Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-08-02, n. 201304054

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-08-02, n. 201304054
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304054
Data del deposito : 2 agosto 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02692/2001 REG.RIC.

N. 04054/2013REG.PROV.COLL.

N. 02692/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2692 del 2001, proposto dalla Partenopea Gestione S.a.s., già Manifattura Gestioni S.a.s., in persona del legale rappresentante in carica,rappresentata e difesa dall'avv. A L, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, viale Parioli 67;

contro

Comune di Frattamaggiore, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. F D, con domicilio eletto presso Ferruccio Auletta in Roma, via della Balduina 120/5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE IV, n. 234/2000, resa tra le parti, concernente diniego di concessione edilizia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Frattamaggiore;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2013 il Cons. Nicola Gaviano e udito per la parte appellante l’avv. Lamberti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società Manifattura Gestioni s.a.s. con ricorso al T.A.R. per la Campania impugnava il provvedimento del 18 marzo 1998 con il quale il Comune di Frattamaggiore le aveva negato la concessione edilizia per la realizzazione di una costruzione, destinata a civili abitazioni, di quattro piani per complessivi dodici appartamenti, previa demolizione parziale di preesistenti capannoni.

Il provvedimento impugnato si basava su una pluralità di ragioni, tra cui principalmente il ritenuto contrasto del progetto con la destinazione urbanistica non residenziale della zona interessata.

A tale considerazione la ricorrente opponeva la tesi di fondo per cui il piano regolatore generale (P.R.G.) comunale adottato nel 1984 era ormai stato integralmente annullato in sede giurisdizionale con la sentenza del T.A.R. Campania n. 305/1995. Donde la necessità di rifarsi alla disciplina urbanistica del previgente Programma di Fabbricazione, con il quale il progetto sarebbe stato pienamente compatibile.

Resisteva al gravame l’Amministrazione intimata, che ne eccepiva preliminarmente l’inammissibilità per l’omessa impugnativa della delibera consiliare n. 54 del 1994 (che aveva inteso confermare le prescrizioni attuative del P.R.G. comunale del 1984), e ne deduceva altresì l’infondatezza nel merito.

All’esito il Tribunale adìto, con la sentenza n. 234 del 2000, procedendo direttamente all’esame del merito della controversia, respingeva il ricorso.

Il Giudice locale, concentratosi sulla decisiva componente motivazionale del provvedimento riflettente il contrasto del progetto con la destinazione non residenziale della zona, riteneva che la relativa valutazione amministrativa resistesse alla critiche di parte ricorrente. Il Tribunale esprimeva infatti l’avviso che l’annullamento giurisdizionale del P.R.G. richiamato dal ricorso non avrebbe avuto valenza integrale, ma avrebbe investito solamente l’approvazione dello strumento, lasciando indenne l’atto comunale recante la sua adozione. Per tale ragione non sarebbe stata configurabile una reviviscenza del precedente Programma di Fabbricazione.

Avverso tale sentenza la società soccombente esperiva il presente appello alla Sezione, con il quale riproponeva le proprie censure avverso l’atto impugnato, estendendo le sue critiche alla decisione che le aveva disattese.

Resisteva all’appello il Comune intimato, che, oltre a riproporre la sua precedente eccezione di inammissibilità, ne opponeva anche l’improcedibilità sotto più profili, e comunque l’infondatezza.

Con decreto n. 1245 del 2012 l’appello veniva dichiarato perento. Tale declaratoria veniva tuttavia di lì a poco revocata, dinanzi alla dichiarazione di parte del persistente interesse alla trattazione della causa, con il successivo decreto n. 2766 del 2012, con il quale veniva disposta la reiscrizione dell’affare sul ruolo di merito.

L’appellante con successiva memoria replicava alle eccezioni avversarie ed insisteva sulle proprie censure, concludendo per l’accoglimento dell’impugnativa.

Alla pubblica udienza del 9 luglio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

1 Le eccezioni sollevate in rito dalla difesa comunale devono essere respinte.

Saranno qui immediatamente disattese quelle di improcedibilità;
le eccezioni di inammissibilità, invece, in considerazione dei loro più stretti addentellati con la materia sostanziale del contendere, verranno vagliate nei prossimi paragrafi ( sub 2d) e 4), unitamente al merito di causa.

