Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-05-05, n. 201601799

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-05-05, n. 201601799
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201601799
Data del deposito : 5 maggio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10621/2014 REG.RIC.

N. 01799/2016REG.PROV.COLL.

N. 10621/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10621 del 2014, proposto da:
Società Agricola Tuscia Bio Energie S.r.l., con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. M D, e presso lo studio di questi elettivamente domiciliata in Roma, alla via A. Mordini n. 14, per mandato a margine dell'appello;

contro

- Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica;
- Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro in carica;
- Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona del Ministro in carica;
tutti rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato e presso gli uffici della medesima domiciliati per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti di


- Provincia di Viterbo, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. F M, e elettivamente domiciliata in Roma, alla via Cesare Fracassini n. 18, presso lo studio dell'avv. Roberto Venettoni, per mandato a margine della memoria di costituzione in giudizio;
- Comune di Acquapendente, Comune di Castel Giorgio e Comune di Castel Viscardo, in persona dei rispettivi Sindaci pro-tempore, rappresentati e difesi dagli avv.ti X S e Nicoletta Tardarsi, e presso lo studio del primo elettivamente domiciliati in Roma, alla via Antonio Bertoloni n. 44/46, per mandato in calce alla memoria di costituzione in giudizio;
- Regione Lazio, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta Regionale, non costituita;
- Comune di San Lorenzo Nuovo, Comune di San Casciano dei Bagni, Comune di Sorano, Comune di Onano, Comune di Proceno, Comune di Grotte di Castro, Comune di Allerona, A.S.L. Viterbo,

ARPA

Lazio - Sezione Provinciale di Viterbo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, intimati e non costituiti nel giudizio di primo grado e di appello;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione III, n. 8923 dell'11 agosto 2014, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n.r. 7946/2013, proposto per l'annullamento della deliberazione del Consiglio dei Ministri assunta nella seduta del 31 maggio 2013, con cui, ritenute prevalenti le valutazioni espresse dal Ministero per i beni e le attività culturali, rispetto alle altre formulate dalla Provincia di Viterbo e dalla Regione Lazio, è stata negata l'autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2013 per la realizzazione di impianto di produzione di energia elettrica da biomasse di potenza di circa 0.999 MW nel territorio del Comune di Acquapendente, nonché all'occorrenza del d.m. 12 maggio 2011 di apposizione di vincolo paesaggistico, e degli atti presupposti, ivi compreso il dissenso espresso dal Ministero per i beni e le attività culturali, con compensazione delle spese del giudizio di primo grado

dell'impianto di produzione elettrica di tipo biomassa


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dei Ministeri per i beni e le attività culturali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della Provincia di Viterbo e dei Comuni di Acquapendente, Castel Giorgio e Castel Viscardo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2015 il Cons. L S e uditi l’avvocato dello Stato M P, l’avv. D G, per delega dell'avv. M D, l’avv. F M, l’avv. N T in proprio e per delega dell'avv. X S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.) La Società Agricola Tuscia Bio Energie S.r.l., con sede in Roma ha presentato, in data 21 marzo 2012, alla Provincia di Viterbo domanda di autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2013 per la realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica da biomasse di potenza di 0.999 MW, da ubicare in località Pulicaro della frazione di Torre Alfina del Comune di Acquapendente, sui suoli individuati in catasto a fg. 64 particelle nn. 38, 40, 61. 66, 68, 70, 73, 74 (seminativo) e particella 63 cat. D/21, sui quali era già insediata attività industriale dismessa di depurazione e liquefazione di anidride carbonica, in zona classificata come D, sottozona D6 della variante generale al P.R.G. comunale, ricadente in area sottoposta a vincolo paesaggistico (Altopiano dell’Alfina) con d.m. 12 maggio 2011, in estensione del vincolo di cui al d.m. 22 maggio 1985, relativa a Monte Rufeno e Valle del Paglia).

La Provincia di Viterbo convocava conferenza di servizi, che si riuniva in data 18 aprile 2012.

Con determinazione n. 08/729/G del 24 luglio 2012, il Dirigente del Servizio Energia dell’Assessorato all’ambiente della Provincia, dato atto dei pareri acquisiti nella predetta riunione e comunque acquisiti al procedimento, favorevoli (nota n. 154726/2012 del 13 luglio 2012 della Regione Lazio per gli aspetti urbanistici e paesaggistici;
nota n. 2042 del 13 aprile 2012 del Comune di San Casciano dei Bagni;
nota del 17 aprile 2012 del Settore tutela del suolo e inquinamento atmosferico della stessa Provincia di Viterbo;
nota n. 16/2012 del 6 aprile 2012 dell’ASL di Viterbo) e contrari (nota. 10630 del 5 giugno 2012 della Direzione Regionale per i beni culturali paesaggistici del Lazio del Ministero per i beni e le attività culturali: contrario per le ragioni, condivise, espresse dalla Soprintendenza per i beni architettonici e artistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo con nota n. 15937 del 31 maggio 2012;
nota n. 22458 del 18 aprile 2012 relativa alla deliberazione contraria del Consiglio di Frazione di Torre Alfina;
nota n. 2510 del 18 aprile 2012 del Comune di San Lorenzo Nuovo) rimetteva gli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’art. 14 quater della legge n. 241/1990.

