Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-08-31, n. 202005297
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Pubblicato il 31/08/2020
N. 05297/2020REG.PROV.COLL.
N. 04285/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4285 del 2011, proposto dalla società Di Saverio S.n.c., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, e dal signor P D S, rappresentati e difesi dagli avvocati G M e L M, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Vittoria Colonna, n. 27,
contro
- la Provincia di Teramo, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato A Z, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. P G in Roma, via Avezzana, n. 8;
- i signori G C, F D S e I C, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) n. 91/2011, resa tra le parti, concernente attività di recupero di rifiuti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Teramo;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le brevi note depositate dalla difesa della Provincia di Teramo, ai sensi dell’art. 84, co. 5, secondo periodo, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2020, il Cons. Carla Ciuffetti, dati per presenti i difensori delle parti, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La parte odierna appellante aveva dato in locazione ad una ditta individuale, nel mese di giugno 2004, un garage e un magazzino, siti nel territorio del Comune di Castellalto, nella Provincia di Teramo. In data 5 agosto 2005, nell’ambito del procedimento di sfratto della ditta conduttrice per morosità, la parte appellante aveva riscontrato che i fabbricati locati e l’area circostante erano stati utilizzati per attività di recupero di rifiuti e aveva appreso che la ditta conduttrice era stata iscritta al Registro Iscrizione Provinciale (R.I.P.) della Provincia di Teramo con atto n. 182 in data 22 novembre 2004, ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 22/1997.
A seguito di controlli effettuati dalla Provincia di Teramo, su richiesta presentata dalla parte appellante in data 8 agosto 2006, sull’area veniva rinvenuta una discarica abusiva e ne veniva disposto il sequestro in data 1 settembre 2005. Durante il sequestro, sulla medesima area si sviluppava un incendio che coinvolgeva i fabbricati e provocava la produzione di percolato. Il Comune di Montalto emanava quindi un’ordinanza per la messa in sicurezza dell’area, impugnata dalla parte appellante che comunque vi ottemperava.
La medesima parte appellante, in data 27 aprile 2006, presentava alla Provincia di Teramo un’istanza di accesso agli atti relativi all’iscrizione della ditta conduttrice al R.I.P. e in seguito, con ricorso n.r.g. 385/2006 al Tar per l’Abruzzo, impugnava l’atto n. 182/2004, di iscrizione della medesima ditta al R.I.P., convenendo in giudizio la Provincia di Teramo, due suoi funzionari, la stessa ditta conduttrice e il Comune di Castellalto. A motivo del ricorso di primo grado venivano dedotti: la violazione delle prescrizioni stabilite dall’art. 33 d.lgs. n. 22/1997 ai fini dell’iscrizione nel R.I.P., il difetto di istruttoria e la violazione degli artt. 6 e 7 della l. n. 241/1990. Il difetto di istruttoria sarebbe emerso: dall’errata indicazione catastale dell’area di svolgimento dell’attività di raccolta e stoccaggio di rifiuti;dall’omessa considerazione dell’inidoneità ai fini dell’iscrizione nel R.I.P. del titolo di detenzione dell’area, vista la natura dei manufatti locati e la disponibilità solo di una superficie totale di 800 mq circa (oltre allo spazio circostante i fabbricati), nonostante che la ditta conduttrice avesse dichiarato la disponibilità di circa 3 mila mq per lo svolgimento dell’attività di recupero dei rifiuti;dalle lacune del progetto presentato per ottenere l’iscrizione nel registro.
I ricorrenti chiedevano anche il risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, che sarebbero loro derivati dall’iscrizione della ditta conduttrice nel R.I.P., per i quali si chiedeva che fosse disposta una consulenza tecnica d’ufficio.
