Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-01-11, n. 201600050

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-01-11, n. 201600050
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600050
Data del deposito : 11 gennaio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05280/2014 REG.RIC.

N. 00050/2016REG.PROV.COLL.

N. 05280/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5280 del 2014, proposto dai signori:
T P, R S, I C, C C, M L, C D, G S, F A, R B, I G, E N, A O, V C, C V, R T, C P, P S, L G, L S C, A C, A A, M T D C, M C C, P S M, C C, C M, G V, rappresentati e difesi dagli avvocati L S e A S, con domicilio eletto presso l’avv. Enrico Soprano in Roma, Via degli Avignonesi, 5;

contro

Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12;
Usr - Ufficio scolastico regionale per la Campania;

e con l'intervento di

ad adiuvandum :
Elvira Abbate, Antonio Brando, Michela Cortese, Giovanna De Santis, Giuseppina Franzese, Caterina Gulli, Enrico Izzo, Caterina Orlando, Anna Russo, Eika Sichera, rappresentati e difesi dall'avv. Sergio Galleano, con domicilio eletto presso Sergio Galleano in Roma, Via Germanico, N° 172;

per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III BIS, n. 04418/2014, resa tra le parti, concernente esclusione dalla partecipazione ai percorsi abilitanti speciali (PAS);


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'istruzione dell'universita' e della ricerca;

Viste le memorie difensive;

Viste l’ordinanza collegiale istruttoria n. 3198/15 e la documentazione depositata in ottemperanza alla medesima;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2015 il Cons. G D M e uditi per la parte appellata l’avvocato dello Stato Garofoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, sez. III bis, n. 4418/14 del 23 aprile 2014 sono stati in parte dichiarati improcedibili, in parte respinti il ricorso ed i motivi aggiunti di gravame, proposti da alcuni insegnanti di ruolo nella scuola pubblica avverso la propria esclusione dall’elenco dei candidati ammessi ai corsi PAS (Percorsi Abilitanti Speciali) per la Regione Campania (nota dell’Ufficio Scolastico Regionale n. prot. MIURA00DRCA n. 10171/U del 30 dicembre 2013), nonché avverso il presupposto decreto ministeriale n. 58 del 25 luglio 2013.

La questione sottoposta a giudizio riguarda la possibilità – per i docenti già immessi in ruolo a tempo indeterminato – di partecipare alle sessioni speciali di abilitazione, bandite con il predetto decreto ministeriale, che espressamente la esclude.

In conformità a numerosi precedenti giurisprudenziali, infatti, è stata ravvisata la ragionevolezza di una preclusione, giustificata dall’esigenza di assicurare una stabile posizione lavorativa nell’ambito della scuola, offrendo la possibilità di accedere all’abilitazione all’insegnamento a coloro che – pur avendo già insegnato in un determinato arco temporale – non avessero potuto usufruire, ratione temporis , delle soppresse sessioni SSIS ( Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario ) e TFA ( Tirocinio Formativo Attivo ).

Tale finalità (ovvero quella di eliminare il precariato), esplicitamente espressa, differenzierebbe la situazione di cui trattasi da quella, di cui all’art. 11 del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357, convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417.

Avverso la predetta sentenza è stato proposto l’atto di appello in esame (n. 7285/14, notificato il 7 giugno 2014), in base alle seguenti argomentazioni difensive:

1) gli indirizzi giurisprudenziali, indicati nella sentenza appellata, risulterebbero estranei alla vicenda oggetto di causa, non essendo assimilabile la ratio del decreto di indizione del corso abilitante di cui trattasi (decreto ministeriale n. 58 del 25 luglio 2013) a quella della sessione riservata, bandita col precedente decreto ministeriale n. 85 del 18 novembre 2005, che espressamente escludeva dalla partecipazione i docenti “ in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in qualsiasi ordine e grado di scuola statale ”. Solo quest’ultimo d.m., infatti, era finalizzato all’eliminazione del precariato, mentre quello oggetto di causa si limitava a riservare i corsi alle “sottoelencate categorie di docenti…privi della specifica abilitazione ” (mentre nel d.m. del 2005 si faceva riferimento a “insegnanti privi di abilitazione ”).

