Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-10-18, n. 202309062
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Pubblicato il 18/10/2023
N. 09062/2023REG.PROV.COLL.
N. 00238/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 238 del 2020, proposto da
Immobiliare San Giovanni di Gallo Angelo e Gallo G. s.a.s., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G P e G M, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Tagliamento, n. 14;
contro
Comune di Lainate, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato G G, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. prof. G T, in Roma, piazza San Bernardo, n. 101;
Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano D'Acunti e Alberto Vittorio Fedeli, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale delle Milizie, n. 9;
nei confronti
Regione Lombardia e Condominio Villoresi-Lainate, in persona dei rispettivi rappresentanti legali
pro tempore
, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Milano (Sezione Seconda) n. 01074/2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Lainate e di Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2023 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati G P e Alberto Vittorio Fedeli.
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società Immobiliare San Giovanni di Gallo Angelo e Gallo Giovanna e C. s.a.s. (d’ora in poi solo Immobiliare San Giovanni) ha presentato, al Comune di Lainate, domanda di condono edilizio ex D.L. 30/9/2003, n. 269 e L.R. 3/11/2004, n. 31, al fine di sanare la recinzione di un’area di sua proprietà abusivamente realizzata a mt 1,20 dalla mezzeria del canale derivatore Villoresi e, quindi, all’interno della relativa fascia di rispetto.
Acquisito il parere vincolante del Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi 25/8/2008 prot. 5200, il comune ha rilasciato il permesso di costruire in sanatoria 22/1/2010, n. 115/2004.
Sennonché, con nota 7/2/2012, n. 855, il consorzio ha chiarito che il parere espresso nel 2008 doveva intendersi in senso negativo al mantenimento delle opere di recinzione in oggetto, le quali avrebbero, pertanto, dovuto essere immediatamente rimosse ripristinando lo stato originario dell’area interessata.
Alla luce della citata nota consortile, il comune ha adottato il provvedimento 5/4/2012, n. 10132/Tit.6/C1.6.3/CCT, col quale ha ritirato in autotutela il permesso di costruire in sanatoria.
Ritenendo l’atto di ritiro illegittimo la Immobiliare San Giovanni lo ha impugnato con ricorso al T.A.R. Lombardia – Milano, il quale, con sentenza 14/5/2019, n. 1074, lo ha respinto.
Avverso la sentenza ha proposto appello la Immobiliare San Giovanni.
Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio il Comune di Lainate e il Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi.
Con successive memorie le parti hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 12/10/2023 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo si deduce che, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, non vi sarebbe stata alcuna violazione dell’art. 133 del R.D. 8/5/1904, n. 368, in quanto la recinzione non potrebbe essere qualificata come una “fabbrica”, dato che quest’ultima potrebbe ravvisarsi solo in presenza di un edificio, né il giudice avrebbe valutato l’eventuale interferenza dell’opera sul regime delle acque o il suo “ impatto visivo negativo di natura urbanistica ”.
Col secondo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel ritenere che la recinzione di che trattasi, costituita da un basamento in cemento sormontato da una rete metallica, sia “ in grado di interferire con la pulizia delle sponde, l’uso degli argini e il normale alveo del corso d’acqua ”.
E invero, l’art. 95 del R.D. 25/7/1904, n. 523 stabilisce che “ Il diritto dei proprietari frontisti di munire le loro sponde nei casi previsti dall'art. 58, è subordinato alla condizione che le opere o le piantagioni non arrechino né alterazione al corso ordinario delle acque, né impedimento alla sua libertà, né danno alle proprietà altrui, pubbliche o private, alla navigazione, alle derivazioni ed agli opifici legittimamente stabiliti, ed in generale ai diritti dei terzi ”.
L’art. 58 del medesimo R.D. prevede, a sua volta, che sono esentate dall’ottenere la preventiva autorizzazione “ le opere eseguite dai privati per semplice difesa aderente alle sponde dei loro beni, che non alterino in alcun modo il regime dell'alveo ”.
Alla luce delle trascritte norme, la sentenza avrebbe dovuto dar conto di come la recinzione possa incidere sul corso ordinario delle acque o recare danni alle proprietà altrui, alla navigazione o a terzi.
Col terzo motivo si censura l’appellata decisone laddove afferma che l’impugnato provvedimento di ritiro nel contesto fattuale dato, avrebbe natura vincolata e, quindi, non necessiterebbe di specifica motivazione.
Al contrario l’avversata determinazione negativa avrebbe dovuto essere supportata da una specifica motivazione che desse conto dell’effettuata comparazione tra interesse pubblico e posizione del privato.
Il giudice di prime cure non avrebbe, inoltre, considerato che la menzionata determinazione sarebbe stata emanata oltre i termini di legge per l’esercizio del potere di autotutela.
Le censure così riassunte, tutte infondate, si prestano a una trattazione congiunta.
Occorre premettere che l’odierna fattispecie trova la sua disciplina n. R.D. n. 368/1904, che essendo norma speciale, rende inapplicabili le invocate norme del R.D. 523/1904 (artt. 95 e 58).
E invero, il R.D. n. 523/1904 si riferisce alla generalità delle acque pubbliche, mentre con riferimento ai canali realizzati nell’ambito delle opere di bonifica idraulica, come il canale deviatore del Villoresi, di cui qui ci si occupa, trovano applicazione le diverse disposizioni di cui al R.D. n. 368/1904.