2. Estromessi per difetto di legittimazione passiva i funzionari provinciali, il Tar ha ritenuto che:
a ) il ricorso fosse tardivo in quanto l’azione, a prescindere dalla sua qualificazione come azione di accertamento o impugnatoria, sarebbe stata esperita oltre il termine di decadenza di sessanta giorni dalla data in cui i ricorrenti avevano acquisito “ una conoscenza utile ai fini della proposizione del ricorso ”;infatti, essi avevano dichiarato di essere venuti a conoscenza dell’iscrizione della ditta conduttrice nel R.I.P. in data 5 agosto 2005 e, anche a ritenere che in tale data non fosse stata raggiunta una tale conoscenza utile ai fini dell’impugnazione, doveva prendersi atto del fatto che la richiesta di accesso agli atti della Provincia di Teramo era stata effettuata ben nove mesi dopo tale data;
b ) la domanda risarcitoria non poteva essere accolta, in quanto i pretesi danni erano “ palesemente estranei alla serie causale che scaturisce dall’iscrizione nel suddetto registro ”: infatti, la morosità del conduttore non poteva essere imputata alla responsabilità della Provincia;il sequestro dell’area era stato disposto per l’attività di discarica abusiva, già accertata in sede giurisdizionale;la circostanza che la medesima area fosse sotto sequestro alla data dell’incendio escludeva l’imputabilità di danni all’Amministrazione, che non aveva consentito la trasformazione del sito in discarica abusiva. Anche a ritenere che gli eventi dannosi potessero essere ricollegati “ ad ipotetiche omissioni in ordine all’esercizio delle doverose attività di vigilanza e controllo (non necessariamente di esclusiva spettanza provinciale) ”, secondo il Tar “ non è in tale direzione che parte ricorrente dirige la domanda risarcitoria ”.
3. Il presente appello è articolato sulle deduzioni relative alla “ tempestività dell’impugnazione della iscrizione al r.i.p ” e a quelle relative alla “ domanda di risarcimento danni ”, con le quali sono formulate le seguenti censure:
a ) erroneità della sentenza in epigrafe nella parte in cui l’azione esperita dai ricorrenti, a prescindere dalla sua qualificazione, viene ritenuta tardiva: i ricorrenti, dopo aver chiesto (con raccomandata in data 8 maggio 2005) alla Provincia di Teramo e alla Polizia provinciale di effettuare i controlli dai quali in seguito sarebbe scaturito il sequestro dell’area, avrebbero atteso che la stessa Provincia fornisse loro informazioni e tale vana attesa avrebbe contribuito al ritardo nella richiesta di accesso agli atti;infatti, la necessità di presentare tale richiesta sarebbe stata avvertita solo dopo la notifica dell’ordinanza n. 22/2006 del Sindaco del Comune di Castellalto, con la quale anche gli appellanti venivano coinvolti nella vicenda in conseguenza dell’inquinamento dell’area;del resto, all’atto dell’esecuzione dello sfratto, gli appellanti avrebbero potuto rilevare solo il difetto di una comunicazione nei loro confronti dell’iscrizione della ditta conduttrice nel R.I.P.;inoltre, tale iscrizione sarebbe stata effettuata identificando l’area di svolgimento dell’attività in base a dati catastali non corrispondenti a quelli effettivi;in conseguenza del difetto di comunicazione dell’atto di iscrizione, omissione che sostanziava la violazione degli artt. 6 e 7 della l. n. 241/1990, gli appellanti non avrebbero potuto percepire fin dall’inizio della vicenda la portata lesiva della suddetta iscrizione ed esercitare quindi “ validamente l’azione giurisdizionale a tutela delle proprie ragioni ”;
b ) sussistenza dell’interesse al risarcimento del danno “ soprattutto in forma specifica mediante la bonifica dell’area ”, in base al riconoscimento della responsabilità della Provincia di Teramo per avere consentito alla ditta conduttrice “ di implementare ed impiantare una discarica ” ad insaputa del locatore;la parte appellante ha evidenziato che non “ conserva alcun precipuo interesse all’annullamento della iscrizione al R.I.P. ”, dato che questa avrebbe “ esaurito la propria capacità lesiva per effetto dei noti eventi, tra i quali, in primis, il disposto sequestro dell’area ”;erroneamente il Tar avrebbe ritenuto che gli asseriti danni fossero estranei alla serie causale scaturita dall’iscrizione al R.I.P., essendo responsabili gli organi provinciali per omissione di vigilanza e controllo per “ il mancato rilevamento della presenza della discarica sul territorio, a distanza di parecchi mesi dalla iscrizione al R.I.P. ”;erroneamente il Tar avrebbe considerato non sollevati in prime cure tali profili di responsabilità