Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-12-30, n. 202008524

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-12-30, n. 202008524
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202008524
Data del deposito : 30 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/12/2020

N. 08524/2020REG.PROV.COLL.

N. 05650/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sull’appello n. 5650 del 2020, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato L B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero della difesa - Direzione Generale per il personale militare, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sede di Bologna (Sezione Prima), n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Amministrazione appellata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 dicembre 2020 il pres. Luigi Maruotti;

Visto l’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

L’appellante, dipendente del Ministero della difesa, è stato sottoposto ad un processo penale, nel quale è stato imputato per il reato di -OMISSIS-.

Il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale militare di Verona, con la sentenza n. 49 depositata in data 20 ottobre 2017, ha assolto l’imputato perché il fatto non sussiste, ai sensi degli articoli 438-442, 530, comma 2, 544 del codice di procedura penale e dell’art. 261 del codice penale militare di pace.

In data 5 marzo 2018, egli ha chiesto alla Amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese legali sostenute, ai sensi dell’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997, convertito nella legge n. 135 del 1997.

Il Ministero ha respinto l’istanza con l’atto di data 14 giugno 2019 (sulla base del parere conforme dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di data 29 novembre 2019), rilevando che i fatti valutati in sede penale non erano connessi all’espletamento del servizio o con l’assolvimento di compiti istituzionali.

2. Con il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-(proposto al TAR per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna), l’interessato ha impugnato il diniego e ne ha chiesto l’annullamento.

3. Il TAR, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso ed ha compensato le spese del giudizio, rilevando che l’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997 non si applica quando l’interessato non abbia ‘agito nell’interesse dell’Amministrazione’ e la condotta oggetto della contestazione non sia strumentale alla prestazione del servizio e rilevando, inoltre, che ‘le persone che hanno presentato una denuncia inattendibile ne rispondono individualmente se riconosciuti colpevoli del reato di -OMISSIS-’.

4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto.

Con il primo motivo, l’appellante – dopo aver ampiamente richiamato i precedenti giurisprudenziali in materia - ha dedotto che i fatti contestati sarebbero connessi al servizio svolto.

Inoltre, egli ha rilevato che nella specie la denuncia – che ha attivato il procedimento penale – è stata trasmessa alla Procura della Repubblica non da ‘alcuni militari’, ma ‘dal Comando di appartenenza’, ‘sulla base di alcuni riferita di militari’ sul suo comportamento ‘durante i breefing di servizio in missione istituzionale’.

Si sarebbe trattata della contestazione non di una ‘-OMISSIS-, ma di uno specifico reato militare.

Inoltre, rilevato che il fatto non era connesso con il servizio, si dovrebbe ritenere che ‘il Comando militare era totalmente incompetente per qualsiasi denuncia, in quanto l’utilizzo dello strumento penale militare ha proprio come discrimine a differenza con il diritto penale comune proprio la connessione con il servizio militare’.

Pertanto, ‘nel momento in cui la procura militare ed il tribunale militare hanno accertato la propria competenza contro il militare, per la condotta di cui all’ipotesi di reato, ha sancito che il procedimento fosse instaurato per cause connesse al servizio e alla disciplina militare’.

Col il secondo motivo, l’appellante ha riproposto le censure con cui ha lamentato in primo grado l’incompetenza della Avvocatura dello Stato ‘di entrare nel merito’, cioè sulla sussistenza dei presupposti per il rimborso, nonché una disparita di trattamento rispetto ad altri militari che ‘hanno ricevuto il rimborso delle relative spese legali’.

5. Il Ministero appellato si è costituito in giudizio e in data 18 novembre 2020 ha depositato una memoria, con cui ha chiesto che il gravame sia respinto.

6. Ritiene la Sezione che l’appello vada respinto, perché infondato.

7. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto dell’art. 18, comma 1, del decreto legge n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997.

Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità ”.

Per i casi in cui sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva, rilevano i principi generali per i quali, in presenza di un potere valutativo dell’Amministrazione, la posizione del dipendente va qualificata come interesse legittimo (pur se è stata talvolta definita come di ‘diritto condizionato’ all’accertamento dei relativi presupposti: Cons. Stato, Sez. III, 29 dicembre 2017, n. 6194;
Sez. VI, 21 gennaio 2011, n. 1713).

