Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-02, n. 202301148
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Pubblicato il 02/02/2023
N. 01148/2023REG.PROV.COLL.
N. 06046/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6046 del 2020, proposto da
V P, rappresentata e difesa dagli avvocati F G e S N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Bologna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A L, A T e N Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A L in Bologna, piazza Maggiore n. 6;
nei confronti
Soc. il Parco s.r.l., Soc. Immobiliare 2004 e Christian Corazza, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. 907/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bologna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2023 il Cons. Giovanni Pascuzzi e uditi per le parti gli avvocati S N e A T;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con un primo ricorso del novembre 2013 la signora Valentina P ha chiesto al Tar per l’Emilia Romagna l’annullamento:
- del provvedimento prot. 183923 assunto dal Comune di Bologna in data 19/07/2013 (avente ad oggetto: « Comunicazione ai sensi dell’art. 7 della legge 241/90 dell’avvio del procedimento sanzionatorio a carico di P Valeria per abusi edilizi commessi in Via Agucchi n. 183, interno 15C »), con il quale veniva comunicato che nell’unità immobiliare posta a Bologna, in via Agucchi n. 183, interno 15C risultavano presenti interventi edilizi realizzati in assenza di idoneo titolo abilitativo classificabili come nuova costruzione a seguito di annullamento del permesso di costruire P.G. n. 15657/2007;
- del provvedimento di annullamento del permesso di costruire P.G. n. 15657/2007.
2. Con un secondo ricorso del gennaio 2014 la signora Valentina P ha chiesto al Tar per l’Emilia Romagna l’annullamento:
- del già citato provvedimento di annullamento del permesso di costruire P.G. n. 15657/2007 rilasciato alla ditta Immobiliare 2004 s.r.l. per interventi sull’immobile di via Agucchi n. 183, conosciuto successivamente perché trasmesso via PEC il 28/11/2013;
- di ogni altro atto-provvedimento presupposto e/o connesso non noto alla parte ricorrente.
3. Le premesse in fatto possono essere così sintetizzate:
- oggetto della controversia è un appartamento sito in Bologna, via Agucchi 183/A;
- detto appartamento era stato realizzato dalla s.r.l. Immobiliare 2004 (quale esecutore dei lavori) in favore della società “Il Parco” s.r.l. divenuta proprietaria dal 12/12/2006;
- l’appartamento era stato quindi acquistato in data 24/12/2009 dalla signora P (odierna appellante) dalla precedente proprietaria s.r.l. “Il Parco”;
- l’immobile era stato realizzato sulla base di una pluralità di titoli edilizi:
i. concessione edilizia 5.12.1978;
ii. variante 6.7.1980 n. 1004;
iii. concessione edilizia in sanatoria in data 5.3.1997 (su istanza di condono presentata nel 1986);
iv. DIA in data 22/11/2006, PG 258499/2006 per frazionamento di unità abitativa in due u.i. ad uso residenziale (circa un mese dopo, l’immobile di cui si parla veniva venduto da Immobiliare 2004 alla s.r.l. Il Parco);
v. permesso di costruire 15657/2007, variante alla citata DIA PG 258499/2006 per ampliamento fuori sagoma con realizzazione di nuova u.i. ad uso direzionale sul lastricato solare;(il 24/12/2009, come detto, la s.r.l. Il Parco vendeva l’appartamento alla signora P);
vi. annullamento del PdC 15657/2007 operato in data 5/6/2012 (PG 135709): tale annullamento è stato impugnato dalla signora P.