1a L’Amministrazione appellata eccepisce l’improcedibilità dell’appello sotto due congiunti profili.

L’improcedibilità viene fatta risalire, da un lato, all’avvento del nuovo P.R.G., tuttora efficace, adottato dal Comune il 16 gennaio 1999 ed approvato dalla Provincia con decreto del 7 novembre 2001, strumento che esclude la destinazione edificatoria dell’area interessata a fini residenziali;
dall’altro, all’avvenuta conseguente riconversione del fondo di parte ricorrente in attività artigianali e commerciali, in forza di plurimi titoli edificatori dalla società chiesti ed ottenuti tra il 2000 ed il 2003 (onde la ricorrente, facendo acquiescenza al nuovo piano regolatore, avrebbe così anche implicitamente rinunziato alla propria istanza iniziale).

1b Al riguardo va però immediatamente ricordato che, secondo un pacifico insegnamento giurisprudenziale, ai fini della dichiarazione di improcedibilità di un ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, la sopravvenienza deve essere tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, per aver fatto venir meno, per il ricorrente, qualsiasi residua utilità, anche soltanto strumentale o morale, della pronuncia del Giudice;
con l’ulteriore precisazione che la relativa indagine deve essere condotta dal giudicante con il massimo rigore, per evitare che la declaratoria d'improcedibilità si risolva in una sostanziale elusione dell'obbligo di pronunciare sulla domanda (v. ad es. C.d.S., IV, 24 ottobre 2012 n. 5450;
V, 10 settembre 2012, n. 4773).

1c Ciò premesso, la Sezione deve escludere che nella fattispecie si profilino gli estremi dell’eccepita improcedibilità del ricorso.

Con riferimento al fatto sopravvenuto costituito dall’avvento del nuovo P.R.G. comunale, se è pur pacifico che la nuova valutazione amministrativa della domanda di concessione dovrebbe essere fatta, in caso di esito favorevole della presente impugnativa, con riferimento alla disciplina urbanistica vigente al momento della notifica al Comune della sentenza di annullamento del suo diniego, con la conseguenza dell’opponibilità alla ricorrente delle modificazioni urbanistiche verificatesi nelle more del giudizio, nondimeno questa Sezione ha osservato in argomento (C.d.S., V, 9 novembre 1998, n. 1586) che, “ Anche quando, nel corso del giudizio di impugnazione di un diniego di concessione urbanistica, il Comune abbia prodotto il mutamento delle previsioni del piano in modo da far venir meno l'edificabilità, prima prevista, della zona in cui ricade l'area litigiosa, il ricorso rimane procedibile. Se è vero che l'annullamento del diniego non permette all'amministrazione di riesaminare immediatamente l'istanza di concessione edilizia, alla stregua della normativa vigente all'epoca del diniego medesimo, l'Amministrazione stessa ha il dovere di riesaminare subito il piano sopravvenuto. Se non sussistono specifiche e ben determinate esigenze pubbliche, essa deve infatti disporre una deroga o una modifica che recuperi in tutto o in parte, le previsioni urbanistiche sulle quali si fondava, l'originaria domanda di concessione a torto respinta, con conseguente lesione della posizione dell'amministrato ” (C.d.S., V, n. 1586/1998 cit.;
per tale principio v. anche V, 27 marzo 2000, n. 1749;
15 novembre 1991, n. 1315;
nello stesso senso, da ultimo, 27 marzo 2013, n. 1808: il tutto in coerenza con le coordinate di principio che si devono ad Ad.Pl., n. 1 dell’8 gennaio 1986).