dell’Ente, da considerare connessi alle censure di illegittimità dell’iscrizione nel R.I.P., articolate in primo grado;comunque, la parte appellante aveva “ espressamente censurato l’Ente convenuto anche per l’omessa vigilanza (al punto da reclamarla e sollecitarla espressamente con l’esposto del 8.8.05) ” e intimato in giudizio anche i competenti funzionari della Provincia di Teramo, considerato l’obbligo dell’Ente di verificare, nel termine di 90 giorni dalla comunicazione di inizio attività, la sussistenza delle condizioni per lo svolgimento dell’attività medesima, ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 22/1997;dunque, sussisterebbe la colpa della Provincia di Teramo sia per l’illegittima iscrizione nel R.I.P., effettuata in base a domanda illegittima della ditta conduttrice, sia per l’omissione della successiva attività di vigilanza;l’illegittima iscrizione nel R.I.P. avrebbe consentito lo svolgimento di un’attività di raccolta rifiuti incompatibile con la destinazione contrattuale dell’area e l’illecita di discarica dei rifiuti, cui avrebbero fatto seguito il sequestro dell’area e gli incendi da cui sarebbe derivata la produzione di percolato;ai fini della verifica della correttezza di tale ricostruzione della vicenda, la parte appellante ritiene utile che venga disposta una consulenza tecnica d’ufficio
4. La Provincia di Teramo, costituita in giudizio con atto depositato in data 28 luglio 2011, ha preliminarmente prospettato l’inammissibilità dell’appello, in quanto tardivamente notificato all’Amministrazione. Inoltre, l’Ente ha rilevato la tardività del ricorso di primo grado rispetto al momento in cui gli appellanti avrebbero effettivamente acquisito consapevolezza della portata lesiva dell’atto impugnato, non solo con riferimento alla data dell’8 agosto 2005, in cui gli appellanti avevano inviato alla Provincia di Teramo la richiesta di controllo dell’area, ma, prima ancora, con riferimento alla pubblicazione (avvenuta dal 23 novembre 2004 fino al 7 dicembre 2004) dell’atto di iscrizione nell’albo pretorio dell’Ente. Anche il tenore della richiesta di accesso agli atti avrebbe dimostrato che gli appellanti fossero da tempo a conoscenza dell’iscrizione della ditta conduttrice nel R.I.P.
Nel merito, la Provincia di Teramo ha chiesto il rigetto dell’appello. L’Ente ha fatto presente che il provvedimento di iscrizione della ditta nel R.I.P., che costituiva atto vincolato ricorrendo i presupposti di legge per la sua adozione, prevedeva che: tale iscrizione fosse “ rilasciata fatti salvi i diritti di terzi e le eventuali autorizzazioni, concessioni, nulla osta o quanto altro necessario previsti dalla Legge per il caso di specie ”;lo stesso atto fosse trasmesso “ al Comune territorialmente competente e alla Regione Abruzzo, Direzione turismo ambiente energia-Servizio gestione rifiuti nonché alla Polizia Provinciale e al Dipartimento Provinciale dell’A.R.T.A. per i controlli periodici di cui all’art. 20 del D.Lgs. n. 22/97 ”. La ditta conduttrice non era più iscritta al R.I.P. dal 22 novembre 2009 e, l’iscrizione era stata sospesa alla data del 30 aprile 2006, per mancato versamento del diritto di iscrizione. Le deduzioni dell’appellante in merito ad “ omissioni di vigilanza e controllo da parte degli organi provinciali ”, non sarebbero mai state prospettate dagli interessati nel ricorso di primo grado. Quanto alla richiesta di risarcimento in forma specifica, la Provincia di Teramo evidenzia che il Tribunale penale di Teramo, con sentenza n. 279/2008, in relazione all’incendio in data 17 aprile 2006, aveva ordinato al titolare della ditta conduttrice di procedere alla bonifica del sito ed al ripristino dello stato dei luoghi, riservando all’esito di tali attività il dissequestro dell’area in favore del proprietario, e aveva condannato la medesima ditta al risarcimento del danno in favore della società appellante, da liquidare in separato giudizio.
La richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali, “ anche morali, biologici ed esistenziali ” sarebbe infondata in quanto priva di riscontro probatorio e comunque inammissibile.
5. Tanto esposto, il Collegio passa all’esame dell’appello.
5.1. Preliminarmente va respinta l’eccezione della Provincia di Teramo di irricevibilità dell’appello in quanto esso è tempestivo, essendo stato notificato alla parte appellata in data 3 maggio 2011, vale a dire entro il sessantesimo giorno successivo dalla notifica della sentenza di primo grado effettuata dalla stessa Provincia in data 9 marzo 2011.
