Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-08-08, n. 202307665
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Pubblicato il 08/08/2023
N. 07665/2023REG.PROV.COLL.
N. 00461/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 461 del 2019, proposto da
G F, rappresentato e difeso dall'avvocato A G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazzale Don G. Minzoni, 9;
contro
Regione Campania, rappresentata e difesa dall'avvocato R S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Poli, n. 29;
Consiglio regionale della Campania;
nei confronti
G S, rappresentato e difeso dall'avvocato P M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giancarlo Caracuzzo in Roma, via di Villa Pepoli, 4;
Anna B;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 06991/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e di G S;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2023 il Cons. Antonino Masaracchia e uditi, per le parti, l’avvocato Sasso su delega dell’avvocato Marotta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – L’avv. G F aveva inoltrato la propria candidatura per esser nominato Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Campania, a fronte dell’avviso pubblicato in data 12 giugno 2017 sul Bollettino Ufficiale regionale.
Con delibera resa all’esito della seduta del 12 settembre 2017, tuttavia, il Consiglio regionale ha nominato Garante la sig.ra Anna B. Tale nomina è stata impugnata dinnanzi al TAR Campania dal sig. F, assumendo il mancato possesso, in capo alla B, di alcuni requisiti prescritti dalla legge della Regione Campania n. 17 del 2006.
Sopravvenuta la non accettazione dell’incarico da parte dell’eletta, il Consiglio regionale ha proceduto ad una nuova votazione e, all’esito della seduta del 29 marzo 2018, ha designato quale Garante il dott. G S, primo votato con n. 22 voti. L’avv. F, dunque, ha impugnato anche tale nomina mediante la proposizione di motivi aggiunti in seno al giudizio già incardinato dinnanzi al TAR Campania, censurando – anche qui, e stavolta in capo al nuovo designato – la mancanza di taluni requisiti prescritti dalla legge regionale n. 17 del 2006, oltre ad altri vizi di legittimità.
2. – Il TAR Campania, con sentenza n. 6991 del 2018, resa dalla Sezione I, ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza di interesse, essendo sopravvenuta la nomina di diverso controinteressato, e, quanto ai motivi aggiunti, li ha dichiarati inammissibili per difetto di interesse (limitatamente al terzo e al quinto dei motivi aggiunti) e, per la restante parte, li ha respinti giudicandoli non fondati, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (liquidate in euro 2.500,00) nei soli confronti della Regione Campania e con compensazione delle spese tra il ricorrente e il controinteressato dott. S.
La sentenza è appellata dall’avv. F, che ne chiede l’annullamento e l’integrale riforma, con conseguente accoglimento del ricorso in primo grado.
3. – Nel presente giudizio di appello si sono costituiti, in resistenza, il dott. G S e la Regione Campania, quest’ultima in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale. La Regione, in particolare, ha svolto difese con memoria depositata il 14 aprile 2023, cui è seguita una memoria difensiva dell’appellante depositata il 15 maggio 2023.
Il controinteressato dott. S ha svolto difese, a sua volta, con memoria depositata il 16 giugno 2023. L’appellante, con atto depositato il 19 giugno 2023, ha rilevato la tardività del deposito di tale ultima memoria, rispetto alla data della pubblica discussione.
Alla pubblica udienza del 22 giugno 2023, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – L’appellante, che aveva presentato la propria candidatura per la nomina a Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Campania, chiede la riforma della sentenza di primo grado che ha disatteso la sua impugnazione contro gli atti che hanno designato altre candidature, nel dettaglio dapprima quella della sig.ra B, poi rinunciataria, e successivamente quella del dott. S (effettivamente integrato nelle funzioni, avendo accettato la nomina).
In particolare, quanto alla nomina della prima controinteressata, poi rinunciataria (sig.ra B), la sentenza appellata ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso introduttivo di prime cure, con il quale detta nomina era stata impugnata.
Quanto alla successiva nomina del secondo controinteressato, impugnata in primo grado con motivi aggiunti, la sentenza appellata ha respinto l’impugnazione, dichiarandola in parte inammissibile (ciò, limitatamente ai motivi che contestavano la mancata esclusione del nominato, per mancanza di taluni requisiti richiesti dalla legge della Regione Campania n. 17 del 2006, che disciplina il Garante regionale dell’infanzia e dell’adolescenza) e in parte non fondata.
