Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-01-03, n. 202300116

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-01-03, n. 202300116
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202300116
Data del deposito : 3 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/01/2023

N. 00116/2023REG.PROV.COLL.

N. 03269/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS- del 2018, proposto da -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato B V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Circo Nel Mondo di Togni Ennio &
C Sas, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza telematica straordinaria per lo smaltimento dell’arretrato del 2 dicembre 2022 il Pres. M L;

Udito l’Avvocato B V per la parte appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dalla società odierna appellante per l’annullamento del decreto del direttore generale dello spettacolo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, n. -OMISSIS-, di non accoglimento della domanda di contributo per attività circensi in Italia e all’estero, di cui al Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) per inosservanza dell’art. 33, comma 3, lettera e), del decreto ministeriale 1 luglio 2014.

Detta disposizione prevede, quale requisito di ammissione al contributo, la presentazione di una “ e) dichiarazione, resa ai sensi dell’articolo 46 del citato decreto n. 445 del 2000, di non aver riportato condanne definitive per i delitti di cui al Titolo IX bis del Libro II del Codice Penale, e di non aver commesso ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell’Unione Europea in materia di protezione, detenzione e utilizzo degli animali ”.

La parte appellante chiede la riforma della decisione di prime cure, articolando le seguenti censure in diritto: “mancanza e/o genericità della motivazione della sentenza sul motivo di ricorso circa il carattere “non protezionistico” verso gli animali della norma asseritamente violata”;
“violazione / falsa applicazione delle norme in materia di decreto penale di condanna (art. 460, co. 5, cod. proc. pen.)”
.

Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si è costituito in giudizio per resistere all’appello.

All’udienza del 2 dicembre 2022, svoltasi da remoto, la causa è trattenuta in decisione.

La presente vicenda processuale ha per oggetto il mancato riconoscimento nei confronti della società appellante di contributi per attività circensi relativamente all’anno 2015, fondato sulla mancanza dei requisiti di ammissione previsti dall’art 33, comma 3, lettera e), del decreto de Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo 1 luglio 2014, recante “Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163” . In particolare, il provvedimento di diniego si basa sulla circostanza che sussiste, a carico del legale rappresentante pro tempore della società richiedente, un decreto penale di condanna, ai sensi dell’art. 6 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, per avere detenuto animali pericolosi senza l’autorizzazione prefettizia.

Con il primo motivo di appello, la parte appellante ribadisce la propria tesi difensiva, basata sull’asserita distinzione, già dedotta in primo grado, tra norme “organizzative” e norme “protezionistiche” in materia di disciplina degli animali, evidenziando come l’esclusione dai contributi del FUS possa ritenersi legittima solo ove fondata su una violazione di norme poste a tutela del benessere e della salute degli animali con finalità tipicamente protezionistiche . Tra queste non potrebbe includersi la violazione di cui al decreto penale di condanna, che non comporterebbe alcuna lesione concreta, o anche meramente potenziale, del benessere degli animali. Si lamenta, pertanto, l’illegittimità del provvedimento impugnato, sostenendo che si tratterebbe di una mera violazione formale di norme inerenti alla tenuta di registri.

Sul punto, l’appellante lamenta l’omesso esame da parte della sentenza impugnata della suddetta argomentazione difensiva, che è pertanto riproposta in appello.

Sotto altro profilo, l’appellante censura anche l’accertata mancanza di requisiti ai sensi dell’art. 33, comma 3, lett. e), del d.m. 1 luglio 2014. La parte appellante deduce specificamente l’irrilevanza del menzionato decreto penale di condanna, in quanto non afferente a reati contro la protezione o il benessere degli animali.

Con il secondo motivo, si invoca una diversa considerazione dei fatti, evidenziando “l’intrinseca inefficacia del decreto penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo” , ai sensi del comma 5, art. 460, c.p.p. In particolare, la parte appellante rileva la diversità intercorrente tra la mancata autorizzazione alla detenzione di alcuni bovini, quali animali pericolosi ai sensi del D.M. 19.4.1996, asseritamente “in condizioni ottimali di benessere e di trattamento igienico” , e l’esclusione dai contributi del FUS.

Con memoria difensiva, il Ministero appellato deduce che per effetto della nuova disciplina la nozione di “ tutela dell’animale ” è stata ampliata ricomprendendo anche il rispetto di norme inerenti alla “detenzione” degli animali.

Ai sensi della lett. e), comma 3, art. 33, D.M. 1 luglio 2014, si richiede, infatti, a pena di inammissibilità della domanda di contributo, una dichiarazione che autocertifichi “ di non aver riportato condanne definitive per i delitti di cui al Titolo IX bis del Libro II del Codice Penale e di non aver commesso ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione Europea in materia di protezione, detenzione e utilizzo degli animali” .

La ratio del criterio stabilito dal decreto sarebbe quella di assicurare accanto alla protezione dell’animale, una generale tutela delle condizioni di vita degli animali e, dunque, anche il rispetto di procedure amministrative tese a disciplinare lo svolgimento dell’attività circense con l’impiego di animali, che assumono perciò rilevanza per l’ammissione a contributi pubblici.

Alla luce di tali osservazioni, l’amministrazione contesta la fondatezza delle censure ex adverso dedotte.

L’appello è infondato.

Il criterio stabilito dal Ministero per legittimare l’ammissione al contributo statale è indicato in termini del tutto chiari, senza alcuna possibilità di seguire un’interpretazione finalistica della disposizione, in contrasto con la formulazione letterale del decreto.

Il requisito di ammissione si connette al rispetto delle disposizioni in materia di detenzione degli animali, indipendentemente dal collegamento, o meno, con un pregiudizio, attuale o potenziale, del loro benessere.

D’altro canto, il controllo prefettizio sulla detenzione di animali pericolosi non ha una valenza esclusivamente collegata alla sicurezza dell’incolumità pubblica e dei lavoratori circensi, ma può e deve verificare se le misure di prevenzione adottate rispettino adeguati standard di protezione della salute e del benessere degli animali stessi.

È certamente vero che la violazione di disposizioni “organizzative” presenta un disvalore normalmente minore rispetto a illeciti consistenti nel maltrattamento effettivo degli animali. Tale circostanza si riflette, indubbiamente, sul piano del trattamento sanzionatorio. Ma essa non impedisce che, ai fini dell’attribuzione dei benefici economici statali, anche tale trasgressione possa considerarsi ostativa al conseguimento del finanziamento.

La prescrizione non risulta manifestamente irragionevole e rientra nell’ambito delle scelte discrezionali riservate all’organo di vertice politico-amministrativo del competente Ministero.

Sotto altro profilo, non è persuasivo nemmeno l’ulteriore argomento espresso dall’appellante, secondo cui la preclusione al contributo sussisterebbe solo in presenza di sentenza di condanna e non potrebbe operare a fronte di un decreto penale di condanna.

Dal punto di vista letterale, infatti, il decreto ministeriale fa riferimento alla “violazione”, senza alcuna limitazione alla forma giuridica del provvedimento che ne ha accertato l’esistenza.

D’altro canto, il decreto penale di condanna produce effetti pressoché coincidenti con quelli della sentenza di condanna, fatta eccezione per talune differenze processuali, enunciate dall’appellante, ma ininfluenti ai fini della verifica della violazione.

Anche per tale aspetto, la prescrizione stabilita dal Ministero, che non limita la rilevanza della violazione ai soli casi di sentenza di condanna, risulta immune da censure di irragionevolezza.

In conclusione, pertanto, l’appello deve essere rigettato.

Le spese del grado devono essere compensate, considerando la novità della questione.

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