Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-05-11, n. 201802839

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-05-11, n. 201802839
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802839
Data del deposito : 11 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/05/2018

N. 02839/2018REG.PROV.COLL.

N. 02203/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2203 del 2014, proposto da
Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per Le Province di Lecce,Brindisi e Taranto, Direzione per i Beni Culturali e Paesaggistici, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

V A, rappresentato e difeso dall'avvocato M C, con domicilio eletto presso lo studio Srl Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini 30;

nei confronti

Comune di Acquarica del Capo, Antonio Zuppelli non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) n. 02451/2013, resa tra le parti, concernente adozione del provvedimento di tutela vincolistica


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di V A;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2018 il Cons. D P e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Stigliano Messuti, Pasqualone in delega di Congedo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 2451 del 2013 con cui il Tar Lecce accoglieva l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dal proprietario dei terreni interessati avverso il provvedimento di vincolo indiretto, imposto ai sensi dell’art. 45 d. lgs. n. 42 del 2004, nei confronti di una pluralità di immobili siti in agro di Acquarica del Capo (, in catasto al fg. 13, p.lle 25, 27/p, 46, 47, 49, 50, 51, 53, 98, 264, 484, 725, 726/p).

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, il Ministero appellante censurava la sentenza impugnata ritenendola erronea sotto una pluralità di profili.

La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello e riproponendo le censure di primo grado.

Con ordinanza n. 1715\2014 veniva respinta la domanda cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata per carenza del presupposto del danno grave ed irreparabile.

Alla pubblica udienza del 10\5\2018 la causa passava in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Come emerge dalla documentazione in atti, il provvedimento annullato dalla sentenza appellata costituisce la rideterminazione della p.a. conseguente al giudicato di annullamento del precedente analogo atto, impositivo del vincolo indiretto.

In particolare, il precedente decreto del Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia n. 871 del 2011, con cui i medesimi terreni circostanti la Masseria in questione venivano dichiarati di interesse culturale ai sensi dell’articolo 45 del decreto legislativo n. 42 del 2004, era stato oggetto di impugnativa giurisdizionale il cui accoglimento aveva comportato l’annullamento del decreto stesso.

Dalla sentenza di appello n. 61\2013, di conferma della pronuncia di annullamento di prime cure, risulta la fondatezza dei rilievi dedotti, nel senso che, in primo luogo, l’Amministrazione non risultava aver effettuato alcuna valutazione sui profili rilevanti al fine di consentire agli interessati di poter comprendere l’iter logico dalla medesima seguito nell’assumere la contestata decisione di apposizione del vincolo indiretto sui terreni adiacenti la masseria di Celsorizzo;
in secondo luogo, veniva evidenziato come, nell’imporre il vincolo de quo, la p.a. non si sia soffermata ad individuare puntuali canoni valutativi e motivazionali idonei ad “evitare che la vincolatività indiretta, accessoria e strumentale si trasformi in una vincolatività generale ed indifferenziata” o che abbia effettuato oltre ad una specifica valutazione dell’interesse pubblico “particolare” perseguito anche una valutazione della “proporzionalità del mezzo rispetto al fine conseguito (e dell’) impossibilità di scelte alternative meno onerose per il privato gravato dal vincolo indiretto”. In proposito, veniva censurata l’insufficiente motivazione del provvedimento rispetto alle valutazioni ritenute essenziali per imporre il cosiddetto vincolo indiretto, essendosi la p.a. limitata ad effettuare valutazioni riguardanti le caratteristiche peculiari del territorio su cui insiste il bene oggetto di tutela diretta che in quanto tali sono da considerarsi eccedenti rispetto alle finalità cui è rivolto l’istituto de quo.

Orbene, dinanzi ad una statuizione di annullamento così argomentata, in sede di riesercizio del potere la p.a. risulta aver adottato un provvedimento di contenuto identico al precedente. Il raffronto fra il decreto 871\2011 ed il successivo 4810\2013 rende evidente l’assoluta identità, sia nella parte motiva che in quella dispositiva, senza che in sede di riesercizio del potere sia stato quantomeno dato atto del precedente annullamento.

