Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-05-26, n. 202104055

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-05-26, n. 202104055
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104055
Data del deposito : 26 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/05/2021

N. 04055/2021REG.PROV.COLL.

N. 01880/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1880 del 2019, proposto da
R.M. Ricerche Minerarie S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Avv. A N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Claudia De Curtis in Roma, viale Giuseppe Mazzini 142;

contro

C P, rappresentato e difeso dagli avvocati G G, Nicolo' Paoletti, G R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Regione Piemonte, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Pier Carlo Maina, Gabriele Pafundi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (Sezione Prima) n. 00023/2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di C P e della Regione Piemonte;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 25 marzo 2021 il Cons. G L B e, dato atto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, ultimo periodo, d. l. n. 28/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 70/2020, e richiamato dall’art. 25 d. l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176/2020, del deposito delle note di passaggio in decisione, è data la presenza degli avvocati A N e G R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha deciso sul ricorso e sui motivi aggiunti proposti da C P contro la determinazione regionale n. 169 del 21 aprile 2017, pubblicata sul Bollettino Ufficiale il 25 maggio 2017, con cui è stata rinnovata per altri 5 anni la concessione mineraria denominata “Fornaccio” alla società R.M. – Ricerche Minerarie s.r.l. (d’ora in poi RM), nonché contro tutti gli atti anteriori, conseguenti o comunque connessi con i provvedimenti impugnati.

Dato atto della presentazione di cinque motivi di ricorso e di due motivi aggiunti, nonché della resistenza in giudizio della Regione Piemonte e della RM, la sentenza ha respinto tutte le censure, ad eccezione del secondo motivo del ricorso principale e del primo motivo aggiunto.

1.1.Col secondo motivo il ricorrente aveva lamentato che la Regione, nell’accordare il rinnovo, non aveva adeguatamente motivato, né, ancor prima, svolto adeguata istruttoria, per verificare il corretto adempimento, da parte di RM, delle prescrizioni a questa impartite dal precedente provvedimento di rinnovo della concessione n. 614/11.

In particolare sarebbero risultati non adempiuti:

a) l’obbligo di procedere al c.d. recupero ambientale che avrebbe dovuto essere eseguito non alla fine della coltivazione, ma già mano a mano che questa veniva effettuata;

b) l’obbligo di realizzazione dell’asfaltatura del tratto di strada precedente l’impianto di lavaggio gomme dei mezzi e del successivo tratto fino al bivio con lo stabilimento Minerali Industriali S.p.A.

Quanto al punto sub a), il Tribunale amministrativo regionale ha richiamato la d.g.r. 26 settembre 2011 n. 212637, cui aveva fatto rinvio la delibera di rinnovo della concessione n. 614 del 2 dicembre 2011, e, sulla base del contenuto della delibera richiamata e dell’allegato A) alla stessa, ha ritenuto che in corso di rapporto le attività di recupero avrebbero dovuto avere “cadenza periodica” -contrariamente a quanto invece sostenuto dalla Regione Piemonte e dalla controinteressata, secondo cui l’obbligo di provvedere al recupero ambientale avrebbe dovuto essere adempiuto solo al termine della coltivazione (come da parere della Soprintendenza Archeologica e Belle Arti del 6 febbraio 2017, disatteso dal giudicante);
ha perciò concluso che nel provvedimento impugnato la Regione non avesse dato conto né dell’avvenuto o meno corretto adempimento degli obblighi da parte di RM, né di aver svolto specifica istruttoria sul punto.

Quanto al punto sub b), il Tribunale amministrativo regionale:

- ha rilevato che le parti resistente e controinteressata avevano eccepito l’avvenuta esecuzione, in data 14.3.2014, dell’asfaltatura del tratto di strada in contestazione, come prescritto alla commissione tecnica di controllo con verbale del 20.1.2014 ed entro il termine da questa stabilito (30.4.2014);

- ha osservato che la d.g.r. 212637/2011 prevedeva che il tratto di strada avrebbe dovuto essere asfaltato entro sei mesi dal rilascio della concessione mineraria e che, in occasione del sopralluogo del 2014, la commissione aveva disposto che il lavoro avrebbe dovuto essere eseguito entro il 30 aprile 2014 e che la società avrebbe dovuto inviare una documentazione fotografica comprovante l’esecuzione dei lavori;

- ha concluso con la considerazione che, mentre nel provvedimento impugnato la Regione non aveva dato conto dell’adempimento dell’obbligo né di aver svolto istruttoria sul punto, la parte ricorrente aveva prodotto in giudizio un’attestazione del Comune di Lozzolo che nel 2015 la RM aveva eseguito dei “rappezzi” sulla via Virada, ma non lungo tutto il tratto di strada interessato, e comunque la controinteressata non aveva provato di avere eseguito i lavori in conformità alle indicazioni della commissione.

1.2. Col primo motivo aggiunto la parte ricorrente aveva lamentato che, in violazione dell’art. 4, lett. b), della concessione n. 614/11, RM non aveva corrisposto ai Comuni territorialmente interessati e alla Regione Piemonte la tariffa prevista per i diritti di escavazione ai sensi dell’art. 14 della legge regionale n. 22 del 2007. In particolare, all’esito del sopralluogo dell’1.8.2017, sarebbe emerso il mancato pagamento da parte di RM in favore del Comune di Lozzolo, degli importi dovuti per gli anni 2015 e 2016.

Il Tribunale amministrativo regionale, premesso che risultava che il Comune avesse concesso una rateizzazione in data 5 ottobre 2017, ha rilevato che l’adempimento dell’obbligo era intervenuto il 21 marzo 2018 “ ovvero quasi un anno dopo rispetto all’assunzione della delibera oggetto di causa ” e che, perciò, al momento dell’adozione del provvedimento di rinnovo, l’obbligazione non era stata adempiuta e di tale situazione non era stato dato conto nel provvedimento, né la Regione aveva fatto riferimento allo svolgimento di istruttoria.

1.3. Il primo giudice ha, in conclusione, ritenuto “ la delibera impugnata illegittima per difetto di adeguata istruttoria e motivazione non avendo la Regione provveduto ad esaminare e valutare sufficientemente se la società RM abbia o meno adempiuto correttamente gli obblighi sopra esaminati previsti dalla convenzione n. 614/11 e, quindi, la rilevanza o meno degli eventuali inadempimenti con riferimento alla domanda di rinnovo della concessione ”. La determinazione della Regione Piemonte n. 169 del 21 aprile 2017 è stata annullata.

1.4. La Regione Piemonte e la società RM sono state condannate, in solido tra loro, a rifondere alla parte ricorrente le spese processuali, liquidate nell’importo complessivo di € 1.500,00, oltre accessori.

2. Avverso la sentenza la società R.M. Ricerche Minerarie s.r.l. ha avanzato appello con un unico motivo articolato in tre censure.

2.1. Il ricorrente in primo grado, C P, si è costituito in giudizio per resistere al gravame.

La Regione Piemonte ha invece aderito all’appello.

2.2. Con ordinanza cautelare in data 5 aprile 2019 è stata sospesa l’esecutività della sentenza impugnata.

2.3. Con ordinanza collegiale in data 25 febbraio 2020 è stata disposta una verificazione.

2.4. Dopo diversi rinvii, causati dalla necessità di sostituire l’organismo di verificazione, con atto depositato il 14 dicembre 2020 ha rinunciato all’incarico anche l’organismo di verificazione da ultimo nominato in sostituzione del precedente.

2.5. In data 8 febbraio 2021 Perazzi Carlo ha depositato relazione tecnica di parte e documenti.

In data 12 febbraio 2021 la Regione Piemonte, a sua volta, ha depositato memoria con allegati relazione tecnica di parte e documenti.

2.6. All’udienza del 25 marzo 2021 la causa è stata discussa da remoto e assegnata a sentenza, previo deposito di memoria e replica dell’appellato Perazzi e di note di udienza di quest’ultimo e della società appellante.

3. In via preliminare va chiarito che esula dall’oggetto del giudizio la questione della qualificazione come “miniera” ai sensi dell’art. 2 del r.d. n. 1443 del 1927 del sito utilizzato dalla società RM. Si tratta infatti di questione estranea al thema decidendum come delineato col ricorso introduttivo ed introdotta in appello con deduzione della parte appellata contenuta nella memoria di costituzione, per tale parte inammissibile.

4. Nel merito, con l’unico motivo di appello si deduce “ erronea e contraddittoria interpretazione degli elementi di fatto e delle risultanze istruttorie e/o falsa applicazione delle norme di diritto;
vizio di motivazione in un punto essenziale della controversia
”.

4.1. Con la prima censura si sostiene che la Regione ha svolto adeguata istruttoria in ottemperanza a quanto stabilito dall’art. 5 del d.P.R. n. 382 del 1994 e dall’art. 14 della legge n. 241 del 1990. Si sottolinea che è stata infatti indetta la conferenza dei servizi del 17 febbraio 2017, con relativo sopralluogo istruttorio cui hanno preso parte i rappresentanti degli enti interessati, i quali nulla hanno rilevato in merito al mancato adempimento degli obblighi imposti con la d.g.r. del 2011. Con la conseguenza, ad avviso dell’appellante, che non potrebbe essere ascritta all’amministrazione alcuna violazione di legge nell’adozione della determinazione impugnata (emessa in data 21 aprile 2017, n. 169).

4.2. Con la seconda censura si sostiene la sussistenza dei presupposti per il rinnovo della concessione mineraria, ai sensi dell’art. 43 del r.d. n. 1443/1927. In merito all’originaria censura indicata in sentenza come sub a), si osserva che:

- il recupero ambientale era previsto esclusivamente al termine delle attività di escavazione, come esplicitato nel parere favorevole del 17 febbraio 2017 della Soprintendenza Archeologica e Belle Arti e Paesaggio;

- soltanto con tale parere è stato chiesto “in alternativa” un programma di recupero graduale contestuale al progressivo esaurimento delle attività minerarie;

- il parere è vincolante ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 e sindacabile dal giudice amministrativo solo per incoerenza, irrazionalità o errore tecnico;

- la sentenza impugnata è, sul punto, viziata da difetto di motivazione;

- nel merito, anche a voler ritenere che il recupero ambientale dovesse essere a cadenza periodica e contestuale alla coltivazione, avrebbe dovuto essere contestuale anche al progressivo esaurimento delle attività minerarie (ovvero dove i lavori minerari erano stati completati), ma tale circostanza non era ancora integrata, stante il ritardo nell’attività di escavazione, dovuto, secondo l’appellante, alla crisi economica “ che ha profondamento colpito l’andamento del mercato ”;

- sul punto la Regione avrebbe adeguatamente motivato e la motivazione sarebbe riscontrata dal parere della Direzione ambiente governo e tutela del territorio emesso a seguito della conferenza dei servizi del 17 febbraio 2017;

- in ogni caso, il ripristino ambientale sarebbe stato effettuato nella zona in cui i lavori minerari sono stati completati e, al momento della presentazione dell’appello, sarebbe stata in corso di completamento la sola piantumazione, avendo RM ricevuto l’assegnazione onerosa di circa 2000 piantine forestali da piantare.

4.2.1. In merito alla censura sub b), si sostiene che agli atti vi sarebbe la prova del corretto ripristino del tratto di strada in contestazione, avendo RM inviato la documentazione fotografica richiesta dalla commissione, comprovante l’esecuzione dei lavori, nonché copia della fattura. Si critica quindi la sentenza per non avere il giudice di primo grado tenuto conto di tale produzione documentale e per aver invece utilizzato la documentazione prodotta da parte ricorrente, che avrebbe dovuto essere considerata inammissibile perché tardiva (in quanto, pur sopravvenuta in corso di giudizio, riguardava circostanze del 2015, conoscibili perciò prima della presentazione del ricorso) ed era comunque irrilevante poiché riferita ad una strada comunale, diversa da quella in contestazione che è strada privata.

4.3. Con la terza censura si critica infine l’accoglimento del primo motivo aggiunto, osservandosi, in particolare, che al sopralluogo istruttorio della conferenza dei servizi era intervenuto anche il rappresentante del Comune di Lozzolo, senza che avesse rappresentato il mancato versamento dei diritti di escavazione degli anni 2015-2016. Pertanto, nessun difetto di istruttoria si potrebbe imputare all’amministrazione regionale.

5. Quest’ultima censura è fondata e va accolta.

Allo scopo è sufficiente osservare che, ai sensi dell’art. 14, della legge regionale n. 22 del 2007, che ha sostituito l’art. 6 (Tariffe del diritto di escavazione) della legge regionale n. 14 del 2006, “ Il controllo in merito al pagamento delle tariffe è effettuato dalle amministrazioni comunali ” (così il sostituito art. 6, comma 5, seconda parte).

Come dedotto dall’appellante, il Comune di Lozzolo, non solo non ha contestato l’inadempimento per omesso versamento dei diritti di escavazione 2015/2016 in sede di conferenza dei servizi, ma successivamente ne ha concesso la rateizzazione, così dimostrando, per fatti concludenti, l’irrilevanza del ritardato pagamento.

5.1. In accoglimento del motivo di appello fin qui esaminato, la sentenza di primo grado va riformata e va respinto il primo dei motivi aggiunti, proposto da C P con la memoria del 27 settembre 2017.

6. Le restanti due censure non meritano invece favorevole apprezzamento.

6.1. L’accoglimento del secondo motivo del ricorso introduttivo non è fondato sulla violazione di legge, specificamente della disposizione di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 382 del 1994, non essendo in contestazione violazioni di legge concernenti l’indizione e lo svolgimento della conferenza di servizi.

Pertanto, il primo motivo di appello è inammissibile per mancanza di specificità rispetto alle ragioni della decisione gravata.

6.2. La determinazione regionale impugnata è stata infatti dichiarata illegittima per difetto di motivazione e di istruttoria sui due specifici inadempimenti asseritamente imputabili alla società concessionaria.

7. Sul primo di tali inadempimenti (sopra specificato sub a), in effetti, non risulta che nel corso dell’istruttoria per il rinnovo della concessione mineraria sia stato adeguatamente considerato il contenuto né della d.g.r. del 26 settembre 2011, n. 21-2637 (riassunto in sentenza nei seguenti termini: << - che contestualmente alla coltivazione mineraria sia eseguito il recupero ambientale con l’obiettivo di ricostituire continuità tra l’intervento in progetto e il territorio circostante per mezzo di tecniche di rinverdimento che permetteranno la riqualificazione dell’area;

- che per l’attuazione dell’attività estrattiva vengano utilizzate tecniche di coltivazione e di recupero ambientale che garantiscono le capacità riproduttive delle risorse naturali coinvolte, consentendo nel contempo il raggiungimento di risultati positivi in termini produttivi e di ricaduta occupazionale;

- che il cronoprogramma dei lavori relativo alla progettazione consente la realizzazione degli interventi di recupero ambientale in stretta successione temporale con i lavori di coltivazione e realizza nel contempo la riqualificazione ambientale dell’area;

- che gli interventi di recupero ambientale consentono di restituire al sito minerario le originarie caratteristiche vegetazionali e il suo miglioramento morfologico;

- tuttavia, per mitigare ulteriormente gli impatti sulle componenti ambientali, rispetto alle misure già previste dal proponente in corso d’opera, e per ottimizzare la sistemazione dell’area, emerge l’esigenza di definire le seguenti specifiche prescrizioni: la coltivazione e gli interventi di recupero ambientale siano eseguiti secondo il progetto presentato con le modifiche e integrazioni presentate in data 12 maggio 2011 e secondo le prescrizioni previste nell’ allegato tecnico (allegato A) relativo alla coltivazione ed al recupero ambientale alla presente delibera >>), né dell’allegato A alla stessa delibera (<< ai fini della coltivazione della miniera, del recupero ambientale il proponente è tenuto a far sì che gli interventi di recupero ambientale devono essere realizzati durante le stagioni idonee (primavera ed autunno) utilizzando specie idonee alle condizioni territoriali nonché ad inviare ai sensi degli artt. 37, 41, 42 e 43 del D.P.R. 128/1959 entro il mese di settembre di ogni anno il consuntivo dei lavori di coltivazione e di recupero ambientale eseguiti e il preventivo per l’anno successivo >>.).

7.1. Data siffatta carenza non solo motivazionale, ma anche istruttoria, va esclusa la portata dirimente del parere della Soprintendenza Archeologica e Belle Arti del 6 febbraio 2017. Si tratta infatti di un parere a valere per il futuro, considerato che:

- per un verso, la Soprintendenza non è organo preposto alla verifica dell’adempimento da parte del concessionario degli obblighi impostigli col provvedimento di concessione, ai fini del rinnovo della concessione scaduta, poiché la relativa determinazione è di spettanza esclusiva dell’ente concedente ai sensi dell’art. 34 del r.d. n. 1443 del 1927 (“ La concessione scaduta può essere rinnovata, qualora il concessionario abbia ottemperato agli obblighi impostigli ”);

- per altro verso, il significato letterale del parere non è affatto quello che vorrebbero attribuire ad esso la società appellante e la Regione Piemonte, come se la Soprintendenza avesse affermato che il recupero ambientale fosse stato previsto – per il passato – “ esclusivamente al termine delle attività di escavazione ”;
piuttosto la Soprintendenza, esprimendosi in riferimento alla richiesta n. 1596 del 6 febbraio 2017, manifesta, quanto alla futura attività estrattiva della società richiedente, il dissenso “ in merito al progetto di recupero ambientale, previsto esclusivamente al termine delle attività di escavazione ” e perciò richiede “ in alternativa un intervento graduale di recupero delle aree contestuale al progressivo esaurimento delle attività minerarie, già nel primo quinquennio ” ( id est , a venire).

Ciò chiarito, va ritenuto perciò vincolante per le parti il contenuto della deliberazione del 26 settembre 2011, n. 21.2637, cui rinviava la delibera di rinnovo della concessione n. 614 del 2 dicembre 2011.

7.2. In ragione di ciò, è stata disposta la verificazione di cui all’ordinanza collegiale del 25 febbraio 2020, volta a verificare “ se il recupero ambientale avrebbe potuto essere eseguito con cadenza periodica e contestualmente alla coltivazione mineraria, considerati il progetto autorizzato, il cronoprogramma dei lavori e le tecniche di coltivazione e di recupero ambientale utilizzate (o da utilizzare) ”.

Non essendosi svolta la verificazione per le rinunce degli organismi nominati, sia la Regione Piemonte che l’appellato Perazzi hanno depositato documenti e relazioni tecniche di parte, che consentono di superare, in punto di fatto, le lacune istruttorie che avevano indotto alla nomina del verificatore e di concludere secondo quanto appresso, senza necessità di insistere nell’adempimento istruttorio.

7.3. Per quanto interessa ai fini della decisione, emerge infatti da entrambe le relazioni tecniche di parte che - poiché il progetto di coltivazione autorizzato nel 2011 per un periodo decennale era diviso in due fasi quinquennali - al termine del primo quinquennio non era stato eseguito il rimodellamento delle aree omogenee interessate dall’escavazione necessario al ripristino ambientale, perché, salvo che in parte modesta, le attività di coltivazione non si sono completate come da progetto, a causa di un consistente ritardo rispetto al cronoprogramma.

Dato ciò, per un verso, è rimasto da valutare - permanendo il contrasto in punto di fatto - se le fasi di estrazione, così come concretamente eseguite dalla società, siano effettivamente corrispondenti al progetto ed al cronoprogramma dell’atto di concessione mineraria;
per altro verso, se la mancata esecuzione del recupero ambientale avrebbe potuto essere evitata con una diversa conduzione delle operazioni di escavazione.

In sintesi, residua tuttora un margine di apprezzamento discrezionale dell’amministrazione regionale, concernente l’imputabilità alla concessionaria delle omissioni o dei ritardi concernenti il recupero ambientale e la loro rilevanza quali motivi di diniego del rinnovo della concessione mineraria, che non può essere sostituito dalle argomentazioni svolte in giudizio dalla difesa regionale.

Per tale via ha trovato riscontro in appello quanto ritenuto dal primo giudice circa la mancanza di adeguata istruttoria, nel procedimento di rinnovo della concessione mineraria, sull’inadempimento dell’obbligazione di ripristino ambientale gravante sulla società concessionaria.

8. Analogamente è a dirsi per l’inadempimento dell’obbligo concernente il ripristino dell’asfalto del tratto di strada privata oggetto del verbale del 20 gennaio 2014 della commissione tecnica di controllo.

La motivazione della sentenza gravata va parzialmente corretta nel senso che risulta dalla produzione documentale in atti (documentazione fotografica e fattura) che la società concessionaria ha eseguito dei lavori concernenti il sito in contestazione.

Piuttosto, sarebbe stato onere dell’amministrazione regionale, in sede di rinnovo della concessione mineraria, verificare che, con i detti lavori, si fossero correttamente adempiute le prescrizioni imposte dalla commissione di controllo, rendendo effettivamente più resistente al passaggio dei mezzi pesanti il tratto di strada in contestazione.

8.1. Anche su tale questione sarebbe stato necessario un approfondimento istruttorio, con relativo riscontro motivazionale negli atti del procedimento di rinnovo della concessione.

In mancanza, va confermata la decisione di primo grado, pur se con motivazione parzialmente corretta.

9. In conclusione, l’appello va accolto solo parzialmente, nei limiti della censura concernente il pagamento dei diritti di escavazione al Comune di Lozzolo.

Vanno invece respinti i motivi di gravame riguardanti l’accoglimento del secondo motivo del ricorso originario e, per l’effetto, va confermata la sentenza di primo grado di annullamento della determinazione impugnata per difetto di istruttoria e di motivazione sull’adempimento da parte della concessionaria delle due obbligazioni sopra specificate, fatte salve le ulteriori determinazioni della Regione Piemonte sull’istanza di rinnovo della concessione mineraria.

9.1. L’accoglimento parziale dei motivi di appello consente la compensazione delle spese del grado per soccombenza reciproca.

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