All’esito delle prima riunione istruttoria in data 10 settembre 2012 e a seguito di modifiche che la società richiedente si dichiarava disponibile a apportare al progetto, nella successiva riunione istruttoria del 16 ottobre 2012, il rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali confermava il parere negativo, la Regione Lazio il parere sostanzialmente favorevole, e a sua volta la Provincia di Viterbo evidenziava la rilevanza socio-economica dell’iniziativa.

Nella riunione del Consiglio dei Ministri dell’11 gennaio 2013 era deliberata la sospensione del procedimento in relazione al coevo procedimento relativo alla bonifica del sito industriale dismesso.

All’esito della terza riunione istruttoria del 1° febbraio 2013, acquisita l’intervenuta bonifica del sito e ulteriori chiarimenti sull’inesistenza di sostanziali interferenze relative a captazioni idropotabili, e confermato, con nota ministeriale n. 36791del 23 maggio 2013, il parere negativo sotto il profilo paesaggistico, il Consiglio dei Ministri, nella riunione del 31 maggio 2013, deliberava di ritenere prevalenti le condivise ragioni d'interesse pubblico connesse ai valori paesistici rispetto agli interessi evidenziati dalla Provincia di Viterbo e dalla Regione Lazio, concernenti l'interesse alla realizzazione dell'impianto nelle sue varie ricadute, concludendo in senso negativo il procedimento.

2.) Con ricorso in primo grado n.r. 7946/2013, la società agricola Tuscia Bio Energie S.r.l. ha impugnato la predetta deliberazione del Consiglio dei Ministri, nonché all'occorrenza il d.m. 12 maggio 2011 di apposizione di vincolo paesaggistico, e gli atti presupposti, ivi compreso il dissenso espresso dal Ministero per i beni e le attività culturali, deducendo undici distinti motivi.

Nel giudizio si sono costituite le Autorità statali intimate, la Provincia di Viterbo e i Comuni di Acquapendente, Castel Giorgio e Castel Viscardo, che hanno dedotto a loro volta l’infondatezza dell’impugnativa.

Con sentenza n. 8923 dell'11 agosto 2014 il T.A.R. per il Lazio ha rigettato il ricorso, osservando in sintesi che:

- la deliberazione del Consiglio dei Ministri è atto di alta amministrazione, insindacabile se non per manifesti profili di eccesso di potere;

- quanto alla lamentata carenza di “dissenso costruttivo” in ogni caso il Ministero e i suoi organi periferici hanno indicato l’esigenza di “…una delocalizzazione dell’intervento in ambiti meno critici dal punto di vista paesaggistico ed un ridimensionamento del consumo del suolo agricolo”;

- quanto alla pretesa erroneità dei rilievi svolti dall’Autorità ministeriale in ordine alla variante del progetto “…anche la Regione Lazio, dando peraltro atto di non aver ancora potuto condurre a termine verifiche approfondite sul punto, rilevava in ogni caso la necessità di effettuare livellamenti del terreno in ragione della sua pendenza, per l’impianto di notevole consistenza in esame, in area vincolata”;

- in ordine all’invocata ammissibilità dell’intervento in relazione alla “…disciplina regionale e di piano sull’area, relativa ai vincoli posti a tutela dei corsi d’acqua, sarebbe comunque necessario richiedere l’autorizzazione paesaggistica, ex art.146 del D.Lgs. n.42 del 2004”;

- circa la dedotta “…possibilità di utilizzare all’uopo siti industriali dismessi, come quello di specie, (essa) è stata considerata dal Consiglio dei Ministri e, tuttavia, con decisione discrezionale all’evidenza non irragionevole, ritenuta recessiva, in ragione dei vincoli esistenti in loco”;

- circa l’assenza di indicazione regionale di aree non idonee “…non (è) irragionevole il parere negativo espresso dal Ministero dei Beni e Attività Culturali in relazione alla sussistenza del vincolo paesaggistico”, che quanto al progetto originario è “…corredato da adeguata e congrua motivazione, in relazione al vincolo apposto con D.M.12 maggio 2011”, mentre quanto al progetto variato, ribadito che esso implica un livellamento dei terreni, è esatto il rilievo che esso è “…arretrato rispetto all’originario e più vicino al corso d’acqua”;

- è irrilevante il piano di successiva bonifica all’esito del ciclo di vita dell’impianto perché “…assume attuale rilievo, ai fini di tutela del predetto vincolo, l’opera che si intende realizzare e non il futuro intervento di rimozione a conclusione del ciclo produttivo…”;

