Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-03-15, n. 202102224

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-03-15, n. 202102224
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202102224
Data del deposito : 15 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/03/2021

N. 02224/2021REG.PROV.COLL.

N. 10396/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10396 del 2019, proposto da
Regione Autonoma Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A C e F I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Novembre 79, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato P C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. 00371/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Novembre 79 SrL;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. Francesco De Luca nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2020 svoltasi ai sensi dell’art. 25 Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020 attraverso l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, la Regione Autonoma della Sardegna appella la sentenza n. 371 del 2019, con cui il Tar Sardegna ha accolto il ricorso proposto dalla Novembre 79 SrL avverso la determinazione n. 2079 del 2016, attraverso la quale il Direttore del Servizio Tutela Paesaggistica per le province di Sassari e Olbia Tempio: a) ha annullato in autotutela la nota n. 182/OT del 25.1.2010 e la determinazione n. 1509 del 29.5.2015;
b) ha dichiarato l'inammissibilità dell'istanza di parere paesaggistico presentata dalla Società Novembre 79 S.r.l., per la sanatoria delle opere abusivamente realizzate in Comune di Golfo Aranci, località Marineledda, ai sensi e per gli effetti dell'art. 33 L. n. 47/1985, trattandosi di opere abusive realizzate in seguito all'istituzione del vincolo d'inedificabilità assoluta di cui all'art. 11, 1 comma, lett. b, L.R. n. 10/1976;
nonché c) ha trasmesso la relativa determinazione all'amministrazione comunale per l’adozione dei conseguenti provvedimenti in conformità all'orientamento espresso con ordinanza cautelare del TAR Sardegna n. 214 del 20.9.2016.

In particolare, secondo quanto dedotto in appello:

- la Società Novembre 79 SrL ha avanzato istanza al Servizio di tutela paesaggistica per la Provincia di Olbia – Tempio, al fine di ottenere il parere paesaggistico nell’ambito del procedimento di condono edilizio ai sensi della L. n. 47 del 1985, relativo ad opere edilizie consistenti nella diversa distribuzione volumetrica e nell’ampliamento in pianta al piano terra e parte al piano interrato del corpo M e di parte del box 110 di un fabbricato ubicato in Comune di Golfo Aranci, ricadente in ambito vincolato sotto il profilo paesaggistico;
l’istanza risultava corredata anche da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex art. 47 DPR n. 445/2000 attestante che le opere abusive risultavano realizzate nel febbraio 1976;

- l’organo richiesto, ritenuti insussistenti i presupposti per l’irrogazione della sanzione ripristinatoria, alla stregua di quanto dichiarato dalla parte istante, nonché reputando di procedere all’applicazione della sanzione pecuniaria, con nota n. 182 del 25.1.2010 ha chiesto la presentazione di una perizia estimativa ai fini della quantificazione del quantum dovuto;

- all’esito di un supplemento istruttorio, il Servizio regionale ha rilevato la mancata corrispondenza tra quanto dichiarato dall’istante e quanto emergente da alcune ortofoto relative all’anno 1997, che documentavano l’assenza delle opere in questione nell’area di riferimento;

- il Servizio regionale ha, dunque, comunicato con nota n. 18125 del 18.4.2014 i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, facendosi questione di opere realizzate successivamente all’istituzione, nel marzo 1976 ex L.R. n. 10/1976, del vincolo di inedificabilità gravante sull’area di edificazione, con conseguente insussistenza dei presupposti per fare luogo alla sanatoria ex art. 32 L. n. 47/1985;

- all’esito, il Servizio Tutela paesaggistica per le province di Sassari e Olbia – Tempio con provvedimento n. 1406 del 21.5.2014 ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di sanatoria avanzata dalla società Novembre 79, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi;

- l’istante ha, dunque, proposto ricorso dinnanzi al Tar Sardegna avverso lo sfavorevole provvedimento amministrativo;

- in sede cautelare, il giudice adito ha accolto l’istanza avanzata dalla ricorrente, rilevando che la richiesta di perizia giurata, di cui alla nota prot. n. 182/OT del 25.1.2010 cit. era da considerarsi un’autorizzazione paesaggistica;

- in pendenza di giudizio, con determinazione n. 1509 del 2015 il Direttore del Servizio Tutela ha revocato la determinazione n. 1406 del 2014 cit.;

- il Tar Sardegna, adito dalla società Novembre 79, con sentenza n. 1098/2015 ha, quindi, dichiarato la cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso presentato avverso la determinazione n. 1406 del 2014 cit.;

- con nota n. 50277 del 25.11.2015 il Servizio Tutela ha comunicato alla Novembre 79 che, ridando impulso al procedimento di condono, avrebbe acquisito dal Servizio competente le ortofoto dell’area de qua a partire dal febbraio 1976, invitando al contempo la società a presentare documentazione probatoria e/o prove testimoniali attestanti la data di ultimazione delle opere abusive;

- accertato, attraverso l’esame di alcune ortofoto risalenti al 16.4.1977, che le opere abusive de quibus erano state realizzate in vigenza del vincolo di inedificabilità imposto dall’art. 11, lett. b), L.R. n. 10 del 1976, il medesimo Servizio Tutela, con determinazione n. 2079 del 2016 ha annullato ex art. 21 nonies L. n. 241/90 la nota n. 182 del 25.1.2010 e la determinazione n. 1509 del 29.5.2015, dichiarando, all’esito, l’inammissibilità dell’istanza di parere paesaggistico presentata dalla Novembre 79 SrL;

- la società istante ha proposto un secondo ricorso avverso l’atto n. 2079/2016 sempre dinnanzi al Tar Sardegna;

- il giudice adito ha accolto il ricorso, annullamento il provvedimento censurato.

