Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-02-20, n. 202301725
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Testo completo
Pubblicato il 20/02/2023
N. 01725/2023REG.PROV.COLL.
N. 02501/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2501 del 2019, proposto da
Ministero della Giustizia, Ministero dell'Economia e delle Finanze e Ragioneria Territoriale dello Stato di Terni, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi n.12;
contro
G D, rappresentato e difeso dagli avvocati R P ed E D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) n. 630/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di G D;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2023 il Cons. Maria Stella Boscarino e uditi per le parti gli avvocati E D L e l'avvocato dello Stato Giorgio Santin;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con provvedimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ragioneria Territoriale dello Stato-Terni, Servizio VI, prot. n. 18823, datato 14.12.2012, veniva comunicato al Dott. G D l’avvio del procedimento per il recupero di un credito erariale emerso sulla partita di stipendio n. 714260, relativo alla erogazione di somme indebite per una duplicazione di pagamenti dell’indennità penitenziaria, dal 16.8.2005 al 30.11.2012, per un importo, per l’anno 2012, pari ad euro 5.037,75, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali e fiscali;con il medesimo atto, il destinatario veniva invitato a versare, entro 30 giorni, la predetta somma.
Con successivo atto, prot. n. 4444, datato 27.03.2013, l’Amministrazione comunicava al Dott. D l’avvio del procedimento per il recupero del credito erariale emerso sulla partita di stipendio n. 714260, sulla base della segnalazione effettuata dalla Direzione Generale del Personale del Ministero della Giustizia, relativo alla corresponsione di somme indebite per una duplicazione di pagamenti dell’indennità penitenziaria, dal 16.8.2005 al 30.11.2012, con invito al rimborso di euro 46.320,90, comprensivo dell’importo di euro 5.037,75 relativo all’anno 2012, e con l’avvertenza che decorsi 30 giorni si sarebbe proceduto al recupero, anche coattivo, dell’importo in questione.
2. L’interessato impugnava i detti provvedimenti, rispettivamente, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e con motivi aggiunti.
3. Il T.A.R. adito ha accolto il ricorso, ritenendo i provvedimenti viziati dal difetto di motivazione, con assorbimento delle altre censure proposte e senza pronuncia sulla richiesta di accertamento e declaratoria “ dell’assenza del diritto dell'Amministrazione resistente a recuperare le suddette somme, e del diritto del ricorrente al riconoscimento e all’attribuzione del trattamento stipendiale dovuto, per il periodo successivo al 2005, calcolato secondo i parametri di cui alla sentenza del Tribunale di Orvieto n. 78/2006, confermata in Cassazione ”.
4. Avverso la decisione in epigrafe l’Amministrazione ha proposto appello, affidato a tre articolate censure.
4.1. Con la prima si lamenta l’erroneità della sentenza appellata per non essere stata rilevata la mancanza di una delle condizioni dell’azione, ossia la carenza di interesse a ricorrere avverso i provvedimenti di comunicazione di avvio del procedimento.
4.2. Con il secondo motivo si deduce, nel merito, che, sulla base del contenuto delle note di avvio del procedimento di recupero del credito erariale, erano chiaramente evincibili le somme indebitamente percepite dall’appellato;ulteriori precisazioni erano state fornite con la nota del 12 febbraio 2013, in riscontro alla richiesta di annullamento in autotutela.
L’Amministrazione, in tale sede, aveva rappresentato come l’indebita percezione fosse dovuta a duplicazione dell’indennità pensionabile disposta dal d.m. 18/6/2008, che doveva essere intesa solo come rivalutazione di quella già in godimento disposta con il d.m. 11/4/2006.
4.3. Con il terzo motivo si sostiene che la comunicazione di avvio del procedimento, anche a qualificarla come provvedimento immediatamente lesivo, non avrebbe dovuto essere annullata, ai sensi dell’art 21 octies comma 2 della legge 241/1990 , non potendo il contenuto dispositivo essere diverso da quello in concreto adottato, stante la natura vincolata dell’atto di recupero.
5. L’appellato, costituitosi in giudizio, con memoria eccepisce che, con il d.m. del 18.6.2008, il Ministero della Giustizia aveva disposto il pagamento, in suo favore, dell'indennità pensionabile.
Detto decreto ministeriale non era stato annullato e/o riformato dall'Amministrazione resistente, a differenza dei precedenti decreti del 11.4.2006, del 1.2.2007 e del 16.10.2007, annullati espressamente con quello del 18.6.2008.