L’art. 18 sopra riportato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’ an ed al quantum , poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, nonché – quando sussistano tali presupposti - se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso – con l’ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266;
Sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3593).

Di per sé il parere – per la sua natura tecnico-discrezionale – non deve attenersi all’importo preteso dal difensore (Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/2012), o a quello liquidato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266;
Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4942), ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861;
Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736;
Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266;
Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722).

Qualora il diniego (totale o parziale) di rimborso risulti illegittimo, il suo annullamento non comporta di per sé l’accertamento della spettanza del beneficio, dovendosi comunque pronunciare sulla questione l’Amministrazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori.

8. Per quanto riguarda i presupposti indefettibili per l’applicazione dell’art. 18, si è formata una univoca e convergente giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio di Stato.

Tali presupposti sono due:

a) la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente;

b) la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.

9. Quanto alla pronuncia definitiva sull’esclusione della responsabilità del dipendente, qualora si tratti di una sentenza penale si deve trattare di un accertamento della assenza di responsabilità, anche quando – in assenza di ulteriori specificazioni contenute nell’art. 18 - sia stato applicato l’art. 530, comma 2, del codice di procedura penale (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.;
Ad. Gen., 29 novembre 2012, n. 20/13;
Sez. IV, 21 gennaio 2011, n. 1713, cit.).

L’art. 18, invece, non può essere invocato quando il proscioglimento sia dipeso da una ragione diversa dalla assenza della responsabilità, cioè quando sia stato disposto a seguito dell’estinzione del reato, ad esempio per prescrizione, o quando vi sia stato un proscioglimento per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.;
Sez. VI, 2005, n. 2041).

10. Oltre alla pronuncia del giudice che espressamente abbia escluso la responsabilità del dipendente, l’art. 18 ha disciplinato un ulteriore presupposto per la spettanza del beneficio, e cioè la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali: l’art. 18 si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione (e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il ‘nesso di immedesimazione organica’).

Sulle relative questioni, l’Amministrazione competente a valutare l’istanza ben può chiedere il parere dell’Avvocatura dello Stato anche sulla sua fondatezza: tale possibilità discende dalle regole generali previste dal testo unico sulla Avvocatura dello Stato approvato con il regio decreto n. 1611 del 1933, sui consueti rapporti intercorrenti tra la medesima Avvocatura e le Amministrazioni dello Stato, e non è escluda dall’art. 18 della legge n. 135 del 1997, il quale ha ribadito la particolare rilevanza del parere della Avvocatura dello Stato, in sede di valutazione dell’istanza.

10.1. La connessione sopra evidenziata sussiste – sia pure in modo peculiare - qualora sia stata contestata al dipendente la violazione dei doveri di istituto e, all’esito del procedimento, il giudice abbia constatato non solo l’assenza della responsabilità, ma che esso sia sorto in esclusiva conseguenza di condotte illecite di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa, oppure qualificabili come un millantato credito (si pensi al funzionario, al dirigente o al magistrato accusato di corruzione, ma in realtà del tutto estraneo ai fatti, perché vittima di una orchestrata attività calunniosa o di un millantato credito emerso dopo l’attivazione del procedimento penale).

Sotto tale profilo, l’art. 18 tutela senz’altro – col rimborso delle spese sostenute - il dipendente statale che sia stato costretto a difendersi, pur innocente, nel corso del procedimento penale nel quale – esclusivamente in ragione del suo status e non per l’aver posto in essere specifici atti - sia stato coinvolto nel procedimento penale perché sostanzialmente vittima di illecite condotte altrui, che per un qualsiasi motivo illecito hanno coinvolto il dipendente, a maggior ragione se è stato designato come vittima proprio quale appartenente alle Istituzioni e per il servizio prestato.

Qualora in tali casi il giudice penale disponga il proscioglimento del dipendente statale, non rileva pertanto la natura attiva od omissiva della condotta oggetto della contestazione, perché ciò che conta è l’accertamento da parte del giudice penale dell’estraneità del dipendente ai fatti contestati, nonché il carattere diffamatorio o calunnioso delle dichiarazioni altrui.

