Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-02-23, n. 201001043

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-02-23, n. 201001043
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201001043
Data del deposito : 23 febbraio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10475/2005 REG.RIC.

N. 01043/2010 REG.DEC.

N. 10475/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 10475 del 2005, proposto da:
M B, rappresentato e difeso dall'avv. D C, con domicilio eletto presso Giovanni Mancini in Roma, via Santamaura N. 49;

contro

Comune di Avezzano, rappresentato e difeso dagli avv. G N, G P, G S, con domicilio eletto presso G P in Roma, V. della Conciliazione, 44;

per la riforma

della sentenza del TAR ABRUZZO - L'AQUILA n. 00811/2005, resa tra le parti, concernente RIS. DANNO A SEGUITO REVOCA AUTORIZZ. VENDITA ALIMENTI E BEVANDE.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto il controricorso e l’appello incidentale ;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 novembre 2009 il Cons. Giancarlo Montedoro e uditi per le parti gli avvocati Casciere e Gigliotti, per delega dell'Avv. Nicoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

In data 17 dicembre 2003 l’appellante, signor Bruno M, otteneva dal Tribunale di Avezzano un provvedimento favorevole di immediato reintegro nel possesso e, quindi, nella materiale disponibilità dei locali adibiti a bar “Cin Cin” in via Garibaldi n. 177 di Avezzano.

Detto provvedimento interveniva nell’ambito di un contenzioso nel quale il signor M era convenuto di una procedura di sfratto per morosità instaurata dal proprietario dei locali signor Vincenzo Perrotta, nei confronti del signor M e del signor Pollicelli, originario conduttore di detti locali e gestore dell’esercizio commerciale.

Il signor Pollicelli, a far data dal 15 settembre 2000 aveva ceduto la sua azienda in affitto all’appellante, dando poi disdetta di tale contratto in data 20 gennaio 2003.

A seguito della sentenza di reintegra nel possesso dei locali del bar, il Comune di Avezzano ( che , in dipendenza della disdetta del contratto di azienda aveva volturato in favore del Policelli, originario conduttore dei locali, l’autorizzazione commerciale già intestata all’appellante ) con provvedimento 15 gennaio 2004, rilasciava nuova autorizzazione, in favore del M, a gestire l’esercizio pubblico di bar, all’insegna Cin Cin, sempre nella via Garibaldi n. 177 in Avezzano.

Con l’atto impugnato, n. 828 del 18 maggio 2004, il Comune revocava detta autorizzazione per l’accertata inattività prolungata dell’esercizio commerciale, previa comunicazione del 12 maggio 2004 di avvio del relativo procedimento.

Avverso tale atto il ricorrente deduceva in primo grado la violazione dell’art. 31 della legge n. 426 del 1971 e dell’art. 4 della legge n. 287 del 1991 atteso che , per la revoca dell’autorizzazione , è necessario che il titolare non attivi l’esercizio entro sei mesi dal rilascio o che sospenda l’attività per un periodo superiore ad un anno.

Nella specie l’intervenuta revoca sarebbe stata disposta in assenza di entrambe le condizioni di cui sopra.

Con altra censura si deduceva l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, basandosi il provvedimento impugnato sull’errato presupposto dell’avvenuta cessazione da parte del M dell’attività commerciale in questione.

Chiedeva inoltre il M il risarcimento dei danni quantificati in un importo pari ad euro 1.440.000 , oltre interessi legali, per i redditi che il bar gli avrebbe assicurato dal 2004 all’età della pensione.

Si è costituito il Comune chiedendo il rigetto del gravame.

La sentenza impugnata ha accolto la domanda di annullamento dell’atto di revoca ed ha respinto la domanda risarcitoria.

Appella il M insistendo sulla domanda risarcitoria.

Si costituisce il Comune chiedendo il rigetto dell’appello e spiegando appello incidentale.

DIRITTO

L’appello principale va rigettato per infondatezza e l’appello incidentale, che attiene all’ azione di annullamento, va dichiarato tardivo.

L'appello incidentale autonomo, cioè proposto contro capi di sentenza non gravati in via principale e retto da un interesse autonomo e non condizionato all'accoglimento dell'appello principale, va equiparato ad un appello principale e va proposto dunque entro i termini di proposizione dell'appello principale, vale a dire sessanta giorni dalla notifica della sentenza o, in difetto di notifica della sentenza, sessanta giorni dalla notifica dell'appello principale. (Consiglio Stato , sez. VI, 23 marzo 2009 , n. 1716).

Nella specie la notificazione della sentenza è avvenuta in data 8 novembre 2005 mentre l’appello incidentale autonomo è stato notificato solo in data 16/17 gennaio 2006.

Nel merito, sull’appello principale, va rilevato che la domanda di risarcimento danni è infondata.