5.2. Occorre ora esaminare la prima questione posta dagli appellanti sub 3, lett. a ), che riguarda la conclusione del T.A.R. circa la tardività del ricorso di primo grado, a prescindere dalla qualificazione dell’azione proposta in primo grado dagli interessati.
Il Collegio non condivide tale conclusione. Infatti, l’art. 33 del d.lgs. n. 22/1997 (vigente all’epoca dei fatti, oggi art. 216 d.lgs. n. 152/2006) ha stabilito una procedura semplificata, mediante denunzia d’inizio d’attività, di autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti, che esclude l’emanazione di provvedimenti amministrativi. Secondo i meccanismi tipici del silenzio-assenso, una volta presentata la comunicazione di inizio dell’attività, è il decorso dei novanta giorni, in assenza di un espresso divieto dell’Amministrazione, ad autorizzare il privato ad intraprendere la propria attività. Perciò, è evidente che la parte appellante, in data 5 agosto 2005, non poteva essere venuta a conoscenza di un provvedimento amministrativo, ma, al più, di una nota di iscrizione della ditta locataria nel registro di cui al citato art. 33, co. 3, del d.lgs. n. 22/1997 o della comunicazione di avvio dell’attività di cui al comma 1 del medesimo articolo;in entrambe le ipotesi, ad avviso del Collegio, una tale conoscenza era inidonea ad integrare una “ piena conoscenza ” e quindi far decorrere il termine per l’esercizio dell’iniziativa giudiziale.
Infatti, nell’ipotesi di conoscenza dell’iscrizione nel R.I.P., tale iscrizione ha natura meramente notiziale e non provvedimentale, atteso che gli effetti giuridici di autorizzazione “ semplificata ” all’esercizio dell’attività conseguono direttamente alla comunicazione di avvio del richiedente e si consolidano con il mancato esercizio dei poteri inibitori dell’Amministrazione nel termine di legge;nell’ipotesi di conoscenza della mera comunicazione di avvio dell’attività, un tale atto, proveniente da soggetto privato, deve ritenersi che fosse manifestamente inidoneo a dare all’odierna parte appellante contezza delle eventuali verifiche svolte dall’Amministrazione sulle dichiarazioni in merito alla sussistenza dei requisiti e delle condizioni di legge per lo svolgimento dell’attività in questione, contezza che - deve ritenersi - la medesima parte aveva potuto acquisire solo all’esito dell’accesso ai documenti amministrativi.
Perciò, anche il percorso logico argomentativo in base al quale il TAR ha ritenuto “ eccessivo ” il ritardo con cui la parte appellante, dopo aver appreso dell’esistenza dell’ “ autorizzazione ” provinciale, ha proceduto alla richiesta di accesso agli atti non è condivisibile, in quanto il primo giudice avrebbe dovuto fare applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale per cui spetta alla parte intimata che eccepisce la tardività dell’azione dimostrare in modo rigoroso la piena conoscenza di parte ricorrente degli atti censurati in epoca anteriore ai sessanta giorni che precedono la notifica del ricorso, e, nella specie, la Provincia intimata non ha assolto a tale onere.
Dalla fondatezza di tale motivo di appello deriva che debbano essere esaminate le censure proposte in appello, formulate dalla parte ricorrente in primo grado e non esaminate dal Tar.
5.3. Venendo a tali censure, il Collegio rileva che, quanto dedotto dalla parte appellante sub 3, lett. a ), in merito alla pretesa violazione degli artt. 6 e 7 della l. n. 241/1990, è infondato.
Infatti, la richiamata disciplina di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 22/1997, se certamente presuppone che il richiedente debba documentare alla Provincia di avere la disponibilità del sito su cui svolgerà l’attività stessa, non impone il necessario consenso del proprietario dell’area - e, quindi, che questi debba essere destinatario di specifica comunicazione sul punto - qualora tale disponibilità trovi base in un titolo diverso dalla proprietà, come nella fattispecie: infatti, la ditta conduttrice poteva documentare di avere la disponibilità dell’area in base a contratto di locazione, da cui non è stato dimostrato in giudizio che derivasse un vincolo a carico del conduttore per uno specifico uso dei beni locati precludendone altri (circostanza cui non può ricondursi il fatto che la locazione fosse qualificata nel contratto ad uso “ autorimessa ”), cosicché un eventuale dissenso sull’uso di tali beni tra locatore e locatario avrebbe riguardato solo i rapporti tra le parti del contratto di locazione, senza coinvolgere in alcun modo l’Amministrazione. Inoltre, va considerato che l’iscrizione nel R.I.P. era stata effettuata con la clausola espressa della salvezza dei diritti dei terzi.