3.1 Più in dettaglio:
- con verbale di accertamento di violazione urbanistico-edilizia n. 80/2013 PG n. 64449/2013, la Polizia Locale del Comune di Bologna accertava la realizzazione di un’opera abusiva, sita nell’unità immobiliare in via Agucchi n. 183 int.15/C, consistente in una nuova costruzione, realizzata in assenza di idoneo titolo edilizio, da parte della signora P (in qualità di proprietaria dal 29/12/2009), della società Il Parco s.r.l. (quale ex proprietario dal 12/12/2006 e committente), e dell’Immobiliare 2004 s.r.l. (quale esecutore dei lavori);
- gli agenti accertatori riscontravano l’avvenuta demolizione della preesistente tettoia posta sul lastrico solare, dimensionata in mt. 7,53 x mt. 2,14, come da condono PG 19690/1986 rilasciato il 05/03/1997 e, in luogo della medesima, la realizzazione di unità immobiliare in muratura ad uso abitativo, rilevata in circa mt. 6,25 x mt. 10,10, a copertura piana per un’altezza di mt. 3,00 e conseguente superficie utile pari a mq. 35,98;
- l’accertamento era stato avviato (su richiesta dei vicini e confinanti in relazione alla violazione delle distanze) in conseguenza dell’annullamento del permesso di costruire PG 15657/2007 in variante essenziale alla DIA 258499/2006 per la realizzazione sul lastrico solare di un manufatto ad uso ufficio nei confronti della società Immobiliare 2004 s.r.l.;
- detti vicini asserivano di non avere rilasciato alcuna autorizzazione alla violazione delle distanze e producevano documenti della Pcura della Repubblica e perizie che dimostravano, incontrovertibilmente, che il documento che conteneva il loro assenso era stato alterato e che una delle sottoscrizioni era falsa;
- con atto 19/07/2013 P.G. 183923, pervenuto alla ricorrente in data 1/8/2013, il Comune di Bologna ha comunicato l’avvio del procedimento sanzionatorio per abusi edilizi a seguito dell’annullamento del permesso di costruire P.G. n. 15657/07, comunicando la possibilità per la proprietà di procedere alla rimozione delle opere abusivamente realizzate. Tale atto è stato impugnato nel primo ricorso.
3.2 Il primo giudice così ha sintetizzato le doglianze sollevate dalla ricorrente:
- il primo motivo di ricorso eccepiva la violazione delle norme che garantiscono la partecipazione al procedimento soprattutto per un provvedimento di annullamento del titolo edilizio che presuppone una lunga ed adeguata istruttoria di cui la ricorrente avrebbe dovuto essere chiamata a partecipare anche per capirne le motivazioni;la ricorrente sosteneva di non aver commesso alcun abuso avendo acquistato l'appartamento già costruito e realizzato sulla base di un titolo edilizio all'epoca valido ed efficace e nella situazione di fatto ad oggi esistente;
- il secondo motivo lamentava che non vi fosse alcuna motivazione dell’invito a procedere alla demolizione;
- con successivo ricorso depositato il 10.2.2014, la ricorrente impugnava il provvedimento di annullamento del titolo edilizio relativo alla sua abitazione, che era stato determinato dalla mancanza nella domanda del titolo edilizio della sottoscrizione da parte di un condomino di adesione alla deroga alla normativa sulle distanze;
- il primo motivo era esattamente corrispondente al motivo del ricorso connesso relativamente alle garanzie procedimentali;
- il secondo censurava un difetto di motivazione circa le ragioni per cui fosse necessaria la deroga della normativa sulle distanze e comunque contestava la necessità della adesione alla deroga sulle distanze da parte dei condomini poiché l'unità immobiliare posta sul terrazzo di copertura del condominio non è una nuova costruzione, ma è il risultato di un intervento di ristrutturazione. Su quel terrazzo era stata costruita una tettoia chiusa su tre lati e un ripostiglio in muratura entrambi oggetto di pratica edilizia di sanatoria presentata nel 1985 essendo l'abuso risalente ad epoca anteriore al 1983. Se sussiste una violazione della normativa sulle distanze, la medesima violazione era già stata commessa dalla precedente costruzione condonata;inoltre sulla struttura che era già in violazione della normativa sulle distanze, essendo aderente al muro di confine, nessun condomino ha mai eccepito alcuna riserva. La ricorrente aveva maturato la deroga alla normativa sulle distanze per intervenuta usucapione. L'art. 21- octies l. 241/1990 prevede l’impossibilità di procedere all'annullamento in caso di violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti: il Comune di Bologna ha esercitato l’autotutela sulla base della dichiarazione di falsità della firma del condomino senza chiedere una nuova apposizione della firma e pertanto erano assenti i presupposti per l’esercizio dell’autotutela.
