Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-10-26, n. 201806081

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-10-26, n. 201806081
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201806081
Data del deposito : 26 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/10/2018

N. 06081/2018REG.PROV.COLL.

N. 10183/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10183 del 2015, proposto da P C, M M C, C S, E P, G D M, G G, O S, A C, G T, C L, C M, M G L, Raffaele Dell’Anna, G Gvasi, N A Z, A R, G C, G M, T C, P S G, N C, A P, D M, F P, F D T, M G, E P, C B, M G B, rappresentati e difesi dall’Avvocato A P, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato T M in Roma, via Umberto Natale Bertoletti, n. 10;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Direttore Generale di Pubblica Sicurezza, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza 10011 del 21 luglio 2015 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I, resa tra le parti, concernente il diniego di revisione del trattamento economico


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2018 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per gli odierni appellanti, in epigrafe meglio indicati, l’Avvocato A P e per l’odierno appellato, il Ministero dell’Interno, l’Avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Gli odierni appellanti, P C, M M C, C S, E P, G D M, G G, O S, A C, G T, C L, C M, M G L, Raffaele Dell’Anna, G Gvasi, N A Z, A R, G C, G M, T C, P S G, N C, A P, D M, F P, F D T, M G, E P, C B, M G B, tutti in servizio presso la Polizia di Stato al momento della proposizione del ricorso nel 2002 avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, lamentano di essere stati penalizzati dai provvedimenti di riordino delle carriere delle Forze di Polizia, adottati in applicazione del d. lgs. n. 197 del 1995.

1.1. Essi, in applicazione dell’art. 13, lett. d), del citato d. lgs. n. 197 del 1995, sono stati inizialmente inquadrati nel ruolo degli Ispettori, con la qualifica di viceispettore a decorrere dal 1° settembre 1995, con la maturazione di due scatti in più rispetto al trattamento economico goduto sino a quel momento (corrispondente al VI livello).

1.2. Successivamente, in applicazione del combinato disposto del già citato art. 13 e 3, comma 6, del d. lgs. n. 197 del 1995, gli odierni appellanti sono stati promossi, sempre con decorrenza dal 1° settembre 1995 e, perciò, con effetto retroattivo, alla qualifica di ispettore, essendo stati equiparati i due anni con la qualifica di sovrintendente a quelli con la qualifica di vice ispettore, con il diritto di beneficiare del trattamento economico corrispondente al livello VI bis , ma con un solo scatto in più rispetto a quello di cui godevano nella qualifica di sovrintendente.

1.3. Al contrario, coloro che, pur avendo la qualifica di sovrintendente, non erano stati inquadrati nel ruolo superiore, ai sensi dell’art. 14, lett. d), del d. lgs. n. 197 del 1995, ma avevano comunque maturato il diritto a due scatti in virtù dell’anzianità posseduta, al momento in cui sono transitati nel ruolo degli ispettori, venendo inquadrati nel livello IV bis , hanno conseguito un ulteriore scatto.

2. Gli odierni appellanti, quindi, hanno dedotto avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, la violazione degli artt. 12 e 15 del d. lgs. n. 197 del 1995 e l’errata interpretazione di legge e hanno evidenziato che l’art. 4 del d.l. n. 5 del 1992, per il periodo transitorio di primo inquadramento, prevede che al personale transitato nel ruolo superiore compete il trattamento economico più favorevole tra quello risultante in base all’art. 3 del decreto e quello risultante dalla promozione o inquadramento nel livello superiore, sostenendo quindi che nei loro riguardi non sarebbe stato previsto tale trattamento economico più favorevole in quanto gli stessi, dopo essere stati inquadrati, con decorrenza dal 1° settembre 1995 a vice ispettori della Polizia di Stato, successivamente hanno conseguito, con decorrenza retroattiva al 1° settembre 1995, il passaggio alla qualifica di ispettore per merito assoluto, ma senza ottenere il riconoscimento dei due scatti retributivi.

