Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-03-20, n. 202402684

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-03-20, n. 202402684
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202402684
Data del deposito : 20 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/03/2024

N. 02684/2024REG.PROV.COLL.

N. 08016/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8016 del 2021, proposto da
Fondazione M M N, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Friuli Venezia Giulia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato B C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune di Trieste, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M F, A F e V F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio A F in Roma, via Emilio de' Cavalieri 11;
Camera di Commercio Venezia Giulia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Tudor, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via F. Siacci 38;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) n. 244/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Friuli Venezia Giulia, Comune di Trieste e Camera di Commercio Venezia Giulia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2024 il Cons. S R M e uditi per le parti gli avvocati Crismani, Iuri in dichiarata delega di Croppo, Tudor e Frezza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La controversia riguarda il provvedimento in epigrafe compiutamente indicato, con cui la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ha denegato alla Fondazione M M N l’approvazione delle modifiche statutarie deliberate dal consiglio di amministrazione al dichiarato fine di adeguare lo statuto stesso alle prescrizioni stabilite dal Codice del terzo settore, funzionale all’iscrizione nell’istituendo Registro unico nazionale del Terzo settore e al conseguente ottenimento della qualifica di Ente del terzo settore (ETS).

2. La Fondazione M M N (di seguito: “Fondazione”) ha impugnato il provvedimento della Presidenza della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia 22 dicembre 2020 n. 0009877/P class SGR-2-303-15-C-6 “ LR 20 marzo 2000, n. 7 comunicato in data 22.12.2020. Istanza di approvazione delle modifiche statutarie della Fondazione M M N – Trieste. Mancato accoglimento ”, con il quale è stata ritenuta illegittima la modifica statutaria dell'art. 7 comma 1 sulla nomina e composizione del consiglio di amministrazione della Fondazione, nonché ogni altro atto antecedente, preparatorio, presupposto, consequenziale o comunque connesso ai precedenti atti impugnati, nonché di estremi e di contenuto sconosciuti.

3. Il Tar Friuli Venezia Giulia, con sentenza 5 agosto 2021 n. 244, ha respinto il ricorso.

4. La Fondazione ha appellato la sentenza con ricorso n. 8016 del 2021.

5. Nel corso del giudizio si sono costituiti la Regione Friuli Venezia Giulia, il Comune di Trieste ed è intervenuta ad opponendum la Camera di commercio Venezia Giulia.

6. All’udienza del 22 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. L’appello è infondato.

8. Con il primo motivo la Fondazione ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar non ha ritenuto che il mantenimento in capo al Comune di Trieste, erede universale del de cuius e soggetto istituente la Fondazione, del potere perpetuo di nomina di tre componenti del Consiglio di amministrazione non troverebbe conforto né nella lettera delle disposizioni delle tavole fondazionali, né nello spirito delle stesse.

Il Tar:

- non avrebbe colto, pur avendo riportato i vari passaggi, quali trasformazioni e quali accadimenti si sono verificati durante il ciclo di vita della Fondazione, fra i quali l’acquisizione della personalità giuridica di diritto privato, con “ cambiamento parziale dello scopo della Fondazione ”;

- non avrebbe riservato la dovuta attenzione al fatto che “ La modifica della composizione del Consiglio di amministrazione ha l’obiettivo di conformarsi alle prescrizioni contenute nel Codice del Terzo Settore ”;

- avrebbe errato nell’individuare i presupposti per la modifica statutaria laddove ha affermato che può essere apportata soltanto “ quando occorre ”, a norma dell’art. 7 comma 7 ultimo punto dello statuto della Fondazione;

- non avrebbe colto che “ le modifiche organizzative avanzate dal Consiglio di amministrazione della Fondazione non pregiudicano la preservazione del vincolo di destinazione del patrimonio allo scopo voluto ”.

8.1. Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar non ha considerato che il testatore “ non ha dato un vincolo di organizzazione ma un vincolo di scopo ”.

8.2. I suddetti motivi, che si esaminano congiuntamente, sono infondati.

8.3. La Fondazione ha presentato alla Regione, in data 28 luglio 2020, un’istanza di “ approvazione delle modifiche statutarie della Fondazione M M N – Trieste. Mancato accoglimento ”, con le quali è stata disposta la modifica statutaria dell’art. 7 comma 1 dello statuto della stessa, riguardante la nomina e la composizione del consiglio di amministrazione.