Essa, al di là del suo attenere in gran parte a danni ipotetici e futuri ( quelli che si suppone il M subirà per venti anni fino alla presunta data del pensionamento futuro ), è impostata sul presupposto dell’imputabilità del pregiudizio subito dall’appellante all’amministrazione, in forza del nesso causale esistente fra provvedimento e danno, e per la colpa dell’amministrazione, con conseguente dovere dell’amministrazione di risarcire il ricorrente della perdita di reddito derivante dall’impossibilità di esercitare l’attività derivante da uno sfratto che si assume di non aver potuto evitare in forza dell’ illegittimità amministrativa della revoca annullata dal Tar.

Ma va rilevato che l’impossibilità di esercitare l’attività nella specie è stata determinata non dalla revoca dell’atto autorizzatorio, ma dallo sfratto e dalle sue vicende e ragioni economico-giuridiche (ed ancor prima dalla disdetta del contratto di affitto di azienda ) indipendenti dall’ illegittimità amministrativa sanzionata con l’annullamento dell’atto.

Non può ritenersi che lo sfratto sia stato determinato dalla revoca dell’autorizzazione essendo la revoca intervenuta quando le condizioni della morosità si erano già verificate ed in una condizione di cessazione di fatto dell’attività economica, indicativa di una situazione di difficoltà economica e gestionale dell’imprenditore non imputabile all’amministrazione.

In proposito giova osservare che l’azione risarcitoria nei confronti della p.a. non può essere impostata come una sorta di azione che ristora di tutte le utilità che si suppone un soggetto avrebbe ricavato da un’attività economica che non è più esercitabile per fattori ( come ad es. l’intervenuto sfratto dal locale ove si esercita l’attività ) del tutto indipendenti dall’azione amministrativa.

Infatti in tal modo si promuoverebbe una sorta di atteggiamento inerziale dei soggetti di diritto, che contando sul dovere incondizionato dell’amministrazione di riparare eventuali illegittimità occorse in vicende complesse ( anche di rilievo civilistico ), in violazione dei doveri di solidarietà sociale (art. 2 Cost. ) non si attiverebbero per superare situazioni pregiudizievoli, scaricandone il costo sulla collettività in modo improprio.

Va altresì tenuto conto che l’amministrazione quando opera in condizioni di conflittualità fra i privati come nella specie, si trova a dover seguire le risultanze delle liti ( segnate da adozione di provvedimenti cautelari, interinali, sentenze esecutive ma impugnabili ecc. ) con conseguente difficoltà di mantenimento della necessaria coerenza della sua azione, allora condizionata dalle vicende giudiziarie innescate dai privati.

La richiesta di un risarcimento danni commisurato alla durata dell’intera vita lavorativa di un soggetto ( dal 2004 al 2024 ) in dipendenza della revoca di un’autorizzazione basata su un titolo solo provvisorio ed interinale all’esercizio dell’attività ( il privato poteva fondare la sua pretesa dopo la disdetta del contratto di affitto di azienda solo su un provvedimento di reintegra ) è indicativa di un atteggiamento inerziale del privato tenuto in violazione dell’art 2 Cost. che non tiene conto del dovere dei privati, a fronte delle evenienze ed ai rischi delle attività economiche, di attivarsi per ricavare altre fonti di reddito ( si argomenti dall’ art. 4 Cost. sul dovere di lavorare ) o ricorrendo al credito e della violazione dell’art. 2 Cost. che si realizzerebbe se in forza dell’ illegittimità di un atto amministrativo, incidente su una situazione complessa, fosse possibile addossare definitivamente all’amministrazione pubblica il costo del futuro sostentamento di un privato che invece potrebbe e dovrebbe ricavare il suo reddito aliunde .

In ipotesi solo se si provasse – ma di ciò non vi è traccia in atti – che non vi erano altri immobili disponibili nella zona per l’esercizio di attività analoghe e che solo ed esclusivamente in conseguenza della revoca dell’autorizzazione il privato ha perso in via definitiva ogni capacità di farsi concedere credito la domanda acquisterebbe carattere di plausibilità.

Solo in tal caso il danno futuro avrebbe caratteri di certezza tali da poter giustificare la sua ascrivibilità all’azione amministrativa illegittima.

Quanto al danno emergente va considerato che la revoca per cui è causa ( che, nella tesi dell’appellante andrebbe riguardata come ragione del danno patito ) è intervenuta nel quadro di un complesso contenzioso civilistico, nel quale si era già verificata una disdetta, data da parte dell’originario titolare del bar, del contratto di affitto di azienda che costituiva titolo ad ottenere la licenza di esercizio per quell’esercizio di vendita al pubblico di alimenti e bevande.