2.1. Essi hanno anche dedotto la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 197 del 1995 avrebbe determinato una situazione di disparità di trattamento economico tra il personale che svolge le medesime mansioni, rivesta pari qualifica ed è inquadrato nello stesso livello, con violazione dei principî di uguaglianza e di imparzialità della pubblica amministrazione sanciti dalle citate disposizioni costituzionali.

2.2. Nel primo grado del giudizio si è costituito il Ministero dell’Interno per resistere al ricorso, di cui ha chiesto la reiezione.

2.3. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, con la sentenza n. 10111 del 31 luglio 2015 ha respinto il ricorso.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto appello, deducendo un unico articolato motivo, gli odierni interessati e ne hanno chiesto la riforma, con il conseguente accoglimento della domanda proposta in primo grado.

3.1. Si è costituito il Ministero dell’Interno, odierno appellato, per resistere al gravame.

3.2. Nell’udienza pubblica del 13 ottobre 2018 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

4. L’appello è infondato.

5. Ritiene il Collegio di poter richiamare anche ai sensi dell’art. 3, comma 2, e dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a., la propria consolidata giurisprudenza (v., ex plurimis , Cons. St., sez. III, 2 marzo 2016, n. 872) sulle questioni, oggetto del presente giudizio.

5.1. Anche l’intera vicenda portata alla cognizione di questo Collegio, al pari di quella esaminata da questo Consiglio di Stato nella sentenza della sez. III, 2 marzo 2016, n. 872, è stata condizionata dalla circostanza che, grazie alle norme transitorie contenute nell’art. 13 del del d. lgs. n. 197 del 1995, gli appellanti hanno conseguito il passaggio ope legis dalla qualifica di sovrintendente al ruolo degli ispettori e, per di più, non nella qualifica iniziale di quest’ultimo (vice ispettore), ma direttamente nella qualifica di ispettore, o più precisamente, sono stati adottati nei loro confronti due provvedimenti successivi con la stessa decorrenza dal 1° settembre 1995 e, cioè, il primo con l’inquadramento come vice ispettori, il secondo come ispettori.

5.2. È evidente che questa duplice promozione ha comportato per essi un sensibile vantaggio in termini di carriera, anche sotto il profilo dell’avvicinarsi dell’aspettativa delle ulteriori promozioni alle qualifiche di ispettore capo e di ispettore superiore, e anche in termini economici.

5.3. Quindi, considerato che gli scatti sono legati alla qualifica posseduta, la mancata maturazione di uno o più scatti nella posizione di viceispettore non è stato altro che un effetto obbligato, ma secondario, di questa eccezionale accelerazione di carriera, non assimilabile alla progressione di carriera di altri colleghi, che sono invece pervenuti successivamente, nella via “ordinaria”, alla qualifica di ispettore, conseguendo uno scatto in più connesso a tale normale progressione.

5.4. Non vi è in questo meccanismo derogatorio, eccezionale e transitorio, alcuna ingiustificata parità di trattamento, come ora si dirà, né rispetto ad altri ispettori della Polizia di Stato né rispetto ad altre Forze di Polizia.

6. Si deve anzitutto ricordare, richiamando l’indirizzo seguito da questo stesso Cons. St., sez. III, 2 marzo 2016, n. 872, che negli ordinamenti più risalenti del pubblico impiego, basati sul testo originario del testo del d.P.R. n. 3 del 1957, il trattamento economico di un impiegato era determinato esclusivamente dalla sua qualifica e dall’anzianità maturata nella stessa qualifica.

6.1. Invece in tempi più recenti – sotto l’influsso della contrattazione collettiva – sono stati adottati criteri più complessi e più articolati;
in particolare, sono stati introdotti meccanismi di valutazione “anche” dell’anzianità maturata nelle qualifiche inferiore a quella di attuale appartenenza, donde il concetto di “retribuzione individuale di anzianità” (R.I.A.).

