni militano nel senso della correttezza di tale (comunque significativa) indicazione.

8.1. Ed infatti, deve rilevarsi che:

- se, da un lato, nel caso di esercizio del potere di autotutela possessoria in via amministrativa per i beni demaniali e patrimoniali indisponibili, disciplinato dall'art. 823 c.c., la presenza dell'interesse pubblico e del potere autoritativo esercitato sono idonei a determinare l'assoggettamento del privato all'esercizio della pubblica funzione che vi è riconnessa e la conseguente degradazione della relativa posizione giuridica vantata, per cui la questione dominicale dedotta può costituire oggetto da parte del giudice amministrativo di valutazione incidenter tantum , onde verificare la legittimità dell'atto impugnato, in coerenza con le previsioni di cui all'art. 8 c.p.a.;

- dall’altro, come la giurisprudenza ha chiarito al riguardo, la posizione soggettiva del privato che si oppone al provvedimento di reintegra è quella di interesse legittimo ogni qualvolta vengano in rilievo atti autoritativi resi, come nella specie, dagli enti locali (cfr. Cass., sez. un., 29 aprile 2008, n. 10814;
Cons. Stato, sez. II, 11 gennaio 2006, n. 1572/2003;
Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2009 n. 595);
nel presente giudizio si controverte, infatti, in ordine alle modalità di esercizio del potere amministrativo onde ottenere l’annullamento dell’atto impugnato.

9. Quanto ai motivi e alle questioni riproposte si osserva sinteticamente quanto segue.

9.1. Gli appellati ripropongono la questione dell’intervenuta usucapione secondo due profili.

9.1.1. In primo luogo sollevano eccezione riconvenzionale relativa alla maturata usucapione del fondo, richiedendo al giudice amministrativo, come nel ricorso introduttivo di primo grado, di valutare la sussistenza della propria giurisdizione anche incidenter tantum sulla scorta del richiamo all’art. 8 cod. proc. amm. ( Cognizione incidentale e questioni pregiudiziali ).

9.1.2. Sotto altro profilo, con apposito motivo specificamente riproposto ai sensi e per gli effetti dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm., domandano al giudice amministrativo di accertare se sia intervenuta l’acquisizione della proprietà del bene per usucapione ventennale, in virtù di possesso continuato e ininterrotto, sussistendone i presupposti ai sensi dell’art. 1158 c.c.

9.2. Preliminarmente, il Collegio rileva che, per come la questione è stata riproposta, non è chiaro se l’interesse al suo esame prescinda dall’esito dell’appello principale ovvero permanga subordinatamente all’accoglimento di quest’ultimo.

9.3. Ad ogni modo, si osserva che:

- a norma del richiamato art. 8, comma 1, c.p.a. “1. Il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale” .

- muovendo, quindi, dal dato testuale della norma, la stessa non può applicarsi nel caso di specie poiché deve escludersi che qui si verta nell’ipotesi in cui il giudice amministrativo, per il caso in cui non ha giurisdizione esclusiva, possa conoscere delle questioni, pregiudiziali o incidentali, relative a diritti;

- respinto l’appello con la conferma della sentenza che ha annullato l’ordinanza di sgombero, la questione dell’intervenuta usucapione non è, infatti, una questione pregiudiziale, necessaria per definire il giudizio.

9.4. La questione dell’avvenuto trasferimento di proprietà non può, pertanto, formare oggetto di accertamento incidentale ed esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, dovendo gli appellati rivolgersi al giudice ordinario, alla cui giurisdizione appartiene l’azione con cui un privato, destinatario di un ordine di rilascio di un immobile, chiede l’accertamento dell’intervenuta usucapione dello stesso, dichiarandone l’acquisto a titolo originario.

9.5. In casi analoghi, infatti, si è già ripetutamente pronunciata la giurisprudenza, secondo cui, ad esempio, nell’ipotesi in cui la p.a. emetta ordinanza di rilascio di un immobile sul presupposto della sua demanialità, a dispetto della sua appartenenza al patrimonio comunale disponibile, e il privato occupante proponga opposizione chiedendo l’accertamento del proprio diritto sul bene derivante da un contratto di diritto privato, la relativa controversia spetta alla cognizione del giudice ordinario in quanto non investe i vizi dell’atto amministrativo, ma si esaurisce nell’indagine sulla validità del contratto riguardante il bene patrimoniale ed è quindi rivolta alla tutela di diritti soggettivi (cfr. Cass. civ., Sez. un., 15 luglio 1999, n. 391).

9.6. Per converso, l’azione di accertamento è ammessa nell’ambito della giurisdizione esclusiva (del giudice amministrativo) nei soli casi in cui sia controverso un rapporto giuridico, caratterizzato dalla correlazione tra un diritto soggettivo e un corrispondente obbligo, mediato, eventualmente, dall’adozione di un atto paritetico, e non anche per quanto concerne gli interessi legittimi o, comunque, situazioni che trovano titolo in atti amministrativi di carattere autoritativo, ancorché vincolati (cfr. Cons. St., sez. V, 6 ottobre 1999, n. 1343).

9.7. Quanto alla domanda riconvenzionale, si rileva che quest’ultima è ammessa quando si controverte di diritti e, nel caso di specie, per quanto detto sul tipo di potere esercitato nella fattispecie (la vicenda edilizia e urbanistica è appena latamente sottintesa, solo intuendosi mediante un mero fugace richiamo agli atti presupposti, ma non è coerentemente esplicitata a fondamento dei poteri repressivi e ripristinatori dell’ente civico) non si ricade in un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

In conclusione l’appello va respinto a ciò conseguendo la conferma della sentenza di primo grado di annullamento degli atti impugnati, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti adottabili dall’amministrazione nel riesercizio del potere.

Le questioni esaminate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati presi in considerazione tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, mentre restano assorbiti i restanti motivi comunque inidonei a fondare una pronunzia di tipo diverso.

10. Attesa la natura dei fatti posti a base del giudizio e la complessità delle questioni trattate, sussistono comunque giusti motivi per disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti.

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