Quest’ultimo, all’art. 133 prevede che: “ Sono lavori, atti o fatti vietati in modo assoluto rispetto ai sopraindicati corsi d'acqua, strade, argini ed altre opere d'una bonificazione:
a) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, e lo smovimento del terreno dal piede interno ed esterno degli argini e loro accessori o dal ciglio delle sponde dei canali non muniti di argini o dalle scarpate delle strade, a distanza minore di metri 2 pei le piantagioni, di metri 1 a 2 per le siepi e smovimento del terreno, e di metri 4 a 10 per i fabbricati, secondo l'importanza del corso d'acqua ….;
omissis”.
Orbene, in coerenza con la ratio della norma che è quella di salvaguardare la più funzionale ed efficace manutenzione e pulizia di argini, sponde, corsi d'acqua e canali e di evitare ostacoli al naturale deflusso delle acque, deve ritenersi che nelle nozioni di “ fabbriche ” e “ fabbricati ”, sia inclusa qualunque tipologia di manufatto idoneo a interferire sulle sopra indicate attività (cfr. Cass. Civ. Sez. I, 22/4/2005, n. 8536).
Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, infatti, non vi sarebbe ragione di identificare il concetto di “ fabbriche ” e “ fabbricati ” con quello di “ edificio per lo più di notevoli dimensioni, adibito a vari scopi ”, tenuto conto che anche un manufatto di modeste dimensioni può potenzialmente interferire negativamente con la possibilità di svolgere proficuamente le attività indicate dalla norma di legge.
D’altra parte, che l’interpretazione qui prospettata sia quella corretta si ricava anche dal complessivo esame di tutte le disposizioni contenute nell’art. 133, dalle quali emerge con chiarezza l’intendimento del legislatore di vietare qualunque tipo di opera che possa pregiudicare le finalità perseguite.
Ne discende che anche una recinzione costituita, come nella specie, da un basamento in cemento sormontato da una rete metallica, rientra fra le opere soggette alla disciplina dettata dall’art. 133 del R.D. n. 368/1904.
Poiché è incontroverso che la recinzione per cui è causa è ubicata entro la fascia di rispetto fissata dal citato art. 133, lett. a), ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, occorreva acquisire il parere vincolante dell’ente preposto alla tutela del vincolo (il Consorzio Est Ticino Villoresi).
Quest’ultimo ha espresso il suo avviso col parere 25/8/2008, prot. 5200, il quale è, inequivocabilmente, di tenore negativo.
In esso si legge, infatti, “ Il CDA di questo Consorzio con propria delibera n. 125 31/05/2007, ha definito le fasce di rispetto dei canali e per il canale derivatore in oggetto (quello di che trattasi) facente parte del reticolo idrico minore consortile, tale fascia risulta essere di sei metri per parte rispetto al ciglio del canale o del piede esterno della scarpata.
In conseguenza di quanto sopra descritto, lo scrivente esprime parere negativo al mantenimento delle opere di recinzione in oggetto le quali dovranno essere immediatamente rimosse ripristinando lo stato originale dell’area interessata ”.
Appurato che l’opera per cui è causa non poteva esser realizzata, in quanto ubicata in area soggetta a vincolo ex lege di inedificabilità assoluta (Cons. Stato Sez. IV, 16/2/2012, n. 816), non occorreva, a sostegno del provvedimento adottato, alcuna ulteriore valutazione in ordine all’idoneità della stessa a incidere negativamente sul corso ordinario delle acque o a recare danni a terzi o alla navigazione (T.S.A.P., 1/4/2015, n. 66).
Non merita, infine, accoglimento la doglianza volta a censurare, per un verso, la mancata comparazione dell’interesse privato al mantenimento del manufatto con quello pubblico alla sua rimozione e, per altro verso, la violazione del termine di 18 mesi per l’annullamento d’ufficio previsto dell’art. 21- nonies della L. 7/8/1990, n. 241.
E invero, occorre premettere che il provvedimento impugnato è qualificabile come atto di annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies della citata L. n. 241/1990 basandosi sull’illegittimità della determinazione di primo grado.
Ciò posto, sotto il primo profilo va rilevato che l’onere motivazionale che grava sull’amministrazione nell’annullare d’ufficio un titolo edilizio illegittimo risulta attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio del jus poenitendi , senza, quindi, che occorra, in queste ipotesi, alcuna comparazione dell’interesse pubblico alla rimozione del titolo, con quello privato al suo mantenimento (Cons. Stato, A.P. 17/10/2017, n. 8;Sez. VI, 18/3/2022, n. 1976;28/12/2021, n. 8641).
Nel caso di specie, l’onere motivazionale risulta adeguatamente soddisfatto, tenuto conto che l’annullamento è stato disposto in considerazione dell’ubicazione dell’opera su area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta, posto dalla legge a salvaguardia di rilevanti interessi pubblici, e del parere negativo dell’ente preposto alla tutela del detto vincolo.
L’ulteriore censura proposta è inammissibile per violazione del divieto di nova in appello, di cui dall’art. 104 del c.p.a., tenuto conto che la doglianza non era stata prospettata in primo grado.
In ogni caso la stessa, ove anche ammissibile, sarebbe infondata, atteso che
il provvedimento gravato è stato adottato nell’aprile del 2012, mentre la previsione dell’invocato termine di 18 mesi per l’esercizio del potere di autotutela è stata introdotta solo dalla L. 7/8/2015, n. 124 (art. 6, comma 1, lett. d, n. 1).
L’appello va, pertanto, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti del Comune di Lainate e del Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi, mentre nulla dev’essere disposto nei riguardi di Regione Lombardia e Condominio Villoresi-Lainate, non essendosi questi ultimi costituiti in giudizio.