Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-11-16, n. 202007077

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-11-16, n. 202007077
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007077
Data del deposito : 16 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/11/2020

N. 07077/2020REG.PROV.COLL.

N. 04294/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4294 del 2014, proposto da
G C, rappresentata e difesa dall'avvocato G M, con domicilio eletto presso lo studio Pernazza - Malinconico in Roma, via Nizza n. 53;

contro

Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. A M C, domiciliata ex lege in Roma, via Marcantonio Colonna n. 27;

nei confronti

P B, C M - non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 09326/2013, resa tra le parti, concernente la domanda di riconoscimento del diritto ad ottenere il risarcimento danni per le mansioni superiori svolte dalla ricorrente.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2020 il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti gli avvocati G M e A M C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La sig.ra G C, dipendente della Azienda Sanitaria Locale di Latina (ex USL LT 4) per esservi stata assunta in data 1° ottobre 1983 con la qualifica di “operaio” di 3° livello, ha agito in giudizio al fine di ottenere le differenze retributive maturate per avere sempre svolto di fatto mansioni superiori ascrivibili alla posizione funzionale e retributiva di assistente amministrativo (6° livello).

2. Costituitasi per resistere all’azione avversaria, l’Azienda USL di Latina ha depositato in giudizio le deliberazioni dell’Amministratore Straordinario n. 1289 del 10.12.1992 e n. 501 del 27.05.1993, con le quali la sig.ra G C, al pari di tutti gli altri dipendenti in analoga posizione lavorativa, è stata reinquadrata nel ruolo amministrativo del profilo professionale di “ commesso ” (in luogo di quello tecnico di originaria appartenenza), ascrivibile alla III qualifica funzionale, con livello retributivo equivalente a quello originario di “ operaio ”.

3. Il Tar ha fatto derivare la reiezione del ricorso dalla mancata impugnazione di tali delibere - nella parte in cui hanno mantenuto per i soggetti interessati il terzo livello retributivo, nonostante il loro innovativo inquadramento nel ruolo amministrativo di “ commesso ”.

4. In questa sede la ricorrente censura l’erroneità della decisione appellata, invocando l’applicabilità al caso di specie dell’art. 52 comma 5 del d.lgs. n. 165/2001, introdotto dall’art. 56 del dl.gs. n. 29/1993, come sostituito dall’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 – ai sensi del quale, a fonte della nullità dell'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, è comunque dovuta “ la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore ”.

Pur consapevole del più restrittivo indirizzo espresso in materia dalla giurisprudenza amministrativa, la ricorrente sollecita un revirement interpretativo in un senso adesivo alle posizioni espresse dalla Corte di Cassazione, ritenute maggiormente coerenti con i principi rinvenibili nel dettato costituzionale (artt. 3 e 36).

5. Si è costituita in giudizio la Regione Lazio (subentrata alle disciolte UU.SS.LL ed alla relativa Gestione Liquidatoria), replicando agli assunti avversari e chiedendone la reiezione.

6. In assenza di istanze cautelari, la causa è stata discussa e posta in decisione all’udienza pubblica del 12 novembre 2020.

7. È preliminare considerare che da ultimo la sig.ra Coluzzi ha precisato di aver ottenuto il riconoscimento delle mansioni superiori effettivamente svolte e la corresponsione del conseguente e proporzionato livello retributivo in relazione al periodo temporale soggetto al regime della privatizzazione del rapporto di impiego (v. memoria 22.10.2020, pag. 10).

Sulla base di questa premessa, la stessa ricorrente ha limitato la richiesta di riconoscimento delle differenze retributive al periodo intercorrente dal 1983 sino alla data di entrata in vigore dell’art. 25 del D.Lgs n. 80 del 1998 (v. memoria 22.10.2020, pag. 11)

8. La premessa è decisiva per concludere nel senso della infondatezza dell’appello.

Come di recente ribadito dalla Sezione, prima della riforma disposta con la c.d. privatizzazione, nell'ambito del pubblico impiego lo svolgimento di mansioni superiori non dava luogo né ad avanzamenti di carriera, né alla spettanza di differenze retributive (Cons. Stato, sez. III, n. 6662/2018, 1089/2018 e 2315/2016;
id., sez. IV n. 1606/2017 e sez. V, n. 124/2016).

Valgono, sul punto, le argomentazioni poste a base della sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 3 del 2006, confermativa della precedente consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (per tutte, Ad. Plen., 28 gennaio 2000, n. 11 e 12;
Ad. Plen., 18 novembre 1999, n. 22).

9. Il citato univoco indirizzo giurisprudenziale (al quale si fa richiamo anche ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d) c.p.a.) ha chiarito che nel pubblico impiego è la qualifica - e non le mansioni - il parametro cui la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l'assetto organizzativo della pubblica amministrazione collegato, secondo il paradigma dell'art. 97 della Costituzione, ad esigenze primarie di controllo e di contenimento della spesa pubblica: pertanto, l'Amministrazione è tenuta ad erogare la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori solo se una norma speciale consenta tali assegnazioni e la maggiorazione retributiva (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. 18 novembre 1999, n. 22;
sez. V, 28 agosto 2017, n. 4087).

10. Ne consegue che le mansioni superiori svolte da un pubblico impiegato, anche non in via di fatto, ma sulla base di provvedimenti scritti e su posti esistenti in organico e vacanti, sono generalmente prive di rilievo tanto ai fini giuridici quanto economici, almeno sino all'entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, che ha reso operativa la disciplina dell'art. 56 d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, circa il diritto del dipendente pubblico, che abbia svolto mansioni superiori, al relativo trattamento economico. Tale disposizione, avente carattere innovativo, è tuttavia inapplicabile alle situazioni pregresse, come appunto al caso di specie, concernente un periodo anteriore al 1998 (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23 febbraio 2000, n. 11;
cfr, anche 26 marzo 2006, n. 3 e, per una ricostruzione dei passaggi cronologici della evoluzione giurisprudenziale, Cons. Stato, sez. V, n. 1913/2018).

La diversa posizione maturata da questo Consiglio rispetto alla Corte di Cassazione sulla portata interpretativo - retroattiva di tale disciplina è sostenuta dalla diversa lettura delle situazioni giuridiche dell'impiego pubblico e di quello privato e dal fatto che quest’ultimo è svincolato dalla stretta osservanza dei precetti costituzionali di cui agli artt. 97 e 98.

11. Per la stessa ragione, in senso opposto a tale indirizzo non è invocabile l'art. 36 Cost., trattandosi di principio non direttamente applicabile nel pubblico impiego, posto che in quest'ambito rilevano altri e diversi principi di pari portata (artt. 98 e, soprattutto, 97 Cost.) riguardanti l'organizzazione degli uffici pubblici (Cons. Stato, sez. III, nn. 1277/2014, 3786/2018, e 3372/2019).

12. Tanto basta a concludere per la reiezione dell’appello.

13. Può disporsi la compensazione delle spese di lite in ragione della natura delle questioni trattate e degli interessi in esse implicati.

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