L’appellante, oltre a richiamarsi alla propria facoltà di promuovere una simile deroga alla luce dell’indirizzo appena esposto, riconduce esattamente il proprio persistente interesse alla definizione del corrente giudizio nel merito all’ulteriore possibilità, per essa società, di avanzare, in dipendenza dell’illegittimità del diniego impugnato, una successiva domanda risarcitoria, che la parte si è riservata appunto di proporre. La giurisprudenza suole difatti affermare, in casi simili, che “ … non può negarsi un interesse della società … ad una pronunzia sulla legittimità del diniego oppostole dall'Amministrazione …, al fine di chiedere il risarcimento dei danni che ne sono derivati ” (sez. V, 30 aprile 2003, n. 2212;
nello stesso senso si veda anche, ad es., IV, 25 luglio 2001, n. 4071;
IV, 12 dicembre 2000, n. 6594).

Quanto, infine, alla circostanza che nelle more del giudizio l’area di parte ricorrente sia stata utilizzata a fini edilizi conformemente alla disciplina urbanistica che l’Amministrazione aveva opposto essere vigente, la società medesima ha rimarcato di non avere mai rinunziato al proprio progetto iniziale, e di essersi semplicemente attenuta, nel frattempo, ad un canone di diligente esercizio delle proprie facoltà. In altre parole, la sua condotta è stata adempitiva di un onere, ma non anche abdicativa. E poiché non sono stati forniti elementi tali da indurre ad escludere la fattibilità di una ipotetica riconversione a fini residenziali di quanto già edificato, anche sotto questo profilo l’eccezione del Comune è priva di pregio.

2 Nel merito l’appello è fondato.

2a La critica di fondo mossa dalla parte appellante alla sentenza in epigrafe, come già al provvedimento originariamente impugnato, poggia su due argomentazioni strettamente connesse.

La prima è che il P.R.G. comunale adottato nel 1984 sarebbe stato annullato integralmente e ab imis in sede giurisdizionale;
la seconda é che dal relativo annullamento sarebbe derivata la reviviscenza del previgente Programma di Fabbricazione, con il quale il progetto edilizio sarebbe stato compatibile.

Entrambe le argomentazioni sono fondate.

2b La prima di esse chiama in causa l’esigenza di verificare se l’annullamento giurisdizionale formalmente riferito alla delibera di approvazione del P.R.G. di Frattamaggiore si basasse su vizi propri di tale atto, oppure su vizi attinenti anche all’adozione del piano, in quanto inerenti proprio alla sostanza dello strumento.

Questa Sezione ha già avuto modo di prendere posizione sul tema dell’ampiezza degli effetti dell’annullamento giurisdizionale che ha colpito il piano adottato dal Comune nel 1984.

Anche nella vicenda decisa con la sentenza 12 dicembre 2003 n. 8198 si contendevano il campo la tesi che tale annullamento avesse investito unicamente la deliberazione provinciale del 1989 di approvazione del piano, tesi sostenuta già allora dall’Amministrazione comunale, e quella, opposta, della natura integrale della caducazione dello strumento, estesa quindi anche alla sua precedente adozione.

La Sezione ha allora motivatamente condiviso questa seconda opzione, sulla base delle seguenti considerazioni.

Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, l'annullamento giurisdizionale (TAR Campania n. 305/1995) della delibera provinciale del 1989 di approvazione del piano regolatore generale adottato dal Comune nel 1984 aveva travolto nella specie anche la delibera di adozione del piano.

Occorre considerare che nella specie l'annullamento giurisdizionale del provvedimento di approvazione provinciale non si era limitato a statuire l'illegittimità delle modifiche apportate d'ufficio dalla Provincia (nel qual caso evidentemente vi sarebbe stato un annullamento parziale con salvezza del provvedimento approvativo senza le prescrizioni aggiuntive ritenute illegittime : V. la decisione di questo Consiglio n. 2592 del 15.5.2002) ma ha ritenuto che la determinazione adottata dalla Provincia evidenziava un sostanziale giudizio sfavorevole del piano adottato.

Con la conseguenza che l'annullamento dell'approvazione provinciale veniva a caducare anche la delibera comunale di adozione del piano, con reviviscenza della precedente disciplina urbanistica ” (V, sentenza n. 8198/2003 cit.).