2. In particolare, secondo quanto emergente dalla sentenza di prime cure, il Tar ha rilevato che:

- la sentenza dichiarativa della cessata materia del contendere n. 1098 del 2015 era basata sul fatto che la pretesa della ricorrente risultava essere stata pienamente soddisfatta nel corso del giudizio;

- la assoluta particolarità della situazione di fatto imponeva una istruttoria particolarmente approfondita, il rispetto stringente delle garanzie procedimentali, una motivazione particolarmente dettagliata a supporto del provvedimento adottato;
elementi mancati nel caso di specie, non avendo l’Amministrazione adeguatamente motivato in ordine alle pregnanti osservazioni contenute nella memoria difensiva presentata dall’istante in sede procedimentale;

- l’Amministrazione aveva assunto diverse determinazioni (a considerevole distanza di tempo) sulla medesima questione senza una congrua motivazione che giustificasse tali diverse decisioni e in assenza di una valutazione concreta dell’interesse pubblico perseguito;

- non risultavano false dichiarazioni, né emergeva alcuna volontà fraudolenta.

3. La Regione ha proposto appello, censurando la sentenza di primo grado con l’articolazione di tre motivi di impugnazione.

4. La società intimata si è costituita in giudizio, in resistenza all’appello, nonché ha svolto argomentate controdeduzioni con memoria del 4.2.2020

5. La Regione ha insistito nelle proprie conclusioni con memoria del 10.2.2020, con specifico riferimento alla domanda cautelare pure articolata nell’ambito dell’atto di appello.

6. Nella camera di consiglio del 13.2.2020 la causa è stata rinviata all’udienza di merito del 10.12.2020.

7. In vista dell’udienza di merito, la società appellata ha depositato memoria conclusionale in data 9.11.20210, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello, cui ha replicato la Regione con memoria del 18.11.2020.

8. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 10 dicembre 2020.

9. L’atto di appello è incentrato su tre motivi di impugnazione.

9.1 In particolare, con il primo motivo di appello è censurata l’erroneità della sentenza di prime cure, per avere omesso di qualificare correttamente una dichiarazione del 6.10.2009 con cui la società ricorrente in prime cure aveva dichiarato che le opere abusive erano state ultimate entro il mese di febbraio 1976, anteriormente all’apposizione del vincolo di inedificabilità;
quando, invece, all’esito degli accertamenti svolti, era risultato che le opere in esame non erano presenti nell’area di riferimento nell’anno 1977.

Pertanto, il parere sostanzialmente favorevole al mantenimento delle opere abusivamente realizzate di cui alla nota n. 182 del 2010 era stato reso sulla base di una dichiarazione di fatti non corrispondenti al vero;
sicchè dovrebbe operare nella specie l’indirizzo giurisprudenziale per cui l’annullamento del provvedimento emesso sulla base di una falsa o erronea dichiarazione non necessita di una compendiosa motivazione sull’interesse pubblico, da ritenere sussistente in re ipsa.

In ogni caso, il provvedimento nella specie sarebbe motivato con “richiami alla sequenza procedimentale, alla normativa di riferimento, alla giurisprudenza consolidata e confuta nel dettaglio le osservazioni dell’istante”.

9.2 Con il secondo motivo di appello è censurata l’erroneità del capo decisorio riferito alla violazione del giudicato formatosi sulla sentenza di cessazione della materia del contendere n. 1098/2015, pronunciata all’esito della determinazione n. 1509 del 2015.

Tale determinazione dava, infatti, atto che vi sarebbe stata un’altra fase istruttoria, dimostrando il mancato esaurimento del potere amministrativo in ordine all’istanza di sanatoria.

Non si sarebbe, comunque, in presenza di un giudicato equiparabile ad una “statuizione sul merito dell’ammissibilità della domanda di condono o di acclarata illegittimità del provvedimento di diniego in punto di inammissibilità”;
la sentenza n. 1098 del 2015, in particolare, sarebbe connotata da una statuizione in rito, non potendo produrre un vincolo conformativo nei confronti dell’Amministrazione regionale.

9.3 Con il terzo motivo di appello è censurata l’erroneità del capo decisorio con cui il Tar ha riscontrato la violazione del principio dell’affidamento, sebbene l’Amministrazione avesse svolto un’approfondita istruttoria, accordando alla società tutte le garanzie procedimentali e concludendo il procedimento con l’assunzione di una determinazione adeguatamente motivata.

In particolare, da un lato, l’Amministrazione avrebbe comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, prendendo posizione con l’adozione del provvedimento finale sulle osservazioni formulate dalla parte istante;
dall’altro, sarebbero stati rispettati i presupposti dell’autotutela decisoria ex art. 21 nonies L. n. 241/90, tenuto conto che in presenza di un provvedimento rilasciato sulla base di una falsa o erronea rappresentazione della realtà, fornita dall’interessato, l’Amministrazione potrebbe provvedere al ritiro dell’atto senza la necessità di esternare una particolare ragione di pubblico interesse, sussistendo un interesse in re ipsa, come avvenuto nella specie in ragione della non veritiera attestazione dell’istante in ordine alla datazione delle opere.

