Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-10-21, n. 201305090
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N. 05090/2013REG.PROV.COLL.
N. 07488/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7488 del 2010, proposto da:
Impresa Edile Mascioli Dino Guglielmo E Figlio Snc, rappresentato e difeso dagli avv. V C, S S, con domicilio eletto presso Clementino Palmiero in Roma, via Albalonga, 7;
contro
Comune Di Campobasso, rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio eletto presso Cons. Di Stato Segreteria in Roma, p.za Capo di Ferro 13;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. MOLISE - CAMPOBASSO: SEZIONE I n. 00573/2009, resa tra le parti, concernente diniego sanatorie edilizie
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune Di Campobasso;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Clementino Palmiero (su delega di A C) e V C (anche su dichiarata delega di S S);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appellata sentenza di primo grado il Tar Molise ha riunito e deciso sei distinti ricorsi connessi, con i quali lo stesso soggetto, odierno appellante, impugnava una serie di atti aventi ad oggetto una serie di provvedimenti comunali di diniego di permessi, una ordinanza di demolizione, un successivo diniego di permesso in sanatoria.
La società appellante, avendo chiesto la sanatoria dei lavori di costruzione di un fabbricato ricadente nel piano di zona “San Giovanni dei Gelsi” in Campobasso, per il mutamento di destinazione d’uso di un volume tecnico in locale da destinare ad attività produttive, insorgeva avverso i successivi atti di diniego della sanatoria edilizia, e in particolare: avverso il provvedimento 26.10.92 con il quale il Comune di Campobasso negava la concessione in sanatoria per la trasformazione di un volume tecnico in locale destinato ad attività industriale e artigianale;avverso il provvedimento datato 8.9.1994, dell’assessorato comunale all’urbanistica, pervenuto al ricorrente il 14.9.1994, con il quale il Comune di Campobasso negava la concessione in sanatoria per la trasformazione di un volume tecnico in locale destinato ad attività industriale e artigianale, di cui alla concessione edilizia n. 152 del 1986;avverso il provvedimento datato 17.5.1995, a firma del Sindaco del Comune di Campobasso, pervenuto al ricorrente il 18.5.1995, con il quale il Comune di Campobasso negava la concessione in sanatoria per la trasformazione di un volume tecnico in locale destinato ad attività industriale e artigianale, nell’immobile assentito con c.e. n. 137/1983 e successiva variante n. 152/1987;avverso il provvedimento datato 14.2.1996, a firma del Sindaco del Comune di Campobasso, con il quale veniva nuovamente negata la concessione in sanatoria per la trasformazione di un volume tecnico in locale destinato ad attività industriale e artigianale nell’immobile assentito con c.e. n. 137/1983 e successiva variante n. 152/1987;avverso la ordinanza di demolizione n. 269 del 3.11.1999, con la quale il dirigente della Ripartizione urbanistica del Comune aveva disposto l’abbattimento delle opere realizzate al piano interrato dello stabile sito in Campobasso, alla via Liguria;avverso il provvedimento dirigenziale prot. n. 20152 del 17.7.2007, successivamente comunicato alla ditta ricorrente, con il quale il dirigente della Direzione area 5 – Settore urbanistica e territorio del Comune di Campobasso aveva rigettato l’istanza relativa alla definizione degli illeciti edilizi inerenti il rilascio di permesso di costruire in sanatoria, presentata dalla impresa ricorrente in data 10.12.2004 prot. n. 29124, relativamente al cambio di destinazione d’uso da locale tecnico a locale artigianale in un fabbricato sito in Campobasso, via Liguria, distinto al catasto foglio 60 p.lla 708 sub. 93, ritenendo che l’intervento superasse il limite di mc.3000 previsto dalla normativa regionale in materia di abusi edilizi.
La impresa appellante aveva contribuito a realizzare, nel territorio di Campobasso, il piano di zona denominato “San Giovanni dei Gelsi - ampliamento”, con un programma di edilizia di circa 11mila metri cubi.
