Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-10-22, n. 201504865

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-10-22, n. 201504865
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201504865
Data del deposito : 22 ottobre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04993/2006 REG.RIC.

N. 04865/2015REG.PROV.COLL.

N. 04993/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4993 del 2006, proposto dal sig. G S, rappresentato e difeso dall'avv. A F, con domicilio eletto presso l’avv. Paolo Fiorilli in Roma, Via Cola di Rienzo, n. 180;

contro

la Regione Veneto, in persona del Presidente della giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, con la quale è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO, Sez. II, n. 273/2006, resa tra le parti, concernente l’inquadramento dell’interessato.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Veneto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2015 il Cons. Nicola Gaviano e udita per la Regione Veneto l’avvocato dello Stato Marinella di Cave;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il sig. Silvio G con ricorso al T.A.R. per il Veneto notificato il 4 aprile 1995 e ritualmente depositato chiedeva l’annullamento dei provvedimenti della Regione Veneto del 28 febbraio 1985 e 30 gennaio 1995, domandando l’accertamento della fondatezza della propria pretesa di ottenere il trattamento economico proprio della 7° qualifica funzionale per il periodo dal 1° ottobre 1978 al 30 settembre 1990.

2. L’interessato premetteva di avere disimpegnato per più di trent’anni le mansioni di direttore del Centro di formazione professionale di Cologna Veneta.

Originariamente inquadrato nell’I.N.I.A.S.A. - Istituto Nazionale Istruzione ed Addestramento Settore Artigiano, egli era stato in seguito trasferito alle dipendenze della Regione Veneto ai sensi del d.m. 1.8.1972, in applicazione dell’art. 2 del d.P.R. 15.1.1972 n. 10.

La Regione gli aveva inizialmente conferito la qualifica di collaboratore (carriera di concetto - V° livello).

Il sig. G si era però doluto del relativo trattamento, agendo in giudizio, e il T.A.R. Veneto con sentenza n. 257 del 30.1/4.4.1981 aveva riconosciuto la fondatezza della sua pretesa di maggiore retribuzione.

Sulla base di tale sentenza le parti erano indi pervenute a un accordo transattivo, formalizzato con delibera di G.R. n. 2130 del 1982.

In seguito a ciò al sig. G per il periodo dal 1973 al 30 settembre 1978 era stato attribuito il trattamento corrispondente alla qualifica di funzionario.

A decorrere dal 1° ottobre 1978, data di vigenza del nuovo regime ex L. n. 65/1979, la Regione gli aveva però riconosciuto il VI livello, e non il VII. Soltanto successivamente, con D.G.R. 11.9.1990 applicativa dell’art. 34 della L.R. 17.4.1990 n. 25, all’interessato era stata attribuita la qualifica di funzionario (VIII) con la relativa indennità ex art. 29 L.R. n. 25/1988, sempre in quanto responsabile del Centro di formazione professionale di Cologna Veneta.

Nell’occasione il sig. G aveva allora reiterato la propria richiesta di revisione del trattamento economico che gli era stato corrisposto medio tempore , ossia dal 1° ottobre 1978, ma la Regione, con nota 25 settembre 1991, prot. n. 021094/14112, aveva rigettato la sua istanza. E lo stesso si era verificato con l’atto della Regione del 30 gennaio 1995, reiettivo della sua rinnovata richiesta del dicembre del 1994.

3. A sostegno del nuovo ricorso giurisdizionale del sig. G venivano dedotti motivi che il Giudice di prime cure avrebbe così riassunto.

Mancata attribuzione al ricorrente del trattamento economico corrispondente alle mansioni svolte, con derivata illegittimità degli atti gravati, violazione degli artt. 36 Cost., 2041 ss. c.c., 51 co. 3 Statuto Regione Veneto.

Le censure si dipartono l’una dalla contestazione dell’inadempimento, da parte della P.A., d’una transazione intercorsa dalle parti, l’altra dal rilievo dell’illiceità del diniego dell’attribuzione del trattamento economico corrispondente alle mansioni svolte, conosciute e profittevolmente utilizzate dalla resistente.

Viene rilevato come le istanze di reinquadramento e riconoscimento delle mansioni superiori periodicamente inoltrate dal ricorrente rappresentino fatti interruttivi, di talchè la pretesa azionata si estende all’intero decennio indicato in fatto.

In quanto scaturite da un atto squisitamente paritetico, quale il negozio transattivo, le reciproche posizioni di diritto-obbligo insorte non possono essere ritenute degradate dai successivi atti amministrativi esecutivi del negozio.

La pretesa del G si fonda sia sul principio della retribuibilità delle mansioni superiori svolte, sia sul diritto sorto ex art. 1965 c.c. a che la P.A. adempia esattamente ed integralmente al negozio transattivo.

