Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-12-23, n. 202211286
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Testo completo
Pubblicato il 23/12/2022
N. 11286/2022REG.PROV.COLL.
N. 00456/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 456 del 2021, proposto da
G F, rappresentato e difeso dall'avvocato L P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
contro
Comune di Stalettì, non costituito in giudizio;
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) n. 1092/2020
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2022 il cons. Ofelia Fratamico e udito l’avvocato Grazia Tiberia Pomponi in dichiarata delega dell’avv. L P;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
L’appellante ha chiesto al Consiglio di Stato l’annullamento e/o la riforma della sentenza del TAR per la Calabria n. 1092/2020 del 17 giugno 2020 di rigetto del ricorso proposto in primo grado contro l’ordinanza del Comune di Stalettì di sgombero dell’area demaniale sita in località Panaja Caminia , a valle del tracciato della linea ferroviaria Taranto-Reggio Calabria e per il risarcimento dei danni.
A sostegno della sua impugnazione, l’appellante ha dedotto i seguenti motivi: a) error in iudicando, per violazione e falsa applicazione dell’art. 60 c.p.a., eccesso di potere, violazione dell’art. 97 Costituzione, violazione dei principi di imparzialità, buon andamento e proporzionalità;b) error in iudicando, per erronea pronuncia sull’applicazione dell’art. 7, comma 9-septiesdecies D.L. n. 78/2015, convertito in legge n. 125/2015 e sulla violazione della legge della Regione Calabria n. 17/2005;c) error in iudicando, per avere il T.A.R. della Calabria male interpretato la legge, non applicando correttamente l'art. 35 D.P.R. n. 380/2001;d) error in iudicando del T.A.R. della Calabria per essersi espresso riportando giurisprudenza del Consiglio di Stato inerente l’art. 35 del D.P.R. 380/2001;e) error in procedendo et in iudicando, violazione del principio ne eat iudex ultra petita partium ex art. 112 c.p.c., nullità della sentenza ex art. 161 c.p.c.;f) error in iudicando, per non avere il T.A.R. per la Calabria rilevato l’eccesso di potere per carenza di istruttoria. violazione dell’art. 32 del codice della navigazione, carenza di motivazione, contraddittorietà manifesta rispetto al comportamento tenuto dal Comune di Stalettì per oltre 50 anni, g) eccesso di potere per contraddittorietà, carenza di istruttoria, carenza assoluta di motivazione ex art. 3, L. 7 agosto 1990 n. 241;h) violazione del principio del legittimo affidamento ex art. 97 Costituzione, carenza di motivazione del provvedimento, carenza di comparazione tra gli interessi pubblici e privati.
Si è costituito in giudizio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, eccependo l’inammissibilità e, in ogni caso, l’infondatezza nel merito dell’appello.
Con ordinanza del Consiglio di Stato n. 1365/2022 del 24 marzo 2022 è stata rigettata l’istanza di sospensione cautelare dell’esecutività sentenza appellata.
All’udienza pubblica del 18 ottobre 2022 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con la sua impugnazione l’appellante ha sollevato, in primo luogo, alcune questioni processuali che avrebbero comportato, a suo parere, l’illegittimità dell’adozione da parte del TAR a conclusione del giudizio di primo grado di sentenza in forma semplificata, lamentando, in particolare, che l’avviso di sentenza ex art. 60 c.p.a. fosse stato dato alla camera di consiglio del 16 giugno 2020 congiuntamente per tutte le cause del medesimo oggetto in trattazione in quella data, e non per ciascun singolo giudizio, e che la causa fosse stata immediatamente decisa nel merito nonostante il fatto che il suo difensore avesse evidenziato l’esistenza di ulteriore documentazione in capo al Comune, chiedendo che il Tribunale ne ordinasse la produzione ed ipotizzando in forza di essa la proposizione di eventuali motivi aggiunti.
Quanto al merito della controversia, secondo l’appellante la pronuncia dei giudici di prime cure sarebbe stata errata per non aver adeguatamente considerato che l’ordinanza di rilascio impugnata non avrebbe potuto essere emessa nelle more della procedura di revisione demaniale e che il Comune non sarebbe stato competente ad adottare tale provvedimento, in quanto la delega delle funzioni di vigilanza della Regione riguardava solo il demanio marittimo destinato a fini turistico-ricreativi e non tutte le aree demaniali.
Il TAR avrebbe, inoltre, trascurato l’importanza determinante del bando pubblico n. 4/1964 con il quale lo stesso Comune di Stalettì aveva invitato i cittadini ad occupare, anche con costruzioni, l’area in oggetto, nonché la circostanza per la quale, all’epoca dell’edificazione del suo fabbricato, le costruzioni sarebbero state liberamente realizzabili sul demanio marittimo, visto che la prima legge regionale a porre divieti e limiti in tal senso era stata adottata nel 1973 (l.reg. n. 14/1973).
L’appellante ha, poi, sostenuto che per superare il legittimo affidamento ingenerato nei privati dal bando del 1964 e dal lungo tempo trascorso senza alcun provvedimento di senso contrario (e rafforzato dall’allacciamento del fabbricato alla rete idrica ed alla rete fognaria, dalla presenza dell’illuminazione pubblica e dal servizio di raccolta dei rifiuti) sarebbe stata necessaria nell’ordinanza di sgombero una specifica motivazione, omessa invece dall’Amministrazione e che la sentenza del TAR avrebbe effettuato un errato richiamo all’art. 35 del DPR n. 380/2001 inerente la demolizione dei manufatti abusivi realizzati su suolo demaniale e, dunque, non pertinente al caso de quo, di un’ingiunzione di mero rilascio del terreno.