6.2. In sostanza la retribuzione totale è il risultato di una combinazione fra la posizione di carriera dell’impiegato e la sua anzianità complessiva.

6.3. In questo contesto può accadere che un impiegato con una determinata qualifica abbia un trattamento economico complessivo, che per qualche profilo risulta meno vantaggioso di quello di un altro impiegato pervenuto alla stessa qualifica, ma con modalità procedurali differenti.

6.4. In genere, tuttavia, queste eventualità sono temporanee, perché l’impiegato che ha una posizione di carriera più elevata si trova generalmente favorito nell’accedere a posizioni ancora più vantaggiose e così raggiungere un livello retributivo più soddisfacente.

6.5. Per alcune categorie del pubblico impiego le disposizioni, che hanno introdotto questi meccanismi di valutazione delle anzianità maturate nelle qualifiche inferiori a quella attuale, prevedevano originariamente un correttivo denominato usualmente “ allineamento stipendiale ”, che consisteva nell’attribuire all’impiegato con maggiore anzianità nella qualifica uno stipendio comunque non inferiore rispetto a quello del collega promosso successivamente alla medesima qualifica.

6.6. Ma tutte queste disposizioni sono state abrogate dall’art. 2, comma 4, del d.l. n. 333 del 1992, convertito in l. n. 359 del 1992.

6.7. Successivamente l’art. 7, comma 7, del d.l. n. 384 del 1992 ha ribadito che « l’art. 2, comma 4, del D.L. 11 luglio 1992, n. 333 , convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359 , va interpretato nel senso che dalla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge non possono essere più adottati provvedimenti di allineamento stipendiale ».

6.8. La legislazione successiva non ha fatto altro che confermare questo principio e la Corte costituzionale ha giudicato ripetutamente che il divieto dell’“ allineamento stipendiale ” non confligge con principi di ordine costituzionale (sent. n. 6/1994 e successive).

7. L’azione proposta dagli attuali appellanti davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sotto alcuni profili, sembra sostenuta da argomentazioni analoghe a quelle poste a sostegno dell’istituto dell’“allineamento stipendiale”, in specifica correlazione all’ordinamento settoriale delle Forze di Polizia.

7.1. Ma la pretesa è infondata anche in riferimento alle disposizioni ordinamentali vigenti in subiecta materia e lo è manifestamente, altresì, se prospettata come questione di costituzionalità in riferimento all’art. 76 Cost., per il preteso contrasto con i principî di omogeneizzazione e di equiordinazione fissati dal legislatore delegante nella l. n. 216 del 1992, considerati i puntuali precedenti della Corte costituzionale, che si è già pronunciata – v., in particolare, nelle sentenze n.151 del 30 aprile 1999 e n. 63 del 17 marzo 1998 – sulla legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, lett. d), del d. lgs. n.197 del 1995, precisando che il ruolo dei sovrintendenti è rimasto, comunque, distinto da quello degli ispettori, in quanto nel 1995 solo con norma transitoria si era previsto l’inquadramento del personale con qualifica di sovrintendente e vice sovrintendente, in possesso di una certa anzianità, nella qualifica di ispettore.

7.2. Le argomentazioni degli appellanti, i quali deducono che dalla sentenza impugnata verrebbero frustrate « le legittime richieste dei dipendenti della Polizia di Stato che sono stati penalizzati non solo rispetto a colleghi dello stesso Corpo di Polizia, ma addirittura rispetto agli analoghi delle altre Forze dello Stato » (p. 10 del ricorso) come i Carabinieri, non possono trovare accoglimento, perché, come ha chiarito la Corte costituzionale, il ruolo dei sovrintendenti è rimasto distinto da quello degli ispettori, essendosi operato in via transitoria un inquadramento degli allora sovrintendenti e vice sovrintendenti in qualifiche del ruolo ispettori, con un beneficio concesso al principale scopo di riallineare la originaria equiparazione tra sottufficiali e di ridurre le discrasie dovute alle differenze dei vice sovrintendenti e sovrintendenti rispetto alle altre forze di Polizia (Corte cost., 30 aprile 1999, n. 151).

