Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-06-19, n. 202305978

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-06-19, n. 202305978
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202305978
Data del deposito : 19 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/06/2023

N. 05978/2023REG.PROV.COLL.

N. 08683/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8683 del 2016, proposto da
Università degli Studi di Roma Tre, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

contro

E R, rappresentato e difeso dall'avvocato G P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Bocca di Leone 78

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, (Sezione Terza) n. 08984/2016


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di E R;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2023 il Cons. Marco Valentini e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Davide Di Giorgio e l’avv. G P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato il 30 settembre 2014, l’odierno appellato ha impugnato avanti il giudice di prime cure i provvedimenti del Rettore dell’Università di Roma Tre recanti la determinazione del suo trattamento economico, a decorrere dal 1° febbraio 2014, in misura pari a quello dei colleghi di pari anzianità a seguito di rientro da ruolo di componente del Consiglio Superiore della Magistratura, nonché il provvedimento con cui l’Ateneo ha disposto il recupero delle somme erogate in eccesso rispetto a tale trattamento.

Il TAR adito ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato i provvedimenti impugnati, in particolare il provvedimento del Direttore generale dell’Ateneo che ha stabilito la cessazione dell’assegno ad personam in godimento al ricorrente e, di conseguenza, il successivo provvedimento che ha disposto la refusione della somma ivi indicata da parte del ricorrente in favore dell’Università e le correlate trattenute stipendiali, per illegittimità derivata.

DIRITTO

In sede di appello, l’amministrazione ha preliminarmente richiamato il quadro normativo in cui si inserisce la controversia in esame.

Espone di conseguenza che l'art. 3, comma 1, della legge 3 maggio 1971, n. 312, recante "Trattamento economico dei componenti del Consiglio superiore della magistratura eletti dal Parlamento cessati dalla carica ", dispone che " l'assegno mensile a carico del Consiglio superiore della magistratura verrà tramutato, all'atto della cessazione dalla carica per decorso del quadriennio, in assegno personale agli effetti e nei limiti stabiliti dall'articolo 202 del Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 ".

Siffatta disposizione, argomenta l’amministrazione appellante, non può più trovare applicazione a seguito dell'entrata in vigore, in data 1 febbraio 2014, dell'art. 1, commi 458 e 459, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, secondo cui " L'articolo 202 del Testo Unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e l'articolo 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, sono abrogati. Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall'incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità (comma 458) ” e inoltre " Le amministrazioni interessate adeguano i trattamenti giuridici ed economici, a partire dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, in attuazione di quanto disposto dal comma 458, secondo periodo, del presente articolo e dall'articolo 8, comma 5, della legge 19 ottobre 1999, n. 3 70, come modificato dall'articolo 5, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135" (comma 459).

Quest'ultima disposizione prevede che " Al professore o ricercatore universitario rientrato nei ruoli [sia] corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità. In nessun caso il professore o ricercatore universitario rientrato nei ruoli delle università può conservare il trattamento economico complessivo goduto nel servizio o incarico svolto precedentemente, qualsiasi sia l'ente o istituzione in cui abbia svolto l'incarico. L'attribuzione di assegni ad personam in violazione delle disposizioni di cui al presente comma è illegittima ed è causa di responsabilità amministrativa nei confronti di chi delibera l'erogazione ".

Tanto premesso, in diritto è stato dedotto il seguente motivo:

1 . Erroneità della sentenza per violazione e/o errata interpretazione dell'art. 1, commi 458 e 459, legge n. 147 del 2013.

In particolare, ritiene l’appellante che sulla pretesa irretroattività delle disposizioni di cui all'art. 1, commi 458 e 459, legge n. 147 del 2013, la sentenza impugnata ha erroneamente affermato che, " in assenza di una norma che espressamente disponga la retroattività della norma sopravvenuta, il principio dell'irretroattività della legge previsto dall'art. 11 preleggi fa sì che la norma di abrogazione dell'art. 202 TU n. 3 del 1957 non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, anche a quelli sorti anteriormente e ancora in vita ". Infatti, evidenzia l’appellante che le disposizioni preliminarmente richiamate hanno in modo chiaro stabilito che " Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi. dopo che siano cessati dal ruolo o dall'incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità ", nonché l’obbligo, per le amministrazioni nei cui ruoli rientrano i dipendenti pubblici cessati da precedenti ruoli o incarichi di qualsiasi natura, di adeguare i relativi trattamenti giuridici ed economici “ a partire dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore " della legge n. 147 del 2013, ossia a partire dal 1° febbraio 2014.

Ritiene l’appellante che tale conclusione sia confermata dall'inequivoco tenore letterale della disposizione di cui all'art. 8, comma 5, legge n. 370 del 1999, alla luce del quale " In nessun caso il professore o ricercatore universitario rientrato nei ruoli delle università può conservare il trattamento economico complessivo goduto nel servizio o incarico svolto precedentemente, qualsiasi sia l'ente o istituzione in cui abbia svolto l'incarico" .

Ne consegue che l'eventuale attribuzione di assegni ad personam sarebbe illegittima, nonché causa di responsabilità amministrativa nei confronti di chi delibera l'erogazione.

In conseguenza della corretta applicazione di tali disposizioni, i provvedimenti impugnati dovrebbero essere considerati, per l’appellante, pienamente legittimi, nonostante l’applicabilità dell’assegno ad personam sia stata riconosciuta da previgenti disposizioni.

Non va condivisa, ad avviso dell’appellante, in ragione di quanto detto, l’argomentazione del primo giudice secondo cui le disposizioni di cui all'art. 1, commi 458 e 459, della legge n. 147 del 2013, non troverebbero applicazione ai rapporti giuridici " sorti anteriormente [alla loro entrata in vigore] e ancora in vita ", poiché la portata retroattiva delle richiamate disposizione va desunta dal tenore letterale della legge.

Prosegue l’appellante argomentando che l'opzione ermeneutica dell'irretroattività delle disposizioni di cui all'art. 1, commi 458 e 459, legge n. 147 del 2013 deve poi ritenersi preclusa dal dirimente rilievo che, se il legislatore avesse voluto prevedere eccezioni con riferimento a determinate categorie di soggetti, certamente lo avrebbe disposto espressamente, circostanza nella specie non verificatasi.

Ne deriva, per l’appellante, la palese infondatezza della tesi secondo cui le suddette disposizioni troverebbero applicazione ai soli casi di rientro nei ruoli delle Amministrazioni di appartenenza successivi all'entrata in vigore delle disposizioni stesse.

L’appellante si è poi soffermata sulla pretesa vigenza della disposizione di cui all'art. 3, legge n. 312 del 1971, nonché sulla sua asserita "sopravvivenza" rispetto all'abrogazione dell'art. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957.

Al riguardo, nel dare conto che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (C.G.A. sentenza n. 89 del 2016), ha affermato che l'art. 3 della legge n. 312 del 1971 disciplinerebbe "casi assolutamente particolari e specificamente individuati e, come tale, non può ritenersi che venga abrogato da una norma di carattere generale contenuta nell'art. 202 del

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