5.4. Con riferimento alla domanda risarcitoria esposta sub 3, lett. b ), l’appellante ha avversato la sentenza in epigrafe laddove si afferma che i pretesi eventi dannosi “ potrebbero essere ricollegati non tanto all’attività amministrativa funzionale all’iscrizione nel RIP, quanto, eventualmente, ad ipotetiche omissioni in ordine all’esercizio delle doverose attività di vigilanza e controllo (non necessariamente di esclusiva spettanza provinciale), ma non è in tale direzione che parte ricorrente dirige la domanda risarcitoria ”. In proposito, il Collegio constata che la difesa provinciale ha replicato che, nel ricorso di primo grado, gli interessati non avrebbero svolto alcuna deduzione sul punto. Tuttavia, tale replica non pare cogliere nel segno, in quanto occorre constatare che, nel ricorso di primo grado, gli interessati avevano deplorato la sussistenza di diverse lacune nell’istruttoria effettuata dall’Amministrazione, che costituisce il presupposto per l’attivazione del potere di verifica d’ufficio, da ritenere non esaurito nel termine di 90 giorni dalla comunicazione di avvio dell’attività. Tra tali lacune veniva riportata quella relativa al mancato riscontro della disponibilità di un’area di ampiezza sufficiente allo svolgimento dell’attività di recupero dei rifiuti: la superficie dei beni locati, pari a 800 mq, sarebbe stata troppo angusta per lo svolgimento dell’attività di raccolta dei rifiuti e la ditta conduttrice avrebbe presentato un progetto di impianto per il recupero dei rifiuti che avrebbe occupato un’area di circa 3 mila mq. In merito a tale circostanza, che pare cruciale, concernendo un presupposto fondamentale per evitare che l’attività di recupero di rifiuti portasse ad una loro discarica incontrollata, non si ravvisa un’adeguata smentita nelle difese dell’Amministrazione provinciale, sicché paiono fondate le censure dell’appellante in merito ad un difetto di istruttoria da parte di quest’ultima sulla comunicazione di avvio dell’attività trasmessa dalla società controinteressata ex art. 33, comma 1, d.lgs. n. 22/1997.
5.5. Tanto deve rilevare il Collegio ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., (“ Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori ”), in quanto, come esposto sub 3, lett. b ), la parte appellante ha evidenziato che non “ conserva alcun precipuo interesse all’annullamento della iscrizione al R.I.P .”, mentre nutre interesse al risarcimento del danno “ soprattutto in forma specifica ” mediante la bonifica dell’area di proprietà.
5.6.Tuttavia, la domanda di risarcimento sub 3, lett. b ), deve essere respinta e devono essere confermate le conclusioni cui il TAR è pervenuto in merito a tale domanda. Infatti, la parte appellante: non ha specificato né documentato se e quali danni avrebbe subito per effetto dell’asserito illegittimo avvio dell’attività di recupero dei rifiuti sulla quale la Provincia avrebbe omesso di svolgere i controlli di cui all’art. 33, d.lgs. n. 22/1997;non ha fornito alcun elemento idoneo a riscontrare l’erroneità di quanto rilevato dal primo giudice, secondo il quale non vi era alcun nesso causale tra l’atto di iscrizione nel R.I.P. della società controinteressata e la pretesa serie causale che ne sarebbe scaturita fino all’inquinamento del suolo prodotto dal percolato conseguente all’incendio, evento quest’ultimo causato da ignoti durante il sequestro dell’area;nel dolersi dell’omesso controllo da parte della Provincia sullo stoccaggio di rifiuti diversi da quelli per cui la società controinteressata era stata iscritta nel R.I.P., ha articolato una domanda del tutto nuova nel presente grado di giudizio e, pertanto, inammissibile.
6. Sulla base delle considerazioni svolte, l’appello deve essere, dunque, rigettato, con conseguente conferma della decisione di primo grado, sia pure con le integrazioni motivazionali sopra svolte. Sussistono giustificati motivi per la compensazione delle spese processuali tra le parti.