In base alla modifica la precedente disposizione, recante “ Il Consiglio di Amministrazione è composto da 5 (cinque) membri, di cui 3 (tre) sono designati dal Comune di Trieste, e uno ciascuno dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura della Venezia Giulia e dalla Confcommercio Trieste – Piccole Medie Imprese della Provincia di Trieste ”, è sostituita dalla seguente, in base alla quale “ Il Consiglio di Amministrazione è composto da cinque membri, di cui uno designato dal Comune di Trieste, uno dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura della Venezia Giulia, uno dalla Fondazione A. Caccia e M. Burlo Garofolo e due dalla Federazione del Volontariato del Friuli Venezia Giulia Onlus ”.

La Regione ha ritenuto illegittima la modifica ritenendo che “ comprimere l’originario potere di nomina spettante al Comune di Trieste – ente pubblico fondatore, fino ad oggi legittimato a individuare non già uno, ma tre componenti del CdA – risulta in contrasto con la volontà del fondatore e le tavole fondazionali ”, oltre ad avere escluso che il d. lgs. n. 117 del 2017 richieda detta modifica.

8.4. Il Collegio ritiene che la decisione della Regione non incorra nei vizi dedotti dall’appellante.

Preliminarmente si rileva che la modifica controversia non trova causa nella necessità di “ conformarsi alle prescrizioni ” di cui al d. lgs. n. 117 del 2017 e in particolare di evitare che la Fondazione sia considerata un soggetto controllato, coordinato o diretto da un ente pubblico in base a quanto previsto dal comma 2 dell’art. 4 (e come tale escluso dal novero degli enti del terzo settore).

L’art. 4 del d. lgs. n. 117 del 2017 individua in positivo, al comma 1, gli enti appartenenti al terzo settore e in negativo, al comma 2, gli enti che ne sono esclusi, includendo fra questi ultimi, tra gli altri, gli enti sottoposti a direzione, coordinamento o controllo da parte di amministrazioni pubbliche.

Il medesimo art. 4 comma 2, tuttavia, prosegue alcune specifiche eccezioni rispetto alla portata escludente del medesimo comma, tra cui rientrano “ le associazioni o fondazioni di diritto privato ex Ipab derivanti dai processi di trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza o beneficenza, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 1990, e del decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207, in quanto la nomina da parte della pubblica amministrazione degli amministratori di tali enti si configura come mera designazione, intesa come espressione della rappresentanza della cittadinanza, e non si configura quindi mandato fiduciario con rappresentanza, sicché è sempre esclusa qualsiasi forma di controllo da parte di quest'ultima ”.

In tal modo il legislatore ha individuato espressamente le fondazioni ex ipab, come la Fondazione appellante (come si vedrà infra), fra i soggetti che, in quanto non rientrano fra i soggetti esclusi dalla portata escludente del richiamato comma 2, possono essere annoverati fra gli enti appartenenti al terzo settore in base al precedente comma 1, che annovera, fra gli altri, le fondazioni costituite “ per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore ”.

Peraltro, la stessa legge regionale n. 19 del 2003 (sulla trasformazione delle fondazioni da ipab a persone giuridiche di diritto privato, su cui infra), laddove, all’art. 20, consente il “ mantenimento della nomina pubblica dei componenti degli organi di amministrazione già prevista dagli statuti ”, esclude però in capo ai consiglieri di amministrazione così nominati qualsiasi forma di vincolo di mandato nei confronti dell'ente pubblico nominante (“ esclusa comunque ogni rappresentanza ”), così rendendo la nomina compatibile con le previsioni del d. lgs. n. 117 del 2017 (come illustrato sopra).

Né può ritenersi, contrariamente a quanto dedotto da parte appellante, che la preponderanza numerica dei componenti designati dal Comune costituisca una ragione di controllo e porti “ a ritenere che la volontà che esprimono comunque può essere influenzata ”, così in concreto non rispettando il divieto di rappresentanza. I due aspetti non sono infatti sovrapponibili, sicché non può riconoscersi portata rappresentativa a una nomina se essa è indirizzata alla maggioranza dei membri di un collegio: la rappresentanza attiene ai rapporti fra il rappresentato (in tesi, il Comune di Trieste) e il rappresentante (in tesi, il componente del consiglio di amministrazione designato dal primo), mentre la preponderanza numerica nell’ambito dell’organo che gestisce l’ente si riverbera sulla capacità di incidere sulle decisioni dell’ente.

