Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-25, n. 202206519
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Testo completo
Pubblicato il 25/07/2022
N. 06519/2022REG.PROV.COLL.
N. 09010/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9010 del 2019, proposto da
M C, G C e A C, rappresentati e difesi dall'avvocato L F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Amalfi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato V C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
G F, rappresentata e difesa dagli avvocati A I D V e M V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), n. 01487/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Amalfi e di G F;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2022 il Cons. T M e uditi per le parti gli avvocati L F, Francesco Mangazzo per delega di V C e M V;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il presente giudizio reca ad oggetto i seguenti tre provvedimenti del comune di Amalfi che riguardano opere abusive presso l’immobile sito in Amalfi, Salita Baglio (catastalmente identificato al foglio n. 16, particelle 5, sub 1, 6 sub 2, 27 sub 2 e 198) e ricadente in zona sottoposto a vincolo paesaggistico:
a) l’ordinanza di demolizione del 11 ottobre 2016, n. 3;
b) il diniego della relativa domanda di accertamento di conformità del 26 giugno 2017, prot. 7860;
c) l’ingiunzione di pagamento del 28 novembre 2017, prot. 14934.
2. Con tre ricorsi (n.r.g. 2068/2016, 1596/2017 e 188/2018), i signori M C, G e A C avversavano innanzi al T.A.R. per la Campania, sezione staccata di Salerno, le predette determinazioni, deducendo:
a) l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione in quanto le opere contestate non avrebbero bisogno di un previo titolo edilizio, rientrando nella categoria dell’attività edilizia libera, non impattanti sotto il profilo paesaggistico, quindi meramente interventi interni ed assentiti dal cosiddetto “Piano Casa” (l.r. Campania n. 19/2009);la demolizione sarebbe inoltre illegittima in quanto gli interventi sarebbero sanzionabili solo in via pecuniaria e l’ordine di demolizione non sarebbe stato preceduto da una previa comunicazione di avvio di procedimento;
b) l’erroneità del rigetto dell’istanza di accertamento in conformità in quanto si tratterebbe invece di interventi sanabili e l’amministrazione non avrebbe considerato sufficientemente le controdeduzioni presentate nell’ambito del procedimento;
c) infine anche l’errore del Comune ad adottare la sanzione pecuniaria, per i motivi già dedotti con i ricorsi che riguardavano gli atti sub a) e b), ed inoltre per aver applicato illegittimamente la sanzione in via retroattiva.
3. Si costituiva il Comune di Amalfi che chiedeva il rigetto del ricorso.
4. In questi ricorsi di primo grado interveniva ad opponendum anche la signora G F, deducendo di essere proprietaria confinante controinteressata e chiedendo il rigetto del gravame. In particolare la signora F eccepiva di essere titolare di un diritto di servitù di passaggio sul fondo dei ricorrenti Capuzzo/Capelli e che le opere contestate le avrebbero impedito l’esercizio del diritto.
5. Il T.A.R. per la Campania, sezione di Salerno, con sentenza n. 1487 del 2019, previa riunione dei tre ricorsi, li ha respinti, in quanto infondati e ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore del Comune, mentre ha compensato le spese tra i ricorrenti e la controinteressata.
6. Con ricorso allibrato al n.r.g. 9010/2019, i signori M C, G ed A C hanno interposto appello affidato ad un unico ed articolato motivo di gravame, rubricato “ Error in Judicando;Violazione e Falsa Applicazione di legge (Artt. 1, 2, 3, 7 e 10 bis della L. 241/90 e succ. mod;artt. 3, 6 (come mod. dalla legge di conversione 73/2010), e segg. e 36 del DPR 380/01 e succ. mod.;L.R.C. n. 19/2009;L.R.C. n. 16/2014;L.R.C. n. 6/2016;DPR 31/2017, Artt. 27, 31 e 31, commi 4 e 4 bis, del DPR 380/2001 come modificato dalla L. 11/11/2014 n. 164;Violazione dei principi derogatori di cui alle norme statali e regionali, in particolare, della novella introdotta dal DPR 31/2017) Violazione del Principio del Buon Andamento della Pubblica Amministrazione - Eccesso di potere (Difetto Assoluto d’Istruttoria - Erroneità- Perplessità – Sviamento- Incompetenza) ”, con cui nella sostanza ripropongono i motivi dei ricorsi di primo grado.