Solo coloro, che avessero conseguito l’abilitazione indetta nel 2005, d’altra parte, avrebbero potuto ancora iscriversi nelle graduatorie permanenti, che – in attuazione di quanto previsto dall’art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonché del decreto dirigenziale (D.D.G.) del 16 marzo 2007 e del decreto ministeriale n. 47 del 26 maggio 2011 – sono state trasformate in graduatorie ad esaurimento, in cui non sarebbero più ammessi i docenti, abilitati in data successiva al 2007. Questi ultimi, pertanto, potrebbero soltanto iscriversi nelle graduatorie di Istituto, finalizzate alla copertura di assenze temporanee, ovvero all’affidamento di supplenze a termine. Il conseguimento delle abilitazioni di cui trattasi, pertanto, non inciderebbe in alcun modo sulle immissioni in ruolo, per la percentuale (25%) riservata allo scorrimento delle graduatorie ad esaurimento (contro il 25% riservato al reclutamento concorsuale ed il 50% destinato alla mobilità, territoriale e professionale). Nell’indefinito protrarsi di un periodo transitorio, che coprirebbe un arco di ormai circa quindici anni, non potrebbe quindi che tornare di attualità la pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13 del 10 luglio 1996, circa la possibilità per i docenti già abilitati di acquisire nuove diverse abilitazioni per l’insegnamento;

2) sarebbe indice di illogica disparità di trattamento la preclusione di ulteriori abilitazioni per i soli docenti a tempo indeterminato presso le scuole statali, mentre non sussisterebbe analoga incompatibilità per tutti gli altri dipendenti pubblici e per i docenti a tempo indeterminato delle scuole paritarie;

3) costituirebbe ulteriore incongruenza, riconducibile al numero limitato per i soli corsi TFA, mentre per quelli PAS di cui trattasi – non essendovi contingenti numerici – l’accesso degli appellanti non pregiudicherebbe in alcun modo i docenti precari;

4) contrasterebbe con i principi costituzionali un’interpretazione della normativa vigente, che non consentisse a soggetti – in possesso del titolo di studio richiesto – l’accesso ad un percorso formativo in condizioni di eguaglianza.

L’Amministrazione appellata, costituitasi in giudizio, resisteva formalmente all’accoglimento dell’impugnativa e, a seguito di ordinanza collegiale istruttoria n. 3198/15 del 24 giugno 2015, confermava, quale causa di esclusione degli appellanti dai corsi di cui trattasi, il rapporto di lavoro a tempo indeterminato degli stessi.

'DIRITTO'

DIRITTO

E’ sottoposta all’esame del Collegio una questione non nuova, concernente la possibilità di docenti già immessi in ruolo di conseguire nuovi titoli di idoneità all’insegnamento, a seguito di superamento di corsi abilitanti, denominati PAS ( Percorsi Abilitanti Speciali ).

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13 del 1996, chiamata ad interpretare l’art. 11 del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357 convertito dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417 ( Norme in materia di reclutamento del personale della scuola), ammetteva ai corsi di cui trattasi i “docenti non abilitati ” in possesso di determinati requisiti.

Una parte della giurisprudenza (Cons. giust. amm. Reg. Siciliana, 20 gennaio 1994, n. 32 e 19 settembre 1994, n. 298;
Cons. Stato, VI, 7 dicembre 1994, n. 1749) aveva ritenuto che la disciplina speciale (in quanto tale di stretta interpretazione) di cui si discute fosse riservata ai docenti privi di qualsiasi abilitazione, in posizione differenziata rispetto a coloro che aspirassero soltanto ad abilitarsi in una diversa classe di concorso, pur essendo già immessi in ruolo per altra disciplina.

In altre pronunce (Cons. Stato, VI, 10 agosto 1994, n. 1292, 7 settembre 1994, n. 1342, 9 marzo 1995, n. 240 e 6 giugno 1995, n. 545) si riteneva, al contrario, che la ratio e il significato letterale del citato articolo 11 del d.-l. n. 357 del 1989 non consentissero una tale interpretazione restrittiva. Quest’ultimo indirizzo era ritenuto preferibile dall’Adunanza plenaria, in quanto la normativa di riferimento era ritenuta finalizzata non soltanto all’eliminazione del precariato (peraltro, comprensivo anche di docenti già abilitati), ma anche alla possibile acquisizione di ulteriori titoli, in considerazione del nuovo meccanismo di reclutamento, cosiddetto del “ doppio canale ” (concorso per soli titoli e concorso per titoli ed esami). In nessun modo, comunque, la medesima normativa escludeva dal proprio ambito di applicabilità il personale di ruolo.

