Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-05-04, n. 201002568
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N. 02568/2010 REG.DEC.
N. 06430/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 6430 del 2003, proposto da:
Soc. Ages Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti M E C, G L e G L, con domicilio eletto presso Giuseppe Lavatola, in Roma, via Costabella, 23;
contro
Comune di Frascati, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avv. P D R, con domicilio eletto presso P D R, in Roma, viale G. Mazzini n. 11;
per la riforma della sentenza del TAR LAZIO - ROMA - Sezione I n. 04582/2002, resa tra le parti, concernente RISOLUZIONE CONVENZIONE LOTTIZZAZIONE CON IL COMUNE DI FRASCATI.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio, nonché appello incidentale, del Comune appellato;
Viste le memorie prodotta dalle parti a sostegno delle rispettive domande e difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 16 marzo 2010, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa udienza, gli avv.ti M E C e G L per l’appellante principale e l’avv. Pasquale di Rienzo per l’appellato/appellante incidentale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso iscritto al n. R.G. 6430 del 2003, l’appellante principale ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, ha respinto il ricorso da essa proposto contro il Comune di Frascati per ottenere la declaratoria della risoluzione per inadempimento, od in via subordinata per impossibilità sopravvenuta, della convenzione di lottizzazione sottoscritta in data 9 dicembre 1983 tra il Comune stesso e le Società Nuova Tuscolo 63 e Giulia I per l’attuazione del progetto di lottizzazione interessante la Piazza Marconi di detto Comune, nonché, per quanto occorrer possa, per il risarcimento dei danni e le restituzioni conseguenti alla pronuncia risolutoria.
A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al Giudice di prime cure, la parte ricorrente, premessa ogni più ampia riserva in ordine alla giurisdizione del Giudice Amministrativo in materia di convenzione di lottizzazione così come affermata dal Collegio Arbitrale da essa preventivamente adìto in forza dell’art. 8 della citata Convenzione, esponeva:
- che detta Convenzione prevedeva la possibilità per la parte privata lottizzante ( nella cui posizione essa è almeno parzialmente succeduta a titolo particolare per aver acquistato l’immobile cui si riferisce la presente controversia ) “di eseguire interventi edilizio-urbanistici su immobili ricadenti nell’ambito del P.d.L. … che effettivamente vennero inizialmente consentiti con le concessioni edilizie nn. 16 e 17 del 1984” (pag. 2 ric. orig.);
- che tale intervento trovava per il Comune corrispettivo nella prevista cessione, in favore del Comune stesso, dell’immobile di cui all’art. 2 della Convenzione medesima ( ove si precisava che “il Comune di Frascati ha il primario interesse di assicurare alla collettività un centro culturale civico, che dia risposta concreta alle esigenze emerse prepotentemente in questi anni. Il perseguimento di tale obiettivo, da realizzarsi attraverso l’acquisizione dell’immobile detto Il Frascatino, è condizione, motivo e causa essenziale della presente convenzione …” );
- a fronte di tali previsioni, la concessione edilizia n. 16/84, che interessa la fattispecie per cui è causa e che aveva ad oggetto sia la costruzione di un nuovo fabbricato che la ristrutturazione di altro già esistente da destinarsi ad attività direzionali, venne sospesa nella sua efficacia con ordinanza sindacale prot. n. 75523 in data 18 dicembre 1986 adottata con riferimento ad un procedimento giudiziario in corso per il preteso contrasto delle opere in corso di realizzazione con il P.R.G. e con il vincolo ex lege n. 1497/1939 gravante sull’area;
- una volta, poi, definita la vicenda giudiziaria con sentenza in data 16 febbraio 1990 della Corte di Appello di Roma che riteneva insussistente il fatto in relazione al contestato reato di lottizzazione abusiva e disponeva la révoca della confisca degli immobili nel frattempo disposta, per la compiuta realizzazione dei lavori di cui alla citata concessione edilizia l’interessata presentava al Comune prima ( nel gennaio 1992 ) un’istanza di proroga della concessione stessa ( della quale non v’è peraltro traccia in atti ) e poi, in data 28 ottobre 1992, la richiesta di una nuova concessione;