Pertanto, non avrebbe potuto essere negato il potere di annullamento d’ufficio di un atto “endoprocedimentale, prodromico ad un ulteriore parere di natura consultiva, atto peraltro non produttivo di vantaggi immediati per il destinatario”.

10. Pregiudizialmente, devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità dei motivi di appello, in quanto riferiti – secondo la prospettazione della società appellata – ad un preteso vizio di eccesso di potere della sentenza gravata, non configurabile in relazione ai provvedimenti giurisdizionali.

Il tenore dei motivi di impugnazione deve essere ricostruito avendo riguardo non soltanto alla rubrica, recante l’intestazione del motivo di appello, ma anche al relativo contenuto argomentativo, al fine di verificare quale sia, a prescindere dal nomen iuris impiegato nella titolazione del motivo, l’effettiva censura svolta dalla parte ricorrente.

Nel caso di specie, come rilevato nella descrizione dei motivi di appello sopra riportata, la Regione non ha denunciato un vizio di eccesso di potere di un provvedimento giurisdizionale, bensì ha puntualmente contestato l’erroneità della decisione assunta dal Tar, perché ritenuta inficiata da una scorretta valutazione del materiale istruttorio (con specifico riferimento all’impianto argomentativo a sostegno del provvedimento di riesame impugnato dall’odierna appellata) e da un’erronea interpretazione ed applicazione delle disposizioni normative in materia di autotutela decisoria.

11. Ciò premesso, l’appello, pur ammissibile in rito, è infondato nel merito.

12. Preliminarmente, occorre statuire sul secondo motivo di appello, avente ad oggetto l’autonomo capo decisorio con cui il primo giudice ha ravvisato la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 1098/2015, mediante la quale lo stesso Tar Sardegna aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere in relazione al giudizio impugnatorio promosso dalla Novembre 79 contro il provvedimento n. 1406 del 2014 cit.

Le doglianze articolate dalla Regione non sono meritevoli di favorevole apprezzamento, non potendo ritenersi che la sentenza di cessata materia del contendere sia una mera pronuncia di rito non idonea al giudicato sostanziale.

12.1 Al riguardo, il Collegio intende aderire all’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale, “ nel processo amministrativo, la sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere è configurata come sentenza di merito (v. art. 34, comma 5, cod. proc. amm., mentre le pronunce in rito sono disciplinate nel successivo art. 35 cod. proc. amm.), presupponendo tale formula che la pretesa del ricorrente, ovvero il bene della vita al quale egli aspira, abbia trovato piena e comprovata soddisfazione in via extragiudiziale in conseguenza della sopravvenuta adozione di un provvedimento favorevole da parte dell’Amministrazione, sì da rendere del tutto inutile la prosecuzione del giudizio ” (Consiglio di Stato, sez. VI, 1 aprile 2019, n. 02143).

12.1.1 Il codice del processo amministrativo distingue, in particolare, la sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere, espressamente regolata nell’ambito delle sentenze di merito ex art. 34, comma 5, c.p.a., dalla sentenza dichiarativa dell’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, costituente una sentenza di rito ex art. 35 c.p.a..

La differente natura giuridica (di merito o di rito) delle sentenze in commento discende dal diverso accertamento sotteso alla loro emissione: la cessazione della materia del contendere postula la realizzazione piena dell’interesse sostanziale sotteso alla proposizione dell’azione giudiziaria, permettendo al ricorrente in primo grado di ottenere il bene della vita agognato, sì da rendere inutile la prosecuzione del processo (Consiglio di Stato, sez. V, 13 agosto 2020, n. 5031);
l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse risulta, invece, riscontrabile qualora sopravvenga un assetto di interesse ostativo alla realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso, anche in tale caso rendendo inutile la prosecuzione del giudizio - anziché per l’ottenimento - per l’impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente

Questo Consiglio, in particolare, ha subordinato la dichiarazione di improcedibilità ad una sopravvenienza (fattuale o giuridica) tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per avere fatto venir meno, per il ricorrente, qualsiasi residua utilità, anche soltanto strumentale o morale, derivante da una possibile pronuncia di accoglimento (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 29 gennaio 2020, n. 742). Qualora, invece, permanga un interesse della parte all’esame della censura, anche ai soli fini risarcitori, il giudice procedente è tenuto a statuire nel merito, onde evitare un’elusione dell’obbligo di pronunciare sulla domanda (Consiglio di Stato, sez. V, 28 febbraio 2018, n. 1214).

La cessata materia del contendere e l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse trovano, dunque, giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non risulta preordinata ad assicurare la generale legittimità dell’operato amministrativo, bensì tende a tutelare la posizione giuridica del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell’esercizio dell’azione autoritativa oggetto di censura.

Adendo la sede giurisdizionale, la parte ricorrente, in particolare, fa valere una pretesa sostanziale, avente ad oggetto la conservazione di un bene della vita già compreso nel proprio patrimonio individuale, pregiudicato dall’esercizio del potere amministrativo, ovvero l’acquisizione (o comunque la chance di acquisizione) di un bene della vita soggetto a pubblica intermediazione.

Come precisato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, “ nel nostro sistema di giurisdizione soggettiva, la verifica della legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati non va compiuta nell’astratto interesse generale, ma è finalizzata all’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere, ritualmente, dalla parte attrice.