Il T.A.R, sostengono gli appellanti, non avrebbe correttamente valutato le opere contestate, sbagliando anche a considerare la mancata partecipazione dei ricorrenti al procedimento ai sensi della legge n. 241/1990, e avrebbe erroneamente ritenuto corretta l’applicazione della sanzione pecuniaria.
7. I singoli motivi di appello possono essere così sintetizzati.
7.1 Sull’ordinanza di demolizione
Secondo gli appellanti non risponderebbe al vero che con le opere avrebbe avuto luogo un frazionamento dell’originario appartamento (punto 13), le opere esterne vi sarebbero sempre state, non creando comunque superfici e volumi. Scale di accesso, cancello d’ingresso e muri di contenimento sarebbero solo stati preesistenti ed oggetto solo di manutenzione. Le aperture sui prospetti sarebbero state realizzate in tempi lontanissimi;la trasformazione del vano finestra in vano balcone non sarebbe veritiera. L’ordinanza di demolizione sarebbe solo stata trascritta con il metodo “copia-incolla” dal verbale redatto dalla Polizia Municipale, senza verificare tecnicamente il contenuto. Anche per quanto riguarda le opere interne queste non sarebbero qualificabili come nuova costruzione, in quanto non necessiterebbero di alcun titolo edilizio. Il TAR avrebbe inoltre errato a non apprezzare che l’incremento della volumetria attraverso tali opere sarebbe in ogni modo assentibile dal “Piano Casa” (l.r. Campania n. 19/2009) che avrebbe previsto un aumento fino al 20% della cubatura residenziale originaria, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti. Tale norma coprirebbe anche la contestata trasformazione del locale caldaia in locale W.C.
7.2 Sul diniego dell’istanza di accertamento in conformità
Il TAR avrebbe errato a non poter considerare sanabile le opere descritte nell’istanza di accertamento in conformità, essendo invece conformi alla disciplina urbanistico-edilizia e paesaggistica, in quanto i) sarebbero escluse dall’autorizzazione paesaggistica, non contemplando aumenti volumetrici; ii) le pavimentazioni esterne sarebbero ammesse dall’art. 6, co. 1 e-ter del DPR n. 380/2001; iii) il locale trasformato in W.C. non avrebbe ricevuto una nuova e diversa destinazione urbanistica; iv) la sanatoria sarebbe ammissibile anche in casi di doppia conformità sopraggiunta; v) la citata l.r. 19/2019 ammetterebbe anche di ottenere il titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Anche dal punto di vista ambientale ( rectius : paesaggistica) la sanatoria doveva essere approvata, essendo molte opere solamente interne e non visibili, realizzate da molti anni, il fabbricato avrebbe conservato le medesime caratteristiche architettoniche, le opere non avrebbero creato nuovi volumi e superficie, l’immobile non ricadrebbe in area di inedificabilità assoluta. Errato sarebbe anche il rigetto della censura sulla mancata considerazione delle controdeduzioni, che, contrariamente a quanto scritto nel provvedimento, gli appellanti avrebbero inoltrato al Comune con P.E.C. del 20.4.2017.
7.3 Sulla sanzione pecuniaria
La sentenza sarebbe inoltre errata per aver accertato la legittimità della sanzione pecuniaria, in quanto il TAR non avrebbe colto che le opere contestate sarebbero ricomprese nella casistica di cui all’art. 6 del DPR 380/2001 e del DPR n. 31/2017, per cui non potrebbe applicarsi la ulteriore sanzione dell’acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale contemplata dal citato articolo 31 per la sola inottemperanza alla demolizione, bensì risulterebbe applicabile il comma 7 dell’art. 5 della legge di conversione n. 73/2010, ovvero una sanzione pecuniaria.
Inoltre, la sanzione prevista dall’art. 31 del DPR 380/2001 (come modificata dalla legge n. 164/2014) sarebbe entrata in vigore solo il 12.11.2014, mentre le opere sarebbero tutte precedenti, per cui la sanzione sarebbe stata applicata retroattivamente.
8. Si è costituito il Comune per resistere all’appello.
9. Si è costituita anche l’originaria controinteressata G F, eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specifiche censure ed inoltre per l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza per mancata impugnazione dei capi n. 5 e 6 della sentenza di primo grado, e concludendo per il resto per l’infondatezza del gravame.
10. Le parti appellanti hanno depositato una memoria in data 8.12.2021, il Comune in data 16.12.2021 e la controinteressata il 4.7.2022.
11. All’udienza del 7 luglio 2022, l’appello è stato trattenuto per la decisione.
12. L’appello è infondato ed esime il Collegio dall’esame delle eccezioni di inammissibilità spiegate dalla controinteressata F.