- non era affatto irragionevole la determinazione di sospendere il procedimento autorizzatorio “…per verificare lo stato delle operazioni in corso di bonifica dell’area, quale aspetto intimamente connesso all’affare in trattazione, per poi procedere, una volta appurata la conclusione delle predette operazioni…”;

- in ogni caso “…l’Amministrazione per i Beni e le Attività Culturali ha espresso un parere unitario, l’unico poi decisivo ai fini dell’assunzione della delibera impugnata…e in disparte dunque quanto manifestato dai rappresentanti del Comune di Acquapendente…” sul quale “…si è innestato adeguato contraddittorio procedimentale;

- da ultimo “…la censura afferente all’asserita mancanza di legittimazione di alcune Amministrazioni invitate ad intervenire in sede di conferenza di servizi dalla Provincia di Viterbo appare generica oltre che di dubbia condivisibilità (trattasi del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nonché di Comuni vicini a quello di Acquapendente) e comunque irrilevante, stante la decisività del parere del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.”.

3.) Con appello notificato il 15 dicembre 2014 e depositato il 29 dicembre 2014, la società agricola Tuscia Bio Energie S.r.l. ha impugnato la predetta sentenza, riproponendo, con pertinenti critiche alla sentenza, i motivi già dedotti in primo grado, come di seguito sintetizzati:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del principio del giusto procedimento, dell’art. 14 quater comma 1 della legge n. 241/1990, dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, assenza e/o erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione

La generica indicazione dell’esigenza di una “delocalizzazione dell’impianto” e di un “ridimensionamento del consumo del suolo” non può integrare, a differenza di quanto opinato dal giudice di primo grado, l’espressione di un dissenso costruttivo, che richiede, invece, l’individuazione delle specifiche modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso, secondo quanto peraltro raccomandato anche, in sede istruttoria, dal Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del principio del giusto procedimento, dell’art. dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, degli artt. 3 e 14 quater della legge n. 241/1990, sotto diverso profilo. Eccesso di potere difetto di istruttoria, assenza e/o erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità e contraddittorietà manifesta, insufficienza della motivazione

I pareri della Regione Lazio, di cui alle note n. 154726 del 13 luglio 2012 e n. 366182 del 19 settembre 2012, confermate nella riunione istruttoria del 16 ottobre 2012, smentiscono i rilievi svolti dall’Autorità ministeriale in ordine al progetto variato, quanto alla traslazione dell’impianto a quota inferiore di 5 ml. con i conseguenti lamentati “cospicui movimenti di terra”, per effetto del ritenuto consistente sbancamento sia in profondità che in estensione.

Peraltro, quanto all’avvicinamento al corso d’acqua si ribadisce l’efficacia della disposizione derogatoria di cui all’art. 18 ter comma 1 bis della legge regionale n. 24/1998, in relazione alla tipologia dell’impianto, oltre che il regime derogatorio di cui all’art. 27 comma 5 bis della stessa legge regionale e dell’art. 62 comma 2 delle N.T.A. del P.T.P.R., anche tenuto conto che sul lotto in esame non sussistono aree boscate.

E comunque sarebbe stato necessario quantomeno disporre ulteriori accertamenti su tali aspetti.

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del principio del giusto procedimento, dell’art. 14 quater comma 1 della legge n. 241/1990, dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, assenza e/o erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione

La circostanza che la deliberazione del Consiglio dei Ministri sia atto di alta amministrazione non ne preclude il sindacato giurisdizionale amministrativo in quanto fondata su presupposti di fatto e valutazioni tecniche.

4) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost., del paragrafo 16 del d.m. 10 settembre 2010, del d.lgs. n. 387/2003. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, assenza e/o erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, disparità di trattamento, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione, sotto diverso e ulteriore profilo

Trattandosi di intervento su area industriale dismessa, peraltro già bonificata come accertato nel corso del procedimento, esso rispecchiava positivamente i criteri localizzativi di cui al paragrafo 16.1 lettera d) del d.m. 10 settembre 2010, circostanza non considerata affatto, in quanto non richiamata, a differenza di quanto opinato dal giudice amministrativo capitolino.

5) Violazione e/o falsa applicazione del paragrafo 17 e dell’allegato 3 al d.m. 10 settembre 2010, del d.lgs. n. 387/2003, degli artt. 3 e 14 quater comma 1 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, assenza e/o erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione, sotto ulteriore profilo

A differenza di quanto opinato dal T.A.R., in ordine alla legittimità del parere negativo dell’Autorità ministeriale, il P.R.G. del Comune di Acquapendente è stato approvato ai sensi dell’art. 63 delle N.T.A del P.T.P.R. con la conseguenza che la destinazione urbanistica della zona deve ritenersi recepita negli atti di pianificazione paesistica e ambientale, mentre lo stesso d.m. 12 maggio 2011 di ampliamento del vincolo fa salve tali destinazioni urbanistiche e in assenza di atti ulteriori regionali e provinciale ai sensi dell’art. 17 del d.m. 10 settembre 2010 (oltre che dell’allegato 3 al medesimo) -erroneamente richiamato nel parere- non sono ex se individuabili aree e siti inidonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti.

6) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost., violazione del principio del giusto procedimento, violazione e/o falsa applicazione, degli artt. 3 e 14 quater comma 1 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, assenza e/o erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione

Il T.A.R. non ha considerato che l’unica caratterizzazione peculiare dell’area è la sua natura pianeggiante, e peraltro lo stesso decreto di vincolo non preclude gli interventi subordinandoli solo a autorizzazione paesaggistica, onde non può sostenersi l’automatica prevalenza dell’interesse alla tutela paesistica rispetto agli altri interessi implicati e segnatamente alla promozione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

7) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 14 quater comma 1 della legge n. 241/1990, del d.m. 10 settembre 2010, dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, assenza e/o erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione

Come riconosciuto dalla stessa Autorità ministeriale la variante al progetto originario comporta un minore effetto impattante sulla visuale dalla strada provinciale, e quindi non produce grave alterazione e pregiudizio del profilo paesaggistico, ribadendosi che l’area ricade in zona classificata come industriale dal piano urbanistico e che lo stesso decreto di vincolo fa salve le pregresse destinazioni urbanistiche.

8) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost., dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, assenza e/o erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione

Si censura la sospensione del procedimento autorizzatorio in funzione della verifica dello stato del procedimento di bonifica, trattandosi di questione connessa estranea alla conferenza di servizi.

9) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost., del principio del giusto procedimento, dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, degli artt. 3 e 14 quater comma 1 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, assenza e/o erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione

Alla prima riunione della conferenza di servizi in sede provinciale hanno partecipato più rappresentanti della stessa amministrazione, sia quanto all’Amministrazione dei beni e attività culturali che al Comune di Acquapendente, e non trattasi di censura generica, come erroneamente ritenuto dal T.A.R.

10) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost., dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, degli artt. 3 e 14 quater comma 1 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, assenza e/o erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione

Il parere negativo dell’Amministrazione dei beni e attività culturali è stato espresso al di fuori della conferenza di servizi provinciale, in forma scritta, e quindi senza assicurare il contraddittorio procedimentale con le altre amministrazioni partecipanti.

11) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost., del principio del giusto procedimento, della buona fede e del legittimo affidamento, sotto altro profilo, dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, degli artt. 3 e 14 quater comma 1 della legge n. 241/1990, della legge regionale n. 24/1988, del d.m. 12 maggio 2011 e del d.m. 22 maggio 1985. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, assenza e/o erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, erroneità e/o contraddittorietà della motivazione

Stante l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi come imposto dal d.m. 10 settembre 2010 il rilascio dell’autorizzazione non avrebbe potuto produrre alcun danno grave e irreparabile all’interesse alla tutela paesistica.

Nel giudizio si sono costituiti la Presidenza del Consiglio dei Ministri e i Ministeri per i beni e le attività culturali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, con memoria difensiva depositata il 12 giugno 2015, hanno dedotto l’infondatezza dell’appello, argomentando in modo diffuso sulle distinte censure.

A sua volta la Provincia di Viterbo, con memoria di costituzione depositata il 23 gennaio 2015, ha controdedotto alle censure relative alla pretesa illegittimità della riunione della conferenza di servizi.

I Comuni di Acquapendente, Castel Giorgio e Castel Viscardo, con la memoria di costituzione, depositata il 23 gennaio 2015, e con memoria “di replica” depositata il 23 giugno 2015, hanno dedotto l’infondatezza dell’appello, con ampiezza di argomentazioni.All’udienza pubblica del 14 luglio 2015 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.

4.) L’appello in epigrafe, per quanto ampiamente articolato con argomentazioni di apprezzabile finezza, non ha fondamento giuridico e deve essere rigettato con la conferma della sentenza impugnata.

4.1) Com’è noto l’art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (recante “ Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità” ) assoggetta ad autorizzazione unica, rilasciata dalle regioni o dalle province delegate -o per impianti di potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW al Ministero dello sviluppo economico-, la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi.

L’autorizzazione è rilasciata all’esito di un procedimento unico con la partecipazione di tutte le amministrazioni interessate nel rispetto del principio di semplificazione, che si svolge nelle forme organizzatorie della conferenza di servizi ex artt. 14 ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Ai sensi della disciplina generale dell’art. 14 quater della legge n. 241/1990 il dissenso delle amministrazioni partecipanti al procedimento “…deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso” (c.d. dissenso costruttivo), e nondimeno quando si tratti di dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, ossia alla tutela dei c.d. interessi sensibili , esso determina la rimessione della questione al Consiglio dei Ministri (“…in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 della Costituzione…”), che provvede, con deliberazione espressamente qualificata come atto di alta amministrazione, “motivando un’eventuale decisione in contrasto con il motivato dissenso”.