Nella esecuzione dei lavori, il piano interrato era stato tramezzato in modo diverso da quanto approvato, con la costruzione di altri box, garages e cantine, nonché con la apertura di finestre, laddove i locali avrebbero dovuto essere completamente interrati. Inoltre, il piano sottostante ai garages – che avrebbe dovuto costituire volume tecnico ed essere completamente interrato - era rimasto fuori terra ed era stato sistemato con pavimentazioni, tompagnature, fosse biologiche e pozzetti di scarico. In sostanza, le tramezzature del piano interrato avevano creato nuove unità, che raddoppiavano quelle approvate, mentre nel piano denominato “volume tecnico” erano state realizzate opere che postulavano una diversa utilizzazione della struttura. La società appellante aveva reiteratamente chiesto al Comune di poter condonare le opere abusivamente realizzate e il Comune aveva reiteratamente negato l’assenso, ritenendo inammissibile il mutamento di destinazione di un intero piano della costruzione, anche in ragione della mancata prova del fatto che, alla data di riferimento del condono edilizio (30.9.1983), le opere fossero funzionalmente completate.
La impresa aveva presentato istanza di variante in corso d’opera alla concessione edilizia n. 137/1984. Sennonché, il programma costruttivo, oggetto di variante, si avvale di un finanziamento pubblico – a tenore della normativa di cui agli artt. 16 e 43 della legge n. 457 del 1978 – che prevede il rispetto di speciali caratteristiche tecniche. Il volume tecnico, che nella originaria concessione edilizia non era previsto, è stato realizzato a seguito di una variante resasi necessaria per motivi statici, approvata con decreto della Regione Molise n. 260 del 9.2.1984;ciò, allo scopo di consentire alla ditta di abbassare il piano di fondazione dell’edificio a una quota sottoesposta di 2,7 metri di profondità, rispetto al piano superiore destinato ad autorimessa. Il volume tecnico avrebbe dovuto essere reinterrato e, sulla base di una dichiarazione dell’impresa ricorrente attestante l’avvenuto reinterramento (nota del 27.5.1986), il Comune ha rilasciato la concessione edilizia n. 152 del 12.11.1986, di variante in corso d’opera.
Per beneficiare del condono edilizio, la modifica funzionale del piano oggetto del condono avrebbe dovuto essere completata alla data del 30.9.1983. Viceversa, la variante regionale risale al 1984 e, per effetto di una prescrizione in essa contenuta, la ditta ricorrente ha realizzato la intercapedine interna;inoltre, la dichiarazione dell’impresa ricorrente attestante l’avvenuto reinterramento è del 27.5.1986 e la stessa ditta ricorrente comunicava, con nota del 13.9.1992, che il piano interrato non era ancora accessibile, fornendo la prova che, a quella data, non si era ancora verificata la modificazione di destinazione d’uso.
Con la sentenza appellata, previa riunione per connessione, il primo giudice rigettava cinque ricorsi per infondatezza mentre dichiarava la improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso proposto avverso la ordinanza di demolizione (il quinto della serie), per essere stata presentata successivamente istanza di sanatoria.
I dinieghi di condono edilizio venivano quindi ritenuti legittimi e immuni dalle dedotte censure.
I primi quattro ricorsi riuniti riguardavano la sequenza di provvedimenti comunali di diniego reiterato del condono edilizio.
Il primo giudice rigettava anche i motivi con i quali si deduceva che si era formato il silenzio-assenso per decorso del termine, in quanto per integrarsi presuppone l’avvenuto completamento funzionale delle opere entro il termine del 30.9.1983 nonché la sussistenza dei requisiti di fatto e di diritto stabiliti dalla norma e, infine, la sussistenza di una domanda completa e veritiera.
L’ultimo ricorso (518 del 2007) veniva parimenti rigettato perché infondato, sulla base del motivo del superamento dei limiti di cubatura previsti dalla legge.
La ditta aveva chiesto un permesso di costruire in sanatoria, al fine di ottenere il cambio di destinazione d’uso della intercapedine - da locale tecnico a locale di uso artigianale – e il Comune lo aveva negato, atteso che l’intervento superava il limite di volumetria dei 3000 metri cubi, previsto dalla normativa regionale in materia di abusi edilizi, mentre l’art. 2 comma primo della L.R. 29.8.2005 n. 28 consente la sanatoria, a condizione che <<l’abuso non superi complessivamente i 3000 mc.>>e il calcolo della volumetria dell’intercapedine (3206 mc.) è stato effettuato dal Comune sulla base degli elementi dichiarati dalla stessa ditta ricorrente.