12.1 Per quanto riguarda l’ordinanza di demolizione gravata, il Collegio osserva che il TAR ha puntualmente motivato perché le diverse opere accertate come abusive del Comune devono essere considerate nella loro organica globalità, perché denotano la realizzazione continuativa di diversi illeciti edilizi tra loro complementari, trasformando quindi progressivamente un complesso edilizio, sotto vari profili (planivolumetrico, morfologico, strutturale e funzionale), differenziandolo in maniera rilevante rispetto a quanto a suo tempo posto alla base del titolo edilizio. Le singole contestazioni erano così descritte:
”1) Demolizione dell'originario cancello in ferro a due ante costituente l’ingresso dalla pubblica via, con realizzazione, in luogo dello stesso, di una parete in muratura delle dimensioni di circa mt. 2,00 x mt. 2,00;2) Realizzazione, in luogo della preesistente ed originaria scala in muratura posta esternamente al fabbricato ed in aderenza allo stesso, di un terrazzo composto da murature di contenimento in pietrame calcareo e cls delle dimensioni di circa mt. 0,70 x mt. 2,00 circa intervallato da n. 4 gradini, pavimentato e protetto da ringhiera in ferro e parapetto in muratura;3) Pavimentazione con piastrelle in cotto, dell’area cortilizia posta a sud del piano terra avente forma irregolare e dimensioni pari a circa mq. 6,00;4) Apertura ex novo, nel prospetto sud del piano terra, di un vano finestra delle dimensioni di mt. 1,37 x mt. 0.87, completo di infisso e persiana alla romana;5) Realizzazione nell’area giardino posta in aderenza dell’area cortilizia indicata al precedente punto “4”, di un terrazzo in cls composto da muratura di contenimento in 6 pietrame calcareo di forma irregolare avente superficie di circa mq. 28,00 pavimentato con piastrelle in cotto e protetto da ringhiera in ferro;6) Realizzazione in aderenza del terrazzo indicato al precedente punto “3” di una scala on muratura di dimensione di circa m. 10,00 di lunghezza x m. 1,20 di larghezza;7) Trasformazione nel prospetto sud del primo piano, del vano finestra in u vano balcone delle dimensioni di mt. 2,05 x mt. 1,00 completo di infisso e persiana alla romana;8) Demolizione della scala di collegamento interno tra il piano terra ed il primo con chiusura del relativo vano di passaggio;9) Abbassamento di circa c.35 del piano di calpestio dell’intero piano terra avente superficie pari a mq.32;10) Aumento plano volumetrico del piano terra mediante lo sbancamento del terrapieno lato nord con conseguenziale realizzazione di un vano adibito a cucina di forma irregolare delle dimensioni di mt. 3,40 x mt. 1,70 circa x mt. 2,60 di altezza, completo e rifinito in ogni sua parte;11) Realizzazione nella muratura portante del piano terra di due vani di collegamento tra l’ambiente adibito a soggiorno e l’ambiente ad uso cucina aventi dimensioni entrambi di mt. 2,50 x mt. 0,90 x mt. 1,00 circa di profondità;12) Trasformazione del preesistente locale caldaia situato al piano terra, in locale w.c. rifinito in ogni sua parte e completo di box doccia realizzato in una nicchia della muratura, collegato al resto dell’immobile a mezzo di vano porta interno;13) Frazionamento dell’originario appartamento disposto su due livelli in due distinte unità abitative aventi autonomo accesso e munite rispettivamente di w.c. e cucina di cui una al piano terra ed una al primo piano. ”
L’accertamento di questi cambiamenti sine titulo è poi stato ulteriormente ribadito dal primo giudice che ha ricordato la “ realizzazione di terrazzi, di scale, di aperture, di una parete in luogo di un preesistente cancello, al sostanziale frazionamento dell’originaria abitazione in due unità immobiliari distinte e indipendenti, alla creazione di maggiore volumetria mediante abbassamento del calpestio, nonché ampliamento del piano terra, al cambio di destinazione d’uso di un locale tecnico in wc ”, confermando di arrecare così un impatto volumetrico sul territorio (ed un conseguente aumento del carico urbanistico) sia singolarmente, sia nel loro complesso. Il TAR ha poi proseguito anche dettagliatamente lo scrutinio dell’abusività di queste opere, confermata dalla rispettiva giurisprudenza (per gli incrementi volumetrici, il frazionamento in due unità immobiliari, cambio di destinazione di volume tecnico in abitabile). Tale importante insieme di singoli interventi escludono che possano rientrare nell’edilizia libera (e non rileva neppure l’asserita vetustà dell’intervento, al di là della mancata prova temporale nel caso specifico), in quanto l’abuso edilizio non può essere visto in maniera “atomistica” o “frazionata”, ma deve essere valutato nel suo insieme ( ex multis Cons. Stato, sez. II, n. 3164/2020;sez. VI, n. 4789/2022).