L’appellante contesta la decisione di prime cure promuovendo i seguenti motivi di appello:
1) error in procedendo ed in iudicando e violazione dell’art. 35, comma 1, lettera c ), cod. proc. amm., nella parte in cui il ricorso introduttivo è stato ritenuto integralmente improcedibile, senza alcuna statuizione in ordine alla illegittimità dei provvedimenti impugnati anche ai soli fini della soccombenza virtuale. A giudizio dell’appellante, il TAR avrebbe dovuto esaminare anche le censure concernenti la nomina della prima controinteressata (sig.ra B), in modo da valutare la soccombenza virtuale delle controparti: ciò, oltre che per un interesse risarcitorio dell’appellante, specialmente ai fini del giudizio sulle spese (e anzi, l’appellante fa rilevare che, in sostanza, non si è avuta pronuncia sulle spese con riguardo a tale impugnazione);
2) error in iudicando , nella parte in cui – con riferimento alla nomina del secondo controinteressato, dott. S – la sentenza gravata non ha rilevato la nullità per carenza di potere in concreto e/o incompetenza funzionale del Consiglio regionale, per violazione e falsa applicazione dell’art. 9, commi 1, 2 e 6, della legge della Regione Campania n. 17 del 1996 (che detta norme sulla disciplina delle nomine e delle designazioni di competenza della Regione Campania), nonché eccesso di potere per carenza di istruttoria e per omessa attività valutativa e comparativa sottesa alla nomina da parte dell’organo competente;ancora, error in iudicando , nella parte in cui la sentenza di prime cure avrebbe erroneamente applicato ed interpretato l’art. 3 della legge regionale n. 17 del 2006;
3) error in iudicando , nella parte in cui la sentenza di prime cure non ha rinvenuto la nullità e/o l’illegittimità della nomina del secondo controinteressato, per violazione dell’art. 3, comma 1, della legge regionale n. 17 del 2006 e per illogicità ed irragionevolezza. Si sostiene qui, in particolare,
che il Consiglio regionale sarebbe incorso in un erroneo conteggio del quorum funzionale nella nomina del dott. S;
4) error in procedendo , nella parte in cui il Giudice di prime cure, dichiarandola inammissibile per carenza di interesse, non ha esaminato la censura di cui al terzo dei motivi aggiunti, in ragione della mancata contestazione, da parte del ricorrente, dei voti ricevuti dagli altri candidati; contraddittorietà della pronuncia, nella parte in cui, ciò nonostante, non è stato rinvenuto dal TAR alcun controinteressato;violazione e la falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, della legge regionale n. 17 del 2006, eccesso di potere per carenza dei requisiti di ammissibilità alla nomina di Garante, per come previsti dall’avviso pubblico (pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione, n. 47 del 12 giugno 2017), nonché violazione dell’art. 6, comma 3, lettera a ), della legge regionale n. 17 del 1996 e dell’art. 4, comma 3, della legge regionale n. 23 ( recte : 24) del 2012;
6) [ recte : 5)]: error in iudicando , nella parte in cui la sentenza appellata ha giudicato non fondata l’eccepita violazione e falsa applicazione dell’art. 6, commi 3 e 4, della legge regionale n. 17 del 1996, l’eccesso di potere per insufficiente attività istruttoria e d’indagine in merito ai requisiti di professionalità e competenza, il vizio di travisamento del fatto ed erroneità dei presupposti, nonché la violazione dell’art. 2 della legge n. 112 del 2011. Si lamenta qui, in particolare, che, dopo la mancata accettazione della nomina da parte della prima controinteressata, sig.ra B, la competente Commissione consiliare avrebbe dovuto effettuare daccapo l’istruttoria sugli altri candidati, e non si sarebbe dovuta limitare (come accaduto) a riproporre il parere già esitato per la precedente votazione;
6) error in procedendo , nella parte in cui la sentenza appellata non ha esaminato, dichiarandola inammissibile, la censura di cui al quinto dei motivi aggiunti, ritenendo la carenza d’interesse in ragione della mancata contestazione, da parte del ricorrente, dei voti ricevuti dagli altri candidati;contraddittorietà della pronuncia nella parte in cui, ciò nonostante, non è stato rinvenuto dal TAR alcun controinteressato;violazione dell’art. 97 Cost. ed eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza;sviamento amministrativo e funzionale;
7) error in iudicando , nella parte in cui la sentenza appellata non ha rinvenuto la violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, nonché il vizio di eccesso di potere per illogicità, per omessa comparazione e valutazione in concreto tra gli altri candidati e l’appellante, e per omessa indicazione di criteri valutativi e ponderativi dei requisiti richiesti. Si sostiene, in particolare, che la nomina del Garante non avrebbe natura fiduciaria e sarebbe soggetta alle ordinarie regole in tema di procedure concorsuali;
8) error in iudicando , nella parte in cui la sentenza appellata non ha rinvenuto la violazione dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990, “essendo stata confusa la censura con la mai proposta violazione dell’art. 10 bis L. 241/1990”. L’appellante si riferisce, qui, ad un’istanza che egli aveva recapitato all’amministrazione durante la pendenza del procedimento e sostiene che detta istanza non avrebbe avuto ad oggetto una richiesta di autotutela (come erroneamente ritenuto dal TAR), bensì sarebbe consistita in una memoria procedimentale che l’amministrazione aveva il dovere di considerare, prima di concludere il procedimento.