Per inciso, il primo giudice osservava che con sentenza n. 177 del 2007, si era pronunciato sulla legittimità del provvedimento comunale di decadenza della ditta ricorrente dal diritto di superficie dell’area in convenzione su cui insiste il manufatto da condonare, la qual cosa lasciava intravedere, al di là della infondatezza dei riuniti ricorsi, una causa di sopravvenuto difetto di interesse alla decisione dei medesimi.
Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello la stessa impresa edile Mascioli Dino Guglielmo e figlio snc, in persona del legale rappresentante p.t., deducendo i seguenti motivi.
Con l’atto di appello parte appellante (da pagina 8 in poi dell’appello) deduce la erroneità del capo di sentenza relativa al rigetto del ricorso r.g.n.518 del 2007, ultimo in ordine di tempo tra quelli connessi e riuniti. Con tale capo di sentenza il primo giudice ha rigettato il ricorso avverso il diniego di sanatoria per cambio di destinazione di uso, ritenendo fondato il motivo di diniego addotto dall’amministrazione, relativo alla eccedenza volumetrica rispetto al limite condonabile e cioè 3.206 mc, quindi oltre i 3.000 consentiti dall’art. 2 della legge regionale n.28 del 2005.
Con il motivo di appello si sostiene che: il volume effettivo da condonare è 2.997,92 e quindi inferiore a 3.000;il Comune si è limitato ad effettuare il calcolo sulla base delle planimetrie catastali presentate unitamente alla istanza, senza considerare l’errore materiale di indicazioni errate;il Tar, inoltre, ha calcolato l’altezza al grezzo in misura di metri 2 e 80, mentre dalla perizia giurata risulta di metri 2 e 65.
Si deduce e ripropone, lamentando altresì il difetto di pronuncia sul punto, inoltre che per tale istanza presentata in data 10 dicembre 2004 si sarebbe formato il silenzio-assenso ai sensi dell’art. 7 L.R.25 del 2004, essendo intervenuto il diniego solo in data 17 luglio 2007 (il preavviso di rigetto è del maggio 2007).
Con altro motivo di appello (da pagina 16 in poi dell’appello) si deduce la erroneità della sentenza appellata, in quanto il primo giudice avrebbe dovuto valutare come, secondo la normativa in materia, prima di considerare legittimo il diniego, la disciplina consente di concedere il permesso di sanatoria con prescrizioni, trattandosi di sanatoria del cambio di destinazione d’uso del locale da volume tecnico a locale artigianale.
Con altro motivo di appello (pagina 19) si deduce la erroneità della sentenza laddove ha fatto riferimento alla decadenza dal diritto di superficie, affermando, incidentalmente, come da ciò deriverebbe una possibile carenza di interesse;secondo l’appello tale affermazione sarebbe erronea, in quanto la decadenza ha riguardato l’area circostante e tale circostanza è stata reintrodotta solo in via giurisdizionale dalla difesa del Comune ma non ha costituito in alcun modo motivo espresso del diniego.
In relazione ai quattro ricorsi respinti, relativi ai rigetti delle quattro istanze di sanatoria, l’appello (pagine 20 e seguenti) deduce: 1) incompetenza dell’organo in quanto la competenza, ratione temporis, apparteneva al sindaco;2) la avvenuta formazione nel frattempo del silenzio-assenso; 3) il completamento delle opere entro i termini di legge (30 settembre 1983) mentre il riferimento al marzo 1986 non riguarda il volume tecnico oggetto della domanda di sanatoria.
Con riguardo alla declaratoria di improcedibilità pronunciata per il ricorso proposto avverso ordinanza di demolizione, l’appello deduce la erroneità del ragionamento del primo giudice, osservando che: a) vi sarebbe stato il completamento funzionale entro i termini di legge (come da perizia avallata da verbale di sopralluogo n.739 del 19 marzo 1986);b) si era comunque formato il silenzio-assenso;c) era mancato l’avviso di avvio del procedimento.