- dette istanze, seguite nel gennaio 1993 da una ulteriore richiesta vòlta ad ottenere la proroga dei termini di efficacia della primigenia concessione ovvero in subordine una concessione di completamento ( anche tale istanza non risulta comunque versata in atti ) e poi da due atti di diffida a provvedere ( in data 20 luglio 1993 e 22 febbraio 1994, dei quali solo il secondo consta agli atti di causa ), comportarono alfine l’esame da parte del Comune della richiesta di concessione di completamento avanzata dalla società, con richieste di integrazione documentale ( v. note del Comune di Frascati in data 13 aprile 1994, 21 aprile 1995 e 17 maggio 1995 in atti e nota del Comune stesso in data 23 giugno 1995 non in atti ) solo parzialmente soddisfatte dall’interessata, finché, nel dicembre 1995, il Comune la diffidava ( v. nota prot. n. 20833 in data 22 dicembre 1995 ) dal porre in essere il preannunciato inizio dei lavori in assenza “di concessione edilizia da assentirsi successivamente all’esito di verifiche da effettuarsi a cura degli Enti preposti ai sensi delle leggi 1497/39 – 1089/39 e 431/85” e contestualmente invitava ( v. nota prot. n. 21404 ) il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici e la Regione Lazio “a voler procedere, ove del caso e necessario, a proprie ed autonome determinazioni” in relazione al fatto “che, per gli effetti della legge 1497/39 è stata rilasciata autorizzazione n° 7039, del 22.11.1983, relativamente al P.d.L. in oggetto, è stato espresso parere favorevole con nota del 28.1.1984, n° 16544, nonché atteso che, per l’episodio costruttivo in argomento, è stata rilasciata concessione edilizia n° 16 del 17 marzo 1984, la quale ha consentito l’inizio dei lavori di cui si richiede la facoltà di ultimazione, e rilevato che il predetto provvedimento è stato rilasciato precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 431/85”;
- pretestuoso e dilatorio sarebbe, ad avviso della ricorrente, il comportamento così posto in essere dal Comune, che avrebbe “inopinatamente e arbitrariamente bloccato l’attuazione e l’ultimazione del piano di lottizzazione in questione” ( pag. 9 ric. orig. );
- in particolare, secondo la ricorrente originaria, il Comune avrebbe impedito il compimento del piano di lottizzazione “attraverso una serie di atti defatigatori e pretestuosi che hanno minato il sinallagma contrattuale posto a fondamento della convenzione di lottizzazione” ( ibidem ).
In conclusione, così ricostruita la situazione, la ricorrente sottolineava come “risulta evidentissimo il grave inadempimento in cui è incorso il Comune di Frascati nell’impedire alla ricorrente di portare ad ultimazione il piano di lottizzazione di cui alla convenzione del 1983, a fronte invece del rispetto da parte della ricorrente stessa di tutti gli impegni assunti in sede di detta convenzione” ( pag. 10 ric. orig. ).
Richiesta dunque al T.A.R. la risoluzione della convenzione ex art. 1453 c.c. ed in subordine per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata, con la quale il Giudice di primo grado, ritenuta la propria competenza pur in presenza della clausola compromissoria contenuta nella convenzione di lottizzazione e pur nella sopravvenienza in corso di causa dell’art. 6 della legge n. 205/2000, ha concluso per l’insussistenza tanto dell’inadempimento, che la ricorrente ha allegato a fondamento della domanda di risoluzione proposta in via principale, quanto dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, prospettata in via subordinata quale seconda causa di risoluzione.
Con l’appello principale all’esame, contestando le statuizioni del primo Giudice, la parte appellante evidenzia come la ricostruzione da questi compiuta sia errata, sia nella parte in cui ha affermato la propria competenza, sia nella parte in cui ha escluso l’esistenza di ambedue le divisate cause di risoluzione.