7.3. Il giudice delle leggi ha comunque chiarito che le disposizioni del d. lgs. n. 197 del 1995 costituiscono una scelta discrezionale di politica legislativa, esercitata, in modo non palesemente arbitrario né manifestamente irrazionale, entro l’oggetto, i criterî e i principî direttivi della delega legislativa, come interpretata dalla sent. n. 63 del 17 marzo 1998.

7.4. La stessa Corte costituzionale « ha ripetutamente sottolineato l’esistenza di un’ampia discrezionalità del legislatore in tema di inquadramento del personale e di articolazione delle qualifiche, specie nel passaggio da un ordinamento all’altro (v., da ultimo, sent. n. 217 del 1997;
sent. n. 4 del 1994;
sent. n. 448 del 1993 e sent. n. 324 del 1993)
» e, d’altro canto, ha pure osservato che « le stesse norme impugnate non sono in contrasto con gli scopi fissati nel conferimento della delega, cioè di conseguire una disciplina omogenea di carriere, attribuzioni e trattamenti economici, collegata ai rispettivi compiti istituzionali, e una sostanziale equiordinazione dei compiti raggiungibile anche attraverso modifiche degli ordinamenti e dei ruoli con le occorrenti disposizioni transitorie » (Corte cost., 30 aprile 1999, n. 151).

7.5. Né le modifiche ordinamentali e di trattamento intervenute con riferimento ai sovrintendenti ed agli ispettori, come sembrano adombrare gli appellanti, erano precluse dalla delega legislativa e dai relativi criterî e principî direttivi, che espressamente prevedevano « la revisione dei ruoli, gradi e qualifiche e, ove occorra, anche mediante la soppressione di qualifiche, gradi, ovvero mediante la istituzione di nuovi ruoli, qualifiche e gradi », con le occorrenti disposizioni transitorie.

7.6. Come si vede, infatti, la delega era di tale ampiezza da consentire certamente modificazioni dell’ordinamento del personale e dei ruoli ai fini di migliore organizzazione e, di conseguenza, il mutamento del precedente assetto per dette categorie e ruoli non può essere riproposto neppure sotto un indiretto profilo di violazione dell'art. 97 della Costituzione (Corte cost., 17 marzo 1998, n. 63).

8. Gli odierni appellanti alla data del 1° settembre 1995, per effetto delle disposizioni del d. lgs. n. 157 del 1992 e del conseguente decreto emanato dal Capo della Polizia, rivestivano la qualifica di ispettori, ai quali competeva l’attribuzione del corrispondente livello VI bis e di uno scatto.

8.1. Legittimamente, alla luce di quanto sin qui si è chiarito e delle disposizioni vigenti in materia, ad essi non è stato comunque attribuito un trattamento superiore a quello percepito nella qualifica di vice ispettore, non potendosi prospettare, per tutte le ragioni sin qui viste, alcuna disparità di trattamento né rispetto ai colleghi transitati poi nel ruolo di ispettori né rispetto alle altre Forze di Polizia.

8. Di qui, proprio per tali ragioni, discende l’infondatezza della pretesa, in questa sede azionata, e la conferma della sentenza impugnata che, anche per tutte tali ragioni, merita conferma nella sua conclusiva statuizione di reiezione, risultando legittimi i provvedimenti in questa sede impugnati.

9. Le spese del presente grado del giudizio, attesa, comunque, la specifica complessità della questione sulla quale si è pronunciata, peraltro, la Corte costituzionale in ripetute sentenze di cui si è dato sin qui conto, possono essere interamente compensate tra le parti.

9.1. Rimane comunque definitivamente a carico degli appellanti, per la loro soccombenza, il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame.

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