Poiché il ricorso non è mera “occasione” del sindacato giurisdizionale sull’azione amministrativa, il controllo della legittimazione al ricorso assume sempre carattere pregiudiziale rispetto all’esame del merito della domanda, in coerenza con i principi della giurisdizione soggettiva e dell’impulso di parte ” (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4).

La pronuncia giudiziaria risulta utile qualora, nel riscontrare l’illegittimità dell’azione amministrativa, consenta la realizzazione dell’interesse sostanziale di cui è portatrice la parte ricorrente, impedendo la sottrazione o la mancata acquisizione (o chance di acquisizione) di utilità, giuridicamente rilevanti, per effetto di azioni autoritative difformi rispetto al paradigma normativo di riferimento.

Qualora, invece, tale interesse sia stato già realizzato ovvero non possa piò essere soddisfatto, il giudizio non può concludersi con l’esame delle censure svolte nell’atto di parte, la cui fondatezza non potrebbe, comunque, arrecare alcuna utilità concreta in capo al ricorrente.

12.1.2 La cessata materia del contendere può essere determinata, altresì, dalla sopravvenuta adozione, in pendenza del giudizio, di un provvedimento favorevole alla parte ricorrente, pure ove assunto all’esito di un’ordinanza di accoglimento della domanda cautelare avanzata in ricorso.

Al riguardo, al fine di ricostruire gli effetti sostanziali e processuali riconducibili alla decisione amministrativa sopravvenuta, occorre verificare se l’Amministrazione si sia determinata autonomamente ovvero in mera esecuzione dell’ordine giudiziale, pronunciato al fine di cautelare – nelle more della definizione della controversia nel merito – la situazione giuridica soggettiva vantata dalla parte ricorrente.

In particolare:

- nella prima ipotesi l’Amministrazione detta una regula iuris del rapporto amministrativo tendenzialmente stabile, definita nel perseguimento dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, autonomamente e indipendentemente dall’esecuzione di un’ordinanza cautelare all’uopo emessa, condividendo le censure contestate dal ricorrente e riscontrate in sede cautelare, al fine di attuare un nuovo assetto di interessi, sostitutivo di quello censurato in giudizio, idoneo a governare il rapporto amministrativo corrente con la controparte;

- nella seconda ipotesi, il provvedimento sopravvenuto viene assunto al solo fine di ottemperare ad un comando giudiziale, realizzando, per l’effetto, un assetto di interessi per propria natura interinale, destinato ad essere caducato in caso di esito del giudizio favorevole all’Amministrazione procedente.

Il diverso atteggiarsi della volontà provvedimentale influisce non soltanto sulla stabilità, sul piano sostanziale, del provvedimento sopravvenuto, ma anche e correlativamente sull’andamento, sul piano processuale, del giudizio corrente tra le parti.

Difatti, qualora l’Amministrazione adotti il provvedimento in mera esecuzione dell’ordinanza cautelare e tale provvedimento sia favorevole al ricorrente, si assiste ad una doverosa ottemperanza dell’ordine giurisdizionale, che non influirà sulla procedibilità del ricorso, ma consentirà soltanto la cautela della situazione giuridica soggettiva sottesa all’azione giudiziaria in attesa dell’approfondito esame, proprio della sede di merito, delle questioni sollevate dalle parti, componenti il thema decidendum ancora da risolvere in sede giurisdizionale.

Diversamente, qualora il provvedimento sopravvenuto sia stato soltanto occasionato dall’ordinanza cautelare, condividendo l’Amministrazione la necessità di rimuovere i vizi di legittimità rilevati ad un sommario esame proprio della sede cautelare, alla stregua di quanto supra precisato, viene integrata una fattispecie di cessata materia del contendere, da dichiarare con sentenza di merito (art. 34, comma 5, c.p.a.), attraverso cui accertare l’avvenuta realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso alla proposizione del ricorso, per effetto di una determinazione amministrativa assunta autonomamente in pendenza del giudizio (cfr. Consiglio di Stato Sez. VI, 19 settembre 2018, n. 5466).

12.1.3 La sentenza dichiarativa della cessata materia del contendere, in quanto pronuncia di merito, è inoltre idonea al giudicato sostanziale, accertando in maniera incontrovertibile l’attuazione di un assetto sostanziale di interessi favorevole al ricorrente, sopravvenuto in pendenza del giudizio, interamente satisfattivo della pretesa azionata in sede giurisdizionale, come tale non più revocabile in dubbio (salve le sopravvenienze idonee ad incidere sulla conformazione del rapporto sostanziale, alla stregua delle precisazioni fornite dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 11/16, punto O motivazione in diritto).

Come ritenuto dalla Sezione, in particolare, la pronuncia de qua è suscettibile di ottemperanza (Consiglio di Stato, sez. VI, 23 novembre 2020, n. 7306), essendo idonea a rendere intangibile la situazione acquisita dalla parte ricorrente (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2375).

La posizione di vantaggio cristallizzata in sentenza e fondante la dichiarazione di cessata materia del contendere non può, dunque, essere rimessa in discussione sulla base di elementi fattuali anteriori alla formazione del giudicato, che la parte interessata avrebbero dovuto dedurre in giudizio al fine di negare l’acquisizione in capo al ricorrente di un’utilità stabile e duratura, idonea a realizzare in maniera definitiva la pretesa sottesa all’azione giudiziaria.