Il procedimento in sede governativa è ispirato alla ricerca di una soluzione concordata, ove possibile, attraverso l’intesa con la/le regione/i interessata/e, qualora il dissenso intervenga tra un’amministrazione statale e una o più amministrazioni regionali, o con la regione e gli enti locali interessati, qualora il dissenso riguardi un’amministrazione statale e regionale e uno o più enti locali.

In particolare, qualora il motivato dissenso provenga da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza ai fini dell’intesa è convocata apposita riunione, con la partecipazione della regione o della provincia autonoma, degli enti locali e delle amministrazioni interessate, in cui devono essere formulate “…specifiche indicazioni necessarie alla individuazione di una soluzione condivisa, anche volta a modificare il progetto originario…”, e qualora tale risultato non sia conseguito è indetta ulteriore (seconda) riunione “…per concordare interventi di mediazione, valutando anche le soluzioni progettuali alternative a quella originaria…”, con fissazione di un termine aggiuntivo per eventuali trattative “…finalizzate a risolvere e comunque a individuare i punti di dissenso”, decorso il quale, se l’intesa non è raggiunta può essere adottata la deliberazione finale del Consiglio dei Ministri “…con la partecipazione dei Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate”.

Tale è peraltro la disciplina introdotta dall’art. 33 d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, inserito dalla legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 11 luglio 2012, n. 179 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della lettera b), comma 3 dell'articolo 49 d.l. 31 maggio 2010, n. 78 , che a sua volta modificava l’art. 14 quater, nella parte in cui prevedeva nel caso di dissenso espresso da regioni o provincie autonome in materie di propria competenza solo un breve termine decorso il quale il Consiglio dei Ministri, in mancanza dell’intesa, poteva senz’altro deliberare.

4.2) Orbene già la ricordata scansione procedimentale delinea un’essenziale differenza tra l’ipotesi in cui il motivato dissenso provenga da un’amministrazione statale preposta alla tutela di interessi sensibili e l’altra in cui esso sia espresso da regione o provincia autonoma in materie di loro competenza, posto che soltanto in quest’ultimo caso, e proprio al fine di salvaguardare nel più ampio margine possibile l’ambito dell’autonomia regionale e delle provincie autonome di Trento e Bolzano, la ricerca dell’intesa è affidata a specifiche riunioni, nelle quali devono essere forniti specifici apporti collaborativi tesi alla definizione di una soluzione positiva condivisa anche con le opportune modifiche progettuali e ulteriori "trattative”, solo all’esito delle quali il procedimento può essere eventualmente definito in senso negativo.

In altri termini, il principio del c.d. dissenso costruttivo, e quindi l’obbligo di ricercare una soluzione condivisa, atta ad armonizzare tutti gli interessi pubblici e privati implicati, se ha valore generale e informa di sé l’intero procedimento, assume una valenza del tutto peculiare (solo) nel caso in cui il dissenso sia riferibile a una regione o provincia autonoma.

Nondimeno il modello individuato per tale ultima specifica ipotesi può senz’altro essere esteso, secondo l’ampio apprezzamento discrezionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, anche al caso in cui il dissenso sia espresso da amministrazioni statali preposte alla tutela di interessi sensibili, senza però che la commendevole ricerca di una soluzione condivisa possa individuare un “obbligo di risultato” (nel senso che tali soluzioni incontrino il limite della “possibilità”, da intendersi ovviamente in chiave relativa, e con riferimento alla compatibilità con i valori espressi nel dissenso vedi Cons. Stato, Sez. IV, 24 maggio 2013, n. 2836).

In altri termini, in questa ipotesi del tutto legittimamente il procedimento potrebbe chiudersi dopo la prima riunione istruttoria, o anche dopo la seconda, o addirittura pervenire alla fase delle c.d. trattative, senza però che, per ciò solo, l’ulteriore implementazione del procedimento implichi un onere di ulteriore e rafforzata motivazione quanto alla deliberazione del Consiglio dei Ministri conclusiva del procedimento.

Né può obliterarsi che quest’ultima deve bensì motivare “…un’eventuale decisione in contrasto con il motivato dissenso”, e non anche e comunque non oltre i limiti di una ragionevole e chiara condivisione delle ragioni espresse nel motivato dissenso (nel senso appunto che la deliberazione che “…contrasti, anche in parte, l'atto di dissenso qualificato, deve fondarsi su una motivazione evidentemente divergente rispetto a quella, che dia adeguato e congruo conto delle ragioni specifiche per cui gli elementi del giudizio di compatibilità assunti dall'amministrazione dissenziente vanno, in quel concreto caso, diversamente valutati”, vedi Cons. Stato, Sez. VI, 15 gennaio 2013, n. 220).