In tale contesto, in linea generale assume rilievo dirimente il principio a mente del quale, in seguito all’annullamento dell’atto, sussiste la potestà della stessa Pubblica amministrazione di rideterminarsi col solo limite di non incorrere nei vizi già accertati in sede giudiziale. Nel caso de quo la riproposizione di un atto basato su identica motivazione comporta un evidente superamento del limite predetto.

Peraltro, la palese infondatezza dei motivi – invero genericamente dedotti ed in assenza della necessaria specificazione e ripartizione – di appello emerge altresì dal confronto fra la riproposizione di una carente motivazione già annullata ed i principi più volte espressi dalla giurisprudenza della sezione.

In linea generale, va ribadito come in tema di prescrizioni di tutela indiretta del bene culturali previste dal c.d. codice dei beni culturali e del paesaggio, l'art. 45 attribuisce all'Amministrazione la funzione di creare le condizioni affinché il valore culturale insito nel bene possa compiutamente esprimersi, senza altra delimitazione spaziale e oggettiva che non quella attinente alla sua causa tipica, che è di «prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro», secondo criteri di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità. Tali criteri sono tra loro strettamente connessi e si specificano nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo: perciò il potere che si manifesta con l'atto amministrativo deve essere esercitato in modo che sia effettivamente congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto. Scopo legale che, nel caso del vincolo indiretto, concerne, come si è detto, la cosiddetta cornice ambientale di un bene culturale: ne deriva che il limite di legittimità in cui si iscrive l'esercizio di tale funzione deve essere ricercato nell'equilibrio che preservi, da un lato, la cura e l'integrità del bene culturale e, dall'altra, che ne consenta la fruizione e la valorizzazione dinamica (Consiglio di Stato sez. VI 27 luglio 2015 n. 3669)

Il cd. "vincolo indiretto" non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all'autonomo apprezzamento dell' amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all'ottimale protezione del bene principale - fino all'inedificabilità assoluta -, se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall'obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (integrità dei beni, difesa della prospettiva e della luce, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un ambito territoriale che si estende fino a comprendere ogni immobile, anche non contiguo, la cui manomissione si stimi potenzialmente idonea ad alterare il complesso delle condizioni e caratteristiche fisiche e culturali connotanti lo spazio circostante.

In tale ottica, l’imposizione del vincolo indiretto costituisce espressione della discrezionalità tecnica dell' amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo quando l'istruttoria si riveli insufficiente o errata o la motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità anche per l'insussistenza di un'obiettiva proporzionalità tra l'estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico, e si basa sull'esigenza che lo stesso sia valorizzato nella sua complessiva prospettiva e cornice ambientale, onde possono essere interessate dai relativi divieti e limitazioni anche immobili non adiacenti a quello tutelato purché allo stesso accomunati dall'appartenenza ad un unitario e inscindibile contesto territoriale.

Occorre peraltro che tale istruttoria e motivazione vengono adeguatamente svolte ed esplicate in sede di determinazione.

Infatti, se è vero che l'imposizione dei vincoli in oggetto è conseguente ad una valutazione ampiamente discrezionale dell'amministrazione, questa soggiace a precisi limiti enucleabili nel generale concetto di logicità e razionalità dell'azione amministrativa (onde evitare che la vincolatività indiretta, accessoria e strumentale potesse trasformarsi in una vincolatività generale e indifferenziata);
al principio di proporzionalità (congruità del mezzo rispetto al fine perseguito), alla specifica valutazione dell'interesse pubblico "particolare" perseguito ed alla necessità che nella motivazione provvedimentale sia chiaramente espressa l'impossibilità di scelte alternative meno onerose per il privato gravato del vincolo indiretto (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 20 settembre 2005 n. 4866 e 8 settembre 2009 n. 5264).

Nel caso di specie, gli elementi posti a fondamento del peculiare potere in esame appaiono palesemente insufficienti, nei termini già con evidenza chiariti in sede di annullamento del procedente identico provvedimento.

Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

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