La problematica in questione si è poi riproposta con l’emanazione del decreto-legge 7 aprile 2004, n. 9, convertito dalla legge 4 giugno 2004, n. 143 ( Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2004/2005, nonché in materia di esami di Stato e di Università ), che all’art. 2 autorizza l’istituzione, presso le università, di corsi abilitanti speciali per l’insegnamento, di durata annuale, “ nell’anno accademico 2004/2005 e, comunque, non oltre la data di entrata in vigore del decreto legislativo attuativo dell’art. 5 della legge 28 marzo 2003, n. 53” (Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione ), ancora una volta riservando detti corsi ai docenti che fossero “privi di abilitazione ”.

Nel nuovo contesto alcune decisioni (Cons. Stato, VI, 26 maggio 2010, n. 3343 e 23 luglio 2008, n. 3653) hanno ribaltato l’indirizzo della ricordata pronuncia dell’Adunanza plenaria, con riferimento alla finalizzazione dell’abilitazione all’iscrizione nelle graduatorie permanenti (ovvero, ad una agevolazione per ottenere l’ottenimento di stabile posizione lavorativa nell’ambito della scuola), nel presupposto che il d.-l. n. 97 del 2004 fosse finalizzato, in via prioritaria, all’assunzione di nuovi insegnanti, tramite eliminazione del cosiddetto “precariato ”. Sarebbe stato ammissibile, inoltre, che il bando (decreto ministeriale n. 85 del 18 novembre 2005) prescrivesse “ requisiti di partecipazione più rigidi di quelli indicati dalla legge ”, purché detti requisiti non avessero portata “ discriminante e sproporzionata rispetto alla pertinente normativa di settore ” e non si ponessero “ in palese contrasto con la lettera e la ratio delle disposizione primarie di riferimento ”. Correttamente, pertanto, sarebbe stata disposta la preclusione dell’accesso ai corsi di abilitazione per i docenti in servizio con rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Veniva evidenziato, in particolare, come il citato d.m. n. 85 del 2005 enunciasse in modo esplicito un criterio escludente (quello dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato) “ non incompatibile con il pertinente quadro normativo primario e quindi, in ultima analisi,non illegittimo”.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’assunto interpretativo sopra sintetizzato non vada seguito riguardo ad alcune delle circostanze evidenziate dagli attuali appellanti e nei termini di seguito riportati:

a) non riferibilità della questione oggetto di causa alle iniziative, previste dall’art. 1, comma 605 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) per l’assorbimento del “ precariato storico ”, con trasformazione delle graduatorie permanenti, di cui all’art. 1 del citato decreto legge n. 97 del 2004, in “graduatorie ad esaurimento ”, in cui potevano ancora essere inseriti, oltre ai docenti già abilitati, quelli che già frequentassero i corsi abilitanti speciali, previsti dal medesimo d.l., alla data di entrata in vigore della predetta legge finanziaria;

b) conseguente non assimilabilità della situazione di coloro, che avevano a suo tempo impugnato il decreto ministeriale n. 85 del 18 novembre 2005 (riferito a corsi abilitanti, che avrebbero ancora consentito l’iscrizione nelle predette graduatorie), rispetto a quella dei medesimi attuali appellanti, che contestavano il decreto dirigenziale n. 58 del 25 luglio 2013, indirizzato a soggetti destinati a confrontarsi con regole nuove, per il reclutamento del personale scolastico.

Entrambi i decreti di cui al precedente punto b) escludevano la partecipazione dei docenti, già in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e richiedevano per l’ammissione un determinato periodo di servizio prestato, nonché il mancato possesso della “ specifica ” abilitazione. Con la precisazione da ultimo indicata veniva superata una delle osservazioni, contenute nella pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13 del 1996 (secondo cui il testo normativo di riferimento – all’epoca, il d.-l. n. 357 del 1989, convertito dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417 – non doveva necessariamente intendersi prescrittivo di un’ammissione ai corsi abilitanti, limitata a coloro che non possedessero alcuna abilitazione, risultando gli stessi, se non ancora entrati in ruolo, comunque coinvolti da una normativa finalizzata all’eliminazione del precariato). L’ulteriore preclusione, riferita ai docenti già immessi in ruolo, inoltre, non era testualmente prevista dalla citata normativa primaria, così come non è stata prevista dal successivo d.l. n. 97 del 2004, convertito dalla legge 4 giugno 2004, n. 143.