4. Il Comune di Bologna si costituiva in entrambi i giudizi di primo grado chiedendo il rigetto dei ricorsi.
5. Con sentenza n. 907/2019 il Tar per l’Emilia Romagna, dopo averli riuniti, ha rigettato i ricorsi.
5.1 In particolare il primo giudice ha preliminarmente ricostruito la situazione risultante dalla documentazione prodotta dal Comune, affermando che:
- in data 22 gennaio 2007 la s.r.l. Immobiliare 2004 aveva richiesto un permesso di costruire in variante consistente nella realizzazione di una unità immobiliare ad uso ufficio sul lastrico solare, tramite il recupero della tettoia esistente, usufruendo dell’ampliamento una tantum dell’unità immobiliare sottostante;
- il progetto prevedeva che la sopraelevazione fosse realizzata in aderenza alle proprietà confinanti;l’art. 29 del regolamento edilizio dell’epoca imponeva il rispetto della distanza di 1/2 dell’altezza dell’edificio, con un minimo di tre metri, per gli interventi di recupero con variazione della sagoma planivolumetrica;tali distanze potevano essere derogate in caso di accordo con i proprietari confinanti ed a tal fine furono prodotte le autorizzazioni dei confinanti;
- nel 2011 i rappresentanti del condominio facevano presente al Comune di non avere rilasciato alcuna autorizzazione alla violazione delle distanze e producevano documenti della Pcura della Repubblica che dimostravano che il documento che conteneva il loro assenso era stato alterato e che una delle sottoscrizioni era falsa e comunque l’autorizzazione doveva essere condominiale e non dei singoli proprietari.
5.2 Il primo giudice ha inoltre sostenuto che:
- nella memoria finale la ricorrente contesta il fatto che sia stato assunto ad elemento probante la falsità un atto di indagine senza una sentenza passata in giudicato che attesti la falsità del documento;
- ma ai fini delle valutazioni amministrative non è necessario che un elemento di prova trovi avallo in una sentenza di condanna;
- peraltro nel caso di specie la richiesta di archiviazione del procedimento dava atto dell’esito della perizia grafologica che attestava la falsità del documento e della sottoscrizione, ma la attribuiva a persona deceduta.
5.3 Riguardo i rilievi relativi al procedimento il Tar ha ritenuto che:
- il Comune ha notificato l’avvio del procedimento e l’emanazione del provvedimento di annullamento alla s.r.l. Immobiliare 2004 che era legittimata passiva quale titolare del permesso;
- il Comune non deve svolgere particolari accertamenti per individuare l’avente diritto alle comunicazioni procedimentali;
- la ricorrente, anche con l’ausilio del notaio che ha rogato la compravendita, avrebbe dovuto con più accuratezza vagliare la regolarità edilizia del suo acquisto, mentre, invece, nell’indicare i titoli edilizi del suo immobile nel ricorso non ha fatto riferimento al permesso di costruire annullato;così facendo si sarebbe accorta che il permesso era stato presentato da una società che non era più proprietaria del bene e che esso autorizzava la realizzazione di un edificio ad uso ufficio tanto che la variazione catastale da ufficio ad abitazione era erronea.