Hanno svolto difese, in resistenza, sia la Regione Campania, sia il secondo controinteressato, dott. S. Rispetto alle difese argomentate da quest’ultimo, l’appellante ha eccepito la tardività della memoria di replica da lui depositata in data 19 giugno 2023.
2. – Preliminarmente, deve esaminarsi l’eccezione di tardività della memoria di replica depositata dal controinteressato S in data 19 giugno 2023.
L’eccezione è fondata.
Il deposito della memoria di replica è stato effettuato in data 16 giugno 2023, quando ormai era trascorso il termine di venti giorni liberi prima dell’udienza di discussione, fissato dall’art. 73, comma 1, cod. proc. amm. Tale memoria, pertanto, è inammissibile e come tale non può essere considerata ai fini della presente decisione, in ragione delle perentorietà del termine di cui all’art. 73, comma 1, cit. (cfr., da ultimo, della Sezione, la sentenza n. 7359 del 2023, che richiama, quali ulteriori precedenti, anche le sentenze n. 194 del 2019 e n. 4278 del 2022).
3. – L’appello è, comunque, complessivamente da respingere, per l’infondatezza delle ragioni di merito dedotte a suo sostegno, come di seguito si passa a illustrare.
3.1. – Non merita adesione, anzitutto, il primo motivo d’appello, con il quale si lamenta l’illegittimità della declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo di primo grado.
A giudizio dell’appellante, il TAR avrebbe dovuto rinvenire il suo persistente interesse alla decisione del ricorso introduttivo – nonostante l’avvenuta rinuncia alla nomina da parte della controinteressata e il conseguente riesercizio del potere da parte dell’amministrazione – sia in vista di un “successivo ed eventuale giudizio risarcitorio”, sia nella prospettiva di “un’eventuale soccombenza virtuale ai fini della condanna alle spese di lite”.
In contrario, va tuttavia osservato che, in primo grado, la parte ricorrente non aveva avanzato alcuna domanda risarcitoria, connessa alla nomina della sig.ra B, né tantomeno risulta che avesse preannunziato alcuna iniziativa in tal senso o che avesse, in qualche forma, manifestato il proprio interesse ad un’azione risarcitoria.
Sul punto, giova ricordare gli approdi della giurisprudenza amministrativa la quale ha, da tempo, chiarito che, per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. (a norma del quale “ Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori ”), è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori, con dichiarazione che deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 cod. proc. amm.;non è, pertanto, necessario specificare i presupposti dell’eventuale domanda risarcitoria, né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione (da ultimo, TAR Campania, Napoli, sez. IV, sentenza n. 6491 del 2022). Al tempo stesso, tuttavia, la giurisprudenza ha affermato la necessità di tale dichiarazione, con la quale la parte interessata deve manifestare in giudizio il proprio interesse risarcitorio (cfr. Cons. Stato, questa sez. V, sentenza n. 8938 del 2022). La parte appellante, nel presente giudizio, non ha riferito di aver reso tale dichiarazione nel corso del giudizio di primo grado, né tantomeno ne ha offerto prova: deve quindi concludersi che il TAR non era tenuto ad accertare, incidenter tantum , l’illegittimità degli atti impugnati con il ricorso introduttivo, non essendo emerso alcun interesse risarcitorio della parte.
Quanto all’ulteriore prospettiva rimarcata dall’appellante, quella della soccombenza virtuale ai fini del giudizio sulle spese di lite, occorre evidenziare che – contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante – nella sentenza gravata è dato rinvenire una statuizione al riguardo. Il Giudice di prime cure, infatti, facendo “ applicazione del criterio ordinario della soccombenza ”, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della Regione Campania e, con riguardo all’altra parte costituita (il dott. S), ha ritenuto equo disporne la compensazione. In assenza di ulteriori precisazioni, deve ritenersi che tale statuizione, per la portata generale che la caratterizza, sia omnicomprensiva, si riferisca cioè all’intera causa portata alla cognizione del giudice, e quindi non solo ai motivi aggiunti (come ritenuto dall’appellante) ma anche al ricorso introduttivo, pur dichiarato improcedibile. Deve ritenersi, in altri termini, che la sentenza appellata, quanto ai rapporti tra il ricorrente e l’amministrazione resistente, ha effettivamente applicato il principio della soccombenza: ciò, in modo non virtuale, quanto all’impugnazione di cui ai motivi aggiunti, respinta o dichiarata inammissibile;in modo, invece (evidentemente), virtuale, quanto all’impugnazione avanzata con il ricorso introduttivo, non esaminato nel merito.
