Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-02-28, n. 202401940
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Pubblicato il 28/02/2024
N. 01940/2024REG.PROV.COLL.
N. 03346/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3346 del 2023, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati A L e F L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero dell’Interno e l’Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona dei legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12,
nei confronti
di Confindustria Venezia - Area Metropolitana di Venezia e Rovigo, non costituita in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, previo ogni accertamento del caso, ove occorra, anche, in ordine alla illiceità del provvedimento prot. n -OMISSIS-, del Prefetto della Provincia di Brescia, datato 26 settembre 2017, ricevuto in data 29 settembre 2017, con cui è stata emessa una informazione interdittiva antimafia nei confronti della società ricorrente, nonché del provvedimento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione prot. -OMISSIS-, ufficio SG USAN Ufficio Sanzioni Contratti Pubblici, a firma dell’arch. -OMISSIS-, comunicato in pari data, oggetto -OMISSIS-, di comunicazione dell’avvenuta annotazione nel casellario informatico dell’Autorità, nonché dell’annotazione medesima, con la conseguente condanna, in via solidale o parziaria, in proporzione alla rispettiva quota di responsabilità, del Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , e dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del Presidente pro tempore , al risarcimento dei danni patiti dalla ricorrente in misura pari ad euro 215.629,57, oltre al risarcimento del danno all’immagine e alla perdita di avviamento da accertarsi in corso di causa, o nella diversa, maggiore o minor, misura che risulterà accertata in corso di causa o ritenuta di giustizia, anche in via equitativa.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Autorità Nazionale Anticorruzione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2024, il Cons. A R C e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – La --OMISSIS- evoluzioni costruttive, società dedita allo svolgimento di attività di intonacatura, stuccatura e realizzazioni in cartongesso, è stata attinta il 29 settembre 2017 da un’informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Brescia a seguito dell’istanza di un’impresa privata che, in virtù di un protocollo di legalità sottoscritto tra Confindustria e il Ministero dell’Interno il 10 maggio 2010, aveva chiesto all’Autorità di pubblica sicurezza di effettuare delle verifiche antimafia sui propri fornitori. Immediatamente dopo, la Società interdetta veniva esclusa dall’elenco fornitori da parte di società aderenti al Protocollo di legalità, o riceveva comunicazioni di risoluzioni contrattuali. In data 3 gennaio 2018 è stato comunicato alla società il provvedimento dell’ANAC, prot. n. -OMISSIS-, con il quale è avvenuta l’annotazione dell’interdittiva nel casellario informatico dell’Autorità.
2. – La Società ha impugnato il provvedimento prefettizio e la relativa iscrizione nel casellario informatico gestito da ANAC dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sul rilievo della carenza assoluta di legittimazione del soggetto richiedente - non rientrante tra i soggetti autorizzati ex art. 83, d.lgs. n. 159 del 2011 (Codice antimafia) alla richiesta dell’emissione della certificazione antimafia per la stipula di contratti privatistici, anche alla luce della modifica normativa di cui all’art. 4, d.lgs. n. 218 del 2012 (che ha novellato l’art. 87 del Codice antimafia) e della relazione che l’ha accompagnata. Il giudizio di prime cure si è concluso con una sentenza sfavorevole di rigetto – la n. 1062 del 12 novembre 2018 – che è stata successivamente riformata in appello con la pronuncia di questa Sezione del 20 gennaio 2020, n. 452.