Si è costituito in giudizio, per resistere, proponendo altresì ricorso incidentale per la devoluzione al Giudice d’appello delle eccezioni preliminari formulate in primo grado e disattese dal T.A.R., il Comune di Marino.
Con memoria depositata in data 25 febbraio 2010, il Comune ha svolto ulteriori osservazioni a sostegno del controricorso e del ricorso incidentale, precisando in particolare la qualificabilità di quest’ultimo “alla stregua di ricorso incidentale proprio” e dunque condizionato all’accoglimento dell’appello principale.
Con memoria in data 5 marzo 2010 l’appellante principale ha ampiamente argomentato a sostegno dei suoi motivi d’appello e replicato al controricorso del Comune.
La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 16 marzo 2010.
DIRITTO
1. – L’appello principale è infondato e la sentenza impugnata mérita d’essere confermata nei termini di seguito precisati.
2. – Condivisibile, anzitutto, si rivela la statuizione di infondatezza, recata dalla pronuncia di primo grado, dell’eccezione di incompetenza del Giudice di prime cure ( in favore della competenza del Collegio arbitrale previsto dalla Convenzione della cui risoluzione qui si tratta ), sollevata dalla ricorrente in occasione della riassunzione del giudizio, dopo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano dichiarato (all’ésito di regolamento preventivo di giurisdizione dalla parte stessa esperito in corso di causa) l’appartenenza della causa alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.
Premesso, invero, che con la sentenza ( 15 dicembre 2000, n. 1262/0/S.U. ) resa all’ésito di detto regolamento la Corte di Cassazione ha dichiarato che poiché la convenzione di lottizzazione rientra tra gli accordi procedimentali di cui all'art. 11 della legge n. 241 del 1990 è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la domanda avente ad oggetto la risoluzione della suddetta convenzione per inadempimento della p.a., va rilevato prima di tutto che tale decisione, a differenza da quanto prospettato dall’appellante con l’atto d’appello, non contiene alcuna statuizione quanto alla “compromettibilità in arbitri anche delle controversie relative a diritti soggettivi, rientranti nella giurisdizione esclusiva del T.A.R.”, dal momento che la sentenza stessa ha espressamente dichiarato inammissibile, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, siffatta questione, facendo riferimento alla detta “compromettibilità” non già per affermarne la possibilità ma semplicemente per illustrare le ragioni poste dalla ricorrente a base della sua richiesta, come s’è detto dichiarata inammissibile, di declaratoria della competenza arbitrale.
Osserva poi il Collegio che dalla annoverabilità della controversia de qua tra quelle attribuite alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo in quanto inerenti agli accordi previsti dalla legge n. 241/1990 ( art. 11 ), deriva la preclusione della competenza arbitrale, secondo la disciplina vigente al momento della sottoscrizione della convenzione di cui si tratta ( 9 dicembre 1983 ) e conseguentemente la nullità della clausola compromissoria in essa contenuta, in quanto pattuita in relazione a controversie già all'epoca sottratte alla giurisdizione del Giudice ordinario.