Si è costituito il Comune di Campobasso, deducendo innanzitutto che il Tar, con sentenza confermata in appello, si è pronunciato sulla decadenza della ditta appellante dal diritto di superficie dell’area in convenzione, per cui potrebbe essersi verificata una causa di improcedibilità per carenza di interesse;l’impresa ha presentato diverse istanze di condono respinte perché non era stato dimostrato che l’opera era stata completata funzionalmente nei termini previsti dalla legge di sanatoria;era stato superato il limite complessivo di 3000 mc;il calcolo era stato effettuato sulla base dei dati dichiarati dalla parte istante interessata, odierna appellante.
Con ultima memoria, in vista della udienza di discussione, la parte appellante ribadisce le sue difese, osservando, tra l’altro, che la decadenza non riguarda l’area sulla quale insiste il fabbricato, ma solo la superficie circostante il fabbricato;chiede disporsi consulenza tecnica di ufficio o verificazione in ordine alla effettiva consistenza della eccedenza volumetrica del fabbricato in questione.
Alla udienza di discussione dell’8 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. In via prioritaria, dal punto di vista logico, va valutato se, in considerazione della pronuncia di sentenza del Tribunale amministrativo regionale delle Molise, che ha rigettato, il ricorso proposto avverso la declaratoria di decadenza della ditta dal diritto di superficie dell’area in convenzione su cui insiste il manufatto, sia venuto meno l’interesse a ricorrere.
Al riguardo la memoria di parte appellante (e l’appello con il motivo da pagina 19 in poi) ne sostiene la irrilevanza, atteso che la decadenza riguarderebbe la superficie circostante il fabbricato, ma non riguarderebbe l’area su cui insiste il fabbricato.
In realtà, la sentenza su menzionata ha pronunciato, rigettandolo, in merito al ricorso avverso la decadenza dalla concessione del diritto di superficie sulla (intera) area assegnata con la convenzione del 16 febbraio 1984 n.964, senza ulteriori distinzioni.
Il Collegio osserva che la considerazione finale del primo giudice contenuta nella sentenza appellata è diretta ad affermare, oltre che la infondatezza diretta al rigetto nel merito del ricorso, altresì anche la eventuale improcedibilità del medesimo, non avendo più interesse a ricorrere colui che si ritrovi privato oramai della situazione soggettiva di concessionario, che gli garantirebbe un continuato rapporto con il bene, l’area, i terreni e i fabbricati in questione.
Pertanto, né risulta dagli atti, né tantomeno risulta dimostrata dalla parte deducente, la delimitazione dell’oggetto della decadenza, limitato alla superficie circostante il fabbricato con esclusione dell’area sulla quale insiste il fabbricato, dovendosi anzi ritenere proprio il contrario, in assenza di distinzioni.
Non rileva, inoltre, che il Comune avrebbe introdotto tale circostanza soltanto in via giurisdizionale e non prima in ambito procedimentale, essendo proprio il momento processuale quello naturale nel quale deve verificarsi la sussistenza e permanenza dell’interesse a ricorrere quale condizione dell’azione.
Pertanto, deve ritenersi a rigore venuto meno ogni interesse al ricorso originario, che è quindi divenuto improcedibile.
2.Per completezza, considerato anche che la sussistenza dell’interesse è affermata dalla parte appellante rispetto alla declaratoria di decadenza oramai consolidata, questo Giudicante non si esime dal valutare anche nel merito i motivi di appello, che comunque, in quanto infondati, vanno tutti rigettati.
Con riguardo agli abusi realizzati, nella esecuzione dei lavori il piano interrato è stato tramezzato in modo diverso da quanto approvato, con la costruzione di box, garages, cantine, con la apertura di finestre, laddove tali locali avrebbero dovuto essere completamente interrati;il piano sottostante ai garages, che avrebbe dovuto costituire volume tecnico ed essere completamente interrato, è rimasto fuori terra.