10.2. A parte l’ipotesi del coinvolgimento del dipendente estraneo ai fatti, ma vittima di una illecita condotta altrui, quanto alla ‘connessione’ tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali, la giurisprudenza ha più volte chiarito che si deve trattare di condotte (estrinsecatesi in atti o comportamenti) che di per sé siano riferibili all’Amministrazione di appartenenza e che, di conseguenza, comportino a questa l’imputazione dei relativi effetti (Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427;
Sez. IV, 5 aprile 2017, n. 1568;
Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190): la condotta oggetto della contestazione deve essere espressione della volontà della Amministrazione di appartenenza e finalizzata all’adempimento dei suoi fini istituzionali.

L’art. 18 è di stretta applicazione e si applica quando il dipendente sia stato coinvolto nel processo per l’aver svolto il proprio lavoro, e cioè quando si sia trattato dello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o del comportamento (e dunque quando l’assolvimento diligente dei compiti specificamente lo richiedeva), e non anche quando la condotta oggetto della contestazione sia stata posta in essere ‘in occasione’ dell’attività lavorativa (Cass., 3 gennaio 2008, n. 2;
Cons. Stato, Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1154;
Sez. III, 8 aprile 2016, n. 1406;
Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190;
Sez. IV, 14 aprile 2000, n. 2242) o quando sia di per sé meritevole di una sanzione disciplinare (Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190).

Invece, esso non si applica quando la contestazione in sede penale si sia riferita ad un atto o ad un comportamento, in ipotesi, che:

a) di per sé costituisca una violazione dei doveri d’ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427);

b) sia stato comunque posto in essere per ragioni personali, sia pure durante e ‘in occasione’ dello svolgimento del servizio, e dunque non sia riferibile all’Amministrazione (Cass. civ., Sez. I, 31 gennaio 2019, n. 3026;
Sez. lav., 6 luglio 2018, n. 17874;
Sez. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297;
Sez. lav., 30 novembre 2011, n. 25379;
Sez. lav., 10 marzo 2011, n. 5718;
Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1816;
Sez. III, 2013, n. 4849;
Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190), ad esempio, quando la contestazione si sia riferita a una condotta che riguardi la propria vita di relazione, ancorché nell’ambiente di lavoro (Cons. Stato, Sez. V, 2014, n. 6389;
Sez. II, 15 maggio 2013, n. 3938/13), o che non sia riconducibile strettamente alla attività istituzionale, quale l’accettazione di un regalo o il coinvolgimento in un alterco con colleghi, ma che all’esito del giudizio non sia stata qualificata come reato.

c) sia potenzialmente idoneo a condurre ad un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione (ad esempio quando, malgrado l’assenza di una responsabilità penale, sussistano i presupposti per ravvisare un illecito disciplinare e per attivare il relativo procedimento: cfr. Cons. Stato, Sez. II, 27 agosto 2018, n. 2055;
Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.;
Sez. IV, 2013, n. 1190;
Sez. IV, 2012, n. 423).

Infatti, la ratio della regola del rimborso delle spese – per i giudizi conseguenti alle condotte attinenti al servizio - è quella di ‘evitare che il dipendente statale tema di fare il proprio dovere’.

Occorre uno specifico nesso causale tra il fatto contestato e lo svolgimento del dovere d’ufficio (Cons. Stato, Sez. II, 21 novembre 2018, n. 2735;
Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1681) e il rimborso non spetta per il solo fatto che in sede penale vi sia il proscioglimento per un reato proprio (commesso per la qualità di dipendente dello Stato).

10.3. In materia non rilevano di per sé le disposizioni del codice civile sul contratto di mandato, proprio perché l’art. 18 sopra riportato ha indicato i presupposti – sostanziali e procedimentali – indefettibili per la spettanza del rimborso.