Non può indurre a diversa soluzione il rilievo che la legge 21 luglio 2000, n. 205, all’art. 6, comma 2, ha introdotto anche per le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la facoltà di avvalersi di un arbitrato rituale di diritto per la soluzione delle controversie concernenti diritti soggettivi: ed invero tale disposizione, integrando in positivo l'art. 806 c.p.c., ha riguardo alla validità del compromesso o della clausola compromissoria, e quindi del giudizio arbitrale, in relazione a controversie siffatte e non alla giurisdizione e/o competenza, onde non può ai fini della sua applicabilità invocarsi il novellato art. 5 c.p.c. ed in particolare il principio, qui invocato dall’appellante principale, della perpetuatio iurisdictionis, in forza del quale, com’è noto, i mutamenti sopravvenuti, che attribuiscano la giurisdizione al Giudice adìto (secondo la prospettazione di parte appellante, il Collegio arbitrale da essa effettivamente adìto prima del T.A.R., ma dinanzi al quale, rileva la Sezione, a differenza di quanto dalla stessa appellante prospettato, la causa non poteva peraltro considerarsi pendente alla data di entrata in vigore della legge n. 205/2000 – con conseguente preclusione in ogni caso della applicabilità del principio stesso alla fattispecie – avendo a quella data gli arbitri già negato ingresso al giudizio arbitrale quanto alla domanda di risoluzione della convenzione di lottizzazione sul rilievo dell’inerenza del dibattito a diritti tutelabili dinanzi al giudice amministrativo e della connessa invalidità della clausola compromissoria in base alla legge del tempo della sua stipulazione e dovendo il giudizio considerarsi pendente, a séguito della sospensione dello stesso disposta dal Collegio arbitrale, solo quanto “alle residue domande di restituzione e di risarcimento del danno nonché di arricchimento senza causa”, soltanto in relazione alle quali potrebbe dunque in astratto porsi il problema dell’applicabilità del principio medesimo ai fini della determinazione della competenza), originariamente incompetente, consentono a quest’ultimo di pronunciarsi nel mérito.
Né la medesima norma può spiegare effetti sananti della originaria invalidità della clausola stipulata anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendo, ai fini della verifica della validità della pattuizione, applicarsi i principii in materia di successione di leggi nel tempo proprii dei contratti, ossia farsi riferimento alle norme vigenti al momento del perfezionamento del patto, a meno che la norma sopravvenuta rechi espressa previsione - nella specie non sussistente - della sua efficacia retroattiva ( v., in tal senso, S.U., n. 15608/2001 e n. 3518/2008 ).
Il difetto del potere degli arbitri di conoscere della controversia loro deferita in ragione della nullità della clausola compromissoria determina, pertanto, la competenza del Giudice amministrativo, correttamente affermata dalla sentenza impugnata.
3. - Venendo al mérito delle domande formulate con il ricorso originario e riproposte con l’atto di appello, va respinta la richiesta, formulata in via principale, di declaratoria della risoluzione della convenzione di cui si tratta per inadempimento imputabile al Comune di Frascati ex art. 1453 c.c.
Se è vero, anzitutto, che presupposto logico e giuridico della richiesta risoluzione è in sostanza il lamentato mancato rilascio, da parte del Comune stesso, di una nuova concessione edilizia (dopo le vicende che avevano portato alla sospensione dell’efficacia della prima concessione n. 16/84) per il completamento dei lavori già con la prima concessione assentiti e che le ragioni di tale mancato rilascio sono rinvenibili invero in prima battuta nella ritenuta intervenuta decadenza del nulla-osta ex art. 7 della legge n. 1497/1939 a suo tempo rilasciato (in data 22 novembre 1983) in relazione ai lavori della primigenia concessione edilizia ( questione, questa, cui il T.A.R. attribuisce “valore centrale”, per poi affrontarla e ritenere che “il nulla-osta rilasciato ai sensi della legge n. 1497/1939 in data 22/11/1983 aveva già perduto efficacia per decorso quinquennio all’epoca della richiesta … del 28/10/1992 di una concessione edilizia di completamento per le opere rimaste da eseguire”: pag. 15 sent. ), va preliminarmente disattesa, nei términi che séguono, la eccezione processuale del Comune controricorrente, secondo cui la domanda sarebbe inammissibile, “essendo divenuti inoppugnabili gli atti in forza dei quali il competente Ministero ed il Comune di Frascati hanno stabilito che il rilascio della nuova concessione edilizia era subordinato al rilascio dio un nuovo nulla osta ambientale da parte della competente autorità” ( pag. 6 mem. ).