Sicché non può desumersi da questa ultima circostanza il fatto che le decisioni prese da ciascun componente del consiglio di amministrazione siano predeterminate dal presunto rappresentato (e ciò anche in punto di locazione dei locali, richiamato da parte appellante al fine di dimostrare l’influenza dominante del Comune).

Quanto sopra è attestato anche dal fatto che i consiglieri nominati dal Comune di Trieste hanno votato modifiche statutarie sulle quali gli Enti nominanti hanno successivamente espresso parere contrario (verbale notarile del Consiglio di Amministrazione della Fondazione del 3 agosto 2020), senza che ciò abbia comportato conseguenze di alcun tipo per i consiglieri (così dal provvedimento impugnato).

Né puro desumersi l’esistenza del potere di controllo (ai sensi del d. lgs. n. 117 del 2017) dall’art. 11-ter del d. lgs. n. 118 del 2011, preordinato a delineare il perimetro degli enti strumentali compresi nel bilancio consolidato dell’Ente di riferimento (fra i quali è compreso l’organismo strumentale nel quale è nominata da quest’ultimo “ la maggioranza dei componenti degli organi decisionali, competenti a definire le scelte strategiche e le politiche di settore, nonché a decidere in ordine all’indirizzo, alla pianificazione ed alla programmazione dell’attività di un ente ”), con una prospettiva (ampia) che risponde a criteri di contabili di bilancio e non ai criteri civilistici del mandato con rappresentanza.

Del resto nel provvedimento impugnato si legge che “ tutte le modifiche statutarie diverse da quella relativa all’art. 7, primo comma, approvate nella citata seduta del CdA siano da considerarsi legittime e, risultando adeguate alle prescrizioni stabilite dal Codice del Terzo settore, consentirebbero, una volta approvate da questa Amministrazione, l’iscrizione nell’istituendo Registro unico nazionale del Terzo settore con il conseguente ottenimento della qualifica di Ente del Terzo settore (ETS) ”.

E infatti il nuovo testo dell’art. 7 comma 3 dello statuto (deliberato il 28 luglio 2020 e non oggetto di alcun rilievo di illegittimità da parte della Regione) con il quale si dispone che “ in nessun caso i Consiglieri potranno decadere dalla carica ad istanza dell’Ente che li ha nominati ” rende evidente la mancanza di una riserva di controllo in capo al Comune di Trieste, rappresentando una garanzia di autonomia decisionale degli amministratori nominati dallo stesso.

In ragione di quanto sopra si può quindi ritenere che la modifica statutaria qui controversa non trovi causa nella necessità di conformarsi alla disciplina del terzo settore.

Peraltro, a fugare ogni dubbio e incertezza in ordine all’applicazione della disposizione, sovviene il chiarimento reso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con nota 4 marzo 2020 n. 2243, acquisito nell’ambito del procedimento regionale, nel quale viene ribadito che la nomina di uno o più componenti degli organi di amministrazione nelle associazioni e nelle fondazioni ex ipab, effettuata dall’ente locale, non configura di per sé un’ipotesi di controllo esercitato sull’ associazione o sulla fondazione medesima.

Sicché, se anche con detto chiarimento si sottolinea che “ la situazione di controllo, direzione e coordinamento deve essere valutata anche in concreto ”, detta situazione non può essere desunta dalla sola designazione dei componenti dell’organo amministrativo da parte dell’ente locale (come stabilito espressamente dall’art. 4 comma 2 del d. lgs. n. 117 del 2017), dovendo piuttosto verificarsi “ se all’interno dello statuto o dell’atto costitutivo emergano elementi suscettibili di indicare un’effettiva influenza sulla gestione dell’ente da parte del soggetto escluso ”.

La modifica statutaria di che trattasi non riveste pertanto il carattere della necessarietà, nel senso che non trova causa nell’onere di “conformarsi alle prescrizioni” di cui al d. lgs. n. 117 del 2017.