11. Tenuto conto dei principi sopra evidenziati, vanno integralmente confermate le statuizioni della sentenza appellata.

Nel caso di specie, dalla lettura della sentenza del g.i.p. n. 49 del 2017 si evince che:

- i fatti contestati in sede penale sarebbero stati commessi ‘tra luglio e settembre 2015’;

- ‘nel corso dei primi accertamenti svolti dal personale di polizia militare’, due degli otto militari che hanno reso informazioni ‘dichiaravano di avere -OMISSIS-, ‘non in privato’;

- ‘tuttavia, nessuno dei due è stato in grado di circostanziare nemmeno un singolo episodio in più precisi termini di tempo o di luogo di accadimento’;

- ‘le accuse dei due… non hanno, dunque, trovato riscontro nelle dichiarazioni rese dagli altri sei militari ascoltati nella prima fase degli accertamenti’;

- un solo altro militare ha affermato che l’appellante ‘era solito -OMISSIS-, pur senza precisare le relative circostanze;

- il g.i.p. ha tenuto conto delle dichiarazioni dei tre militari, cui ‘si contrappongono quelle di segno contrario’, e le ha valutate ‘con molta prudenza’, giungendo ad affermare che ‘la piattaforma valutativa a disposizione del giudice non consente di accertare con certezza che sia vera la versione dei tre accusatori e non attendibile quella degli altri venticinque limitari ovvero viceversa’ ed assolvendo ai sensi dell’art. 530 del c.p.p.

12. Ritiene il Collegio che il TAR, tenuto conto delle risultanze emerse e della contestazione che vi è stata in sede penale, del tutto correttamente ha ravvisato la legittimità dell’atto con cui l’Amministrazione ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 18 sopra riportato.

La condotta oggetto della contestazione, pur se poi risultata insussistente, ha riguardato un comportamento del militare che non può essere considerato connesso ‘con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali’.

La contestazione ha riguardato un comportamento tipicamente riconducibile a ragioni personali, sia pure posto in essere (sempre secondo la contestazione) ‘in occasione’ dello svolgimento del servizio, sicché non può essere considerato riferibile all’Amministrazione.

Non rileva il fatto che la denuncia penale sia stata trasmessa alla Procura della Repubblica non da ‘alcuni militari’, ma ‘dal Comando di appartenenza’: tale Comando ha trasmesso la denuncia per la diffamazione, prospettando fatti rilevanti in ragione dello status , posti in essere non nello svolgimento di doveri d’ufficio, ma quale comportamento personale.

Inoltre, il fatto che la procura militare ed il tribunale militare abbiano ravvisato la propria competenza non ha alcun significato nel presente giudizio, nel quale risulta che la condotta in questione, al di là della qualificazione penalistica, è stata contestata quale commessa come un comportamento di per sé strettamente personale, pur se avvenuta durante lo svolgimento del servizio.

Va respinta la censura secondo cui l’Avvocatura dello Stato non sarebbe potuta entrare nel merito.

Come sopra si è rilevato, l’Amministrazione ben può tenere conto delle valutazioni della Avvocatura dello Stato, già sulla base delle disposizioni generali contenute nel testo unico approvato con il regio decreto n. 1611 del 1933, non incise in parte qua dal sopra riportato art. 18.

Del resto, poiché l’Avvocatura dello Stato si deve esprimere sul quantum , ben può essa manifestare il proprio avviso sulla assenza dei presupposti per liquidarlo e ritenere che nessun importo sia dovuto.

Va infine respinta la censura con cui si è lamentata una disparità di trattamento.

L’appellante al riguardo ha dedotto che i denuncianti, ‘giudicati dalla magistratura ordinaria’, avrebbero ottenuto il rimborso delle spese legali.

Al riguardo osserva il Collegio che non sussiste la identità delle situazioni prese a confronto.

In linea di principio, non sono assimilabili le posizioni di chi abbia reso dichiarazioni nello svolgimento dei propri doveri e poi sia stato prosciolto in sede penale dalla contestazione di falsa testimonianza o di -OMISSIS-, rispetto a quella di chi secondo la contestazione ha posto in essere una condotta penalmente punibile, riconducibile ad un comportamento personale, pur se poi risultato insussistente come nel caso di specie.

13. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto. La condanna al pagamento delle spese del secondo grado segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

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