Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-07-02, n. 202105056
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Pubblicato il 02/07/2021
N. 05056/2021REG.PROV.COLL.
N. 07076/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7076 del 2019, proposto da
G M, M M, rappresentati e difesi dall'avvocato A D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Pelagio I, n. 10;
contro
G.F.A. S.r.l.S., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato A G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune di Pompei, in persona del sindacop.t., rappresentato e difeso dall'avvocato D C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
A V, Carmela V, rappresentati e difesi dall'avvocato Paolo Leone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 00523/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di G.F.A. S.r.l.S. e di Comune di Pompei e di A V e di Carmela V;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 giugno 2021 il Cons. O M C e uditi per le parti gli avvocati Paolo Leone e D C in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. È appellata la sentenza immediata del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione terza n. 00523/2019, d’accoglimento dei ricorsi riuniti proposti, rispettivamente, dai sig.ri V Antonio e V Carmela (n. 4475/2018 R.G.) e G.f.a. S.r.l.s. (n. 4503/2018 R.G.) avverso la revoca ( recte : annullamento, n. 42811/U del 17.09.2018) del permesso di costruire n. 1010/2007 e le ordinanze n. 104/2018 e 130/2018 (quest’ultima a parziale rettifica della prima) del Comune di Pompei aventi ad oggetto l’immobile sito in Pompei, alla via Mazzini, s.n.c.
Cumulativamente le parti ricorrenti hanno chiesto la condanna del Comune al risarcimento dei danni.
1.1 Nelle premesse in fatto dei rispettivi atti introduttivi, i sig.ri V Antonio e V Carmela hanno precisato di essere comproprietari dell’immobile sito in Pompei, via Mazzini, n. 56, in virtù di atto di compravendita registrato in data 12.03.2004;dal canto suo, la società ricorrente ha dedotto di esercitare l’attività di ristorazione e, più in generale, di somministrazione di alimenti e bevande, svolta nel predetto immobile in virtù di contratto di locazione ad uso commerciale, sottoscritto in data 12 ottobre 2017.
2. I provvedimenti impugnati sono stati adottati a conclusione degli accertamenti effettuati dal Comune in risposta all’esposto (d. 22.05.2018) presentato dai sig.ri M M e M G, proprietari dell’edificio adiacente all’immobile per cui vi è causa, denuncianti il cambio di destinazione d’uso del lastrico solare, nonché alcune irregolarità edilizie dell’intero fabbricato.
Il Comune accertava che il fabbricato originario era stato costruito in forza di licenza edilizia (n. 950 del 30 settembre 1965) rilasciata in favore del sig. M F, dante causa dei sig.ri V, in assenza del parere della Soprintendenza BB.AA.;e che la domanda del permesso di costruire per l’intervento di demolizione e ricostruzione, presentata nell’anno 2015, avente ad oggetto l’immobile, era difforme dai grafici allegati alla licenza edilizia n. 950/65.
2.1 In entrambi i ricorsi, i ricorrenti hanno congiuntamente dedotto la violazione dell’art. 21
nonies l. 7.8.1990, n. 241, per l’assenza dei presupposti legittimanti l’esercizio dell’autotutela e dell’art. 3 l. 7.8.1990, n. 241 per difetto di motivazione, oltre all’eccesso di potere per carenza dei presupposti di fatto e di diritto e carenza di istruttoria.
3. Riuniti i ricorsi, il Tar li ha accolti con sentenza resa in forma immediata.
Per motivare la decisione, i giudici di prime cure hanno richiamato per tabulas l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 17 ottobre 2017 laddove ha chiarito che “Nella vigenza dell’art. 21nonies l. 7.8.1990, n. 241 – introdotto da l. 11 febbraio 2005, n. 15 – l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria (ma il principio vale anche in caso di diniego opposto in sede di primo rilascio), intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole”.
Il Tar ha aggiunto che, nel caso di specie, “non trova applicazione l’art. 6, co. 1, lettera d), numero 2) l. 7 agosto 2015, n. 124 ”: ai ricorrenti non sarebbe stata addebitata alcuna falsa prospettazione delle circostanze in fatto ed in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo ad essi favorevole, ex se ostativa alla tutela del legittimo affidamento.
Ed ha sottolineato che “ in alcun punto della parte motiva del provvedimento d’autotutela si fa riferimento al dolo o alla mala fede dei ricorrenti V ovvero ad una falsa rappresentazione dei fatti;né, in proposito, è possibile utilizzare le argomentazioni in giudizio dei controinteressati, ovvero della difesa del Comune ”.
4. Appellano la sentenza i sig.ri G M e M M. Resistono i sig.ri V Antonio, V Carmela e G.F.A. S.r.l.S..
Il Comune di Pompesi s’è associato alle conclusioni rassegnate dagli appellanti.
5. Alla pubblica udienza del 10 giugno 2021, tenuta in modalità telematica da remoto, la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
6. Con il primo motivo, gli appellanti ed il Comune, che ne condivide il costrutto argomentativo, lamentano gli errori di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar laddove avrebbe omesso di considerare che l’autotutela è sempre esperibile qualora, come nel caso in esame, sussistano false rappresentazioni dei fatti, dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci.
Il sig. V Antonio, denunciano gli appellanti, avrebbe dichiarato il falso, al sol fine di ottenere il titolo edilizio richiesto e poi rilasciato dal Comune di Pompei in data 22.07.2007, legittimamente annullato dal Comune 11 anni dopo il suo rilascio.
6.1 Il motivo è infondato.
Va innanzitutto definita la cornice storico-fattuale entro cui s’inscrive la vicenda dedotta in giudizio.