4.3) I rilievi che precedono consentono di inquadrare correttamente e di dare esauriente risposta alle censure, pur suggestive e finemente argomentate, della società appellante.

Il nucleo essenziale delle medesime è costituito dalla dedotta insufficienza della motivazione della deliberazione del Consiglio dei Ministri (motivo sub 3), anche e soprattutto in funzione della carente indicazione da parte dell’amministrazione statale dissenziente di soluzioni progettuali alternative (motivo sub 1), al contrasto del dissenso rispetto ai pareri dell’amministrazione regionale, e in specie alle alternative progettuali presentate (motivo sub 2), nonché ai criteri localizzativi di cui al paragrafo 16.1 lettera d) del d.m. 10 settembre 2010 (motivo sub 4) e alla disciplina urbanistica e alle caratteristiche della zona (motivi sub 5, 6 e 7), oltre a censure di carattere procedimentale (motivi sub 7,8, 9 e 10), e alla rilevata carenza di danno in funzione dell’obbligo di ripristino (motivo sub 11).

4.3.a) Orbene, quanto alla deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 31 maggio 2013, richiamati i rilievi svolti sub 4.2), non può sostenersi che essa non sia sorretta da adeguata motivazione, come invece dedotto nel terzo motivo.

La deliberazione, dopo aver riepilogato in modo puntuale l’articolato svolgimento del procedimento, ha ritenuto:

“…nella suddetta comparazione degli interessi presenti, individuati dall’Amministrazione per i Beni e le Attività Culturali nella tutela paesaggistica sotto i profili della conformità e della compatibilità e nella valenza energetica dell’opera in argomento evidenziata dalla Provincia di Viterbo e dalla Regione Lazio in sede istruttoria, di condividere le motivazioni poste a base della posizione espressa dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, per la non compatibilità del progetto con le peculiarità paesaggistiche dell’area dichiarata di notevole interesse pubblico dal provvedimento di vincolo prima citato, verificandosi una grave alterazione del pregevole paesaggio”.

In altri termini, soppesati gli interessi pubblici coinvolti, quello relativo alla tutela paesaggistica e quelli relativi all’implementazione di fonti energetiche rinnovabili, con connesse ricadute economiche, occupazionali e sociali, il Consiglio dei Ministri ha ritenuto, con apprezzamento affatto ragionevole, di assegnare preminente e assorbente rilievo alla tutela del vincolo paesistico.

Deve anzi riconoscersi che la Presidenza del Consiglio non si è attestata, come pure avrebbe potuto, sul dissenso motivato, avendo svolto due riunioni istruttorie svolte il 10 settembre e il 16 ottobre 2012, orientate proprio all’enucleazione di un’eventuale soluzione condivisa.

Nella prima riunione i rappresentanti della Provincia di Viterbo e della Regione Lazio hanno confermato il proprio parere positivo per quanto di propria competenza, quello del Comune di Acquapendente il parere negativo e il rappresentante del Ministero dei beni ambientali e culturali il parere di incompatibilità paesaggistica, pur nella riserva di valutare modifiche progettuali, in relazione alle quali il rappresentante della società Tuscia Bio Energie dichiarava la disponibilità “…per venire incontro alle esigenze di ‘visuale’ del MIBAC…di tagliare la torretta esistente e spostare i digestori nella fascia compresa tra 50 ml dal fosso ed i fabbricati esistenti, che essendo il terreno in pendenza verso il fosso, risolvono la problematica dell’impatto visivo dalla strada S.P, 50”.

La riunione si è quindi conclusa prendendo atto del “…comune intendimento delle amministrazioni presenti di individuare una soluzione condivisa atta a superare il dissenso espresso in conferenza di servizi” e invitando l’amministrazione procedente (Provincia di Viterbo) a comunicare gli esiti.

Nella successiva riunione del 16 ottobre 2012, dopo ampia illustrazione delle ribadite posizioni favorevoli della Regione Lazio e della Provincia di Viterbo, e preso atto che il rappresentante del Ministero a sua volta chiariva che non emergevano “…elementi tali da giustificare una modifica, anche parziale al parere precedentemente espresso con nota della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio del 20.09.2012, prot. n. 17500 allegata al presente verbale”, gli atti e il fascicolo sono stati rimessi al Consiglio dei Ministri.

La nota dell’ufficio periferico dell’amministrazione dei beni ambientali e culturali da ultimo richiamata, a sua volta, ha chiarito come la soluzione progettuale alternativa “…per quanto sia possibile valutare dai grafici presentati comporta cospicui movimenti di terra al fine di ottenere un’area pianeggiante alla quota di -5.00 m. idonea a ospitare i componenti di maggior dimensione dell’installazione”, rilevando come essa “…ancorché meno visibile dalla succitata strada panoramica, in conseguenza dell’allontanamento dalla stessa e per l’abbassamento della livelletta d’imposta dell’impianto, tuttavia va a invadere pienamente la fascia di protezione del vicino corso d’acqua sottoposto a tutela…”, riservando la valutazione di un eventuale progetto alternativo “…che preveda una delocalizzazione dell’impianto in ambiti meno critici dal punto di vista paesaggistico e un ridimensionamento del consumo del suolo agricolo da parte dell’installazione”.