Sarebbe evidente, dalla lettura del citato d.m. del 18.6.2008, che l'indennità pensionabile erogata all’interessato non costituisca una duplicazione di una non meglio specificata «indennità penitenziaria» dallo stesso asseritamente percepita.
Ed invero, l'indennità che il Dott. D aveva in godimento al momento del pensionamento era soltanto quella allo stesso attribuita per effetto della pronuncia emessa dal Tribunale di Orvieto, confermata dalla Corte di Cassazione, in relazione ad un pregresso contenzioso.
5.1. Quanto al primo motivo di appello, si replica che con i provvedimenti impugnati l’Amministrazione appellante diffidava espressamente il Dott. D al pagamento delle somme ivi indicate minacciando il recupero anche coattivo dell’asserito indebito;per cui detti provvedimenti non possono in alcun modo ritenersi meramente “interlocutori”.
5.2. In merito al secondo motivo di appello, si ribadisce la non intellegibilità dei criteri in base ai quali le somme sono state determinate dall’Amministrazione appellante.
5.3. Quanto al terzo motivo, si osserva che nella fattispecie in esame non si è censurato l’operato dell’amministrazione per non aver provveduto ad inviare una comunicazione di avvio del procedimento in relazione ad un atto dovuto, e si deduce circa l’infondatezza della censura.
L’appellato, inoltre, insiste per l’accoglimento dei motivi del ricorso di primo grado.
6. Con ordinanza collegiale n.6315/22 sono stati disposti approfondimenti istruttori.
7. L’Organo incaricato di tali accertamenti, con relazione corredata da documenti, ha riferito come il trattamento economico dovuto al Dott. D, nel periodo dal 16.8.2005 al 30.11.2012, trovasse la sua fonte giuridica nel provvedimento PDG del 18 giugno 2008, con il quale, a seguito dell’entrata in vigore della legge 27.7.2005 n. 154 era stato disposto il trattamento economico del dirigente superiore.
In sede di applicazione del PDG del 18 giugno 2008, sulla rata di ottobre 2008, era stato attribuito (con corresponsione di arretrati dal 16.8.2005) “l’assegno personale servizio penitenziario” avente codice 537/001, non previsto dal menzionato PDG, per cui venne disposto il recupero quantificato, per il periodo dal 16.8.2005 al 30.11.2012, in euro 53.817,42 (netti). Alla stregua di un ulteriore errore nell’attribuzione all’interessato dell’indennità pensionabile da primo dirigente, la RTS di Terni quantificava, poi, il credito derivante dall’attribuzione del codice corretto, per il periodo dal 16.8.2005 al 30.11.2012, in euro 7.496,52.
Quanto al provvedimento giurisdizionale intervenuto in favore dell’interessato in data 5.5.2006 (sentenza del Tribunale di Orvieto n. 78/06), la Direzione Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, in data 22.11.2006, avrebbe disposto l’esecuzione della sentenza riguardante la corresponsione delle differenze retributive dovute al D per mansioni superiori svolte nella precedente qualifica di Direttore C3.
8. Con memoria l’Amministrazione adduce che, anche alla stregua degli accertamenti istruttori, sarebbe emerso come fosse stata erroneamente mantenuta l’erogazione dell’indennità pensionabile da primo dirigente (Codice identificativo MEF – 524/P19), in luogo di quella da dirigente superiore (codice identificativo MEF 524/P10), e fosse stato erroneamente corrisposto, d’ufficio, l’assegno personale 3 servizio penitenziario pensionabile riassorbile (codice identificativo MEF - 537/2001), previsto dalla previgente normativa di settore per il solo personale delle qualifiche funzionali ed al solo fine di assicurare la conservazione del trattamento economico in godimento, dopo l’avvenuta estensione ad esso dell’ambito d’efficacia della contrattazione collettiva.
Quanto alla sentenza del Tribunale di Orvieto, poi confermata in sede di appello e di legittimità, la stessa non rileverebbe ai fini del presente giudizio, essendo stata eseguita.
