Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-10-23, n. 201704880

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-10-23, n. 201704880
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704880
Data del deposito : 23 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/10/2017

N. 04880/2017REG.PROV.COLL.

N. 03292/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3292 del 2017, proposto da:
-O-in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati J B, P T, con domicilio eletto presso lo studio Salvatore Maria Pappalardo in Roma, via Flaminia, 388;



contro

Ufficio Territoriale del Governo Milano, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Gen.Le Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;



per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: -O-, resa tra le parti, e per il conseguente risarcimento del danno;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo Milano e di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2017 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati P T, J B e l'Avvocato dello Stato Tito Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con il presente gravame l’impresa individuale appellante chiede rispettivamente:

-- l’annullamento della sentenza con cui è stata respinta la sua richiesta di annullamento della cancellazione dell'impresa -O-dalla c.d. -O-; del provvedimento di informazione antimafia interdittiva del -O-, e dei relativi atti presupposti;

-- l'esibizione, in via istruttoria, di tutti i provvedimenti integrali di cui alla richiesta, rimasta inevasa, di accesso presentata dall'impresa il-O-

-- il conseguente risarcimento del danno.

L’appello è affidato alla deduzione di due complesse rubriche di gravame con cui si lamenta l’eccesso di potere sotto diversi profili; e la violazione degli articoli 3 e 21-quinques della L. n. 241/1990; dell’art. 84 del d.lgs. n. 159/2011 e del DPCM 18 aprile 2013.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno che, con memoria, ha analiticamente confutato le tesi di parte ricorrente.

Chiamata all’udienza pubblica di discussione, ed uditi i difensori delle parti, la causa è stata ritenuto in decisione dal collegio.



DIRITTO

__ 1.§. In linea preliminare deve essere innanzitutto disattesa la subordinata richiesta di accesso in quanto l’analiticità, la puntualità e l’ampiezza delle censure spiegate dall’appellante dimostra una puntuale conoscenza degli elementi su cui si fonda l’atto impugnato.

Per la corretta confutazione delle censure non può prescindersi dalla ricostruzione del quadro complessivo della vicenda.

I -O- sono i proprietari pro-quota per il 33,33 % dell’Impresa -O- (con -O- quale Presidente del C.d.A. e -O-e -O-come consiglieri) che è direttamente collegata a tre loro distinte imprese individuali rispettivamente: l’impresa individuale -O-, l’impresa individuale -O- e l’impresa individuale -O- .

Tutte le predette imprese condividono, oltre agli stessi amministratori, la sede sociale, i settori di attività ed i committenti.

Gli intimi legami soggettivi ed oggettivi tra le predette società hanno portato ad analoghi provvedimenti di interdittiva antimafia di tutte le imprese collegate dei -O-, la cui separate richieste di annullamento sono state respinta dal TAR con altrettante sentenze, i cui appelli sono stati introitati, e respinti, in data odierna per profili tra loro quasi integralmente coincidenti.

Nel merito, anche il presente appello è comunque infondato.

__ 2.§. Il primo motivo è affidato a due profili.

__ 2.§.1. La società appellante lamenta l’erroneità della sentenza che ha ritenuto legittima la cancellazione dalla c.d. -O-di cui al DPCM 18 aprile 2003 e l’interdittiva antimafia pronunciata, in esito agli ulteriori accertamenti della Direzione Distrettuale Antimafia dell’aprile 2015 e dell’agosto 2015, senza che fossero emersi fatti nuovi e rilevanti.

La rivalutazione della sua posizione per fatti antecedenti al 2014 -- data di precedente iscrizione della medesima impresa dell’elenco di cui all’art. 1, comma 52 del d.lgs. n. 190/2012 -- sarebbe pertanto stata del tutto immotivata e non avrebbe trovato alcuna ragione concreta.

__ 2.§.2 Il Tar Lombardia avrebbe dovuto motivare le ragioni per cui si sarebbe ritenuta legittima la revoca dell’iscrizione dell’impresa per collusione con sodalizi criminali. L’interdittiva coinvolge interessi dell’impresa destinataria per cui necessiterebbe della rigorosa attinenza a sostanziali elementi fattuali e non a profili formali.

L’amministrazione avrebbe quindi il dovere di garantire all’impresa la più ampia ed effettiva partecipazione procedimentale e dovrebbe garantire una motivazione che renda in concreto intelligibili, coerenti, proporzionati e ragionevoli le ragioni del provvedimento.

Nella sostanza, erroneamente il Tar avrebbe fatto proprio il giudizio della Direzione Distrettuale Antimafia del -O-, pedissequamente confluita nei provvedimenti gravati con cui si concludeva che l’impresa “a causa degli stretti rapporti dei soci con esponenti della ‘ndrangheta, è fortemente esposta ai tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata” tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi.

Tale giudizio sarebbe assolutamente immotivato in quanto: -- i fratelli -O- e -O- non sono mai citati in nessuna delle informative; -- il fratello maggiore -O-, nella rassegnata informativa DDA, viene coinvolto in episodi che sono del tutto occasionali e privi di qualsiasi connessione con l’attività della sua impresa individuale e che, comunque, erano già valutati in precedenti informative con cui era stato escluso il rischio di infiltrazione mafiosa.

Di qui difetto di istruttorie e di motivazione della sentenza impugnata.

__ 2.§.3. Entrambi i profili sono privi di pregio giuridico.

Come è noto, la c.d. interdittiva prefettizia antimafia, di cui agli artt. 91 e ss., del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”, costituisce una misura preventiva volta ad impedire i rapporti contrattuali con la P.A. di società, formalmente estranee ma, direttamente o indirettamente, comunque collegate con la criminalità organizzata.

L'interdittiva antimafia del Prefetto esclude cioè che un imprenditore possa essere titolare di rapporti, specie contrattuali, con le pubbliche Amministrazioni (Consiglio di Stato sez. III 9 maggio 2016 n. 1846).

L’introduzione delle misure di prevenzione, come quella qui in esame, è stata la risposta cardine dell’Ordinamento per attuare un contrasto all’inquinamento dell’economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata.

Da molto tempo infatti le consorterie di tipo mafioso hanno esportato fuori dai tradizionali territori di origine l’uso intimidatorio della violenza, ed hanno creato vere e proprie holding.

Si tratta di quelle aree opache notoriamente definite come il “mondo di mezzo”, nel quale i proventi delle estorsioni e del narcotraffico vengono reinvestiti sia in imprese formalmente estranee (perché intestate a prestanome “puliti”) e sia da una miriade di società collegate da vincoli di vario tipo con l’organizzazione criminale.

Il legislatore, allontanandosi dal modello della repressione penale, ha infatti impostato l'interdittiva antimafia come strumento di interdizione e di controllo sociale, al fine di contrastare le forme più subdole di aggressione all'ordine pubblico economico, alla libera concorrenza ed al buon andamento della pubblica Amministrazione. Il carattere preventivo del provvedimento, prescinde quindi

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