Simile modo di procedere presta, evidentemente, il fianco a possibili censure di difetto di motivazione, lungo il versante della totale mancanza delle ragioni a sostegno della soccombenza virtuale dell’odierno appellante quanto al ricorso introduttivo, pur erta a fondamento della condanna alle spese di parte ricorrente. Censure che, tuttavia, parte appellante non ha proposto nella presente sede, limitandosi essa a lamentare l’illegittimità della declaratoria di improcedibilità, assumendo (il che non è) che tale declaratoria sarebbe stata resa senza una disamina in via incidentale della legittimità degli atti impugnati: disamina che invece è comunque rintracciabile, nella parte in cui la sentenza ha implicitamente ritenuto la soccombenza virtuale del ricorrente, per l’appunto, tuttavia, senza esplicitarne le ragioni.
3.2. – Passando alle censure afferenti, più direttamente, al merito dell’originaria controversia portata alla cognizione del TAR con i motivi aggiunti (e, quindi, alla nomina del dott. S), viene anzitutto in rilievo la censura di cui al secondo motivo di appello, concernente un asserito vizio di incompetenza in cui sarebbe incorsa l’amministrazione.
Secondo l’appellante – che in ciò reitera uno dei motivi introdotti, in primo grado, con i motivi aggiunti – la nomina del Garante, una volta avutasi la rinuncia da parte del candidato per primo individuato (la sig.ra B), sarebbe spettata al Presidente del Consiglio regionale e non al Consiglio regionale medesimo. Ciò, avuto riguardo al disposto dell’art. 9, comma 2, della legge regionale n. 17 del 1996, che dispone la prorogatio “ per non più di quarantacinque giorni ” degli organi amministrativi la cui durata sia giunta a scadenza, e del comma 6 del medesimo art. 9, a norma del quale “ Nei casi in cui i titolari della competenza al rinnovo siano il Consiglio regionale o la Giunta regionale e questi non procedono almeno tre giorni prima del termine di cui al secondo comma del presente articolo, la relativa competenza è trasferita rispettivamente al Presidente del Consiglio regionale e al Presidente della Giunta i quali devono comunque provvedere entro la scadenza del termine medesimo ”. Posto che, nel caso di specie, la competenza al “rinnovo” del Garante spettava, in base alla legge regionale n. 17 del 2006, al Consiglio regionale, e posto che quest’ultimo non aveva proceduto entro i termini indicati dall’art. 9, comma 6, della legge regionale n. 17 del 1996, al momento della seconda votazione (quella concernente la nomina del dott. S) la competenza doveva ritenersi ormai trasferita al Presidente del Consiglio regionale.
Il motivo non è fondato.
Come correttamente rilevato dal Giudice di prime cure, la legge della Regione Campania che disciplina la nomina alla carica di Garante dell’infanzia e dell’adolescenza (legge regionale n. 17 del 2006) contiene una norma speciale in tema di prorogatio , la quale introduce un regime diverso rispetto a quello generale valido per tutti gli organi amministrativi della Regione. Tale norma speciale (art. 3, comma 1, secondo periodo, della legge regionale n. 17 del 2006) così dispone: “ Le funzioni del titolare sono prorogate sino all’insediamento del successore ”. Il Garante, pertanto, una volta giunto a scadenza, beneficia di un regime di prorogatio potenzialmente ben più lungo di quello ordinario, permanendo in carica fino all’insediamento del successore, anche oltre i 45 giorni. Ne consegue che, per le operazioni di rinnovo della carica di Garante dell’infanzia e dell’adolescenza, nella Regione Campania, non può prendersi a riferimento temporale il termine “ordinario” di 45 giorni, quale previsto dall’art. 9, comma 2, della legge regionale n. 17 del 1996: il meccanismo di trasferimento della competenza (quale delineato dall’art. 9, comma 6, della legge regionale n. 17 del 1996) non può, in altri termini, essere riconnesso alla scadenza del termine “ordinario” dei 45 giorni.