12.2 Alla stregua delle considerazioni svolte, è possibile soffermarsi sul caso di specie.

Dalla documentazione in atti emerge che:

- la Regione, con nota n. 182 del 25.1.2010, ha ritenuto insussistenti i presupposti per l’applicazione di una sanzione ripristinatoria, chiedendo la presentazione di una perizia estimativa per la quantificazione della sanzione pecuniaria;
nonché, con determinazione n. 1406 del 21.5.2014, ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di condono edilizio presentata dalla società Novembre 79, ritenendo che si facesse questione di opere abusive realizzate successivamente all’istituzione del vincolo di inedificabilità assoluta di cui all’art. 11, comma 1, lett. b), L.R. n. 10/1976;

- la società Marwal ha proposto ricorso avverso la determinazione n. 1406 del 2014;

- il Tar adito con ordinanza n. 242/14, considerato che il nulla osta paesaggistico era stato rilasciato con il prot. n. 182/OT del 25.01.2010, nonché valutata la probabilità di esito favorevole del ricorso e la sussistenza del danno grave ed irreparabile, ha accolto la domanda cautelare, sospendendo l’efficacia del provvedimento impugnato;

- la Regione, con determinazione n. 1509 del 29.5.2015, preso atto della sfavorevole ordinanza cautelare, ha ritenuto opportuno revocare la determinazione n. 1406 del 21.5.2014, “ riservandosi di adottare successivamente apposito provvedimento per la comminazione della sanzione pecuniaria ”;

- il Tar Sardegna, con la sentenza n. 1098/2015 cit., ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in relazione al giudizio introdotto dalla Novembre 79 contro il provvedimento regionale n. 1406 del 21.5.2014 cit., accertando l’avvenuta realizzazione dell’interesse attoreo, per effetto dell’adozione di una sopravvenuta determinazione amministrativa, recante l’annullamento in via di autotutela del provvedimento impugnato;

- la Regione, con determinazione n. 2079 del 26.10.2016, ha annullato l’originaria nota n. 182 del 2010 e il provvedimento n. 1509 del 29.5.2015, dichiarando l’inammissibilità dell’istanza di parere paesaggistico ai sensi dell’art. 33 L. n. 47/1985, trattandosi di opere abusive realizzate successivamente all’istituzione del vincolo di inedificabilità assoluta di cui all’art. 11, comma 1, lett. b), L.R. n. 10/1976.

12.2.1 La successione degli eventi di causa dimostra l’infondatezza del secondo motivo di appello, avendo la Regione, attraverso l’adozione del provvedimento n. 2079/16, violato il giudicato formatosi sulla sentenza n. 1098/15.

In particolare, con tale sentenza il Tar aveva accertato l’avvenuta realizzazione della pretesa sostanziale azionata dalla parte ricorrente, diretta ad ottenere l’annullamento di un atto dichiarativo dell’inammissibilità della propria istanza di condono, per l’esecuzione di opere su area sottoposta a previo vincolo di inedificabilità assoluta.

L’interesse sotteso al ricorso risultava, infatti, soddisfatto per effetto dell’adozione, in pendenza di giudizio, di una sopravvenuta determinazione amministrativa, adottata autonomamente e spontaneamente dall’Amministrazione intimata, recante l’annullamento in via di autotutela del provvedimento negativo all’uopo impugnato.

12.2.2 Alla stregua delle considerazioni supra svolte in ordine ai presupposti per la dichiarazione della cessata materia del contendere, deve ritenersi che la determinazione n. 1509/15 fosse stata assunta dalla Regione indipendentemente dall’emissione dell’ordine cautelare n. 242/14 pronunciato dal Tar Sardegna.

Difatti, da un lato, l’ordinanza cautelare emessa dal giudice procedente disponeva la sola sospensione del provvedimento impugnato in giudizio, senza imporre a carico dell’Amministrazione il riesame della fattispecie concreta per cui era controversia, ragion per cui il nuovo provvedimento assunto in pendenza del processo non poteva ritenersi imposto da alcun ordine giudiziale, essendo rimesso alla discrezionale valutazione della parte resistente;
dall’altro, tenuto conto di quanto espressamente rilevato dall’Amministrazione, l’intervento in autotutela tradottosi nell’adozione della determinazione n. 1509/15 cit., è stato ritenuto “opportuno”, il che conferma ulteriormente come la Regione non fosse obbligata a ritirare in autotutela il provvedimento n. 1406/2014, risultando la relativa decisione l’esito di un apprezzamento discrezionale, di condivisione della fondatezza del ricorso ex adverso proposto.

Con la sentenza n. 1098/15, pertanto, il Tar ha effettivamente accertato l’integrazione di una fattispecie di cessata materia del contendere, per effetto di una decisione autonoma e spontanea assunta dall’Amministrazione resistente.

Il passaggio in giudicato della sentenza n. 1098/15 ha, dunque, reso intangibile l’assetto di interesse favorevole al ricorrente, per come attuato con la sopravvenuta determinazione amministrativa, impedendo all’Amministrazione, nella fase di riedizione del potere, di adottare un nuovo provvedimento dal contenuto dispositivo e motivazionale identico a quello censurato dal ricorrente e spontaneamente ritirato in autotutela in pendenza di giudizio.