8.5. Lo scrutinio del provvedimento impugnato può quindi prescindere da detto aspetto.

Se non è il vincolo legislativo a giustificare (e legittimare la modifica statutaria), nondimeno la mancanza di un vincolo legislativo o di un obbligo a modificare lo Statuto non osta di per sé all’esercizio della facoltà dell’organo amministrativo di variare lo statuto.

La previsione contenuta nell’art. 7 comma 7 dell’attuale Statuto della Fondazione (da ultimo modificato con decreto n. 050/Pres. del 6 marzo 2017 e con decreto n. 187/Pres del 17 settembre 2018), che consente al consiglio di amministrazione di “ deliberare – quando occorre – modifiche allo Statuto ”, non va intesa in senso restrittivo, cioè nel senso che gli unici cambiamenti ammissibili siano quelli richiesti da un vincolo esterno, alla quale la Fondazione è tenuta ad adeguarsi.

Piuttosto, l’espressione va intesa nel senso che le modifiche ammissibili sono quelle reputate dallo stesso organo amministrativo connessa e funzionale (e in tal senso, che occorrono) a quel perseguimento dello scopo della Fondazione che connota, insieme al patrimonio, detta tipologia di enti aventi personalità giuridica: sono infatti ammissibili le modifiche statutarie delle fondazioni se “ si rivelano funzionali rispetto all’operatività della stessa ” e “ sempre che siano giustificate e, fermo l’interesse che il fondatore ha inteso realizzare, non siano tali da pregiudicare lo scopo programmato e da travolgere i connotati inderogabili della fattispecie, quali voluti dal fondatore ” (Cons. St., sez. II, 20 marzo 1996 n. 123, parere in merito alla Fondazione Spadolini).

Lo scopo sociale è delineato dal fondatore, nell’ambito dell’ampio potere di conformazione dell’ente, obiettivato nell’atto di fondazione e nello statuto.

Una volta conformata la fondazione, il perseguimento dello scopo della fondazione è responsabilità esclusiva degli amministratori (ciò che comporta la non ingerenza del fondatore nell’amministrazione dell’ente). Resta escluso quindi che il medesimo fondatore possa gestire l’ente e controllarne i singoli atti.

Nel corso della vita dell’ente, il potere di controllo ( a tutelare il vincolo di destinazione del patrimonio allo scopo voluto dal fondatore ) è attribuito piuttosto all’autorità governativa (art. 25 c.c.).

Come ha ricordato il giudice di primo grado, l'esercizio delle funzioni amministrative di organi centrali e periferici dello Stato concernenti le persone giuridiche di cui all'art. 12 del codice civile, delegata dallo Stato alle Regioni ordinarie dall’art. 14 del d.P.R. n. 616 del 1977, è stata riconosciuta alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per effetto delle norme di attuazione dello statuto speciale in materia di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (d.P.R. n. 959 del 1965) e, successivamente, in tutte le materie di competenza statutaria per mezzo di una pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 70 del 1970) e, poi, definitivamente consolidata per effetto di successive norme integrative di attuazione statutaria, attributive di ogni (ulteriore) funzione amministrativa conferita, delegata o trasferita alle Regioni ordinarie con il citato d.P.R. n. 616 del 77 (artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 469 del 1987).

Il controllo è esercitato nei confronti degli amministratori delle fondazioni in modo funzionale alla protezione dell’interesse dell’ente, in quanto si ricollega alla mancanza di un controllo interno e mira a tutelare il vincolo di destinazione del patrimonio allo scopo voluto dal fondatore e a suo tempo stimato meritevole di separazione di responsabilità con l’atto di riconoscimento giuridico della fondazione (Cons. St., sez. I, parere n. 587 del 2023).

E infatti le deliberazioni dell’organo amministrativo della fondazione non solo non devono, in base all’art. 25 c.c., essere contrarie a norma imperativa, all’ordine pubblico e al buon costume ma anche allo scopo sociale (Cons. St., sez. II, 11 giugno 2020 n. 3722), con la particolarità che il rispetto di tali disposizioni è assicurato dal controllo devoluto per legge all’Autorità pubblica, e non rimesso quindi all’iniziativa di colui che si assume leso, così assicurando l’effettività nel rispetto di dette regole (a riprova della rilevanza delle stesse).