In sostanza la revoca è intervenuta quando l’attività commerciale del M era già di fatto cessata proprio nel corso del 2004 ed essa ha inciso su di un titolo autorizzatorio rilasciato sulla base di un provvedimento interinale come la reintegra, del tutto provvisorio rispetto alle risultanze dei giudizi civili sul petitorio in corso, sfociati in uno sfratto per ragioni del tutto indipendenti dall’azione amministrativa.

Per questo motivo esattamente il Tar ha negato la risarcibilità di alcun danno anche per il periodo decorso ritenendo sufficiente – secondo l’id quod plerumque accidit - il ripristino della legittimità dell’azione amministrativa legato all’annullamento.

Lo sfratto è un’evenienza che non può considerarsi dipendente dalla revoca illegittima dell’autorizzazione.

Inoltre ricorrente non ha provato la propria iscrizione al registro degli esercenti il commercio, non ha provato che l’impossibilità di produrre redditi derivi dall’atto annullato, non ha provato i danni esibendo dichiarazioni dei redditi, ha chiesto un danno ipotetico ed incerto mentre era in morosità – tanto da subire un procedimento per sfratto – per mancato pagamento di mensilità dei fitti dovuti sin da data anteriore alla revoca.

La revoca è intervenuta in data 18 maggio 2004, dopo la disdetta del contratto di affitto di azienda ( avvenuta il 20 gennaio 2003 ) e dopo la chiusura dei locali ( avvenuta sin dall’aprile-maggio 2004 come risulta dalle relazioni dei VVUU in atti ).

La convalida dello sfratto è avvenuta in data successiva ma per morosità maturate anteriormente alla revoca che testimoniano di una precarietà anteatta dell’attività del M ed esso avrebbe potuto essere evitato sanando le morosità e ricorrendo al credito.

Né rilevano difficoltà nel ricorso al credito che confermano anzi che il pregiudizio lamentato non era dipendente dall’azione amministrativa ma da difficoltà economiche e gestionali dell’impresa.

Infatti il provvedimento di reintegra ottenuto dal M aveva carattere del tutto provvisorio rispetto alle evenienze relative alla causa di sfratto ed alla disdetta del contratto di affitto di azienda ( e si può supporre che tale interinalità possa determinare una condizione di debolezza economica dell’impresa nel ricorso al credito non imputabile all’amministrazione ) , né v’è prova che nei due mesi di mancato esercizio fra la revoca e la convalida dello sfratto egli avrebbe potuto evitare lo sfratto proprio in forza dell’autorizzazione ( che fino a tale data non aveva utilizzato ), in quanto la situazione economica si presentava ormai compromessa per fattori non dipendenti dall’azione amministrativa ( non avendo egli adempiuto al pagamento in modo puntuale già in precedenza e non avendo esercitato l’attività commerciale quando avrebbe potuto farlo ossia nel corso del 2004 rafforzando così la sua capacità di ottenere credito).

Sicché la domanda di risarcimento danni va respinta per mancanza di nesso causale fra provvedimento e danno.

Si tratta della c.d. causalità materiale, che consiste nel verificare (secondo il modello fatto proprio anche dalle Sezioni Unite della Cassazione sin dalla sentenza n. 500/1999) se l'attività illegittima dell'Amministrazione abbia determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento.

A tal fine, come si legge nella sentenza n. 500/1999, occorre un "giudizio prognostico, da condurre con riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno dell'istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva", e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta.

In caso di revoca illegittima di un atto amministrativo occorre considerare se il pregiudizio lamentato dal privato inciso si sarebbe comunque verificato indipendentemente dall’azione amministrativa illegittima ( se la revoca è incidente sul diritto d’impresa di cui all’art. 41 Cost. per ritenere la stessa produttiva di danni occorre considerare attentamente le condizioni dell’impresa su cui il provvedimento ha inciso, la sua solidità economica e capacità di credito, l’esistenza di fattori estranei all’azione amministrativa condizionanti la sua stessa esistenza, la continuità e l’effettività del suo esercizio ).

Quando la revoca di un’autorizzazione, pur illegittimamente disposta , interviene su un’impresa che non ha solidità economica e finanziaria ( come attestato da morosità nel pagamento dei fitti anteriore alla revoca ), investita da un contenzioso civilistico condizionante la sua stessa esistenza (procedimento di sfratto ), ed in un momento nel quale essa non è più in esercizio di fatto ( per scelta dello stesso imprenditore di non avvalersi dell’autorizzazione pur revocata) deve ritenersi sufficiente la tutela in forma specifica consistente nell’annullamento dell’atto, mentre irrilevante è poi che la controversia di sfratto abbia portato alla perdita definitiva del locale in cui si esercita l’attività non potendo tale evenienza ( che avrebbe potuto evitarsi ricorrendo al credito ) essere imputata all’amministrazione .

Sussistono giusti motivi in considerazione dell’ assoluta peculiarità del caso deciso per compensare le spese processuali.

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