Nella specie, la Regione Sardegna, dopo avere autonomamente annullato la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di condono presentata dalla società Novembre 79 e avere, in tale modo, determinato la cessazione della materia del contendere nell’ambito del giudizio impugnatorio promosso contro l’atto ritirato in autotutela, non avrebbe potuto assumere una nuova determina con cui, attraverso l’annullamento del precedente provvedimento di autotutela, dichiarare per la seconda volta l’inammissibilità dell’istanza di parte.

La decisione all’uopo assunta e contestata in prime cure determina, difatti, la violazione del pregresso giudicato, attuando un assetto di interesse confliggente con quello cristallizzato con la pronunzia dichiarativa della cessata materia del contendere, in tale modo sottraendo alla controparte l’utilità riconosciuta in pendenza del precedente giudizio e consolidata con la sentenza emessa a sua definizione.

12.2.3 Né potrebbe diversamente argomentarsi, ritenendo che il nuovo provvedimento dichiarativo dell’inammissibilità dell’istanza di parte sia stato assunto sulla base di sopravvenienze idonee ad incidere sulla conformazione del rapporto sostanziale.

Come anticipato, il tema degli effetti del tempo e delle sopravvenienze (giuridiche e fattuali) sulle situazioni giuridiche dedotte in giudizio in relazione alla portata precettiva dei giudicati è stato affrontato e risolto dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 11 del 2016, secondo cui, per quanto più di interesse ai fini dell’odierno giudizio, “ l’esecuzione del giudicato può trovare limiti solo nelle sopravvenienze di fatto e diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile;
sicché la sopravvenienza è strutturalmente irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee, mentre incide su quelle durevoli nel solo tratto dell’interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima;
f) anche per le situazioni istantanee, però, la retroattività dell’esecuzione del giudicato trova, peraltro, un limite intrinseco e ineliminabile (che è logico e pratico, ancor prima che giuridico), nel sopravvenuto mutamento della realtà - fattuale o giuridica - tale da non consentire l’integrale ripristino dello status quo ante (come esplicitato dai risalenti brocardi factum infectum fierinequit e ad impossibilia nemo tenetur ) che semmai, ove ne ricorrano le condizioni, può integrare il presupposto esplicito della previsione del risarcimento del danno, per impossibile esecuzione del giudicato, sancita dall’art. 112, co. 3, c.p.a
”.

Nel caso di specie, la determinazione censurata in prime cure, pur essendo stata assunta all’esito di una rinnovata attività procedimentale, è incentrata su un elemento di fatto, dato dalla datazione delle opere abusive, anteriore perfino all’introduzione del giudizio conclusosi con la sentenza di cessata materia del contendere;
peraltro, la Regione appellante, già prima della formazione del giudicato di cui alla sentenza n. 1098/15, era a conoscenza di tale elemento fattuale, essendo stato posto alla base del provvedimento n. 1406 del 21.5.2014, assunto proprio in relazione alla posteriorità dell’esecuzione dell’intervento edilizio abusivo rispetto all’apposizione del vincolo di inedificabilità gravante sull’area territoriale di riferimento.

Pertanto, la nuova dichiarazione di inammissibilità dell’istanza presentata dalla società Novembre 70, recata nel provvedimento per cui è causa, non è fondata su elementi di fatto o di diritto sopravvenuti rispetto alla formazione del precedente giudicato, bensì trova fondamento su elementi fattuali ad esso anteriori, già conosciuti dall’Amministrazione prima dell’introduzione del giudizio conclusosi con l’emissione della sentenza n. 1098/15.

12.2.4 Non potrebbe neanche sostenersi che il provvedimento censurato in primo grado sia stato assunto all’esito di un’attività istruttoria già prevista dalla determinazione n. 1509 del 29.5.2015, di cui costituirebbe un completamento.

In particolare, secondo quanto dedotto dall’appellante, già il precedente provvedimento di autotutela sulla cui base era stata dichiarata la cessazione della materia del contendere in sede giurisdizionale prevedeva che vi sarebbe stata un’altra fase istruttoria, dimostrando il mancato esaurimento del potere amministrativo in ordine all’istanza di sanatoria.

Invero, dal mero esame del provvedimento n. 1509/15, si evince che l’ulteriore attività amministrativa all’uopo da svolgere avrebbe dovuto essere limitata alla determinazione della sanzione pecuniaria applicabile in sostituzione della sanzione ripristinatoria, esprimendo, dunque, una regula iuris definitiva in ordine all’insussistenza dei presupposti per il ripristino dello status quo anteriore all’abuso edilizio.

In particolare, il Servizio regionale si era soltanto riservato “ di adottare successivamente apposito provvedimento per la comminazione della sanzione pecuniaria ”.

Il Tar, dunque, dichiarando la cessazione della materia del contendere, ha accertato l’avvenuta realizzazione dell’interesse attoreo in ragione della rimozione, in via di autotutela, del provvedimento dichiarativo dell’inammissibilità dell’istanza di condono, impositivo della conseguente sanzione ripristinatoria, in tale modo cristallizzando una regula iuris operante a conformazione del rapporto sostanziale, ostativa alla demolizione delle opere per inammissibilità della domanda di sanatoria o della richiesta di parere di compatibilità paesaggistica.

L’attività procedimentale ancora da svolgere risultava, dunque, limitata alla quantificazione della sanzione pecuniaria sostitutiva, impedendo, invece, una rinnovata valutazione tendente a negare l’utilità consolidata in capo al ricorrente per effetto del suo accertamento in sede giurisdizionale.