In sostanza, come riporta la pronuncia di prime cure, con le tramezzature del piano interrato sono state create nuove unità che raddoppiano quelle approvate, mentre nel piano denominato “volume tecnico” sono state realizzate opere che postulano una diversa utilizzazione della struttura.
Iniziando a valutare il primo motivo di appello (riguardante l’ultimo ricorso tra i sei connessi e riuniti in prime cure, r.g.n. r.g.n.518 del 2007) relativamente alla eccedenza volumetrica rispetto al limite condonabile e cioè 3.206 mc, quindi oltre i 3.000 consentiti dall’art. 2 della legge regionale n.28 del 2005, l’appellante sostiene che: il volume effettivo da condonare è 2.997,92 e quindi inferiore a 3.000;il Comune si sarebbe limitato ad effettuare il calcolo sulla base delle planimetrie catastali presentate unitamente alla istanza, senza considerare l’errore materiale di indicazioni errate;il Tar, inoltre, ha calcolato l’altezza al grezzo in misura di metri 2 e 80, mentre dalla perizia giurata risulta di metri 2 e 65.
Il motivo è del tutto infondato, essendo sufficiente osservare come il calcolo sia stato effettuato, come espone la sentenza a pagina 17, sulla base degli elementi dichiarati dalla stessa parte ditta ricorrente, per cui non si vede per quale ragione, sollevata in giudizio ma non in sede di introduzione del procedimento amministrativo prima del diniego, l’amministrazione avrebbe avuto l’onere di mettere in discussione dichiarazioni della stessa parte interessata.
In tal senso, diventa irrilevante esaminare il dato relativo all’altezza, se computata al grezzo o meno.
3. In relazione a tale abuso, la parte appellante sostiene (oltre l’omessa pronuncia, riproponendola) che per tale istanza presentata in data 10 dicembre 2004 si era formato il silenzio assenso ai sensi dell’art. 7 L.R.25 del 2004, essendo intervenuto il diniego solo in data 17 luglio 2007 (il preavviso di rigetto è del maggio 2007).
In realtà, anche tale motivo è infondato.
Nella specie, come ammette la stessa parte appellante, il Comune in precedenza, rispetto al teorico formarsi del silenzio-assenso per termini di legge, aveva chiesto integrazioni documentali, e tale richiesta non è stata evasa, essendo stato altresì inviato il preavviso di rigetto (come riporta pagina 4 della memoria finale di parte appellante).
Per giurisprudenza costante sul punto, il termine biennale per la formazione del silenzio assenso su domanda di condono edilizio, previsto dall'art. 35, l. 28 febbraio 1985 n. 47, non decorre qualora la domanda sia carente dei documenti necessari ad identificare compiutamente le opere oggetto della richiesta sanatoria e dunque quando manchi la prova concreta della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti, con la conseguenza che il termine di ventiquattro mesi, fissato dall'amministrazione comunale per determinarsi sull'istanza stessa decorre, in caso di incompletezza della domanda o della documentazione inoltrata a suo corredo, soltanto dal momento in cui dette carenze sono state eliminate ad opera della parte interessata (in tal senso, tra tante, Cons. St., sez. V, 17 ottobre 1995 n. 1440).
La formazione del silenzio-assenso sulla istanza di condono presentata ai sensi dell’art. 35, comma 18 l.n.47 del 1985 presuppone quindi la completezza della domanda di sanatoria, accompagnata dall’integrale pagamento di quanto dovuto a titolo di oblazione.
4.E’ irrilevante e pertanto non deve essere esaminato, alla luce delle sopra esposte considerazioni, il motivo con il quale l’appello deduce che, sulla base della norma regionale, prima di negare il condono, il Comune avrebbe dovuto valutare di condonare, sia pure con prescrizioni.
Infatti, da un lato la circostanza della perdita di disponibilità dell’area intera a causa della decadenza fa venire meno ogni interesse a ricorrere; dall’altro lato la incompletezza della documentazione (con incompletezza della fattispecie e del silenzio assenso) è causa sufficiente a giustificare il diniego di condono.