Del resto, la ratio di quel meccanismo, quale delineato in generale dalla legge regionale n. 17 del 1996, è – limitatamente alle nomine che competono al Consiglio regionale – quella di porre fine allo stallo in cui potrebbe venirsi a trovare l’organo politico assembleare nel procedimento di nomina, per effetto della fisiologica contrapposizione interna tra maggioranza e opposizione. Non può condividersi l’impostazione dell’appellante, secondo cui la ratio sarebbe, invece, quella “di evitare che la nomina sia sottoposta ad estenuanti trattative politiche nonché di ridurre il rischio di lottizzazioni partitiche, con detrimento del principio di meritocrazia”. Appare evidente, piuttosto, che il legislatore regionale abbia voluto contemperare due diverse esigenze: da un lato, assicurare, per quanto possibile, che la nomina degli organi chiamati a svolgere delicate funzioni di controllo e di garanzia (cfr. art. 3, comma 3, lettere a , b , della legge regionale n. 17 del 1996) rimanga nella competenza dell’organo consiliare, evidentemente ritenuto più idoneo alla scelta di un candidato equidistante tra le diverse anime politiche;dall’altro lato, evitare il rischio di vacatio di tali organi, derivante dalla scadenza pure del periodo ordinario di prorogatio , qualora l’organo assembleare non riesca a procedere a causa dei veti incrociati interni. In tale prospettiva, si giustifica allora la previsione di una decisione unilaterale rimessa all’organo politico di vertice (il Presidente, per l’appunto), ma ciò, solo di fronte all’imminente scadenza del mandato di proroga dell’organo da rinnovare: l’intervento risolutore del Presidente è infatti previsto solo quando mancano appena tre giorni all’esaurimento della prorogatio , quindi come soluzione di extrema ratio , giustificata dalla perdurante assenza di un accordo politico trasversale.
Appare allora evidente che siffatto meccanismo, così disegnato in via generale dalla legge regionale n. 17 del 1996, richiede un’opportuna opera di coordinamento con quelle situazioni, non direttamente contemplate dalla norma, nelle quali, come nel caso oggi all’esame del Collegio, il termine di prorogatio non coincida con quello ordinario di 45 giorni;situazioni in cui l’applicazione pedissequa del regime delineato dall’art. 9, comma 6, della legge regionale n. 17 del 1996 comporterebbe il sostanziale tradimento della ratio perseguita, in quanto verrebbe radicata la competenza eccezionale del Presidente, pur per la nomina di un organo di garanzia super partes , quando ancora vi sarebbe largo margine temporale per addivenire ad un accordo in sede di organo assembleare. Tale opera di coordinamento conduce, nel caso particolare del Garante dell’infanzia e dell’adolescenza, a ritenere in radice non applicabile il regime di trasferimento di competenza, in considerazione del fatto che il termine a ritroso di tre giorni non può essere calcolato a partire dal quarantacinquesimo giorno di prorogatio (in quanto la prorogatio del Garante, come detto, può andare ben oltre detto limite), né può essere calcolato a partire dall’ultimo giorno effettivo di prorogatio del Garante, che coincide con il giorno di insediamento del successore (e che dunque presuppone proprio l’avvenuta nomina del nuovo Garante da parte del Consiglio regionale). Non a caso, del resto, il meccanismo di trasferimento di competenza non è contemplato dalla legge regionale n. 17 del 2006.
Va dunque confermata, sul punto, con diversa motivazione, la sentenza di prime cure, dovendosi ritenere non che “non risultava in alcun modo spirato il termine concesso all’assemblea regionale per deliberare sulla nuova nomina”, ma piuttosto, in radice, che l’assemblea regionale non fosse sottoposta affatto al termine ex art. 9, comma 6, della legge regionale n. 17 del 1996 per la nomina del nuovo Garante.
3.3. – Con il terzo motivo di appello, viene riproposta la censura sul quorum funzionale, disattesa dal TAR.
Secondo il TAR, l’art. 3, comma 1, della legge regionale n. 17 del 2006, a norma del quale “ Il Garante è eletto dal Consiglio regionale con la maggioranza dei due terzi dei voti favorevoli nelle prime due votazioni… ”, andrebbe interpretata nel senso che debbano conteggiarsi, ai fini del raggiungimento della soglia dei due terzi, solo le schede dalle quali risulti una specifica manifestazione di voto validamente espressa, oggettivamente valutabile in termini di preferenza nominativa;non anche, dunque, le schede bianche né quelle nulle. Ai fini dell’elezione del dott. S, pertanto, doveva considerarsi sufficiente il numero (da lui ottenuto) di 22 preferenze, a fronte del totale di 30 voti validamente espressi.