4.3.b) I rilievi svolti nella nota anzidetta, a differenza di quanto sostenuto nel motivo sub 2) dell’appello, traducendosi in un motivato apprezzamento specifico negativo della modifica proposta rispetto al progetto originario, e della persistenza di elementi di incompatibilità con il vincolo di tutela, costituiscono estrinsecazione di un dissenso costruttivo, nel cui ambito rientra anche la indicazione della delocalizzazione dell’impianto e di un suo ridimensionamento.

E’ evidente infatti che il contenuto specifico del dovere cooperativo sotteso al principio del dissenso costruttivo non può tradursi nell’accettazione di modifiche progettuali che, per quanto apprezzabili rispetto all’originario disegno progettuale, nondimeno non risolvano in modo effettivo ed esauriente le problematiche d’inserimento paesaggistico e/o ambientale dell’intervento.

In questa prospettiva non può risultare decisiva e dirimente la circostanza, pure evidenziata nel motivo sub 2), che la Regione Lazio nella seconda riunione istruttoria del 16 ottobre 2013 abbia indicato che “…le nuove strutture previste nel progetto…rispettano verosimilmente (corsivo dell’estensore) le quote raffigurate nelle curve di livello…con modesti livellamenti e adattamenti del terreno…”.

Infatti, in disparte la sostanziale perplessità dei rilievi regionali, affidati ad una indicazione di verosimiglianza, è indubbio che la soluzione progettuale alternativa implica scavi e livellamenti, e quindi modificazioni dello stato dei luoghi, che comunque non risolvono e semmai acuiscono il profilo della compatibilità dell’intervento con il vincolo, secondo l’apprezzamento specifico dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, che non può essere sostituito dalla valutazione di altre amministrazioni, e segnatamente di quella regionale preposta alla cura di altri interessi urbanistico-paesistici.

D’altro canto, la stessa disposizione derogatoria dell’art. 18 ter della legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 (recante tra l’altro l’approvazione all’art. 1, tra gli altri, anche del piano territoriale paesistico della provincia di Viterbo di cui alla deliberazione di Giunta Regionale n. 2266 del 28 aprile 1987) -invocata nello stesso motivo sub 2) a confutazione del rilievo dell’avvicinamento degli impianti al corso d’acqua-, seppure consente la realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, fa comunque salvo il “…particolare riguardo alla salvaguardia delle visuali da cui è percepito il sito di intervento”, in piena coerenza con le previsioni del precedente art. 16 che pure chiarisce, al comma 4, che “La tutela del cono visuale o campo di percezione visiva si effettua evitando l'interposizione di ogni ostacolo visivo tra il punto di vista o i percorsi panoramici e il quadro paesaggistico”, vietando “…modifiche allo stato dei luoghi che impediscono le visuali anche quando consentite dalle normative relative alle classificazioni per zona prevista dai PTP o dal PTPR”.

Sotto altro profilo, il pur richiamato art. 27 comma 5 bis della stessa legge regionale fa salve bensì sino all’adozione del piano territoriale paesistico regionale le previsioni urbanistiche relative alle zone A, B, C, D del d.m. n. 1444 del 1968, e però “…in quanto conformi alle modalità di tutela previste nei PTP adottati prima dell'entrata in vigore della presente legge”.

Orbene le N.T.A. del piano territoriale paesistico (P.T.P.) della provincia di Viterbo, all’art. 6, intitolato alla “Protezione dei corsi e delle acque pubbliche” proprio per le zone B, C e D, stabiliscono espressamente che “…ogni modifica allo stato dei luoghi nelle fasce di rispetto è subordinata alle seguenti condizioni: a) mantenimento di una fascia di inedificabilità di metri 50 a partire dall'argine;
b) comprovata esistenza di aree edificate contigue;
c) assenza di altri beni di cui all'articolo 1 della legge 431/1985”.

Tale previsione è stata riproposta, peraltro, dall’art. 35 comma 8 delle N.T.A. del P.R.T.R.

Sotto altro e più generale profilo, poi, lo stesso art. 27 delle N.T.A. del P.R.T.R., relativo alla specifica disciplina degli ambiti qualificati come “ paesaggio degli insediamenti urbani ”, nella tabella A) indica tra gli obiettivi specifici di tutela il “controllo e mantenimento delle visuali verso i paesaggi di pregio contigui e/o interne all’ambito urbano in relazione ai nuovi interventi” e nella tabella B), al punto 6.5, quanto agli impianti di produzione di energia rinnovabile di tipo areale o verticale con minimo impatto ammette solo “…quelli di pertinenza di edifici esistenti se con essi integrati o parzialmente integrati nel rispetto delle tipologie edilizie”, dichiarando invece incompatibili sia gli impianti di tipo verticale (torri eoliche) con grande impatto territoriale, e ammettendo la sola conservazione degli impianti esistenti di grande impatto areale (con specifica indicazione di centrali idro-termoelettriche, termovalorizzazione e fotovoltaici) di cui ai precedenti punti 6.3 e 6.4.