2.1. – La Sezione, dopo un’ampia digressione incidentale sulla condivisibilità, secondo la logica inferenziale del “ più probabile che non ” della contiguità della -OMISSIS- con la ‘ndrangheta in base ad una visione globale degli “indizi” individuati nell’interdittiva emessa dal Prefetto di Brescia, ha concluso in via dirimente che il provvedimento prefettizio nel caso di specie non avrebbe potuto essere adottato: “ e ciò perché il soggetto che ha chiesto la verifica alla Prefettura non è incluso tra gli enti indicati dall’art. 83, d.lgs. n. 159 del 2011. Nella specie la richiesta di rilasciare una comunicazione antimafia, rivolta il 15 dicembre 2016 alla Prefettura di Brescia, è stata effettuata da Confindustria Venezia, associazione privata, per la conclusione di contratti di rilevanza solo privatistica, in alcun modo connessi all’uso di poteri, procedimenti o risorse pubbliche. Il rilascio dell’informativa è stato possibile in virtù di un Atto aggiuntivo, sottoscritto il 22 gennaio 2014, ad un “Protocollo della legalità” sottoscritto dal Ministero dell’interno con Confindustria in data 10 maggio 2010 e poi rinnovato per un successivo biennio in data 19 giugno 2012. Di questi due atti - Protocollo e Atto aggiuntivo – la società -OMISSIS- non è stata parte. Una corretta lettura dell’art. 83, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 porta infatti a concludere nel senso prospettato dall’appellante ” (v. par. 3 sentenza Cons. Stato n. -OMISSIS-). Ha ulteriormente soggiunto il Collegio di appello che tale conclusione discende dalla doverosa applicazione di una disciplina normativa che non offre diversa lettura, pena la violazione – allo stato della legislazione vigente – del diritto alla attività economica tra privati, costituzionalmente garantita dall’art. 41 Cost., che definisce l’iniziativa economica privata come, appunto, “ libera ”.
3. – All’indomani della pronuncia di appello, in data 20 gennaio 2023, la Prefettura di Brescia ha rilasciato informativa liberatoria della società --OMISSIS-.
4. – Con nuovo ricorso proposto innanzi al T.A.R. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, la -OMISSIS- ha quindi domandato il risarcimento del danno asseritamente patito a seguito dell’illegittima emanazione della prefata informazione interdittiva antimafia, e del conseguente provvedimento di iscrizione della stessa nel casellario informatico dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). Nondimeno, il giudice di prime cure, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha reputato infondata la domanda per mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine all’elemento soggettivo atteso che il principio di diritto secondo cui, in base alla normativa applicabile ratione temporis , solo i soggetti indicati dall’art. 83 del d.lgs. n. 159 del 2011 possono chiedere alla Prefettura di effettuare delle verifiche antimafia, sarebbe stato sancito per la prima volta proprio con la sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-, sicché, “ a causa della complessità della vicenda, della mancanza nella legge di un divieto esplicito di estensione dei soggetti indicati nell’art. 83 cit., dell’assenza di un orientamento giurisprudenziale definito, stante la novità della questione trattata, non sarebbe imputabile all’Amministrazione procedente una condotta colpevole, ovvero negligenze o imperizie di qualsiasi genere, anche alla luce della correttezza del giudizio sostanziale espresso dal prefetto di Brescia, per tale confermato dal giudice d’appello nella stessa sentenza su cui si fonda la richiesta risarcitoria ”.
5. – La Società adisce nuovamente questo Consiglio con rituale ricorso in appello volto ad ottenere la riforma della decisione di primo grado in senso favorevole all’appellante, ossia con soddisfazione della propria domanda di ristoro risarcitorio dei danni patiti in conseguenza dell’illegittima emissione dell’interdittiva antimafia per cui è causa.
5.1. – Nel gravame l’appellante ribadisce diffusamente la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano in cui sarebbe incorso il Ministero appellato e censura in particolare i passaggi argomentativi in cui il giudice di prime cure sostiene che il principio di diritto per cui i privati non siano legittimati a richiedere la certificazione antimafia a carico di altri privati sia stato affermato per la prima volta con la sentenza n. -OMISSIS- e che, comunque, rivestirebbe valenza esimente, pur in carenza di potere, l’asserita sussistenza dei presupposti legittimanti l’emanazione di un diverso provvedimento.
L’appellante contrasta, in particolare, il ritenuto errore scusabile del Ministero appellato, ravvisato dal primo giudice a dispetto della circolare a valenza assuntamente confessoria e dell’inequivocità del dato letterale e argomenta in favore della comprova del coefficiente soggettivo della colpa sulla scorta degli indici presuntivi addotti.