Rileva, invero, in proposito il Collegio che la persistenza, pur nell’àmbito di un rapporto convenzionale di lottizzazione, di un potere discrezionale dell’ente pubblico ( potere, in presenza del quale la posizione soggettiva del privato non può configurarsi altrimenti che in termini di interesse legittimo ) non vale di per sé ad escludere ( stante l’intimo intreccio di situazioni giuridiche soggettive a diverso livello di protezione tipico degli accordi di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990, che costituiscono nel loro complesso esattamente il tipo di problemi alla cui risoluzione è vòlta la disciplina in tema di giurisdizione esclusiva recata dall’art. 11 medesimo ) che atti amministrativi aventi rilievo nel procedimento di esecuzione degli accordi stessi e normalmente incidenti su interessi pretensivi dei privati possano ( e debbano ) essere assoggettati ad un sistema di tutela di quelle posizioni non solo mediante il tradizionale meccanismo impugnatòrio e demolitorio proprio delle posizioni di interesse legittimo pretensivo, ma anche ( allorché, come avviene appunto nella vicenda in esame, una parte del rapporto contesti alla controparte un inadempimento degli obblighi di fare, mediante applicazione diretta della disciplina dell’inadempimento del contratto ( art. 1453 c.c. ).
L'art. 11 citato accresce, infatti, la pienezza della tutela avanti al giudice amministrativo, non solo estendendo la vocatio in ius, ma anche ammettendo il ricorso ai rimedii contrattuali, previsti dal codice civile, nel processo amministrativo.
Invero, il rimedio contrattuale, di cui all'art. 1453 c.c., non appare incompatibile con la definizione delle convenzioni di lottizzazione in termini di accordo procedimentale e non di contratto.
L'accordo ex art. 11 delinea così un assetto di interessi perseguibile solo attraverso l'adempimento di obbligazioni poste dallo stesso a carico dell'una e dell'altra parte del rapporto.
In caso di inadempimento, della parte lottizzante o del suo avente causa da una parte e del Comune dall’altra, degli obblighi da ciascuna parte assunti con la stipula dell’accordo, il creditore deve poter contare su tutti i rimedii offerti dall'ordinamento ad un creditore, che derivi tale sua posizione da un contratto di diritto privato, per poter realizzare coattivamente il proprio interesse.
Una volta, insomma, accertata l'equiparazione tra convenzione di lottizzazione ed accordo sostitutivo ( dichiarata nel caso di specie dallo stesso Giudice dei conflitti in sede di regolamento preventivo di giurisdizione ), occorre far conseguire a tale premessa ( la riconduzione della fattispecie all'istituto dell'accordo sostitutivo e, quindi, nell'alveo della giurisdizione esclusiva ) una tutela della situazione giuridica sottesa, che possa definirsi piena.
A questo scopo, non può che valorizzarsi, per regolare la fattispecie, il rinvio ai principii ricavabili ed alle azioni previste nel codice civile in materia di obbligazioni e contratti.
Secondo tale ricostruzione della questione, in definitiva, il Giudice amministrativo adito deve considerarsi legittimato a decidere sulle domande avanzate dall’odierna appellante principale, volte a far accertare l'inadempimento del Comune ed a far dichiarare la risoluzione della convenzione ex art. 1453 c.c., in applicazione della disciplina civilistica, senza che possa considerarsi pregiudiziale a detta forma di tutela l’esperimento della classica azione di annullamento tipica della giurisdizione generale amministrativa di legittimità in relazione a quegli atti amministrativi, mediante i quali si sia realizzato ( o, meglio, si assuma essersi realizzato ) l’inadempimento delle prestazioni dedotte in contratto.
Ciò posto, a fronte dell’asserito, persistente e definitivo, inadempimento del Comune, occorre rilevare che nel caso concreto non sussiste alcun inadempimento contrattuale da parte del Comune, sì che non sussiste il presupposto stesso della proposta azione di risoluzione ex art. 1453 c.c.