E’ appena il caso di ricordare, invero, che il T.A.R. locale con la propria sentenza annullatoria n. 305/1995 aveva osservato che la determinazione provinciale di approvazione evidenziava “ con sufficiente chiarezza un giudizio sfavorevole in ordine al piano ”, tanto da formulare un perentorio invito al Comune affinché questo formasse un nuovo P.R.G. da adottare “ al massimo entro sei mesi ”. Nel merito dell’atto provinciale è stata allora rinvenuta, quindi, una “ motivata e circostanziata valutazione di sostanziale inadeguatezza del piano sotto il profilo tecnico-urbanistico ” la quale contraddiceva il dispositivo approvativo della determinazione medesima, e faceva premio su di esso.

Il Collegio ai fini del presente giudizio ritiene, pertanto, di ribadire l’affermazione del carattere integrale dell’annullamento di cui si è detto, non essendo state offerte ragioni per discostarsene (nello stesso senso, del resto, si è per lo più espressa la stessa giurisprudenza del locale T.A.R. : cfr. le decisioni nn. 2990 del 14 novembre 1997, 1156 del 28 aprile 1999, 2278 del 9 settembre 1999 e 2291 del 4 maggio 2009).

2c La sentenza di questa Sezione n. 8198 del 2003 ha statuito anche, come si è visto, che l’annullamento integrale del P.R.G. comunale comportava l’effetto della reviviscenza della disciplina urbanistica precedente: ed anche questo aspetto della decisione, conforme all’orientamento giurisprudenziale, merita in questa sede conferma (sul relativo principio, che si trova declinato in tutta la materia urbanistica, cfr., ad es.: C.d.S., V, 22 febbraio 2007, n. 954;
IV, 6 maggio 2004, n. 2800, con ulteriori citazioni;
V, n. 1749 del 27 marzo 2000;
V, 23 settembre 1997, n. 1008;
V, 6 ottobre 1997, n. 1110;
IV, 15 novembre 1988, n. 868).

Onde anche la seconda argomentazione critica di parte appellante si rivela condivisibile, e fondata la conseguente deduzione che la sua domanda di concessione avrebbe dovuto essere scrutinata alla luce del Programma di Fabbricazione e del Regolamento edilizio comunale.

2d La medesima sentenza n. 8198/2003 merita di essere seguita, infine, anche con riferimento alla natura non lesiva attribuita dalla Sezione alla successiva delibera consiliare esprimente una volontà di conferma, fino alla definitiva programmazione urbanistica, delle destinazioni ad uso pubblico delle aree vincolate previste dal P.R.G. annullato, provvedimento del quale il Comune eccepisce qui la mancata impugnativa (le considerazioni allora svolte dalla Sezione per la delibera n. 105/1995 sono invero estensibili alla precedente n. 54/1994).

Una volta fatta chiarezza, infatti, sul punto che l’annullamento giurisdizionale del P.R.G. aveva travolto anche la sua adozione, facendo cadere l’intera disciplina urbanistica comunale, e ribadito che la delibera n. 54 non si era sostanziata in una rinnovata adozione dello strumento (il che sarebbe avvenuto solo nel 1999), si deve escludere che la ricorrente avesse l’onere di impugnare tale atto. Ad esso non poteva attribuirsi, giusta la giurisprudenza del locale T.A.R. (sentenze nn. 2278 e 1196/1999 citt., anche con riferimento alla analoga delibera successiva n. 105/1995), e attesi i suoi contenuti del tutto astratti e generici, se non il valore di un mero atto interno e programmatico sui criteri di impostazione del futuro strumento, configurandosi quindi come un atto inidoneo a riportare in vita il piano annullato ed impedire la reviviscenza della disciplina urbanistica precedente.

Da qui la mancanza di pregio dell’eccezione comunale di inammissibilità in questa sede riproposta.

3 Vanno a questo punto esaminate le ulteriori ragioni con cui il Comune ebbe a motivare il proprio diniego di concessione.

Tali ragioni vanno subito ricordate: “ Non è rappresentata in modo tecnicamente esaustiva la reale consistenza volumetrica esistente, rapportata a quella che comunque verrebbe conservata, né viene rappresentata la superficie minima di parcheggio ai sensi della legge 122/1989 ”.

3a L’attuale appellante sin dal proprio ricorso originario ha posto in evidenza la carenza di motivazione alla base della prima delle due obiezioni, in relazione al fatto che non era stato in alcun modo precisato in cosa sarebbe consistita la pretesa mancanza di “ tecnica esaustività ”.