5.2. – Il secondo versante censorio del gravame denuncia l’omessa pronuncia sugli ulteriori profili di illegittimità del provvedimento giacché il ricorso introduttivo evidenziava svariati vizi del provvedimento ritenuti colpevoli e, in particolare, il mancato esame dei giudizi favorevoli emessi nei confronti del sig. -OMISSIS-e della società ricorrente, nonché la mancanza di elementi di concretezza e attualità della valutazione espressa dall’Amministrazione.
Infine, il mezzo di impugnazione lamenta che la sentenza gravata non avrebbe esaminato, in sede risarcitoria, le censure di illegittimità dell’iscrizione nel casellario informatico da parte di ANAC relativamente ad un’informativa illegittimamente emessa in favore e su richiesta di un soggetto privato.
5.3. – In punto di quantum debeatur , ribadita la sussistenza di un nesso eziologico tra l’emissione dell’informativa e la risoluzione di una serie di contratti in essere (contratti di subappalto con-OMISSIS-), l’appellante allega di aver subito un danno da lucro cessante per la cifra di 41.674 euro, computando un coefficiente di utile sulle commesse eseguite pari al 6%. A questo si cumulerebbe un danno da perdita di chance per la riduzione del volume di commesse pari a oltre 66 mila per l’anno 2018 e 77 mila euro per l’anno 2019, un allegato danno da perdita di avviamento, il danno all’immagine e financo il ristoro delle spese legali sostenute a vario titolo.
6. – Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’interno e l’Autorità Nazionale Anticorruzione per il tramite della difesa erariale che contesta diffusamente l’affermazione del danno non patrimoniale sub specie di danno all’immagine e, per quanto concerne il danno patrimoniale, rivisita le voci di lucro cessante stigmatizzando il coefficiente di utile prospettato dall’appellante e le generiche perdite di fatturato per il biennio 2018-2019, sguarnite di adeguato supporto probatorio, quantomeno sul versante della consequenzialità immediata e diretta del danno;si oppone, inoltre, fermamente all’invocato ristoro delle spese legali, in quanto già regolate con autonome statuizioni concernenti i vari gradi di giudizio. In via subordinata, l’organo legale ammette che “ l’unica voce di danno che si potrebbe considerare supportata da un principio di prova è quella sub “a” (la perdita dei contratti con -OMISSIS-), ma l’importo andrebbe comunque ricalibrato, applicando un tasso del 3%, invece del 6% prospettato ex adverso (si tratterebbe, dunque, di una somma pari a 20.800 € circa) ”.
6.1. – La memoria difensiva erariale ripercorre poi a ritroso le ragioni per cui, a suo dire, non sarebbe proprio scrutinabile positivamente l’ an debeatur riferendosi all’interruzione del nesso di causalità tramite la sottoscrizione dei protocolli di legalità e alla carenza di ingiustizia del danno. Osserva in particolare l’organo legale che il protocollo di legalità impugnato quale atto presupposto avrebbe superato indenne il vaglio di legittimità, mentre le misure adottate dai committenti della -OMISSIS- e indicate nel ricorso dell’appellante come “ danno ” sarebbero state solo iniziative autonome di imprenditori aderenti ai valori che Confindustria ha dichiarato nei Protocolli di Legalità.
6.2. – Da ultimo, la difesa erariale deduce l’assoluta infondatezza della domanda risarcitoria rivolta nei confronti di ANAC stante il carattere dovuto e meramente esecutivo dell’iscrizione nel casellario informatico.
7. – La causa è venuta in discussione all’udienza pubblica del 18 gennaio 2024 ed è stata incamerata per la decisione.