12.3 Alla stregua delle considerazioni svolte, il secondo motivo di appello è infondato, non potendo l’Amministrazione, a fronte di una sentenza dichiarativa della cessata materia del contendere, avente una natura di merito e, come tale, idonea al giudicato (anche) sostanziale, nuovamente provvedere sul rapporto sostanziale, dettando -sulla base di elementi giuridici e fattuali già conosciuti e preesistenti al giudicato- una regola precettiva incompatibile con l’assetto di interessi attuato tra le parti in pendenza del precedente giudizio, posto a base della dichiarata cessata materia del contendere.

13. L’infondatezza del secondo motivo di appello assume natura assorbente, comportando l’improcedibilità degli ulteriori motivi di impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse.

Una volta accertata la correttezza di un’autonoma ratio dedicendi alla base della sentenza gravata, idonea a giustificare l’esito della controversia di primo grado, l’eventuale fondatezza degli ulteriori motivi di impugnazione non arrecherebbe alcuna utilità concreta in capo alla parte appellante, non permettendo, comunque, di riformare il contenuto dispositivo della decisione gravata.

Per l’effetto, si consoliderebbe in capo alla ricorrente la posizione di soccombenza in giudizio, con conseguente improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse delle rimanenti censure impugnatorie.

14. In ogni caso, avuto riguardo al caso di specie, per completezza di disamina, si osserva che risultano infondati anche il primo e il terzo motivo di appello con cui, rispettivamente, si è sostenuta l’adeguatezza dell’impianto motivazionale sotteso alla determinazione censurata in primo grado e, comunque, il rispetto (oltre che del disposto di cui all’art. 10 bis L. n. 241/90) delle previsioni in materia di autotutela decisoria ex art. 21 nonies L. n. 241/90.

14.1 Al riguardo, è dirimente osservare l’inconferenza della giurisprudenza richiamata dalla Regione, riferita alla possibilità di ritirare in autotutela, senza motivare specificatamente le ragioni di pubblico interesse sottese all’atto di riesame, provvedimenti ampliativi della sfera giuridica altrui, assunti sulla base di una rappresentazione dei fatti fornita dal dichiarante rivelatasi erronea o falsa.

La ratio sottesa a tale indirizzo giurisprudenziale risiede nell’esigenza di negare al destinatario di un atto ampliativo utilità conseguite attraverso dichiarazioni false che abbiano indotto in errore l’organo procedente, risultando in tali ipotesi sufficientemente motivata la determinazione amministrativa che dia atto dell’esistenza di una dichiarazione falsa o erronea, emergendo in re ipsa l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata.

In particolare, in materia di rilascio di titoli abilitativi, quando il titolo sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà, è consentito il mero ritiro dell'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr., ex multis , Consiglio di Stato, Sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7094).

Difatti, l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata deve ritenersi sussistente in re ipsa nonché ad ogni modo prevalente rispetto al contrapposto interesse privatistico, non sussistendo alcun affidamento legittimo e incolpevole al mantenimento dello status quo ante in capo al soggetto che abbia determinato, attraverso la non veritiera prospettazione delle circostanze rilevanti, l'adozione dell'atto illegittimo a lui favorevole (Consiglio di Stato, Ad. Pl., 17 ottobre 2017, n. 8).

14.2 Tale indirizzo giurisprudenziale, tuttavia, non è applicabile nel caso di specie.

L’erroneità o la falsità delle dichiarazioni rese dalla società appellata riguarderebbero la datazione dell’epoca di realizzazione delle opere abusive, avendo riferito il legale rappresentante della ricorrente in primo grado che l’intervento edilizio oggetto della domanda di sanatoria era stato ultimato entro il mese di febbraio 1976, anteriormente all’apposizione del vincolo di inedificabilità;
quando, invece, all’esito degli accertamenti svolti, era risultato che le opere in esame non erano esistenti nell’area di riferimento nell’anno 1977.

Nella specie la decisione amministrativa (in ipotesi) influenzata da una erronea rappresentazione dei fatti alla base dell’istanza di sanatoria doveva individuarsi nella nota n. 182 del 25.1.2010, con cui la Regione Sardegna aveva ritenuto insussistenti i presupposti per l’applicazione di una sanzione ripristinatoria, chiedendo la presentazione di una perizia estimativa per la quantificazione della sanzione pecuniaria.

La Regione, tuttavia, aveva già rilevato nel 2014 l’esistenza di una dichiarazione erronea sull’epoca di realizzazione delle opere abusive.

In particolare, con la determinazione n. 1406 del 21.5.2014 l’Amministrazione appellante aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di condono edilizio presentata dalla società Novembre 79, proprio sulla base degli accertamenti amministrativi all’uopo svolti, essendo stato verificato che le opere abusive erano state realizzate successivamente all’istituzione del vincolo di inedificabilità assoluta di cui all’art. 11, comma 1, lett. b), L.R. n. 10/1976.

Come supra osservato, la determinazione n. 1406 del 21.5.2014 è stata successivamente ritirata in autotutela con il provvedimento n. 1509 del 29.5.2015, al fine di ripristinare l’originario assetto di interessi, ostativo sia alla dichiarazione di inammissibilità della domanda di sanatoria che all’applicazione della sanzione demolitoria. Infine, la Regione nel 2016, riconsiderando ulteriormente il rapporto sostanziale, ha annullato in autotutela sia la nota del 2010 cit. che quella del 2015 cit.