9. A sua volta l’appellato evidenzia che con sentenza n. 02780, resa alla pubblica udienza del 22.09.2011 sul ricorso N.R.G. 2009-01237-00, la Corte di Cassazione Sezione Lavoro ha cassato la sentenza della Corte d'Appello di Perugia, confermando quanto statuito dal Tribunale di Orvieto con la sentenza n. 78 del 5.5.2006, con la quale era stato riconosciuto il diritto, in capo all'odierno appellato, all'erogazione, da parte dell'Amministrazione resistente, delle differenze retributive maturate per lo svolgimento di mansioni dirigenziali e la determinazione del trattamento economico dovuto in base al CCNL per il personale dirigente del Comparto Ministeri, Area I, seconda fascia.
9.2. L’appellato osserva che l’articolo 1 L. 154/2005 stabilisce, per il personale dirigenziale penitenziario, la determinazione, tramite procedura negoziale, di un trattamento economico onnicomprensivo, non inferiore a quello della dirigenza statale contrattualizzata, articolato in una componente stipendiale di base, una componente correlata alle posizioni funzionali ricoperte e agli incarichi di responsabilità esercitati ed una componente rapportata ai risultati conseguiti rispetto agli obiettivi fissati ed alle risorse assegnate.
L’appellato, in base al successivo art. 4, comma 3, della citata Legge 154/2005, ed in ossequio alla richiamata pronuncia, confermata in Cassazione, ha il diritto di ottenere il trattamento economico ivi indicato. Inoltre, con il d.m. del 18.6.2008 il Ministero della Giustizia ha disposto il pagamento, in favore del Dott. D, dell'indennità pensionabile, come si evince dal provvedimento. E' evidente, pertanto, che l'indennità pensionabile erogata al ricorrente non può ritenersi una duplicazione di una non meglio specificata «indennità penitenziaria» dallo stesso asseritamente percepita.
9.3. In ogni caso, trattasi di emolumenti non ripetibili in base alla giurisprudenza eurocomunitaria, in quanto avente carattere retributivo non occasionale, corrisposti da una PA in modo costante e duraturo e senza riserve ad un dipendente in buona fede.
10. All'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2023, esaurita la trattazione orale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
11. Il primo motivo di appello è infondato, perché gli atti impugnati in primo grado, sebbene vengano qualificati quali atti di avvio del procedimento, contestualmente intimano la restituzione delle somme, assegnando un termine perentorio decorso il quale preannunciano l’esecuzione.
Tali atti non si configurano, quindi, come atti endoprocedimentali, bensì come provvedimenti autonomamente lesivi della sfera giuridica del destinatario, e come tali autonomamente e immediatamente impugnabili. Ciò in quanto, con la diffida, vengono imposti obblighi di fare, all'inadempimento dei quali può conseguire l'adozione di atti di recupero coattivo delle somme.
12. Il secondo motivo di appello è parimenti infondato, perché, nonostante il (peraltro inammissibile) tentativo di integrazione postuma della motivazione, le ragioni del recupero non sono mai state esternate con sufficiente chiarezza.
12.1. Condivisibilmente la decisione appellata ha rilevato la carenza di motivazione: di fatti, dal tenore dei provvedimenti impugnati non è possibile individuare per quali ragioni le somme che si assumono indebitamente corrisposte non fossero dovute, rispetto agli emolumenti stipendiali ed alle indennità a qualsiasi titolo legittimamente erogate in favore del ricorrente.
Né può escludersi che dette somme vadano ricondotte alla indennità dirigenziale che il ricorrente pretende in forza della sentenza del Tribunale di Orvieto n. 78/2006, confermata in Cassazione.
Il tenore degli atti impugnati non consente di riscostruire l’iter fattuale e logico-giuridico seguito dall’Amministrazione per individuare quanto eventualmente erogato in eccesso all’interessato, il quale non è stato posto nelle reali condizioni di scorporare le singole voci stipendiali, il relativo titolo ed il loro esatto ammontare.
12.2. In particolare, nei provvedimenti impugnati in primo grado, non sono state indicate le ragioni per cui l'Amministrazione resistente, pur identificando gli emolumenti percepiti dal ricorrente con due diversi codici (524/P19 e 537/001), abbia poi ritenuto gli stessi una duplicazione della stessa indennità.
Neppure con il ricorso in appello l'Amministrazione ha chiaramente illustrato le ragioni giuridiche dell'asserita duplicazione di voci relative alle indennità erogate all’appellato.