L’appellante sostiene, invece, che la dizione “ due terzi dei voti favorevoli ” imporrebbe di conteggiare nel quorum anche le schede bianche e quelle nulle (che, nel caso di specie, sono state invece sottratte dal calcolo);sicché, avuto riguardo al numero totale delle schede riposte nelle urne (40), per l’elezione del dott. S sarebbero occorsi almeno 27 voti a lui favorevoli.
Il motivo non è fondato.
Non può infatti ritenersi, come fa l’appellante, che l’aggettivo “ favorevoli ”, utilizzato dal legislatore regionale, non abbia alcun significato ed equivalga alla “tautologica indicazione che per essere eletti è necessario ricevere un determinato numero di voti a proprio favore”;in tal modo, quell’aggettivo viene impropriamente associato ai voti ottenuti dal singolo (“ favorevoli ” a lui), e non invece, come è evidente dal senso complessivo, alla sommatoria dei voti espressi e/o ottenuti dai vari candidati, sulla quale dovrà operarsi il calcolo dei due terzi. In altri termini, dovranno essere considerati, a fini di quel calcolo, solo i voti “ favorevoli ” espressi nei confronti dei vari candidati, e quindi in definitiva i voti validamente espressi, come del resto normalmente accade nelle votazioni assembleari.
In ogni caso, l’opzione ermeneutica sostenuta dall’appellante, che in sostanza imporrebbe, per la nomina del Garante, il conseguimento di un numero di voti favorevoli pari ad almeno i due terzi dei votanti, si scontra con il dato letterale della norma, che ai fini del quorum funzionale ragiona di “ voti ” e non di votanti. Ragione, quest’ultima, di per sé dirimente ai fini della reiezione del motivo in esame.
3.4. – Con il quarto e con il sesto motivo di appello (che, per l’oggettiva comunanza degli argomenti svolti, possono essere trattati congiuntamente), la sentenza di prime cure viene criticata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, le censure con le quali si era contestata la mancata esclusione del dott. S dalla procedura valutativa. In particolare, il terzo dei motivi aggiunti, presentati in primo grado (e riproposto con il quarto motivo di appello), aveva rilevato, nei confronti della candidatura del dott. S, le seguenti carenze: mancanza del requisito di ammissione di cui all’art. 3, comma 2, lettera c ), della legge regionale n. 17 del 2006 (“ possesso di documentata esperienza, almeno quinquennale, maturata nell’ambito delle discipline di tutela dei diritti dell’infanzia ”);mancata dichiarazione, in sede di candidatura, di altro incarico conferito al controinteressato;inidoneità, ai fini della candidatura, del diploma di laurea conseguito dal dott. S nel 2015 e difetto di istruttoria da parte della Commissione consiliare competente alla disamina preliminare delle candidature. Ancora, con il quinto dei motivi aggiunti (riproposto con il sesto motivo di appello) si era dedotta l’illogicità e irragionevolezza della nomina del dott. S per il vizio di sviamento di potere, in quanto, contrariamente al ricorrente, tale candidato non avrebbe mai svolto compiti e funzioni in qualche maniera ricollegabili alla difesa civica e alla tutela dei diritti.
Tali censure sono state dichiarate inammissibili dal TAR per difetto di interesse, in quanto concernenti la posizione del solo candidato S, “la cui estromissione dalla procedura non consentirebbe al ricorrente di ottenere la nomina per effetto di scorrimento, visto che in seconda e terza posizione si sono classificati altri candidati che potrebbero aspirare alla nomina” (così la sentenza di prime cure).
3.4.1. – A giudizio dell’appellante, il ragionamento del TAR sarebbe erroneo, in quanto non potrebbe considerarsi sussistente, nella specie, alcuna graduatoria di tipo concorsuale, suscettibile di scorrimento. Analogamente a quanto accaduto con la sig.ra B (prima eletta, e poi rinunciataria), un’eventuale estromissione del dott. S non avrebbe, dunque, comportato l’automatico subentro del candidato secondo per ordine di voti, ma sarebbe stato necessario rinnovare la votazione.
La censura è fondata.