5.4 Il giudice di prima istanza ha inoltre affermato che:
- nella memoria, a proposito della buona fede della ricorrente, si fa riferimento al fatto che colui che ha ottenuto il permesso di costruire sulla base di falsi presupposti era all’epoca il convivente di sua figlia;
- il Comune aveva rilasciato il titolo edilizio sulla base di una falsa autorizzazione alla deroga delle distanze ed il provvedimento di annullamento diveniva un atto dovuto cioè vincolato e che non necessita della comunicazione di avvio del procedimento;
- comunque, ex art. 21- octies , comma 2, l. 241/1990, il privato quando si lamenta della mancata comunicazione di avvio del procedimento, deve indicare anche gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione ed in tal caso l’Amministrazione ha l’onere di dimostrare che, ove quegli elementi fossero valutati, il contenuto del provvedimento non sarebbe mutato;
- non è fondato il difetto di motivazione circa le opere da demolire in quanto nell’avviso impugnato vi è la descrizione puntuale delle opere abusive oltre alla descrizione della violazione accertata cioè una nuova costruzione priva di titolo, essendo stato annullato il permesso di costruire del 2007;
- la circostanza che la ricorrente non abbia posto in essere l’abuso non ha nessun rilievo perché le sanzioni edilizie di natura ripristinatoria sono legate al bene e possono essere assunte anche a notevole distanza di tempo dall’abuso;
- la giurisprudenza ha chiarito che la demolizione può essere ingiunta al proprietario non in forza di una sua responsabilità effettiva o presunta nella commissione dell’illecito edilizio ma in ragione del rapporto materiale con la res che lo rende, agli occhi del legislatore, responsabile della eliminazione dell’abuso commesso da altri.
6. Avverso la sentenza del Tar per l’Emilia Romagna ha proposto appello la signora V P per i motivi che saranno più avanti esaminati.
7. Si è costituito il Comune di Bologna chiedendo il rigetto dell’appello.
8. La difesa del Comune ha riferito l’esistenza di alcune circostanze ulteriori rispetto ai fatti di causa, che si riportano per completezza:
- la signora P ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, con istanza di sospensione, notificato il 17 agosto 2020, avverso l’ordinanza comunale P.G. 64477/2020 dell’11 febbraio 2020 di remissione in pristino delle opere abusive realizzate in via Agucchi 183/A emessa in conseguenza dell’esecutività del provvedimento di annullamento del permesso di costruire riconosciuto legittimo dalla sentenza gravata;
- il 29 agosto 2020, la signora P ha interposto nel presente giudizio istanza di sospensione della predetta intimazione di rimessione in pristino. Con ordinanza n. 5798/2020 questa Sezione ha rigettato l’istanza sulla base della seguente motivazione: « Considerato che l’atto lesivo nei cui confronti si chiede la tutela cautelare, ossia l’ordinanza di remissione in pristino, risulta impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato e che, pertanto, non è oggetto del presente giudizio »;
- il 7 ottobre 2020 la signora P, con riferimento al citato ricorso al Capo dello Stato, ha notificato “Integrazione nell’interesse della ricorrente P Valeria” con cui insisteva “per l’accoglimento dell’istanza cautelare” relativa all’ordine di detto ripristino, allegando l’ordinanza reiettiva del Consiglio di Stato;
- con ricorso notificato in data 26 maggio 2022 la sig. P ha impugnato avanti al Tar per l‘Emilia Romagna l’ordine di ripristino coattivo, con cui il Settore Edilizia, a seguito dell’inadempimento del Responsabile dell’abuso, trasmette la pratica al proprio interno Settore Manutenzione per l’esecuzione d’ufficio chiedendone l’annullamento, previa istanza di sospensione dell’esecuzione, che veniva respinta dal Giudice adito con ordinanza cautelare n. 391 pubblicata il 27 luglio 2022.
9. All’udienza del 26 gennaio 2023 l’appello è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato.
2. Il primo motivo d’appello è rubricato: Erroneità per omissione di pronuncia. Erronea valutazione degli elementi di fatto e di diritto in relazione al secondo motivo di ricorso, con cui si lamentava la “Violazione di legge per violazione e falsa applicazione artt. 21- octies e 21- nonies l. 241/1990 – Violazione di legge per violazione art. 38 t.u. d.p.r. 380/2001 e art. 19 l.reg. 23/2004 - Eccesso di potere per falso supposto di fatto e di diritto – Travisamento - Carenza di istruttoria – Difetto di motivazione violazione art. 3 l. 241/1190”.