Gli appellanti non offrono al Collegio nuovi punti critici o indirizzi giurisprudenziali diversi o contrastanti, ma ripropongono le censure spiegate in primo grado, non indicando – se non con una generica censura rubricata error in iudicando – singolarmente dove il TAR sarebbe incorso in errore. L’ordinanza di demolizione risulta invece legittima alla luce della costante giurisprudenza amministrativa che richiede il permesso di costruire per gli interventi che comportano “ il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ” o che “ comportano una alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, che sono incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono invece la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie ” ( ex plurimis Cons. Stato, sez. V, n. 1510/2016).
Priva di rilievo si profila infine anche la censura secondo cui il Comune avrebbe solo “copiato” il testo contenuto nel verbale della Polizia Municipale, senza verificarne la fondatezza tecnica: su questo punto però gli appellanti non spiegano quali differenze o elementi tecnici diversi sarebbero dovuti essere accertati dall’ufficio. Non emergendo alcuna discrasia, la censura è mancante di specificità ed è pertanto inammissibile.
12.2 Inconferenti risultano al Collegio anche:
- la mancanza del previo avviso di avvio di procedimento ai sensi della legge 241/1990, correttamente scrutinata dal TAR, sulla base della univoca giurisprudenza amministrativa che considera l’atto repressivo di natura vincolata e che in quanto tale non perde di per sé solo la legittimità quando non è preceduto dalla comunicazione dell’avvio di procedimento;
- la possibilità di applicare una sanzione pecuniaria in alternativa, non essendo – stante l’accertamento delle singole abusività ed indicando il TAR anche le ragioni dei motivi ostativi qualora le opere rientrassero nel caso (non presente in questo giudizio) della difformità parziale – rinvenibile nel caso de quo l’ambito di applicazione per tale forma alternativa alla demolizione (opere di ristrutturazione eseguite in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o opere di nuova costruzione eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire, in più in zona vincolata), come più volte ricordato dalla Sezione (da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, n. 5594/2022). Inoltre il TAR ha anche chiarito, e questo capo della sentenza è rimasto senza specifiche censure, che gli originari ricorrenti non offrivano alcuna prova sul pregiudizio per l’esecuzione della demolizione, necessaria invece (in una eventuale fase successiva) per poter dar luogo alla fiscalizzazione dell’abuso ai sensi dell’art. 34 del DPR n. 380/2001;
- la critica generica che la legge regionale della Campania n. 19 del 2009 (“Piano Casa”) avrebbe permesso l’ampliamento volumetrico, spendibile semmai in una censura contro il rigetto di un permesso di costruire in sanatoria, ma non in riguardo all’ordinanza di demolizione che accertava l’assenza di uno specifico titolo edilizio rilasciato dall’amministrazione comunale (si vedrà infra che in ogni modo il ragionamento del TAR su questo successivo profilo risulta invece condivisibile e corretto).