Nel disciplinare le modalità di elezione e di nomina del Garante, l’art. 3 della legge regionale n. 17 del 2006 non accenna alla formazione di alcuna graduatoria di merito, all’esito della votazione resa dal Consiglio regionale, ma dispone unicamente che il Garante è eletto con la maggioranza dei due terzi dei voti favorevoli nelle prime due votazioni (ovvero, con la maggioranza semplice nella terza votazione). Di conseguenza, in tanto un candidato potrà acquisire la nomina a Garante, in quanto sia riuscito ad ottenere, in una delle prime due votazioni, i due terzi dei voti validamente espressi dall’assemblea. Ciò esclude in radice che possa subentrare, per scorrimento, colui che abbia ottenuto il secondo maggior numero di voti, in quanto ne uscirebbe altrimenti elusa la soglia dei due terzi. Come correttamente ritenuto dall’appellante – e come, del resto, è testimoniato dai lavori consiliari, che hanno proceduto con la seconda elezione, una volta venuta meno la candidata che per prima era risultata eletta – l’eventuale estromissione del dott. S avrebbe dunque fornito una nuova teorica chance di elezione a tutti gli altri candidati, onde sicuramente sussisteva l’interesse del ricorrente alla disamina dei motivi volti a far valere le cause di esclusione, dalla procedura, del soggetto controinteressato, in modo da ottenere la riedizione del potere amministrativo.
Occorre, dunque, esaminare nel merito i motivi illegittimamente pretermessi dalla sentenza gravata, come da domanda dell’appellante.
3.4.2. – Con il terzo dei motivi aggiunti, presentati in primo grado, il ricorrente aveva lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, della legge regionale n. 17 del 2006 e il vizio di eccesso di potere per carenza dei requisiti di ammissibilità previsti dall’avviso pubblico pubblicato sul Bollettino regionale n. 47 del 12 giugno 2017;aveva, inoltre, lamentato la violazione dell’art. 6, comma 3, lettera a ), della legge regionale n. 17 del 1996 e dell’art. 4, comma 3, della legge della Regione Campania n. 23 ( recte : 24) del 2012.
A suo giudizio il candidato S avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura per mancanza di alcuni requisiti essenziali di partecipazione. In particolare: egli non avrebbe maturato alcuna esperienza tesa alla tutela dei diritti, tantomeno con specifico riferimento ai diritti dei minori, e ciò in violazione di quanto prevede la lettera c ) dell’art. 3, comma 2, della legge regionale n. 17 del 2006 (“ possesso di documentata esperienza, almeno quinquennale, maturata nell'ambito delle discipline di tutela dei diritti dell'infanzia ”);egli, in sede di candidatura, avrebbe omesso di dichiarare di essere stato nominato, dalla Regione Campania, alla carica di Presidente dell’ente parco Matese, con ciò violando l’art. 4, comma 3, della legge regionale n. 23 del 2012, ai sensi del quale “ nessun soggetto può essere nominato più di una volta dalla Giunta o dal Consiglio regionale ”;infine, egli avrebbe presentato un’autocertificazione sostitutiva del diploma di laurea priva di data, come tale “invalida e inidonea”, e comunque tale diploma sarebbe “tardivo”, in quanto conseguito nel 2015, e non sarebbe neanche afferente a discipline psicologiche.
Il motivo non è fondato.
Anzitutto, quanto al requisito della pregressa esperienza, la sua sussistenza risulta essere stata correttamente apprezzata e valutata dall’amministrazione. Dal curriculum vitae del dott. S (doc. n. 7 dell’appellante), infatti, emerge che il candidato, psicologo-psicoterapeuta e iscritto all’Ordine degli psicologi della Campania, nonché specializzato in “ Diagnosi Neuropsicologica e Terapia riabilitativa nell’Adulto e nel Bambino ”, ha maturato, negli anni, numerose esperienze relative alla tutela dei diritti dei minori: dal 2013 egli è presidente dell’Associazione italiana dei genitori (A.GE.), sezione di Santa Maria Capua Vetere, e, in tale veste, ha promosso e organizzato seminari scolastici sulla tutela degli adolescenti nelle scuole;dal 2011 ha svolto l’opera di psicologo-psicoterapeuta presso una comunità educativa in Bellona (CE) in favore dei minori ivi ospitati;dal 2001 al 2004, sempre come psicologo-psicoterapeuta, ha partecipato a lavori di gruppo con minori ospiti di una cooperativa sociale in San Potito Sannitico (CE);ha inoltre conseguito attestati di formazione sulla tutela dei diritti dei minori. La valutazione compiuta dall’amministrazione, che ha ritenuto integrato il requisito esperienziale, appare dunque sufficientemente suffragata da tali riscontri, e non può pertanto ritenersi manifestamente illogica o arbitraria.