La domanda svolta, che invoca la violazione degli artt. 1175-1176 in relazione al 1218 c.c. a sostegno della domanda di annullamento degli atti gravati, si configura altresì quale domanda di adempimento ex art. 1453 c.c. per ciò che attiene alla domanda di esatto adempimento delle obbligazioni sorte in capo alla P.A. dalla ricordata transazione.

Si rimarca come sia stato riconosciuto al ricorrente l’esercizio continuativo di mansioni superiori protratto per più di venti anni .

Non può ritenersi che il diritto alla retribuzione corrispondente alle funzioni svolte degradi di fronte a provvedimenti recettivi emanati da una P.A: consapevole utilizzatrice dell ’apporto professionale del dipendente svolgente mansioni superiori .”

La Regione si costituiva in giudizio controdeducendo in fatto e in diritto alle affermazioni del ricorrente.

4. All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale adìto, con la sentenza n. 273/2006 in epigrafe, dichiarava inammissibile il ricorso, sul rilievo di fondo dell’omissione d’impugnativa, a tempo debito, di tutti i provvedimenti d’inquadramento assunti dalla Regione nei confronti dell’interessato dal 1978. Il Tribunale rilevava in pari tempo anche l’infondatezza della pretesa del ricorrente di vedersi remunerato per le mansioni superiori asseritamente svolte.

5. Seguiva avverso tale decisione la proposizione del presente appello da parte del soccombente, che riproponeva le proprie pretese, doglianze e deduzioni.

La Regione resisteva al ricorso avversario anche in questo nuovo grado di giudizio.

In seguito la parte appellante, nella persona del sig. Andrea G, erede dell’originario ricorrente, insisteva con un conclusivo scritto per l’accoglimento dell’appello.

Alla pubblica udienza del 29 settembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. L’appello è infondato.

La difesa regionale ha fatto esattamente notare come il presente atto di appello sia di comprensione non del tutto agevole, a causa della commistione, che lo caratterizza, tra le rivendicazioni dell’interessato di natura meramente retributiva e quelle che sarebbero intese, invece, a fargli ottenere un più elevato livello d’inquadramento in ruolo.

7. Tanto doverosamente premesso, la Sezione deve subito convenire con il primo giudice sulla conclusione che l’omessa impugnazione a tempo debito degli atti d’inquadramento che avevano definito la posizione del ricorrente in seno all’organizzazione amministrativa, atti pertanto ormai definitivamente consolidatisi, non consente di giudicare che in termini d’inammissibilità la sua tardiva domanda giudiziale di revisione dell’inquadramento attribuitogli.

Non può accedersi, invero, all’assunto di parte secondo cui il relativo termine per ricorrere fosse stato riaperto dall’adozione dell’atto della Regione del 30 gennaio 1995 formalmente impugnato in questa sede, reiettivo della richiesta del dipendente del dicembre del 1994. Ciò per la semplice ragione che l’Amministrazione con tale atto si era espressa unicamente sulla richiesta di differenze (meramente) stipendiali avanzata dall’interessato, e non già su problematiche d’inquadramento.

Né il ricorrente può sottrarsi alle conseguenze della pregressa inosservanza del proprio onere d’impugnazione nel termine decadenziale invocando la posizione di diritto soggettivo che gli sarebbe derivata dall’accordo transattivo formalizzato con la delibera di G.R. n. 2130/1982. Anche la detta transazione, infatti, non diversamente dalla sentenza del T.A.R. n. 257/1981 da cui era scaturita, riguardava appunto problematiche di mere differenze retributive, senza investire il tema del corretto livello d’inquadramento di pertinenza del dipendente.

Ne consegue che l’asserto della parte secondo cui l’ottenimento di un inquadramento nella VII q.f. le spettasse già in via di “ esatta applicazione ” della medesima sentenza n. 257, si rivela anche infondato nel merito (oltretutto, è pacifica tra le parti l’avvenuta reiezione, con la sentenza del T.A.R. Veneto n. 22/1986, dell’ulteriore ricorso giurisdizionale esperito dal sig. G contro l’annullamento in sede di controllo della delibera regionale che nel 1980 lo aveva inquadrato come funzionario ex L.R. n. 56/1977).

8. Resta da dire della rivendicazione meramente economica parimenti azionata nel presente giudizio.

La reiezione della pretesa è imposta da due ordini di considerazioni.

8a. Il ricorrente si duole principalmente di un’incompleta esecuzione del già menzionato accordo transattivo (di cui peraltro non risulta prodotto il testo).

La parte non ha però offerto alcun argomento suscettibile di confutare l’interpretazione data dall’Amministrazione all’accordo stesso, corroborata dall’avviso espresso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato con la nota n. 2429 del 27 febbraio 1985 citata dall’atto impugnato.