E’ invero incontestato ormai tra le parti che sull’area interessata dalla lottizzazione esisteva ( ed esiste ) “un vincolo imposto in applicazione della legge n. 1497/1939: di qui, ai sensi dell’art. 7 della ste4ssa legge, la necessità di munirsi del nulla-osta dell’autorità competente ai fini della realizzazione di ogni intervento suscettibile di modificare l’assetto del territorio” (v. pagg. 12-13 sent., non contestata sul punto con l’atto di appello).
E’ incontestato, inoltre, che il Comune, dopo un comportamento per certi versi inerte e dilatorio dell’esame della nuova richiesta di concessione edilizia presentata dall’odierna appellante principale ( comportamento invero suscettibile di configurare un’eventuale responsabilità per danno da ritardo nell’adempimento della prestazione dovuta di verifica della sussistenza di tutte le condizioni normativamente prescritte per il rilascio della concessione stessa, ma non certo tale da qualificarsi in quei termini di “gravità”, che soli, pacificamente, possono legittimare l’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto ), inibì ( v. nota prot. n. 20833 in data 22 dicembre 1995 ) l’inizio dei lavori di completamento in assenza di concessione edilizia, subordinando il rilascio di queste all’ésito di “verifiche da effettuarsi a cura degli Enti preposti ai sensi delle leggi 1497/39 – 1089/39 e 431/85”;verifiche, queste, contestualmente richieste a tali enti con nota prot. n. 21404 in pari data.
Orbene, tale comportamento dell’Amministrazione comunale non è certo qualificabile come inadempimento agli obblighi assunti con la sottoscrizione della Convenzione di lottizzazione e nemmeno come genericamente contrario al dovere di buona fede e correttezza genericamente gravante sulle parti dell’accordo, essendo il Comune stesso in via generale investito del potere/dovere di consentire qualsivoglia attività di trasformazione del territorio solo in presenza di determinati presupposti normativamente fissati a tutela di una serie di interessi generali della collettività ( nella fattispecie di cui si controverte, quello alla non compromissione dei valori paesaggistico-ambientali ), che non muta certo né di latitudine né di connotati sostanziali nei casi in cui l’oggetto dell’attività così ad esso devoluta non è ( solo ) l’assolvimento di una pubblica funzione, ma anche il rapporto convenzionale intercorrente tra le parti ( pubblica e privata ) e le reciproche posizioni di diritto ed obbligo.
L’atto di devoluzione alle Autorità, alla cura dello specifico interesse pubblico preposte, della problematica inerente all’intervenuta scadenza o meno del precedente parere ambientale favorevole realizza, invero, certamente una condotta conforme, oltre che al principio mai derogabile di buon andamento dell’Amministrazione, anche ai principii di correttezza e buona fede reciproca, che caratterizzano i rapporti di natura negoziale e paritetica, essendo certamente interesse di entrambe le parti del veduto rapporto quello della certezza in ordine alla conformità del progettato intervento alla normativa paesaggistico-ambientale.
Non rileva pertanto, ai fini della configurabilità o meno del lamentato inadempimento, accertare in questa sede se quel precedente parere avesse o meno perduto efficacia e ciò perché un siffatto accertamento, che il T.A.R. ha dunque del tutto impropriamente svolto, inerisce alla legittimità dell’unico, vero, atto soprassessòrio, che nella fattispecie si è rivelato, per lo meno allo stato dei fatti, d’ostacolo alla realizzazione del programma edilizio d’interesse prevalentemente privato prefigurato dalla convenzione di lottizzazione e cioè della nota del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali prot. n. 14894/42 in data 15 maggio 1996 ( emessa proprio a séguito della richiesta di “verifiche” inoltrata dal Comune ), che, nelle mòre della soluzione del problema posto ( di perdurante efficacia o meno del precedente parere ), invitava gli enti competenti ( tra cui deve intendersi ricompreso anche il Comune, che l’esame del problema aveva sollecitato ed al quale la nota era inviata per conoscenza ) “ad astenersi dall’emettere qualsiasi autorizzazione in merito alla questione di cui in oggetto fino all’acquisizione” del parere richiesto all’Avvocatura Generale dello Stato.