2.1 L’appellante, dopo aver riprodotto integralmente il testo del secondo motivo di ricorso proposto in primo grado, afferma che:
- il Collegio di primo grado si è limitato a sostenere l’irrilevanza della circostanza per cui la ricorrente non avesse posto in essere l’abuso e fosse in una posizione di assoluta buona fede;
- il Tar non si è pronunciato in relazione al fatto – documentato in atti - che “su quel terrazzo era stata costruita una tettoia chiusa su tre lati, un ripostiglio in muratura e, il tutto era stato oggetto di pratica edilizia di sanatoria presentata nel 1985 essendo l’abuso risalente ad epoca anteriore al 1983”;
- pertanto, a seguito della sanatoria del 1985, doveva ritenersi sanata anche la pretesa violazione della normativa sulle distanze;
- neppure il Tar ha preso in considerazione l’intervenuta usucapione della servitù avente ad oggetto il mantenimento di costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici;
- da ciò si deve ritenere l’omissione di pronuncia: pertanto si insiste perché il Collegio esamini ed accerti la intervenuta usucapione della servitù, così da escludere che sia dovuta una autorizzazione dei condomini e/o del condominio.
2.1.1 Le censure sono infondate.
Occorre ricordare che la concessione edilizia così come il condono sono rilasciati sempre con salvezza dei diritti dei terzi e l'eventuale conflitto tra proprietari, interessati in senso opposto alla costruzione, va risolto in base al raffronto tra le caratteristiche dell'opera e le norme edilizie che la disciplinano, ai sensi dell'art. 871 c.c.;pertanto, il condono edilizio interessa i rapporti fra la p.a. ed il privato costruttore, che può fruirne anche se l'edificio abusivo violi le norme sulle distanze legali, restando però impregiudicati i diritti dei terzi, che possono far valere la violazione delle norme suddette e chiedere il risarcimento dei danni o la demolizione delle opere abusive (Cons. Stato, sez. IV, 30/12/2006, n. 8262).
Ne deriva che la sanatoria del 1985 non può sanare eventuali violazioni delle norme civilistiche sulle distanze, restando intatto il diritto di chi assume che tali norme siano state violate di agire davanti alle corti civili e amministrativi e per ottenere la doppia tutela che la violazione di dette norme comporta.
Del pari non spetta al giudice amministrativo (o all’Amministrazione in sede di rilascio del titolo abilitativo) accertare l’esistenza di una asserita servitù. Tale accertamento può essere l’esito di un giudizio in sede civile ovvero di accordo tra le parti, ma nella specie non è provata la sussistenza né dell’uno né dell’altro.
2.2 Sempre con riferimento al secondo motivo di ricorso l’appellante afferma che:
- il Collegio di primo grado ha correttamente ed espressamente riconosciuto la estraneità della ricorrente all’abuso;
- tuttavia, il Collegio, pur accertando un corretto presupposto di fatto, ha erroneamente considerato non rilevante tale circostanza. A motivazione dell’assunto ha richiamato, in modo non corretto, l’Adunanza Plenaria 9/17;
- infatti, dalle decisioni dell’Adunanza Plenaria 8 e 9/17 si devono distinguere due diverse ipotesi;
- l’una si verifica quando manca ab origine il titolo edilizio, per cui l’Amministrazione interviene indipendentemente dalla responsabilità del proprietario. Erroneamente il Tar ha utilizzato tale parametro per decidere;
- invece il Tar avrebbe dovuto richiamare l’impostazione giurisprudenziale relativa al caso in cui venga rilasciato un titolo valido, ma solo successivamente l’Amministrazione abbia avviato il procedimento per l’annullamento di detto titolo: a tale fattispecie corrisponde la vicenda della signora P;
- se il Tar avesse valutato tale situazione di fatto, sarebbe giunto a diversa determinazione. Infatti, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha espressamente riconosciuto che l’annullamento del permesso di costruire possa essere disposto solo dopo avere ponderato i fatti e le circostanze che giustificano il ritiro, bilanciando l’interesse pubblico con quello privato ed indicando le motivazioni da cui si deve desumere la prevalenza dell’interesse pubblico su quella del privato;