5. Sempre per esigenza di completezza, si espongono gli argomenti che fanno ritenere infondati gli esposti motivi di appello riguardanti gli altri quattro ricorsi, relativi alle istanze di sanatoria.
L’appello deduce:1) incompetenza dell’organo in quanto la competenza, ratione temporis , apparteneva al sindaco;2) la avvenuta formazione nel frattempo del silenzio-assenso; 3) il completamento delle opere entro i termini di legge (30 settembre 1983) mentre il riferimento al marzo 1986 non riguarda il volume tecnico oggetto della domanda di sanatoria.
Con riguardo all’ultimo aspetto, il primo giudice ha osservato che la modifica funzionale del piano oggetto del condono avrebbe dovuto essere completata entro il 30 settembre 1983, mentre la variante regionale risale al 1984 e sulla base di essa è stata eseguita dalla appellante la realizzazione di una intercapedine interna;inoltre la dichiarazione dell’avvenuto reinserramento è del 27 maggio 1986;in data 13 settembre 1992 la ditta comunicava che il piano interrato non era ancora accessibile, fornendo la prova che, addirittura a quella data, non si era verificato il mutamento di destinazione di uso, che avrebbe dovuto essere realizzato entro il 30 settembre 1983.
Al riguardo, parte appellante non controdeduce adeguatamente e anzi fa riferimento a perizia che a sua volta poggerebbe su un verbale di sopralluogo del 19 marzo 1986, inidoneo per definizione a comprovare fatti assai precedenti nel tempo rispetto a quella data: non può il sopralluogo dell’anno 1986 dimostrare la esistenza delle opere alla data del 30 settembre 1983.
Con riguardo alla censura di incompetenza, ratione temporis (che invero, riguarderebbero soltanto taluni degli atti impugnati, essendo buona parte di quelli menzionati, sotto la previgente disciplina, adottati direttamente dal Sindaco), l’appellante, che non specifica se tali censure riguardano tutti e quattro i dinieghi oggetto di altrettanti ricorsi o solo taluni di essi (quelli adottati direttamente dai dirigenti anziché dal Sindaco), non si cura di sovvertire il ragionamento del primo giudice, che ha osservato come nella realtà, taluni atti e quindi i provvedimenti impugnati, sono stati adottati dai funzionari responsabili dei competenti uffici (anche quando sono firmati da rappresentanti dell’organo di indirizzo politico).
6.Con riguardo al motivo di appello proposto avverso il capo riguardante il ricorso 17 del 2000 (e quindi l’oggetto della declaratoria di improcedibilità pronunciata per il ricorso proposto avverso ordinanza di demolizione), si deduce la erroneità del ragionamento del primo giudice, osservando che: a) vi sarebbe stato il completamento funzionale entro i termini di legge (come da perizia avallata da verbale di sopralluogo n.739 del 19 marzo 1986);b) si era comunque formato il silenzio-assenso;c) era mancato l’avviso di avvio del procedimento.
Anche tali censure sono del tutto infondate, oltre che prive di reale interesse, avendo il primo giudice dichiarato la improcedibilità di quel ricorso (avente ad oggetto la sola ordinanza di demolizione) sulla base del pacifico principio secondo cui (tra tante, Consiglio di Stato sez. IV, 16 settembre 2011, n. 5228) la presentazione dell' istanza di sanatoria successivamente all'impugnazione dell'ordinanza di demolizione produce l'effetto di rendere inefficace tale ultimo provvedimento e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse, e ciò in quanto il riesame dell'abusività dell'opera provocato da tale istanza , sia pure al fine di verificare l'eventuale sanabilità di quanto costruito, ex se comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento (di accoglimento o di rigetto) che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa, dal momento che, in caso di diniego del richiesto accertamento di conformità, l'Amministrazione Comunale dovrebbe emettere una nuova ordinanza di demolizione , con fissazione di nuovi termini per ottemperarvi.
Proprio come è avvenuto nella specie, successivamente rispetto alla ordinanza di demolizione, la parte interessata ha presentata istanza nuova di sanatoria, che comporta l’effetto di devolvere la vicenda interamente a nuovi provvedimenti (e nuovi eventuali consequenziali atti demolitori).
7.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del presente grado.