La stessa legge regionale n. 19 del 2023, che disciplina i procedimenti per la trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza in persone giuridiche di diritto privato, prevede, in conformità a quanto già previsto dal codice civile, che la revisione statutaria necessaria per la trasformazione da enti pubblici in persone giuridiche di diritto privato debba avvenire nel " rispetto delle tavole di fondazione e della volontà dei fondatori " (art. 20).

Non è previsto però in capo all’autorità di vigilanza il potere di impartire indirizzi alla fondazione o di esprimere un controllo sull’opportunità delle determinazioni o sulla gestione dell’ente (Cons. St., sez. V, 13 luglio 2018 n. 4288). Infatti “ l'autorità vigilante non può imporre alle Fondazioni modalità organizzative diverse da quelle liberamente prescelte, ma può solo intervenire quando si verifichi una delle ipotesi di cui all'articolo 25 ” (Cons. St., sez. IV, 17 giugno 2003 n. 3405).

Pertanto né il fondatore, né l’autorità di controllo possono ingerirsi nelle decisioni organizzative degli amministratori.

Nondimeno la gestione della fondazione da parte degli amministratori trova un limite nella conformazione dello scopo al quale la stessa è preordinata da parte del fondatore e nei successivi controlli dell’autorità al rispetto di detto vincolo.

Il potere esercitato sulle fondazioni da parte della Regione trova quindi la propria ragion d’essere (e il proprio limite) nella tutela dello scopo dell’Ente, così come delineato dal fondatore.

E’ rilevante pertanto individuare le disposizioni espressione della volontà del fondatore circa il vincolo di destinazione del patrimonio alla scopo, che costituiscono i limiti dell'esercizio dell'autonomia statutaria del consiglio di amministrazione e il parametro del controllo pubblico sulle decisioni dell’organo gestorio.

8.6. Con testamento del 22 febbraio 1941 il signor M M N ha nominato il Comune di Trieste erede di tutta la sua sostanza presente e futura, motivando tale scelta nella sua volontà di “ così dare alla città in cui ebbi i natali prova concreta del culto che le professo quale figlio affettuoso e devoto ”, descrivendosi come “ figlio affettuoso e devoto ” che intende affidare alla “città-madre” il proprio patrimonio perché la città stessa destinasse le rendite “ a scopo di beneficenza ”.

Muove da tali premesse la scelta del fondatore di istituire erede universale l'Ente pubblico territoriale rappresentativo della città di Trieste e della comunità che il testatore ha inteso beneficiare.

La volontà del testatore fu quindi quella di affidare, in ragione delle motivazioni sopra richiamate, il proprio patrimonio (il Comune di Trieste è stato nominato dal de cuius erede universale di tutta la sua “ sostanza presente e futura ”, in disparte le diposizioni a titolo particolare contenute nella parte seconda a del testamento e nei codicilli) e la costituzione della Fondazione alle cure del Comune di Trieste in quanto espressione del territorio triestino e della sua popolazione.

In particolare, il de cuius ha intestato all’erede l’obbligo di destinare le rendite della sostanza a scopo di beneficienza (“ destinate a costituire un fondo intangibile che porti il nome di “Mario Morpurgo-Nilma ”) attraverso una Fondazione che verrà eretta “ con regolare atto fondazionale ” stipulato dall’erede e dai suoi esecutori testamentari.

Pertanto il testatore ha desiderato che l’erede, una volta accettata l’eredità, costituisse la Fondazione.

Il Comune di Trieste ha attuato le disposizioni testamentarie attraverso la costituzione, con atto 27 ottobre 1947, della Fondazione M M N, dotandola di uno statuto che ne ha fissato gli scopi e regolamentato l’attività.

Né depone in senso contrario la previsione testamentaria di sostituzione del Comune, con l’Ente morale “ Ospedali Riuniti Regina Elena, S. Mario Maddalena, Amici dell’Infanzia ” in Trieste, nel caso di non accettazione dell’eredità o di mancata costituzione della Fondazione, che rappresenta piuttosto una soluzione residuale.

Posta quindi la volontà del testatore (così come sopra illustrata) si tratta di valutare, al fine di determinare lo scopo istituzionale della Fondazione così come inizialmente delineato, l’atto costitutivo e lo statuto, che l’art. 16 c.c. individua come deputati a delineare lo scopo dell’ente (così come l’art. 25 c.c. stabilisce come parametro del controllo di legittimità lo statuto, lo scopo della fondazione e la legge). La giurisprudenza ha infatti specificato che l’intervento dell’autorità pubblica è volto a verificare il corretto perseguimento degli “ scopi statutari ” (Cons. St., sez. I, parere n. 587 del 2023).