Quanto, poi, all’omessa dichiarazione circa la pregressa nomina quale Presidente dell’ente parco Matese, giova considerare quanto segue. L’appellante invoca la norma di cui all’art. 4, comma 3, della legge regionale n. 24 del 2012, che così recita: “ Nessun soggetto può essere nominato più di una volta dalla Giunta o dal Consiglio regionale. Se un soggetto riceve due nomine, e non opta entro dieci giorni dalla data del secondo decreto di nomina, si considera decaduto dalla seconda nomina ricevuta ”. In linea con quanto correttamente nota la difesa regionale, deve rilevarsi che tale norma si riferisce chiaramente a una causa di incompatibilità, come è chiarito anche dal titolo della legge regionale (che, tra le altre, detta norme “ in materia di incompatibilità ”): si tratta, dunque, di un impedimento che, come accade per tutti i casi di incompatibilità, può essere rimosso dall’interessato optando per una delle due cariche. Nulla, dunque, vietava al controinteressato di concorrere per una seconda carica e di ottenere anche la nomina a Garante, salvo poi dover scegliere quale delle due cariche mantenere. Né può farsi discendere, dalla norma regionale invocata (che nulla afferma in proposito), alcun onere di dichiarazione, in sede di candidatura ad un’ulteriore carica, della nomina eventualmente già in corso. In definitiva, non può affatto ritenersi – come fa l’appellante – che l’omessa dichiarazione del pregresso incarico possa aver “falsato” la valutazione di ammissibilità della candidatura (cfr. pag. 18 dell’atto di appello), proprio perché, in fase preliminare, la candidatura poteva senz’altro prescindere dall’esistenza di quell’incarico (salvo valutarne, eventualmente, l’incidenza qualora il titolare non avesse proceduto, in un secondo momento, alla scelta necessaria per legge).
Riguardo, infine, al diploma di laurea posseduto dal dott. S, giova anzitutto rilevare che la norma regionale di riferimento, che impone il requisito della laurea per la nomina a Garante dell’infanzia e dell’adolescenza, richiede genericamente un “ diploma di laurea ” (art. 3, comma 2, lettera b , della legge regionale n. 17 del 2006), senza indicare alcuna particolare disciplina, tantomeno quelle afferenti all’area scientifica della psicologia. Come allegato dalla Regione resistente – e come, tra l’altro, emerge pacificamente dal curriculum vitae – il controinteressato possiede una laurea in scienze politiche acquisita secondo il “vecchio ordinamento” universitario e, successivamente, ha ottenuto due ulteriori diplomi di laurea (magistrale) nel 2015 e nel 2016, rispettivamente in “ Psicologia delle Organizzazioni e dei Servizi ” e in “ Management delle Organizzazioni pubbliche e sanitarie ”. Il requisito in parola, pertanto, risulta ampiamente posseduto;né si rinvengono difetti formali nell’allegazione del diploma di laurea del 2015, fatta a margine della domanda di partecipazione alla procedura, in quanto risulta allegato il certificato di laurea, recante la data di conseguimento del titolo (cfr. i documenti allegati alla domanda del dott. S, depositati in primo grado);né, infine, assume alcun rilievo la data – asseritamente tardiva, rispetto alla procedura di nomina – del conseguimento del diploma di laurea del 2015, sia perché la norma di riferimento non stabilisce alcun limite temporale, sia perché, in ogni caso, come detto, il candidato era in possesso anche di un’altra precedente laurea, ottenuta nel 1981.
3.4.3. – Con il quinto dei motivi aggiunti, presentati in primo grado, il ricorrente aveva dedotto i vizi di violazione dell’art. 97 Cost., di eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza e di “sviamento amministrativo e funzionale”. Nel ribadire che il dott. S “non ha mai svolto compiti e funzioni in qualche maniera ricollegabili alla difesa civica e della tutela dei diritti”, e avrebbe acquisito il titolo di studio solo “tardivamente”, il ricorrente faceva da ciò discendere un rimprovero all’organo regionale “che, dunque, anziché individuare un soggetto avente le necessarie competenze tecnico/culturali per svolgere al meglio il ruolo in difesa dei diritti dell’infanzia e, comunque, anche nella difesa giuridica, ha preferito concentrare la scelta su di un candidato la cui professionalità è maturata in ambienti prettamente sociali e non della tutela dei diritti”.
La disamina che precede ha già escluso la fondatezza delle ragioni sulle quali si basa la censura qui in esame, la quale dunque, caduti i precedenti motivi, cade anch’essa.
Del resto, del tutto indimostrato è l’assunto di fondo, secondo cui l’assemblea consiliare avrebbe compiuto una scelta dettata da favoritismo per il controinteressato, senza considerare i requisiti prescritti dalla legge. Deve ricordarsi, in proposito (cfr., ex multis , Cons. Stato, questa sez. V, sentenza n. 1776 del 2013;Id., sez. IV, sentenza n. 3062 del 2017;