- il provvedimento di annullamento che la signora P ha impugnato non è stato adottato all’esito del bilanciamento tra interesse pubblico e privato. Non risulta in alcun modo esplicitato l’interesse pubblico che ha indotto all’annullamento. Non sono esplicitate neppure le ragioni che avrebbero indotto l’Amministrazione a ritenere la prevalenza dell’interesse pubblico su quello del privato e sul legittimo affidamento alla legalità del titolo di cui era titolare la signora P;
- l’Amministrazione ha invece bilanciato due interessi privati: quello della signora P e quello dei condomini. Il Comune si è posto quale arbitro di una diatriba tra privati. Estraneo alla decisione è rimasto l’interesse pubblico;
- se l’Amministrazione avesse bilanciato l’interesse pubblico “alla legalità violata” con la situazione di fatto e la posizione della ricorrente, avrebbe dovuto tenere conto dell’assoluta buona fede della ricorrente e delle legittime aspettative della stessa, aspettative peraltro indotte anche dal contegno della stessa Amministrazione comunale che, in quell’immobile aveva attribuito la residenza alla signora P e per quell’immobile aveva preteso il pagamento dell’IMU;
- la giurisprudenza ha infatti riconosciuto che l’affidamento, il lasso di tempo considerevolmente lungo trascorso, la posizione di buona fede soggettiva caratterizzata da un comportamento attivo dell’Amministrazione tale da ingenerare l’affidamento siano idonee ad escludere la legittimità di un annullamento;
- un provvedimento di annullamento in autotutela è illegittimo quando manca una valutazione rafforzata dell’esercizio del potere di autotutela con riferimento al sacrificio imposto al privato derivante dal ritiro degli atti autorizzativi;
- nella vicenda che ha coinvolto la signora P, tali valutazioni non vi sono state. Ha quindi errato la sentenza di primo grado, perché non ha esaminato i fatti né tenuto conto di tutti gli elementi concreti della fattispecie, né si è reso conto del fatto che il provvedimento di annullamento non era giustificato da alcun interesse pubblico.
2.2.1 Anche queste censure sono infondate.
Come chiarito da Cons. Stato, sez. VI, 10/05/2021, n. 3660, “I provvedimenti sanzionatori a contenuto ripristinatorio/demolitorio riferiti ad opere abusive hanno carattere reale con la conseguenza che la loro adozione prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell'occupante l'immobile, applicandosi gli stessi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell'irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell'ordine giuridico violato”.
La proprietaria potrà far valere eventuali diritti risarcitori nei confronti di chi non ha tutelato il proprio interesse ad acquistare un bene privo di difformità urbanistiche (dante causa e ufficiale rogante). Ma non può invocare l’illegittimità dei provvedimenti di cui si discute in questa sede.
Non possono essere accolte neanche le considerazioni che fanno leva sull’affidamento, sulla buona fede e sulla necessità di contemperare l’interesse privato con l’interesse pubblico motivando sull’esistenza di quest’ultimo.
Quantunque il principio della tutela dell'affidamento permei il sistema dei rapporti tra i cittadini e la p.a. e, nel caso della mancata repressione di un abuso edilizio, il fattore tempo opera non in sinergia con l'apparente legittimità dell'azione amministrativa favorevole che dà l'apparenza e l'aspettativa d'una sorta di sanatoria materiale estintiva di detto illecito, bensì opera in antagonismo con l'azione amministrativa sanzionatoria. Per le funzioni di vigilanza e controllo dell'ordinato assetto del territorio, in mancanza di un'espressa previsione normativa in deroga o di prescrizione della potestà sanzionatoria, vale il principio dell'inesauribilità di questa, a causa della natura d'illecito permanente riconoscibile nell'abuso edilizio. In tal caso, l'attività dei privati è sempre sanzionabile, qualunque siano il tempo già trascorso e l'entità dell'infrazione, donde l'assenza d'un affidamento, per forza di cose tutt'altro che incolpevole, alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, in forza di una legittimazione fondata sul tempo (Cons. Stato, sez. VI, 15/09/2020, n. 5446).