DIRITTO
1. – La res controversa che viene all’attenzione del Collegio d’appello concerne la discussa configurabilità di una fattispecie risarcitoria per responsabilità aquiliana da illegittima informativa antimafia emessa in assoluta carenza di potere della Prefettura, in quanto emessa su istanza di un soggetto non legittimato a richiederla. La domanda risarcitoria è stata estesa dalla Società ricorrente anche all’Autorità Nazionale Anticorruzione dolendosi dell’ingiusta iscrizione nel casellario informatico.
2. – La disamina deve prendere l’abbrivio dai fatti incontrovertibili.
3. – L’informazione antimafia interdittiva, emessa dalla Prefettura di Brescia il 26 settembre 2017, è stata annullata a seguito della sentenza di questo Consiglio di Stato n. -OMISSIS- che, in riforma della pronuncia di prime cure, ha accolto il ricorso originario promosso da --OMISSIS-.
3.1. – Questa Sezione ha ascritto la ritenuta illegittimità del provvedimento alla constatazione, ormai cristallizzata in res iudicata , che il Prefetto di Brescia non aveva alcun potere di rilasciare la certificazione antimafia su richiesta di un soggetto incontestabilmente privato come Confindustria Venezia, a nulla rilevando che ciò avveniva nell’ambito di un Protocollo di legalità per la conclusione di contratti di rilevanza privatistica. Al riguardo ha osservato in via dirimente la Sezione: “ Il Legislatore ha […] previsto il potere del Perfetto che interviene quando il privato entra in rapporto con l’Amministrazione. Ed è la legge a conferire un siffatto potere di verifica al Prefetto. Diverso è invece il caso di rapporti tra privati, in relazione ai quali la normativa antimafia nulla prevede. Tale vuoto normativo non può certo essere colmato dal Protocollo della legalità e dal suo Atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra il Ministero dell’interno e Confindustria. Si tratta, infatti, di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori (o, secondo l’Adunanza plenaria, addirittura “incapacitanti”), che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica ”.
3.2. – Di tale illegittimità provvedimentale non si può, dunque, dubitare in forza della res iudicata calata sulla pronuncia.
4. – Si tratta ora di meglio indagare se il provvedimento per cui è causa, annullato in quanto illegittimo, si innesti quale coelemento strutturale della fattispecie risarcitoria di stampo aquiliano di cui all’art. 2043 cod. civ. allo scopo di assentire o meno alla domanda di ristoro dei danni promossa dalla Società illegittimamente interdetta.
5. – Acclarata la sussistenza di un fatto – l’informativa antimafia - in tesi astrattamente causativo di un danno preme focalizzare l’attenzione sugli altri elementi strutturali dell’illecito aquiliano su cui si è dapprima concentrato l’esame del giudice di prime cure, ossia l’elemento soggettivo – rispetto al quale ha concluso per la sua insussistenza - e dipoi la difesa erariale in appello, con riguardo al nesso di causalità materiale e giuridica e ai conseguenti riflessi sull’ingiustizia del danno.
6. – Come sunteggiato in narrativa, il TAR Brescia ha ritenuto che “ a causa della complessità della vicenda, della mancanza nella legge di un divieto esplicito di estensione dei soggetti indicati nell’art. 83 cit., dell’assenza di un orientamento giurisprudenziale definito, stante la novità della questione trattata, non sia imputabile all’Amministrazione procedente una condotta colpevole, ovvero negligenze o imperizie di qualsiasi genere, anche alla luce della correttezza del giudizio sostanziale espresso dal prefetto di Brescia, per tale confermato dal giudice d’appello nella stessa sentenza su cui si fonda la richiesta risarcitoria ”.
6.1. – Ad avviso del Collegio, l’asserto di prime cure non sfugge alle censure mosse da parte appellante e non può trovare conclusiva condivisione alla luce dei seguenti dirimenti rilievi.