In tale prospettiva nessun rilievo può quindi assumere la circostanza che l’area d’insediamento sia inclusa urbanisticamente in zona D del piano regolatore comunale di Acquapendente, poiché la conservazione delle destinazioni di zona pregresse, prevista dall’art. 62 comma 2 N.T.A. del P.R.G., riferita agli strumenti urbanistici approvati dopo l’entrata in vigore della legge regionale n. 24/1998, sconta un duplice limite: di conformità ai P.T.P. approvati e sino all’adozione del P.T.R.P., laddove dopo quest’ultima i Comuni devono adeguare le loro previsioni allo strumento di pianificazione regionale adottato.

4.3.c) E’ poi irrilevante, il rilievo svolto nel motivo sub 4) dell’appello, che richiama la pregressa destinazione industriale (dismessa) dell’area e la sua astratta compatibilità con i criteri localizzativi di cui al paragrafo 16.1 lettera d) del d.m. 10 settembre 2010 (recante “Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” , emanate in attuazione dell’art. 12 comma 10 del d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387), posto che, nel caso di specie il dissenso dell’Autorità ministeriale, e la determinazione definitiva negativa di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, non attengono all’idoneità astratta del sito, sebbene all’esistenza di un vincolo di tutela paesaggistica e all’incompatibilità con la salvaguardia del medesimo dell’intervento.

4.3.d) Infondati sono poi i rilievi svolti nel motivo sub 5) dell’appello, non risultando affatto dimostrato che la variante al P.R.G. del Comune di Acquapendente sia stata approvata ai sensi dell’art. 63 delle N.T.A. del P.T.R.P., secondo i rilievi della difesa dell’Amministrazione comunale appellata, e comunque rimanendo insuperabile il rilievo del vincolo statale paesistico, rispetto al quale non rileva la salvezza delle destinazioni urbanistiche, ponendosi sempre e comunque l’esigenza di valutare la compatibilità di ciascun intervento con il vincolo, esclusa dal motivato dissenso dell’Autorità ministeriale, condiviso dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri.

4.3.e) Anche il motivo d’appello sub 6) è privo di rilievo giuridico, posto che l’intera zona è assoggettata al vincolo e quindi non ha alcuna congruenza l’osservazione che essa sia (più o meno) pianeggiante e che non possa escludersi ex se la compatibilità dell’intervento con il vincolo, che è stata infatti negata in concreto e non in astratto come osservato supra .

4.3.f) I rilievi svolti nel motivo d’appello sub 7) -intendendosi qui comunque richiamate le osservazioni di cui ai precedenti punti 4.3.a) e 4.3.b)- circa il minor effetto impattante della soluzione progettuale alternativa, ritenuta inidonea a salvaguardare il valore paesaggistico tutelato dalla Autorità ministeriale, finiscono per impingere il merito tecnico e sono quindi inattingibili dal sindacato giurisdizionale amministrativo di legittimità.

4.3.g) Non è dato poi ravvisare alcun effettivo e concreto interesse alle censure dedotte con il motivo sub 8) dell’appello, posto che la sospensione temporanea del procedimento autorizzatorio ai fini della chiarificazione della situazione relativa alla bonifica del sito non risulta aver prodotto alcun effetto negativo specifico.

4.3.h) Considerazioni analoghe a quelle svolte supra valgono per le censure di cui al motivo sub 9) dell’appello circa la presenza di più rappresentanti per le stesse amministrazioni alla riunione della conferenza di servizi.

4.3.i) E’ altresì infondato il motivo d’appello sub 10), perché il contraddittorio procedimentale sul parere negativo dell’Autorità statale preposta alla tutela del vincolo è stato ampiamente assicurato nel prosieguo del procedimento, e segnatamente nel corso delle riunioni istruttorie indette dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in esito alle quali la società Tuscia Bio Energie ha presentato anche una diversa soluzione progettuale ancorché negativamente valutata.

4.3.l) Inconferente è da ultimo il richiamo, di cui al motivo d’appello sub 11, poiché l’obbligo di rimessione in pristino successiva all’esaurimento dell’attività non può logicamente e giuridicamente escludere l’incompatibilità dell’intervento.

5.) In conclusione l’appello in epigrafe deve essere rigettato, in quanto infondato, con la conferma della sentenza gravata, restando assorbita ogni doglianza e profilo che, ancorché non espressamente esaminato, è stato considerato non rilevante ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a conclusione di segno diverso.

6.) La relativa novità e complessità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese e onorari del giudizio d’appello

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