Nel caso di specie, peraltro, non può essere contrapposta, e distinta, la volontà del de cuius e la volontà dell’erede incaricato di dare vita alla Fondazione in quanto il testatore, attribuendo all’erede il compito di costituire la Fondazione, ha riposto la propria fiducia nel fatto che il Comune desse seguito in modo adeguato e appropriato alle proprie volontà. Ciò si evince non solo dalle sopra richiamate espressioni con le quali ha intestato al Comune il proprio patrimonio (la “ prova concreta del culto che le professo ”), ma anche dalle indicazioni circa lo scopo della stessa, cioè la destinazione delle rendite “ a scopo di beneficenza ”, esprimendo “ il desiderio che nella scelta dei beneficandi , oltre a tener conto delle condizioni di bisogno, sia data la preferenza a famiglie decadute e a poveri vergognosi ”, così lasciando al Comune la concreta declinazione delle proprie volontà (e confidando nello stesso).

Pertanto non può rinvenirsi alcuna soluzione di continuità fra il testamento e l’atto fondativo (e ciò indipendentemente dalla qualificazione del testamento in termini, o meno, di atto di dotazione patrimoniale della Fondazione e dai rapporti fra quest’ultimo e l’atto costitutivo, aspetti non rilevanti nella presente controversia).

8.7. Dall'esame delle tavole fondative, cioè dell’atto costitutivo e dell’originario statuto, si evince il ruolo attribuito al Comune di Trieste e, più in generale, alla realtà triestina (nel rispetto e in attuazione della volontà del testatore di nominare erede universale il Comune di Trieste, incaricandolo della costituzione della Fondazione):

- scopo della fondazione individuato nell’assistenza di “ triestini poveri ” (art. 3 dell’atto costitutivo);

- devoluzione degli assegni di beneficenza normalmente ai triestini (art. 5 dello statuto);

- consiglio di amministrazione composto da “ cinque membri, di cui tre nominati dal Comune di Trieste e gli altri, uno per ciascuno, dalla Camera di Commercio e Industria di Trieste, e dalla Commissione amministratrice dell'Ente comunale di Assistenza ” (art. 6 dell’atto costitutivo e dello statuto);

- potere di nomina suppletivo attribuito al Comune di Trieste nel caso di mancata nomina dei consiglieri di amministrazione da parte degli altri Enti pubblici sopra indicati (art. 6 dello statuto);

- necessità, a ogni convocazione del consiglio di amministrazione, di far pervenire “ tempestivamente copia anche al Comune di Trieste ” dell'ordine del giorno (art. 7 comma 2 dello statuto);

- potere riservato al Comune di Trieste, “ quale erede fiduciario del testatore ”, di delegare, volta per volta, ad assistere alle riunioni del Consiglio di Amministrazione un proprio rappresentante, con voto consultivo (art. 12 dello statuto);

- riconoscimento in favore del Comune di Trieste della facoltà di “ chiedere l'annullamento e la sospensione delle deliberazioni ai sensi dell'art. 25 del codice civile ” e, in caso di scioglimento dell'amministrazione e di nomina di un commissario straordinario, facoltà di proporre tre nomi per la scelta spettante all'Autorità di controllo (art. 12 dello statuto);

- attribuzione al Comune di Trieste del potere di esprimere un parere vincolante prima di procedere ad acquisti o vendite immobiliari da parte della Fondazione (art. 7 ultimo comma dello statuto);

- trasmissione al Comune di Trieste (e agli altri enti chiamati alla nomina degli amministratori), dopo la chiusura dell'anno di gestione, di un resoconto della gestione, accompagnato da una relazione dell’organo amministrativo ed eventualmente da relazioni separate da parte dei consiglieri dissenzienti (art. 8 dello statuto);

- l'attribuzione al Comune di Trieste del potere di esprimere un parere obbligatorio sulle eventuali modificazioni dell'atto costitutivo e dello Statuto, prima di essere sottoposte all'approvazione governativa (art. 13 dello statuto);