Con riferimento al merito della stessa obiezione, la ricorrente si è inoltre puntualmente richiamata alla relazione tecnica del progettista allegata al ricorso, dalla quale emergeva che la consistenza della volumetria destinata ad essere conservata era stata indicata con precisione in mc 4082, e che la volumetria totale prevista (mc 4082 da conservare più mc 6350 da edificare) era notevolmente inferiore a quella assentibile in base all’indice di edificabilità (mc 11526).

3b Quanto alla seconda obiezione, emergeva dalla stessa relazione tecnica richiamata in ricorso che, a fronte di uno standard complessivo necessario di parcheggi per mq 1043 circa, nel progetto le superfici destinate a parcheggio erano state indicate nella complessiva misura di mq 1200, dotazione che era stata disarticolata nelle sue voci costitutive al punto 7 della “DISTINTA” allegata alla relazione di progetto, nonché rappresentata sulla planimetria generale e, per la parte conferente, nello stralcio della tavola 3.

3c La ricorrente ha inoltre dedotto l’ulteriore critica che la carenza di motivazione del Comune era espressione di una volontà di servire una preconcetta determinazione negativa. E proprio a questo riguardo, con riferimento all’eventualità che le tavole progettuali potessero mancare di un qualche dettaglio (in ordine ad una consistenza volumetrica che comunque era stata indicata), non si può non ricordare come la richiamata relazione tecnica rimarcasse che simili incompletezze non erano state fatte presenti nella richiesta di documentazione integrativa rivolta dal Comune il 20 maggio 1996 alla richiedente, e da questa soddisfatta.

3d D’altra parte la difesa comunale, che nel corso del primo grado di giudizio non aveva svolto controdeduzioni a sostegno dei due punti di motivazione provvedimentale ora in discorso, nemmeno in questo grado ha contestato che la volumetria totale prevista dal progetto fosse inferiore alla soglia assentibile. E, quanto alla superficie per i parcheggi, la controdeduzione dello stesso Comune (pur tardiva, e perciò irrituale) secondo la quale in relazione allo stralcio della tavola 3 la quantificazione di mq 625 di parcheggi sarebbe stata deficitaria di mq 10 non varrebbe comunque a giustificare il diniego impugnato, stante l’esuberanza della superficie destinata a parcheggi che risulta comunque assistere il progetto nel suo complesso.

4 Tra le ragioni poste a base del diniego impugnato non rientrava, invece, la considerazione che il progetto non sarebbe stato assentibile nemmeno alla luce della disciplina del Programma di Fabbricazione, in ragione di una sua presunta contrarietà alle regole sulle distanze tra i fabbricati previste dal D.M. n. 1444 del 1968.

Un simile punto non è stato nemmeno sollevato nel corso del giudizio di primo grado, ma è emerso solo - quattordici anni dopo il provvedimento negativo - con la memoria comunale del 27 settembre 2012, che allegherebbe quale riscontro una “certificazione” comunale dello stesso mese del 2012 recante un simile asserto.

E’ allora facile osservare che questo ulteriore punto non rientra nel thema decidendum , giacché, come eccepito ex adverso sotto più profili, alla difesa dell’Amministrazione non è consentito integrare la motivazione del provvedimento impugnato;
e tantomeno è possibile introdurre nel giudizio di appello nuovi documenti che avrebbero potuto essere prodotti già nel corso del giudizio di primo grado senza violare l’art. 104 CPA.

5 Da tutto quanto precede si desume, in definitiva, che la pur articolata motivazione posta dal Comune a base del provvedimento impugnato non resiste alla censure di legittimità che le sono state mosse.

In conclusione l’appello deve essere accolto e, conseguentemente, in riforma della sentenza appellata, parimenti accolto il ricorso di prime cure, con l’annullamento del provvedimento di diniego originariamente impugnato.

Si ravvisano, tuttavia, ragioni tali da giustificare la compensazione delle spese processuali del doppio grado di giudizio tra le parti in causa, data la peculiarità della fattispecie.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi