Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-12-15, n. 202008016

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-12-15, n. 202008016
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202008016
Data del deposito : 15 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/12/2020

N. 08016/2020REG.PROV.COLL.

N. 00590/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 590 del 2020, proposto dal signor D T, rappresentato e difeso dagli avvocati F M e G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 05141/2019, resa tra le parti, concernente ottemperanza della sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 1649 del 2016, relativa al risarcimento del danno per il mancato adeguamento retributivo dovuto ai medici specializzandi in applicazione delle direttive europee.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020, il Cons. G C;


FATTO e DIRITTO

1.Oggetto del giudizio è l’appello proposto dal dott. D T avverso la sentenza del T.a.r. per la Campania n. 5141 del 2019, la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso per l’ottemperanza al giudicato, derivante dalla sentenza n. 1469 del 21 aprile 2016 della Corte di appello di Napoli, che ha riconosciuto il risarcimento del danno per il mancato adeguamento retributivo dovuto - in applicazione dei principi della direttiva CEE 93/16, recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. n. 368 del 1999 - per aver frequentato negli anni dal 1998/1999 al 2002/2003 i corsi di specializzazione presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Napoli.

1.1. L’Amministrazione si è costituita ed ha chiesto il rigetto dell’appello;
in via subordinata ha rilevato la non spettanza della rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta.

1.2. L’appellante ha depositato memoria di replica.

2. Alla camera di consiglio dell’11 novembre 2020, ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta dal Collegio in decisione.

3. La sentenza della Corte di appello, per l’ottemperanza della quale il dott. Triggiani ha adito il T.a.r. ha condannato “ la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica, al risarcimento del danno in favore dell'appellante, da liquidarsi in misura pari alla differenza, per cia-scuno degli anni accademici dal 1998/1999 e sino al 2002/2003, tra il trat-tamento percepito e quello dovuto in base ai

DPCM

7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007, oltre agli interessi legali dal 13 giugno 2008 al saldo
”.

3.1. Ai fini che rilevano nella presente controversia, va precisato che la Corte di appello – nel ricostruire il tormentato recepimento nell’ordinamento italiano dei principi eurounitari in tema di “adeguata remunerazione” della fase di formazione dei medici specialisti – ha posto in rilievo:

a) che la previsione dell’importo della borsa di studio per l’anno 1991, con il tardivo adempimento della direttiva 82/76 CEE mediante l’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991, fu aumentato una sola volta e restò invariato per espressa disposizione legislativa (art. 7, co 5 del d.l. n. 384 del 1992), più volte prorogata nel tempo;

b) che le disposizioni (in particolare artt. 37 e 39) di attuazione della successiva direttiva 93/16 CEE, mediante il d.lgs. n. 368 del 1999, non avevano avuto immediata applicazione, essendo prevista dall’art. 46 dello stesso decreto (e successive modificazioni) la continuità nell’applicazione dell’originaria disciplina posta dall’art. 6 del 1991 cit.;

c) che solamente con la novella all’art. 39 del d.lgs. n. 368 del 1999, apportata dall’art. 1, comma 300, della l. n. 266 del 2005, era stato previsto un diverso assetto retributivo – con trattamento economico costituito da una parte fissa e da una parte variabile determinata annualmente con d.P.C.m. – ma solo a partire dall’anno accademico 2006/2007, ribadendo che sino all’anno accademico 2005/2006 restava operante la pregressa disciplina di cui all’art. 6 del d.lgs. del 1991;

d) che, avendo lo Stato italiano mancato di adempiere, sino all’anno accademico 2006/2007, agli obblighi derivanti dalla direttiva del 1993, come definiti dallo stesso decreto legislativo emanato nel 1999, mediante il differimento della corresponsione del compenso adeguato per ragioni di compatibilità finanziaria, la Presidenza del Consiglio dei ministri deve rispondere dell’inadempimento, quale comportamento antigiuridico del legislatore nell’ambito dell’ordinamento comunitario, suscettibile di generare un’obbligazione risarcitoria.

3.2. In riferimento alla domanda di risarcimento oggetto della decisione, la Corte di appello:

a) ha ritenuto accertatati e sussistenti gli elementi di fatto costituitivi del diritto al risarcimento perché: - pacifica la frequenza ai corsi sulla base delle certificazioni allegate;
- pacifici il riconoscimento dell’importo della borsa di studio prevista dall’art. 6 del d.lgs. del 1991 e la mancata corresponsione del compenso adeguato determinato ai sensi del d.lgs. del 1999, attuativo della direttiva del 1993, né essendo stato dedotto e provato l’ aliunde perceptum ;

b) ha determinato la misura del danno risarcibile - stante la natura indennitaria ed il necessario riferimento ai mezzi offerti dall’ordinamento interno al fine di assicurare al danneggiato una idonea compensazione della perdita subita per il ritardo nell’attribuzione del diritto previsto dalla normativa sovranazionale –individuandola in una somma pari alla differenza, per ciascuno degli anni accademici dal 1998/1999 al 2002/2003, tra il trattamento concretamente percepito e quello riconosciuto agli specializzandi solo a partire dall’anno 2006/2007;
ha aggiunto, che quest’ultimo trattamento è il solo che consenta il ristoro per equivalente allo specializzando il quale, invece, dopo il d.lgs del 1999, ha continuato a ricevere la remunerazione prevista dall’art. 6 del d.lgs. del 1991.

4. Il T.a.r. ha dichiarato inammissibile il ricorso per l’ottemperanza sulla base delle argomentazioni, che possono così sintetizzarsi:

a) la pronuncia di condanna della sentenza della Corte di appello è generica, con conseguente illiquidità del credito fatto valere in sede di ottemperanza, perché:

a1) la somma da corrispondere al ricorrente in forza dell’azionata sentenza non è stata determinata nel suo ammontare nel titolo giudiziale e non è determinabile in modo pacifico in questa sede mediante una semplice operazione aritmetica;

a2) infatti, né la motivazione né il dispositivo della sentenza azionata recano l’indicazione analitica degli importi retributivi presi effettivamente in considerazione dal giudice ordinario in modo da poter addivenire all’esatta determinazione del pagamento dovuto.

a3) si tratta, in sostanza e come peraltro chiarito nella stessa parte motiva del titolo giudiziale in parola (cfr. pag. 16), di una sentenza recante condanna generica, come tale non suscettibile di essere portata ad esecuzione mediante il rimedio dell’ottemperanza;
tale tipo di sentenza non solo non costituisce valido titolo esecutivo per difetto del requisito di liquidità del diritto portato dal titolo ex art. 474 c.p.c., ma implica, altresì, che per la sua attuazione dovrebbe essere svolto un accertamento nel merito del rapporto sottostante (oggetto della cognizione del giudice ordinario), che non può essere effettuato nell’ambito del giudizio di ottemperanza da parte del giudice amministrativo, essendo quest’ultimo sprovvisto di giurisdizione su tale rapporto;

b) in tema di richiesta di pagamento di somme di denaro, secondo la giurisprudenza consolidata, il creditore può certamente agire davanti al giudice amministrativo per l’ottemperanza di una sentenza di condanna, non generica, del giudice civile passata in giudicato;
mentre la sentenza di condanna che non contiene l’esatta determinazione della somma dovuta, costituisce titolo esecutivo solo a condizione che dal complesso delle informazioni rinvenibili nel dispositivo e nella motivazione possa procedersi alla quantificazione con un'operazione meramente matematica;
in assenza di tali requisiti, la domanda di esecuzione davanti al giudice amministrativo di una condanna generica, relativa cioè al pagamento di una somma non determinata nel suo ammontare e non determinabile in modo pacifico, risulta inammissibile, trattandosi di sentenza che non costituisce valido titolo esecutivo;
infatti, è precluso al giudice amministrativo, investito dell’ottemperanza, effettuare nuove valutazioni in fatto e in diritto su questioni che non sono state specificamente dedotte o trattate nel giudizio definito con la sentenza del giudice civile da ottemperare, la cui cognizione, nel caso di perdurante contrasto fra le parti, spetta al giudice ordinario.

5. L’appellante censura la sentenza gravata per aver erroneamente ritenuto che, in presenza di una condanna senza la quantificazione dell’importo del risarcimento, non fosse possibile l’esecuzione da parte del giudice amministrativo, per essere ancora necessari accertamenti di merito sul rapporto sottostante e per non potersi pervenire alla quantificazione con una operazione meramente matematica.

5.1. L’appello è fondato e va accolto.

6. Il T.a.r. pur correttamente evocando principi consolidati nella giurisprudenza, relativi alle condizioni necessarie perché sia eseguibile un condanna del giudice ordinario che non quantifichi l’importo dovuto dall’amministrazione, non li ha correttamente applicati alla fattispecie.

6.1. Ritiene il Collegio che per l’esecuzione della sentenza ottemperanda non debba essere svolto nessun accertamento nel merito del rapporto dedotto dinanzi al giudice civile.

Infatti, emerge inequivocabilmente dalla sentenza della Corte di appello, come già sintetizzata ai fini di interesse (§ 3.1.e 3.2.), che: - è chiaramente individuato il titolo dell’inadempimento dell’Amministrazione quale comportamento illegittimo del legislatore nell’ambito dell’ordinamento comunitario: - sono stati accertati come sussistenti gli elementi di fatto costituitivi del diritto al risarcimento.

6.2. Ai fini dell’esatta determinazione della somma dovuta, non è necessario altro se non un'operazione meramente matematica.

Infatti, la sentenza della Corte d’appello individua l’importo dovuto – quale ristoro per equivalente - con un chiaro rinvio alla differenza tra quanto percepito negli anni di frequentazione dei corsi e quanto avrebbe dovuto percepire quale “adeguata remunerazione” rispettosa della direttiva comunitaria del 1993, come individuata dallo stesso legislatore a partire dall’anno accademico 2006/2007.

6.2.1. Il quantum percepito negli anni accademici dal 1998/1999 al 2002/2003, risulta dall’attestazione della Università degli studi di Napoli Federico II ed è pari a euro 58.017,30 (All I depositato dall’Amministrazione nel giudizio dinanzi al T.a.r.).

Si tratta, sulla base di quanto argomentato dalla stessa Corte di appello, della borsa di studio introdotta, con un importo determinato per l’anno 1991 dall’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991, in attuazione della precedente direttiva 82/76;
importo incrementato una sola volta, nonostante fosse prevista la rideterminazione triennale, e applicabile secondo successive norme di legge sino all’anno accademico 2004/2005.

6.2.2. Il quantum che il medico specializzando avrebbe dovuto percepire, rilevante ai soli fini della quantificazione del risarcimento per equivalente, è stato chiaramente indicato dalla sentenza ottemperanda nelle somme stabilite, dai d.P.C.m 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007, per l’anno accademico 2006/2007 ai fini della prima applicazione della “remunerazione adeguata”, sulla base della novella all’art. 39 del d.lgs n. ad opera dell’art. 1, comma 300 della l. n. 266 del 2005.

Va aggiunto, che la sentenza ha direttamente richiamato gli importi che risultano cristallizzati nei d.P.C.m. suddetti. Più precisamente – dato che il d.P.C.M. del luglio concerne la definizione delle schema tipo di contratto di formazione e che quello del novembre concerne il fabbisogno finanziario previsto - gli importi cui avrebbe avuto diritto, rilevanti solo per la quantificazione del risarcimento, sono individuati dal d.P.C.m. del marzo 2007, in euro 22.700,00, quale parte fissa annua lorda per ciascun anno di formazione, nonché in euro 2.300,00 per ciascuno dei primi due anni, e in euro 3.300,00 per ciascuno degli anni successivi, quale parte variabile annua lorda determinata per la prima applicazione.

6.2.3. In definitiva, la somma spettante risulta dalla sottrazione dell’importo percepito dall’importo determinato sulla base della quantificazione prevista dagli artt. 2 e 3 del d.P.C.m. del 2007 per la prima applicazione della remunerazione adeguata secondo il diritto europeo.

6.3. L’accoglimento dell’appello determina l’integrale riforma della sentenza gravata.

7. L’originario ricorrente ha chiesto al T.a.r. l’ottemperanza del suddetto giudicato, invocando anche – sulla base di una nota contabile – anche la rivalutazione monetaria.

7.1. La pretesa, a prescindere dal profilo se si possa ritenere ritualmente riproposta con l’appello, posto che l’appellante si è limitato a richiamare la citata nota contabile, è priva di fondamento.

7.2. Sicuramente, la pretesa non trova fondamento nel decisum della sentenza ottemperanda, la quale ha riconosciuto solo gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale, quindi dal 13 giugno 2008, sino al soddisfo. Tanto, coerentemente con la riconduzione, effettuata dalla stessa sentenza, del diritto al risarcimento all’inadempimento di una obbligazione ex lege dello Stato di natura indennitaria, dalla quale sorgono gli interessi legali e non la rivalutazione, salvo la prova del maggior danno ai sensi del capoverso dell’art. 1224 c.c.

7.3. Del resto, in tal senso si è oramai consolidata la giurisprudenza della Corte di cassazione civile (tra le tante, Ord. sez. III, n. 21685 del 2016).

8. In conclusione, l’appello è accolto e, per l’effetto, in totale riforma della sentenza gravata, è accolto il ricorso per l’ottemperanza proposto dinanzi al T.a.r. con l’esclusione della rivalutazione monetaria.

8.1. L’Amministrazione è condannata al pagamento in favore dell’appellante della somma risultante dalla differenza tra quanto effettivamente percepito e quanto avrebbe dovuto percepire sulla base degli importi individuati dagli artt. 2 e 3 del d.P.C.m. del 7 marzo 2007 per i cinque anni accademici durante i quali ha frequentato i corsi di specializzazione, oltre interessi legali dal 13 giugno 2008 al saldo.

8.2. Si dispone che il pagamento avvenga entro 90 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica (se precedente) della presente sentenza.

8.3. Si dispone che, in caso di ulteriore inadempimento, al pagamento provveda il commissario ad acta , qui nominato nella persona del Prefetto di Roma, o funzionario dallo stesso delegato, previa richiesta dell’appellante una volta scaduto inutilmente il termine di 90 giorni predetto.

9. Le spese processuali seguono la soccombenza per entrambi i gradi di giudizio, anche in considerazione della circostanza che solo nel tempo si e venuta consolidando la giurisprudenza sulla natura del credito vantato quale credito di valuta.

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