Il TAR della Calabria sarebbe, quindi, secondo la ricostruzione proposta dall’appellante, andato ultra petita, pronunciandosi sulla demolizione, non considerando rilevante il procedimento di sanatoria iniziato decenni prima e non ancora concluso e ritenendo non necessaria la comunicazione di avvio del procedimento di demolizione.
A tali censure l’appellante ha fatto seguire anche la riproposizione in appello dei motivi formulati dinanzi al TAR, a suo dire non sufficientemente esaminati in primo grado, come la doglianza per la quale l’area in questione, considerata dagli abitanti di Stalettì da sempre appartenente alla proprietà comunale, non avrebbe mai avuto, per sua natura e conformazione, le caratteristiche del lido o della spiaggia, risultando distante oltre 30 metri dal mare ed essendo divisa da questo da un parcheggio pubblico e dalla strada nonché la palese contraddittorietà della condotta tenuta dall’Amministrazione comunale che decenni prima aveva invitato i cittadini ad occupare la zona ai fini di una futura lottizzazione ed alienazione ed ora, a più di 50 anni di distanza, ingiungeva proprio a coloro che avevano risposto a tale invito il rilascio dei terreni.
Tali doglianze non sono fondate e devono essere respinte.
Per quanto riguarda le censure procedurali, dal verbale dell’udienza del 16 giugno 2020 svoltasi dinanzi al TAR in videoconferenza ex art 4 comma 1 del D.L. n. 28/2020, risulta, infatti, l’avvenuta puntuale comunicazione alle parti dell’avviso relativo alla possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., senza la manifestazione di alcuna opposizione da parte dell’appellante, che, d’altronde, anche nella sua impugnazione, prospetta come una mera eventualità la proposizione di motivi aggiunti sugli ulteriori documenti dei quali aveva domandato l’acquisizione (non disposta dai giudici di prime cure che hanno ritenuto la causa già sufficientemente istruita e matura per la decisione).
In presenza, dunque, di tutti i presupposti di fatto e di diritto prescritti dall’art. 60 c.p.a., deve essere, in primo luogo, esclusa la sussistenza dei lamentati errori nell’applicazione da parte del TAR delle disposizioni sulla definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata e ogni illegittimità della pronuncia impugnata in tal senso.
Quanto al merito, parimenti infondati si rivelano tutti i motivi relativi alla pretesa impossibilità per il Comune di emettere validamente l’ingiunzione di rilascio, essendo stata adeguatamente dimostrata la demanialità delle aree di cui è causa e non essendo stata adottata alcuna procedura finalizzata alla sdemanializzazione, che, come sottolineato anche dalla Corte di Cassazione, non può mai avvenire “in forma tacita” (cfr. Cass. Civ. n. 12629/2016).
Al riguardo, del resto, l’appellante si è limitato a fare generico riferimento a numerosi procedimenti di sanatoria che, instaurati da decenni, non sarebbero ancora giunti a conclusione, senza però in alcun modo precisare né tantomeno dimostrare nel corso del giudizio la natura e l’incidenza di essi sulla causa de qua.
Il Comune, inoltre, come già evidenziato dai giudici di prime cure, risulta aver agito non solo a tutela del demanio in sé, quanto nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza di cui al DPR n. 380/2001 per sanzionare un illecito edilizio che, se realizzato, come nel caso in questione, su suolo pubblico è considerato dall’ordinamento ancor più grave che se commesso su suolo privato.
Nell’ipotesi in esame, come anticipato, l’area sulla quale il manufatto è stato edificato è indubbiamente di proprietà pubblica ed è ricompresa, per di più, in una zona sottoposta a numerosi vincoli (compreso quello paesaggistico ed idrogeologico) cosicché la costruzione risulta carente di qualsiasi titolo legittimante.
Tale titolo abilitativo, come affermato dal TAR, non può, in verità, essere rappresentato dal bando del 1964, che, rivolto alla collettività indifferenziata dei cittadini senza alcuna indicazione delle caratteristiche delle eventuali costruzioni autorizzate, non appare nulla di più di un generico invito dal significato “estremamente evanescente”, vista anche la sua adozione da parte del Comune di Stalettì in data anteriore ad una lottizzazione, peraltro mai effettuata.
L’atto del 1964, se ha avuto l’effetto nel lontano passato di agevolare l’instaurarsi di occupazioni illegittime, non può ora in alcun modo consentire che tali situazioni, una volta accertate, possano essere mantenute, imponendo l’ordinamento la necessaria adozione di ordini di rilascio dei terreni e di rimozione degli abusi, come provvedimenti del tutto vincolati, non influenzati nella loro obbligatorietà neppure dal lungo tempo trascorso dalla edificazione dei manufatti.
La suddetta ricostruzione fattuale e giuridica della fattispecie non risulta inficiata dalle censure svolte nel ricorso in appello in relazione all’omessa applicazione dell’art. 32 cod. nav.
Tale norma, riguardando il procedimento di delimitazione del demanio marittimo dalle proprietà limitrofe, non appare, infatti, pertinente al caso di specie, in cui non è in alcun modo in discussione la proprietà del suolo da parte dell’appellante e i manufatti realizzati in loco mancano di qualsiasi titolo abilitativo.
Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all'esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
In definitiva, l’appello deve essere, dunque, integralmente respinto, con conferma della sentenza impugnata.
Per la natura e la particolarità della controversia sussistono, infine, giusti motivi per compensare tra le parti le spese.