Tràttasi, invero, di atto proveniente da soggetto del tutto estraneo al rispetto degli obblighi nascenti dalla convenzione di lottizzazione, avente natura autoritativa ( in quanto emesso da detta Autorità nell’esercizio del potere discrezionale di cura dell’interesse pubblico ad essa affidato ) e lesiva dell’interesse legittimo che al privato lottizzante deriva appunto da tale sua veste ( senza peraltro rientrare nel veduto, complesso, intreccio di posizioni soggettive, che caratterizza il rapporto tra le parti dell’accordo di diritto pubblico ) e che, in quanto preclusivo dello ius aedificandi riconosciutogli dalla convenzione ed al tempo stesso non ri(con)ducibile al paradigma contrattuale dell’inadempimento ( in quanto proveniente da soggetto estraneo all’accordo ) doveva essere impugnato ( esso sì, conformemente alla veduta eccezione sollevata in questa sede dal Comune ) dall’interessata in sede giurisdizionale, quale espressione della volontà dell’Amministrazione dei Beni Culturali incidente sulla convenzione di lottizzazione a guisa di fattore del tutto estraneo alla volontà delle parti dell’accordo, che deve, fino a prova contraria ( di cui non viene qui fornito il benché minimo principio ), presumersi concordemente tesa all’esatto adempimento delle reciproche prestazioni.
A ciò consegue che le menzionate determinazioni del Comune, così come formalizzate in particolare nelle citate note in data 22 dicembre 1995, sono inidonee ad incidere sulla sfera giuridica del privato lottizzante in termini di inadempimento degli obblighi gravanti sul Comune stesso ai sensi della ridetta Convenzione.
Né può qui controvertersi utilmente, come pure hanno fatto il T.A.R. e conseguentemente le parti in appello, circa l’imputabilità o meno al Comune dell’omessa richiesta alla competente Autorità di un nuovo parere paesaggistico ai fini del rilascio della richiesta concessione di completamento, la cui richiesta, ex art. 25 del D.P.R. 3 giugno 1940, n. 357, competerebbe al Sindaco: da un lato, infatti, essendo stata seguita, nel caso di specie, la sopra descritta sequenza procedimentale, il Comune è rimasto, ad avviso del Collegio, correttamente in attesa delle determinazioni da assumersi dall’Amministrazione competente circa la validità temporale del precedente nulla-osta ( che, in caso, di risposta positiva al quesito, avrebbero chiaramente comportato la superfluità di un nuovo nulla-osta, essendo le opere di cui alla “nuova” concessione edilizia già incontestatamente previste dalla prima );dall’altro, la stessa citata nota in data 22 dicembre 1995 (laddove invitava “gli Enti in indirizzo a voler procedere, ove del caso e necessario, a proprie ed autonome determinazioni”), è configurabile al tempo stesso quale richiesta, ove del caso, di nuovo parere sulla concessione edilizia necessaria per il completamento dell’opera, per l’ipotesi, appunto, in cui l’Amministrazione competente al rilascio del parere lo ritenesse necessario ( del resto non è contestata l’affermazione del Comune, contenuta alla pag. 18 della memoria depositata in appello, secondo cui il Comune stesso “ha inutilmente chiesto alla società … di presentare il progetto al Ministero e che la predetta società è sempre rimasta colpevolmente inerte”, il che dimostra in fin dei conti l’assoluto disinteresse della società odierna appellante principale al rilascio di un nuovo nulla-osta ambientale, la cui mancata acquisizione pretende poi qui, del tutto incongruamente rispetto al proprio precedente operato, di addebitare al Comune ).
4. - Anche la domanda di risoluzione della convenzione di lottizzazione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c. va poi respinta.