13. Passando ora a scrutinare le doglianze avverso le statuizioni del primo giudice in merito al diniego dell’istanza di accertamento di conformità del 2017, la Sezione rileva che:
- né in primo grado (punto 5 della sentenza n. 1487/2019) né in sede di appello i ricorrenti hanno censurato il motivo di rigetto contenuto nel provvedimento gravato che riguardava la serie di opere (1-7) per le quali la sanatoria necessitava dell’assenso del titolare del diritto di servitù, assente nel caso di specie, dovendo quindi prendere atto che questo capo della sentenza è passato in giudicato;
- per quanto riguarda la mancante compatibilità paesaggistica delle altre opere (n. 8-13) di cui all’art. 167 co. 4 del d.lgs. n. 42/2004, il TAR aveva rilevato che il precedente accertamento di nuovi volumi e superfici rispetto alla situazione preesistente già di per sé è ostativo, ma è ulteriormente vietato dalla specifica norma contenuta nell’art. 5 del P.U.T. dell’area Sorrentino-Amalfitana. Anche quest’ultimo punto non risulta specificamente contestato dagli appellanti, come sarebbe dovuto essere, in quanto il diniego era suffragato da plurime motivazioni autonomamente idonee a sorreggere la decisione del giudice di primo grado. Deve quindi rilevarsi il passaggio in giudicato del rispettivo capo della sentenza di primo grado;
- il ragionamento del TAR per l’inapplicabilità del Piano Casa a domande di accertamento in conformità è illustrato ampiamente, ed è condiviso anche da questo Collegio;in seguito alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa regionale invocata che permetteva, nella formulazione originaria, la presentazione di permessi di costruire in sanatoria senza la “doppia conformità” (Corte Cost., n. 107/2017), è evidente che gli interventi contemplati dagli artt. 4 e seguente della l. r. Campania n. 19/2009 sono possibili solo se era stata rispettata la normativa vigente alla data di presentazione della domanda in sanatoria, sia la normativa vigente nel momento in cui è avvenuto l’abuso. Come è stato dedotto precedentemente, tali condizioni non erano presenti nel caso oggetto di questo giudizio (creazione di nuovi volumi e superfici non assentiti dallo strumento urbanistico vigente, in zona vincolata paesaggisticamente);
- anche questo Consiglio di Stato ha più volte ribadito che tali norme regionali sul piano caso sono eccezionali e di stretta interpretazione ( ex multis Cons. Stato, sez. IV, n. 1629/2021). La prova della sussistenza delle condizioni che ammettono al beneficio volumetrico spetta a chi propone la domanda di permesso di costruire ed è indispensabile che il progetto sottoposto al comune sia conforme a tutte le disposizioni urbanistiche, edilizie, e di settore (ambientali, paesaggistiche, antisismiche ecc., cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1629/2021, sul piano casa regione Campania);
- nulla deducono gli appellanti sull’ulteriore motivo ostativo per poter beneficiare della deroga al “Piano Casa”, puntualizzato dal TAR, e che riguarda il necessario abbinamento dei rispettivi interventi edilizi a tecniche costruttive che rispondono a criteri di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico (art. 4 co. 4 l.r. n. 9/2019), requisito mancante nella domanda e nella relazione tecnica del 1.2.2017;
- non si possono seguire gli appellanti neanche laddove sostengono l’errata considerazione del TAR sul mancante apprezzamento delle controdeduzioni di cui all’art. 10-bis della legge 241/1990, perché il primo giudice aveva fondato il rigetto di questa censura sul duplice profilo della i) mancanza di prova dell’accettazione della PEC inviata dal sistema e dell’effettiva consegna all’indirizzo dell’amministrazione e ii) dell’inidoneità del vizio ai sensi dell’art. 21-octies della legge 241/1990 (applicabile alla fattispecie ratione temporis , prima delle modifiche del 2020), in quanto la gravata l’attività comunale è riconducibile a quella vincolata e che non avrebbe in ogni modo avuto un esito diverso (non essendo le controdeduzioni utili a superare l’esito dell’esame comunale). Rileva il Collegio che gli appellanti reiterano la censura proposta in primo grado, ma non dimettono in concreto alcuna prova già ritenuta insufficiente e mancante dal primo giudice e quindi non riescono a confutare tali assunti.
14. Infine, per quanto riguarda le doglianze avverso la sanzione pecuniaria del 28.11.2017, sull’assunto dell’illegittima applicazione retroattiva dell’art. 31 comma 4-bis del DPR 380/2001, è necessario rilevare, per un verso, che il TAR ha correttamente interpretato che l’art. 6 del DPR n. 380/2001 non è applicabile perché le opere in questione non rientrano nella categoria dell’edilizia libera, il che trova conferma anche nella giurisprudenza consolidata di questa Sezione. Per altro verso, il Primo Giudice è arrivato alla conclusione che nel caso di specie non è in questione l’applicazione retroattiva della specifica sanzione, perché la norma sanziona non tanto l’abuso edilizio ma l’inottemperanza dell’ordinanza di demolizione, che integra un illecito permanente (la norma recita: “ L’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti [omissis]. ”). Ebbene, il verbale che accertava tale inottemperanza è del 5.4.2017 (quindi riferito ad un’inerzia che per un periodo consistente, nell’ordine di alcuni anni, si è manifestata comunque dopo l’entrata in vigore della norma), pertanto la censura sulla illegittima applicazione retroattiva si dimostra infondata.
15. L’appello va, pertanto, respinto.
16. Le spese del grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.