La Regione, invero, dopo aver ricordato che l’accordo prevedeva che l’interessato, avente la qualifica di collaboratore (V), dovesse conseguire le differenze retributive riflettenti il superiore trattamento economico di funzionario ( ex L.R. n. 25/1973) con decorrenza dal 1973, ha fatto notare:

- che dal 1973 al 1978 al medesimo erano state appunto corrisposte le dette differenze retributive rispetto al trattamento economico immediatamente superiore;

- che in seguito, tuttavia, in forza della sopraggiunta L.R. n. 65 del 1979, il dipendente aveva conseguito a tutti gli effetti, con decorrenza dal 1° ottobre 1978, l’inquadramento superiore nella carriera direttiva al VI livello – qualifica di istruttore.

Sicché è per quest’ultima ragione che l’applicazione dell’accordo transattivo aveva avuto luogo solo fino al 30 settembre del 1978, allorché era cessata dinanzi al formale e definitivo conseguimento da parte dell’interessato della qualifica superiore. Da tale data per effetto del nuovo inquadramento ex L.R. n. 65/1979 nella qualifica direttiva il sig. G aveva acquisito, difatti, un nuovo titolo giuridico di spettanza del trattamento economico superiore.

Ciò posto, lo stesso ricorrente ha ammesso che con la detta L.R. n. 65 la posizione di funzionario era stata “sdoppiata” nelle posizioni di istruttore (VI) e di esperto (VII) (cfr. il ricorso introduttivo e l’appello, entrambi alla pag. 3), ma non ha fornito, per contro, alcun argomento idoneo a sorreggere il proprio postulato che un inquadramento nella prima delle due qualifiche non sarebbe stato sufficiente a far considerare esaurita l’esecuzione dell’accordo transattivo. Assunto che, oltretutto, gli avrebbe fatto conseguire una remunerazione superiore con un duplice salto di livello (dal V al VII), laddove la giurisprudenza è da tempo consolidata nel limitare la remunerabilità delle mansioni superiori alla qualifica immediatamente superiore a quella rivestita, escludendo la possibilità di riconoscimenti per saltum (cfr. tra le tante C.d.S., V, 30 agosto 2013, n. 4325, e 28 settembre 2007, n. 4973;
III, 20 maggio 2014, n. 2528;
IV, 16 luglio 2010, n. 4596).

8b. Il ricorrente, nel reclamare una remunerazione delle proprie mansioni superiori, tenta infine di ancorare la propria pretesa con un richiamo alle norme di legge.

In precedenza si è però già visto come con la sentenza oggetto di gravame la pretesa di parte fosse stata già valutata come infondata. Il T.A.R. ha rammentato, infatti, che “ la Giurisprudenza ha chiarito con riferimento al periodo ante D. L.vo 29.10.1998 n. 387 che ”Le mansioni svolte di fatto da un dipendente pubblico, che siano superiori rispetto a quelle dovute sulla base della qualifica posseduta, sono del tutto irrilevanti sia ai fini economici, sia ai fini della progressione di carriera, salvo che la legge non disponga diversamente ”.

Orbene, questa valutazione con il presente appello non ha formato oggetto di specifiche e puntuali critiche, in quanto parte ricorrente si è limitata, in proposito, a riproporre sic et simpliciter il testo dell’originario ricorso introduttivo (come viene del resto riconosciuto alla pag. 6 dell’atto di appello).

Secondo l’insegnamento giurisprudenziale, tuttavia, non può ammettersi nell’atto di appello la mera riproposizione dei motivi di primo grado, senza che sia sviluppata alcuna confutazione della statuizione del primo giudice. Nel giudizio di appello, che non è un iudicium novum , la cognizione del giudice investe le questioni dedotte dall’appellante attraverso l’enunciazione di specifici motivi, e tale requisito di specificità dei motivi esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime (C.d.S., IV, 9 ottobre 2010, n. 7384).

La parte soccombente, quando adisce il giudice di appello, non può pertanto limitarsi a riproporre i motivi di doglianza già dedotti e disattesi dal primo giudice, ma deve anche indicare le ragioni per le quali le conclusioni cui quest'ultimo è pervenuto non possono essere condivise: nell'attuale sistema di giustizia amministrativa il giudizio di primo grado non è difatti un passaggio obbligato che il soggetto è costretto suo malgrado a percorrere pur di giungere dinnanzi al Giudice di appello e ottenere da questi la decisione finale sulla fondatezza della pretesa, ma una fase essenziale del processo amministrativo, nel corso della quale il giudice adito confronta le opposte tesi e dichiara quale va ritenuta fondata (V, 17 ottobre 2008, n. 5065).

Da qui l’onere dell'appellante di investire puntualmente il decisum di prime cure e, in particolare, precisare i motivi per cui questo sarebbe erroneo e da riformare (V, 6 ottobre 2009, n. 6094 e 23 dicembre 2008, n. 6535;
VI, 24 aprile 2009, n. 2560 e 9 settembre 2008 , n. 4300): onere che nella fattispecie è rimasto inadempiuto.

9. Per le ragioni esposte l’appello deve essere integralmente respinto.

La peculiarità della vicenda induce tuttavia la Sezione a disporre anche per questo grado di giudizio la compensazione delle spese processuali tra le parti.

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