Per quel che attiene il profilo della motivazione, Cons. Stato, sez. II, 01/12/2021, n. 8007 ha chiarito che l'onere motivazionale comunque gravante sull'Amministrazione nel caso di annullamento in autotutela del titolo edilizio in precedenza adottato può essere, in qualche misura, attenuato in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati, in particolare di quelli sottesi alla disciplina in materia edilizia e alla prevalenza che deve essere riconosciuta ai valori che essa mira a tutelare.
Nel caso di specie l’atto impugnato spiega che era stato violato l’art. 29 regolamento edilizio vigente al momento della richiesta del titolo, che prevedeva che per gli interventi di recupero con variazione della sagoma planivolumetrica, in caso di ampliamento o sopraelevazione, come nel caso in esame in quanto è stato realizzato un manufatto più ampio e più alto della tettoia condonata, dovesse essere rispettata la distanza di ½ dell’altezza dell’edificio con un minimo di tre metri, derogabile solo con il nulla osta dei proprietari confinanti. Nel provvedimento de quo si dà inoltre atto che i proprietari confinanti hanno prodotto documentazione relativa ad un procedimento penale dalla quale risulta de plano la falsità della sottoscrizione di un confinante, nonché la falsità complessiva del documento che autorizzava la deroga delle distanze, senza il quale il Comune non avrebbe potuto rilasciare il titolo.
3. Il secondo motivo d’appello è rubricato: Erroneità per omissione di pronuncia. Erronea valutazione degli elementi di fatto e di diritto in relazione al secondo ( rectius : primo) motivo di ricorso, con cui si lamentava la “Violazione di legge per violazione degli artt. 3 e 7 l. 241/1990 – Eccesso di potere per difetto di motivazione”.
L’appellante, dopo aver riprodotto integralmente il testo del primo motivo di ricorso proposto in primo grado, afferma che:
- il Collegio di primo grado si è limitato ad asserire che l’annullamento fosse un atto dovuto, senza necessità di apporto endoprocedimentale;
- l’assunto è erroneo;
- come esposto nel I motivo di appello, la ricorrente ben avrebbe potuto introdurre elementi nel procedimento tali da indurre l’Amministrazione comunale a non procedere all’annullamento del titolo edilizio;
- la mancata partecipazione determina la illegittimità del provvedimento impugnato;
- non risulta alcun apporto istruttorio sulla necessità di contemperare le contrapposte esigenze recando il minore sacrificio possibile alla posizione giuridica del privato;
- il Tar non ha esaminato l’ulteriore considerazione che veniva sollevata in primo grado, per la denegata ipotesi in cui fosse ancora ritenuto dovuto l’assenso dei condomini ovvero della possibilità per il Comune di Bologna di chiedere una nuova apposizione della firma.
3.1 Il motivo è infondato.
Come chiarito da Cons. Stato, sez. II, 13/06/2019, n. 3971, l'attività di repressione degli abusi edilizi costituisce attività di natura vincolata e, pertanto, la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7 e ss. della l. 241 del 1990 agli interessati. In tale contesto deve parimenti escludersi che ai destinatari del provvedimento recante l'ordine di demolizione debbano essere riconosciute le prerogative connesse alla partecipazione procedimentale, tra cui quella di presentare osservazioni con conseguente obbligo per l'Amministrazione di prenderle in considerazione prima di assumere la decisione finale.
Si deve in ogni caso considerare che il Comune aveva notificato correttamente l’avviso di avvio del procedimento e il successivo provvedimento di annullamento alla Immobiliare 2004 s.r.l. cui era stato rilasciato il titolo e sulla cui legittimazione passiva non aveva motivo di dubitare.
Riguardo il problema della firma, va rilevato che è compito del richiedente il titolo edilizio dimostrare di avere la piena legittimazione a richiedere il rilascio del titolo stesso (acclarando, ad esempio, l’inesistenza di diritti tutelati di terzi).
4. Per le ragioni esposte l’appello deve essere rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.