Anche quest’ultima normativa peraltro – e a maggior ragione, dopo l’intervenuta trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento – risulta non finalizzata soltanto all’assorbimento del precariato (vale a dire, alla mera abilitazione all'insegnamento dei docenti dal contratto a tempo determinato che hanno prestato servizio per almeno tre anni), anche se questa è la finalità principale e prioritaria: perche si limita a dettare “ disposizioni speciali per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento”, nell’ennesima fase transitoria che ha caratterizzato il settore in questione in attesa dei criteri attuativi della legge delega 28 marzo 2003, n. 5 ( Definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale ).

Occorre a questi riguardi sottolineare che se diversamente fosse stato, seppur nei noti limiti di ragionevolezza (cioè: se si fosse trattato di percorsi esclusivamente indirizzati all’abilitazione dei docenti precari), la legge lo avrebbe precisato ( ubi lex voluit dixit ). Non avendolo fatto, tale risulta l’interpretazione costituzionalmente preferibile dell’esistente quadro normativo, fermo restando che, come accennato, la sistemazione del precariato è comunque la finalità principale e prioritaria (da far valere anche in termini di priorità e preferenze organizzative).

Nel descritto e non finalisticamente delimitato quadro normativo, infatti, le presenti considerazioni appaiono in linea con i valori costituzionali dell’istruzione, per la “crescita educativa, culturale e professionale dei giovani ” (come precisa, tra i principi guida per la disciplina delegata, l’art. 5 della citata legge n. 53 del 2003): di questo contesto, è il caso di rilevare, appare essere parte sostanziale anche la formazione del personale docente, che la soppressione delle graduatorie permanenti intende riportare alla più rigorosa selezione concorsuale.

Deve essere intesa come coerente con questa impostazione anche la normativa transitoria, di cui al più volte citato d.-l. n. 97 del 2004, che – nell’ammettere ai nuovi corsi speciali, di durata annuale – deve intendersi finalizzata a promuovere una nuova fase di formazione professionale, indirizzata indistintamente a tutti i docenti, senza differenziarli in ragione della disciplina di riferimento.

Una diversa lettura del medesimo decreto-legge, d’altra parte, sembra non in linea con i principi di pari opportunità e non discriminazione sottesi al principio di uguaglianza, di cui al Capo III della cosiddetta “ Carta di Nizza ”, alla quale nel 2009 – con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona – è stato conferito lo stesso effetto giuridico vincolante dei Trattati.

A sua volta la Direttiva 1999/70/CE, che esclude discriminazioni dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato, è stata ritenuta interpretabile in modo tale da escludere anche “ discriminazioni alla rovescia ”, ovvero normative che assicurino vantaggi al personale precario a scapito dei diritti dei lavoratori stabilizzati (Cons. Stato, VI, ordinanze collegiali nn. 3977/11 del 4 luglio 2011 e 01287/14 del 14 marzo 2014, nonché sentenza n. 5287/13 del 4 novembre 2013).

Correttamente le attuali appellanti sottolineano come il sistema di reclutamento degli insegnanti abbia subito un periodo transitorio di oltre quindici anni, senza che a un sistema formativo di tipo parauniversitario (attraverso le scuole di specializzazione dette SSIS, ai tirocini formativi attivi – TFA – e ai percorsi abilitanti speciali – PAS – di cui si discute) si sostituisse un sistema prettamente concorsuale, più direttamente conforme all’art. 97 della Costituzione;
perciò non potrebbe non configurarsi come ingiustificata disparità di trattamento una limitazione, per parte del personale docente, di nuove prospettive di formazione e diversificazione professionale tramite acquisizione di nuovi e diversi titoli di idoneità.

La descritta disparità di trattamento appare peraltro evidenziata – come sottolineato nell’atto di appello – dalla limitazione della preclusione di cui trattasi ai docenti di ruolo delle sole scuole statali.

Per le ragioni esposte (e in termini con quanto già deciso per altra impugnativa della medesima sentenza: cfr. Cons. Stato, VI, 27 aprile 2015, n. 2138), il Collegio ritiene che, nel presente quadro normativo, l’appello debba essere accolto, con gli effetti precisati in dispositivo.

Compete poi all’Amministrazione assicurare che la finalità principale delle norme in questione (la sistemazione del precariato) abbia in concreto priorità sul piano organizzativo.

Quanto alle spese giudiziali, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della complessità della questione sottoposta a giudizio, sulla quale sussistono indirizzi giurisprudenziali non univoci.

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