12.3. Né il corso del giudizio ha consentito di superare tale deficit.
12.4. Richiamato il pacifico orientamento (anche di questo Consiglio di Stato: cfr., tra le più recenti, sez. III, 28/11/2022, n.10448) circa l’inammissibilità dell'integrazione postuma della motivazione dell'atto amministrativo effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi, salva (unicamente) la possibilità di utilizzo degli atti del procedimento - nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta - oppure l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida, le deduzioni a più riprese esternate dall’Amministrazione ricadono nella prima fattispecie.
Infatti, non sono stati prodotti documenti dai quali si evinca in maniera chiara l’istruttoria svolta dall’Amministrazione per pervenire all’atto di recupero impugnato.
12.5. Oltretutto, non si tratta di argomentazioni che abbiano consentito di ricostruire con esattezza l’iter seguito dall’Amministrazione, che ha di volta in volta addotto ragioni diverse.
Nell’avvio del procedimento si è fatto riferimento ad una duplicazione di pagamenti dell’indennità penitenziaria .
Nel ricorso in appello l’Amministrazione ha richiamato la nota del 12 febbraio 2013, rappresentando che l’indebita percezione era dovuta a duplicazione dell’indennità pensionabile disposta dal DM 18/6/2008 che doveva essere intesa solo come rivalutazione di quella già in godimento disposta con il DM 11/4/2006.
Con la memoria successiva al deposito degli atti istruttori l’appellante ha, questa volta, dedotto che “ È stata erroneamente mantenuta l’erogazione dell’Indennità pensionabile da Primo Dirigente (Codice identificativo MEF – 524/P19), in luogo di quella da Dirigente Superiore (codice identificativo MEF 524/P10), ed, inoltre, è stato erroneamente corrisposto, d’ufficio, l’Assegno personale 3 servizio penitenziario pensionabile riassorbile (codice identificativo MEF - 537/2001). Gli emolumenti in parola sono stati corrisposti al dipendente, sino alla data del 30/11/2012. In particolare, preme sottolineare che il predetto assegno personale era stato previsto dalla previgente normativa di settore per il solo personale delle qualifiche funzionali ed al solo fine di assicurare la conservazione del trattamento economico in godimento, dopo l’avvenuta estensione ad esso dell’ambito d’efficacia della contrattazione collettiva .”.
Ma l’Amministrazione avrebbe dovuto emettere un provvedimento chiaro dove risultasse identificato l’importo “estraneo” rispetto le singole voci evincibili dagli atti generali attributivi del trattamento economico e risultassero chiaramente indicate le voci duplicate o non dovute in relazione agli emolumenti spettanti, indicando anche la corrispondenza tra le voci indicate nel decreto del 18 giugno 2008 e gli importi erogati, contrassegnati da codici indicati nelle buste paga ma non nel decreto.
13. Anche il terzo motivo di appello risulta infondato.
La motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il presupposto, il fondamento, il baricentro e l'essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della l. 241/1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti, non potendo perciò il suo difetto o la sua inadeguatezza essere in alcun modo assimilati alla mera violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma (Consiglio di Stato sez. VI, 20/12/2021, n.8449).
Ne consegue l’infondatezza della censura.
14. La domanda del ricorrente in primo grado di accertamento negativo, non esaminata in primo grado, non è stata ritualmente riproposta in appello, stante il richiamo generico ai motivi di primo grado.
Condivisibilmente la giurisprudenza (Consiglio di Stato sez. IV, 10/08/2011, n.4766) ha affermato che l'onere di riproposizione dei motivi rimasti assorbiti dalla decisione di primo grado appellata esige, per il suo rituale assolvimento, che la parte appellata indichi specificamente le censure che intende siano devolute alla cognizione del giudice di secondo grado, all'evidente fine di consentire a quest'ultimo una compiuta conoscenza delle relative questioni ed alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse, con la conseguenza che un indeterminato rinvio agli atti di primo grado, senza alcuna ulteriore precisazione del loro contenuto, si rivela inidoneo ad introdurre nel thema decidendum del giudizio d'appello i motivi in tal modo dedotti.
Né l’Amministrazione può giovarsi della domanda del ricorrente in primo grado (non ritualmente riproposta in appello) per onerare il giudice d’appello di accertamenti e verifiche alla stessa spettanti.
15. Conclusivamente, l’appello dev’essere respinto.
Tuttavia, la particolarità e complessità della fattispecie giustifica la compensazione delle spese del grado.