- devoluzione del patrimonio, nel caso di scioglimento o estinzione della Fondazione, al Comune di Trieste, con l'obbligo di destinarlo ad altra istituzione o persona giuridica aventi fini analoghi (art. 14 comma 1 dello statuto),

- assegnazione al Comune di Trieste del potere di esprimere un parere obbligatorio prima che il Consiglio di Amministrazione potesse deliberare lo scioglimento o la trasformazione della Fondazione (art. 14 dello statuto);

- attribuzione al Comune di Trieste, in caso di scioglimento della Fondazione, del potere di nominare i liquidatori, con l'obbligo di rendere conto della loro gestione al Comune di Trieste (art. 14 penultimo comma dello statuto).

Le suddetta clausole, anche se non presenti nell’attuale Statuto, sono indicative del ruolo e del rilievo originariamente attribuito al Comune di Trieste non solo con riferimento all’aspetto organizzativo, superabile (e poi superato in parte), ma anche in relazione allo scopo, nei termini individuati dal testamento, espressione del legame esistente fra il testatore e la città di Trieste, di cui è testimonianza la devoluzione a quest’ultima del proprio patrimonio e della volontà di costituire la Fondazione per le necessità del territorio triestino e della relativa popolazione.

Non depone in senso contrario la sentenza del Consiglio di stato, sez. II, 11 giugno 2020 n. 3722, che pur ha affrontato una questione simile, cioè una riduzione del numero di amministratori nominati dal Comune. Senonché in quel caso “ la volontà del de cuius è stata quella di conferire la direzione della casa di riposo ad ecclesiastici ”, non al Comune. E pertanto, anche in quel caso, ha assunto un ruolo decisivo la volontà originariamente espressa nell’atto fondativo.

La ricostruzione della volontà del testatore, nei termini nei quali incide sugli atti fondativi (nel caso di specie delineati nei termini sopra esposti), e questi ultimi in quanto individuano lo scopo istituzionale al quale è destinato il patrimonio, assumono pertanto un rilievo decisivo nell’ambito della presente controversia.

Nell’atto fondativo sono previsti plurimi interventi del Comune di Trieste, che pervadono la gestione della Fondazione al fine di assicurare il perseguimento dell’obiettivo, identificato nella tutela in particolare dei “ triestini poveri ”.

Pertanto, nel caso di specie, l’atto fondativo assicura al Comune di Trieste un controllo sull’evoluzione della fondazione a cagione di un legame con il territorio, impersonificato nel Comune di Trieste, che si insinua nello scopo sociale.

Così facendo oltre al ruolo affidato al Comune di Trieste nell’atto fondativo in punto di decisioni fondamentali, viene interessato un profilo, quello dello scopo, che sicuramente è intercettabile in sede di controllo pubblico, così da rendere compatibile con l’art. 25 c.c. il provvedimento impugnato.

Il provvedimento impugnato costituisce quindi esercizio del potere di controllo riconosciuto dall’art. 25 c.c. e non è censurabile laddove ritiene che la modifica dei poteri di nomina del Comune di Trieste incida sulla volontà del fondatore, nei termini sopra delineati, che coinvolgono lo scopo sociale della Fondazione.

8.8. Né ostano ad attribuire rilevanza alla volontà del fondatore in ordine allo scopo della Fondazione le vicende storiche che hanno interessato lo statuto della stessa, tanto che numerose clausole statutarie attualmente vigenti hanno un contenuto in parte diverso da quello delle clausole originarie.

Fra le più significative (così come anche individuate da parte appellante) si rinviene la clausola statutaria dell'art. 4 dello statuto approvato con decreto assessorile 20 novembre 1998 n. 52, con la quale il potere di nomina del Comune di Trieste è stato ampliato da tre a quattro membri del consiglio di amministrazione, così integrando i requisiti richiesti dalla legge n. 6972 del 1890 disciplinante le ipab, qualifica che la Fondazione ha ottenuto con d.P.R. 23 aprile 1965, passando così dal regime privatistico a quello pubblicistico.