4.1 - Mette conto anzitutto evidenziare che, in materia di responsabilità contrattuale, una prestazione, pacificamente inadempiuta, deve ritenersi estinta per essere diventata impossibile ( e l'impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c. può dipendere anche da causa non imputabile ad alcuna delle parti e può essere fatta valere, a differenza di quanto qui eccepito dal Comune, da ciascuna di esse ogni qual volta il sinallagma risulta alterato per effetto dell'evento sopravvenuto: v., ex plurimis, Cass., n. 26958/07 e n. 9816/09 ) qualora l’impossibilità sia tale tale da costituire un impedimento assoluto ed oggettivo a carattere definitivo ( il che integra una fattispecie di automatica estinzione dell'obbligazione e risoluzione del contratto, che ne costituisce la fonte, ai sensi dell'art. 1463 c.c., e art. 1256 c.c., comma 1, in ragione del venir meno della relazione di interdipendenza funzionale in cui la medesima si trova con la prestazione della controparte: Cass., 28/1/1995, n. 1037;Cass., 9/11/1994, n. 9304;Cass., 24/4/1982, n. 548;Cass., 14/10/1970, n. 2018;da ultimo, Cass., 20 dicembre 2007, n. 26958 );orbene, tale carattere non è certo ravvisabile nell’impossibilità dedotta nel caso di specie, in cui, come correttamente rilevato dal T.A.R., “l’ostacolo al completamento della lottizzazione cagionato dalla scadenza dell’iniziale nulla-osta” ( sempre ammesso, sottolinea il Collegio, che una tale scadenza si sia in concreto verificata, esulando, come s’è visto, dall’oggetto del presente giudizio un siffatto accertamento, devoluto ad una Autorità estranea alla convenzione ed al giudizio medesimo, con conseguente riforma dell’impugnata sentenza quanto all’accertamento ivi svolto ) “non è definibile a priori come oggettivamente insuperabile ( e, quindi, come integrativo di una situazione di impossibilità in senso tecnico ), ma potrebbe essere definito tale soltanto se – ed una volta che – una eventuale domanda di rinnovo del nulla-osta, da chiunque presentata, fosse stata respinta” ( pag. 17 sent. ).
Né pare in proposito poter assumere rilievo decisivo in ordine alla sorte della vicenda contrattuale, quale “evento” negativamente incidente sull’interesse creditorio, il fattore “tempo” in questa sede invocato dall’appellante principale, che, se pure certamente idoneo a fondare un’eventuale responsabilità dell’Amministrazione per danno da ritardo ( peraltro estraneo all’oggetto del presente giudizio ), non risulta ( e l’appellante stessa nulla deduce o dimostra in tal senso ), avuto riguardo alle circostanze concrete del caso, dar luogo ad un’impossibilità assoluta di soddisfazione dell’interesse del creditore ( anche se la sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve invero distinguersi dalla sopravvenuta impossibilità della esecuzione della prestazione, di cui agli artt. 1463 e 1464 c.c.: in argomento, funditus, cfr. Cass., 2/5/2006, n. 10138 e, ancora, Cass., 16/2/2006, n. 3440;Cass., 28/1/1995, n. 1037 e la già citata Cass., 20 dicembre 2007, n. 26958 ) in caso di prestazione - per ragioni, come s’è visto, obiettive – tardiva.
Essendo, in definitiva, la prestazione di cui si tratta ( e cioè il rilascio di una nuova concessione edilizia corredata del prescritto parere paesaggistico-ambientale ) ancora eseguibile, il creditore appellante principale non ha dedotto e tanto meno provato né la sua impossibilità “totale”, né il venir meno della possibilità ch’essa prestazione realizzi lo scopo delle parti perseguito con la stipulazione del contratto;donde consegue inevitabilmente la reiezione della subordinata domanda di risoluzione ex art. 1463 c.c.
5. - Il ricorso principale va pertanto rigettato, con conseguente conferma, nei sensi di cui in motivazione, della sentenza impugnata.
Ne deriva l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, dell’appello incidentale proprio proposto dal Comune.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.