Gli appellati, ottenuto il nulla osta della Soprintendenza, hanno chiesto (nel 2005) ed ottenuto (nel 2007) dal Comune di Pompei il permesso di costruire avente ad oggetto la realizzazione di un piano seminterrato, da adibire a garage, e un piano rialzato, da destinare ad attività commerciale, senza modifica di volume, con parziale variazione di destinazione funzionale.
Successivamente, i sig.ri V e G.F.A. S.r.l.s. hanno presentato DIA e CILA relative all’istallazione di piccole opere strumentali all’esercizio dell’attività di somministrazione alimenti e bevande esercitate nei locali.
L’esecuzione dei relativi interventi edilizi, protrattasi per oltre un decennio, non sono stati mai sospesi né tantomeno inibiti dal Comune con alcun formale provvedimento tempestivamente adottato.
A distanza di 11 anni, il Comune ha annullato il permesso di costruire sul rilievo che la (in allora) licenza di costruire in favore del sig. M F, dante causa dei sig.ri V, era stata rilasciata in assenza del parere della Soprintendenza BB.AA.; e che l’istanza presentata per il rilascio del permesso di costruire relativa all’intervento di demolizione e ricostruzione, presentata nell’anno 2015, avente ad oggetto l’immobile, era difforme dai grafici allegati alla licenza edilizia n. 950/65.
Per giustificare l’esercizio del potere d’autotutela, il Comune ha dedotto che sarebbe mendace la dichiarazione riportata nel titolo di proprietà redatto in data 01.03.2004 dal Notaio Avv. Luigi D’Aquino, Rep. n 10412 Racc. n 4863, registrato a Pagano il 12.03.2004 al nr. 1065/1T, con il quale il sig. M F D’Assisi, ha trasferito ai germani V Antonio e Carmela l’immobile oggetto di demolizione e ricostruzione di cui al permesso di costruzione 1010/07 e alla DIA n 91/08.
Riferendosi all’immobile di causa, realizzato nel 1965, la parte alienante afferma in atto che “la consistenza immobiliare, descritta come un immobile terraneo di mq. 289 con annesse aree pertinenziali, una a Sud e l’altra ad Est, quest’ultima di mq 16, risulterebbe essere pervenuta in virtù di un atto redatto dal Notaio Donacci Giuseppe il 31.10.1956 e registrato a Torre Annunziata il 19.11.1956 al n 586”.
Come emerge dal testo, il mendacio, relativo all’epoca realizzazione dell’immobile, è esclusivamente imputabile al dante causa degli appellati.
La condotta ostativa al decorso del termine per l’esercizio del potere d’annullamento in auototutela, deve essere imputabile alla parte che ne trae vantaggio.
Va, infatti, considerato che la novella recata dall’art. 6, comma 1, lettera d), numero 2) l. 7 agosto 2015, n. 124 ricerca un equilibrato punto di incontro che garantisca la certezza delle situazioni giuridiche consolidatesi nel corso del tempo: opera il bilanciamento tra l'interesse dei privati a fare affidamento su un sistema amministrativo che assicuri la certezza del diritto e la solidità delle posizioni riconosciute dal provvedimento e l'obbligo, non sempre parallelo, di repressione delle condotte che determinino vantaggi illeciti.
Estendere gli effetti negativi della dichiarazione mendace a terzi, oltre ad alterare il punto d’equilibrio degli interessi contrapposti ricercato dalla norma, comporta la violazione del principio di responsabilità personale che, sebbene dettato per la responsabilità penale (cfr., art.27 cost.), al di là dei casi espressamente previsti per determinati tipi di illeciti e sanzioni c.d. riparatorie, trova ampia applicazione nell’ambito dell’ordinamento giuridico c.d. sanzionatorio.
7. Quanto all’altro corno della motivazione del provvedimento d’annullamento del permesso di costruire, è lo stesso Comune che ritiene meramente “difforme” l’istanza di rilascio del permesso di costruire dai grafici allegati alla licenza edilizia del 1965.
Non è stato contestato alcun mendacio né, tantomeno, vi è parola di dolo o di falsità su cui, viceversa, insistono gli appellanti.
8. Con il secondo motivo d’appello, ci si duole del fatto che il Tar, nonostante abbia affermato che s’è verificata la sussistenza del cambio di destinazione d’uso del lastrico solare ed alcune irregolarità in linea edilizia dell’intero fabbricato, ha accolto il ricorso annullando le ordinanze di demolizione nn. 104/2018 e 130/2018.
8.1 Nell’economia del decisum , l’annullamento delle ordinanze di demolizione riposa sulla qualificazione di esse come atti conseguenti all’accoglimento del ricorso proposto dai ricorrenti avverso l’atto d’autotutela del Comune.
La sanzione ripristinatoria – di cui alle due ordinanze, l’una integrativa dell’altra –, espressamente impugnata dagli originari ricorrenti, è stata adottata dal Comune sul rilievo che il titolo abilitativo delle opere fosse divenuto invalido, quindi inefficace.
Sicché, venuto meno il presupposto di diritto in forza del quale è stato esercitato il potere sanzionatorio, correttamente il Tar ha annullato le ordinanze di rimessione in pristino.
9. L’infondatezza dell’appello nel merito consente di prescindere dalle eccezioni d’inammissibilità dell’appello per difetto di contraddittorio e dell’atto di costituzione in giudizio del Comune sollevate dalle parti appellate.
10. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.
11. La complessità in fatto della vicenda dedotta in causa giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.