Ne deriva che il provvedimento del 2016, impugnato in prime cure, è stato adottato quando la Regione non soltanto aveva già assunto una decisione amministrativa sfavorevole al privato, rilevando l’esistenza di un’erronea dichiarazione di parte, ma aveva perfino ritenuto che tale elemento, già conosciuto, non fosse ostativo al ripristino dell’originario assetto di interessi attuato nel 2010, reputando insussistenti i presupposti per fare luogo alla demolizione delle opere abusive.

14.3 Per l’effetto, non può essere utilmente richiamato l’indirizzo giurisprudenziale che attenua l’obbligo motivazionale imposto dall’art. 21 nonies L. n. 241/90, qualora l’Amministrazione procedente provveda a ritirare in autotutela un precedente atto, attributivo di una posizione di vantaggio, assunto sulla base di dichiarazioni erronee o false rese dal destinatario.

Trattasi di indirizzo riferibile alle ipotesi in cui l’Amministrazione, una volta rilevata l’esistenza di una dichiarazione falsa o erronea, provveda a riesaminare il precedente operato, negando l’utilità illegittimamente riconosciuta al destinatario.

Una tale regula iuris non può, invece, operare quando l’Amministrazione abbia già negato siffatta utilità, decidendo successivamente e in via autonoma, quando era già a conoscenza dell’esistenza di una dichiarazione falsa o erronea, di attribuire nuovamente la medesima utilità all’istante.

In tali ipotesi, l’Amministrazione, ove provveda ulteriormente in autotutela, annullando (altresì) il precedente atto che riassegnava il bene della vita ambito dall’istante, deve adeguatamente motivare le ragioni di pubblico interesse sottese alla relativa decisione.

L’ulteriore intervento in autotutela, infatti, non ha la funzione di rimediare ad un errore amministrativo indotto dal privato mediante dichiarazioni erronee o false, bensì di rimuovere un precedente assetto di interessi consapevolmente attuato dall’organo amministrino, quando già conosceva l’esistenza di dichiarazioni erronee o false.

In tal caso, non essendo le dichiarazioni de quibus la causa della determinazione da rimuovere in autotutela, il mero riferimento alle stesse non è sufficiente per adempiere l’obbligo motivazionale imposto dall’art. 21 nonies L. n. 241/90, dovendosi riaffermare il principio per cui l’Amministrazione, nel riesaminare le proprie decisioni, deve indicare non solo gli eventuali profili di illegittimità, ma anche le concrete ragioni di pubblico interesse, diverse dal mero ripristino della legalità in ipotesi violata, che inducono a porre nel nulla provvedimenti che, pur se illegittimi, abbiano prodotto i loro effetti, avuto riguardo, altresì, all’affidamento ingenerato nel privato dalla pregressa condotta amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. II, 07 settembre 2020, n. 5392).

14.4 Nel caso di specie – ferma rimanendo la dirimente efficacia preclusiva discendente dal giudicato di accertamento della cessata materia del contendere (come supra osservato nella disamina del secondo motivo di appello)-, la Regione ha adottato il provvedimento di autotutela impugnato in primo grado, rimuovendo, tra l’altro, un precedente atto del 2015, consapevolmente assunto quando la stessa Amministrazione era già a conoscenza dell’esistenza di una dichiarazione erronea resa dall’odierna appellata.

Nel motivare la propria decisione, tuttavia, la Regione si è limitata a ricostruire l’iter amministrativo che ha condotto alla sua adozione e ad indicare le supposte cause di illegittimità in concreto rilevate, senza rappresentare adeguatamente le specifiche ragioni di pubblico interesse che imponevano, a distanza di anni, un ulteriore riesame del medesimo rapporto amministrativo, in violazione dell’affidamento ingenerato nel privato sulla conservazione dell’utilità attribuita nel 2015.

In particolare, non risultano esplicitate le ragioni per cui l’interesse pubblico in concreto perseguito dovesse ritenersi prevalente nella ponderazione degli interessi contrapposti dell’odierna appellata, tenuto conto non solo del decorso del tempo, ma anche della circostanza per cui la stessa Amministrazione aveva già riesaminato il proprio operato, riconoscendo alla società istante l’utilità agognata, rappresentata dalla conservazione delle opere abusive in concreto realizzate.

14.5 Emerge, dunque, l’infondatezza anche del primo e del terzo motivo di appello, in quanto:

- l’atto di autotutela censurato in prime cure, diversamente da quanto dedotto con il primo motivo di appello, non era stato determinato dall’esigenza di negare un’utilità attribuita al privato sulla base di dichiarazioni false o erronee (avendo la Regione già riconosciuto l’utilità ambita, data dalla conservazione delle opere abusive, quando era a conoscenza della supposta dichiarazione falsa o erronea);

- di conseguenza, diversamente da quanto dedotto con il terzo motivo di appello, il riesame disposto con il provvedimento censurato in prime cure avrebbe dovuto essere corredato da adeguata motivazione, come imposto dall’art. 21 nonies L. n. 241/90, che esplicitasse le ragioni di interesse pubblico sottese all’intervento in autotutela e la loro prevalenza sull’interesse del destinatario alla conservazione dell’utilità giuridica precedentemente riconosciuta;
il che non risulta nella specie avvenuto.

15. La particolarità del caso esaminato giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del grado di appello.

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