Nel 2005 il consiglio di amministrazione della Fondazione divenuta ipab, per soddisfare i requisiti richiesti dalla legge regionale n. 19 del 2003, e ottenere così il riconoscimento della natura di fondazione dotata di personalità giuridica di diritto privato, ha apportato alcune modifiche statutarie (approvate con d.P.Fvg 27 luglio 2005 n. 0244/Pres) nel segno di una riduzione del rilievo del ruolo del Comune di Trieste, tra le quali:

- l'eliminazione, nella premessa dell'art. 1, del riferimento al Comune di Trieste quale erede universale e fondatore, insieme al de cuius , della Fondazione;

- la riduzione da quattro a tre dei membri del CdA nominati dal Comune di Trieste per poter attribuire ad un soggetto privato, la Confcommercio di Trieste, il potere di nomina come richiesto dall'art 19, comma 2, della citata legge regionale;

- l'eliminazione della clausola statutaria che consentiva al Comune di Trieste, “ quale erede fiduciario del testatore ”, di delegare, volta per volta, ad assistere alla riunione del CdA un proprio rappresentante con voto consultivo.

Le modifiche intervenute e, in particolare la prima, non sono (né potrebbero essere) strumentali a negare rilevanza allo scopo fondativo così come originariamente delineato.

Né si interpone rispetto allo scopo delineato dalle tavole fondative la trasformazione dell’ipab in persona giuridica di diritto privato, e ciò non solo in quanto originariamente la Fondazione è stata riconosciuta come persona giuridica ai sensi dell’art. 12 c.c. (decreto del Presidente della zona di Trieste del governo militare alleato n. 3183/15738 del 5 dicembre 1947) ed era retta, in base all’art. 15 dello Statuto, dalle norme del codice civile relative alle persone giuridiche (private) ma anche in ragione delle disposizioni contenute nella l.r. n. 19 del 2003, che ha disposto la trasformazione della Fondazione divenuta ipab in persona giuridica di diritto privato.

In base alla l.r. n. 19 del 2003, infatti, la revisione statutaria necessaria per la trasformazione deve avvenire nel “ rispetto delle tavole di fondazione e della volontà dei fondatori ” (art. 20). Infatti il “ consiglio di amministrazione deve comunque comprendere le persone indicate nelle originarie tavole di fondazione in ragione di loro particolari qualità ”, così ribadendo (contrariamente a quanto dedotto da parte appellante) la rilevanza della volontà del fondatore anche dopo la trasformazione dell’Ente in persona giuridica di diritto privato, e la conseguente necessità che i tre membri di nomina comunale continuino a sedere nel consiglio di amministrazione della Fondazione, vista la qualità di erede universale fiduciario del testatore e di fondatore propria del Comune di Trieste.

In altri termini, la citata legge regionale conferma in modo espresso che le sopravvenute vicende storiche non superano il vincolo di destinazione allo scopo impresso nelle tavole fondazionali, espressione della volontà del fondatore di riconoscere al Comune di Trieste un ruolo prioritario nell'assetto organizzativo della Fondazione.

Né può ritenersi che le (altre) modifiche apportate allo statuto approvato con d.P.Fvg 27 luglio 2005 n. 0244/Pres abbiano reciso il vincolo di destinazione impresso al patrimonio con l’atto fondativo in ragione del fatto che sono intervenute sullo scopo dell’Ente: anche in ragione del fatto che sono state approvate dall’Autorità di controllo, non può che ritenersi che si siano svolte nel perimetro dello scopo originariamente delineato.

Del resto, nell’ambito dell’originario scopo di prestare assistenza ai “ triestini poveri, con speciale riguardo a famiglie decadute ed a poveri vergognosi del loro stato ” (art. 3 dell’atto costitutivo) con la modifica del 2005 si è ritenuto di individuare i beneficiari dell’attività della fondazione nelle “ persone o famiglie indigenti con preferenza per quelle decadute e che, come tali, sono da considerare quelle persone già appartenenti alla categorie degli artigiani, commercianti, liberi professionisti, rappresentanti di commercio e simili, o loro vedove ”, con “ preferenza agli aspiranti nati o residenti a Trieste ” (art. 2 dello statuto 2005).

8.9. In ragione di quanto sopra il Collegio ritiene che il provvedimento impugnato costituisca esercizio del potere di controllo riconosciuto dall’art. 25 c.c. e non sia censurabile laddove ritiene che la modifica dei poteri di nomina del Comune di Trieste incida sulla volontà del fondatore, nei termini sopra delineati, che coinvolgono lo scopo sociale della Fondazione

9. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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