6.1.1. – In primo luogo, deve fermamente dissentirsi dall’affermazione secondo cui la ratio decidendi della pronuncia n. -OMISSIS- sia innovativa rispetto a un quadro normativo e giurisprudenziale oscuro o contrastato: in verità, l’approdo ermeneutico cui è giunto il giudice di appello è stato descritto come necessitato alla stregua di “ doverosa applicazione di una disciplina normativa che non offre diversa lettura, pena la violazione – allo stato della legislazione vigente – del diritto alla attività economica tra privati, costituzionalmente garantita dall’art. 41, che definisce l’iniziativa economica privata come, appunto, “libera” ”. Non si tratterebbe, dunque, né di un revirement giurisprudenziale, né di un arresto che sopisce in via definitiva un supposto contrasto interpretativo. Molto più banalmente la questione non era mai venuta in precedenza all’attenzione della giurisdizione amministrativa, mentre non esisteva sul punto alcun pregresso contrasto giurisprudenziale (e su questo asserto non c’è contestazione ex adverso ).
6.1.2. – Il quadro normativo vigente ratione temporis smentisce, invero, le affermazioni del primo giudice allorquando postula a fondamento dell’errore scusabile la “ complessità della vicenda ”, la “ mancanza nella legge di un divieto esplicito di estensione dei soggetti indicati nell’art. 83 d.lgs. 159/2011 ”, o “ l’assenza di un orientamento giurisprudenziale definito ”. La disciplina recata dall’art. 83 del codice antimafia, a seguito della novella apportata all’articolo 87, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, dal d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218, ha incentrato nelle Prefetture la competenza al rilascio del provvedimento di natura certificatoria che attesta l’esistenza o meno in capo al soggetto scrutinato delle situazioni automaticamente ostative di cui all’art. 67 del codice determinando, quindi, il venire meno della modalità alternativa di rilascio di questo tipo di provvedimento nel sistema precedente affidato alle Camere di commercio e costituito dal certificato camerale munito di dicitura antimafia. Il tramonto del sistema antevigente ha implicato che la lista dei soggetti legittimati a richiedere l’emissione della certificazione antimafia fosse (e sia tuttora) quello enucleato dall’art. 83, co. 1 cit., ossia “ le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici ”.
La littera legis non si presta a particolari dubbi o esitazioni ermeneutiche essendo cristallina nel suo disposto, che deve intendersi improntato a tipicità e tassatività in omaggio ai corollari del principio di legalità dell’azione amministrativa.
Depone peraltro in tal senso anche il carattere piano ed esplicito della relazione illustrativa al citato d.lgs. n. 218/2012, tale da escludere il possibile insorgere di dubbi interpretativi sulla portata dell’innovazione in questione.
6.1.3. – La chiara delimitazione della platea di soggetti legittimati, e il suo riflesso applicativo in punto di an del potere prefettizio al rilascio della documentazione antimafia, figuravano ben chiari al Ministero appellato al punto che nella circolare del 14 febbraio 2014 il Capo di gabinetto del Ministro faceva espresso riferimento alla problematica connessa “ all’eliminazione della possibilità per il soggetto privato di richiedere al Prefetto la comunicazione e/o l’informazione antimafia ”.
6.1.4. – Il carattere colpevole non può essere eliso neanche dall’asserita osservanza del Protocollo di legalità per l’assorbente considerazione che l’estensione dell’alveo applicativo dell’invasivo potere prefettizio di emissione della documentazione antimafia non può certo avvenire su base meramente convenzionale a detrimento della posizione di imprese terze: il Protocollo deve infatti restare res inter alios acta in ossequio al generalissimo principio di matrice negoziale dell’intangibilità della sfera del terzo. Tale principio, di lapalissiana evidenza, è stato ben enunciato dalla ridetta sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS- (v. par. 3: “ Tale vuoto normativo non può certo essere colmato dal Protocollo della legalità e dal suo Atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra il Ministero dell’interno e Confindustria. Si tratta, infatti, di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori (o, secondo l’Adunanza plenaria, addirittura “incapacitanti”), che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica ”) e non poteva sfuggire al Ministero appellato in virtù della diligenza qualificata esigibile nell’ agere provvedimentale, specie quando venga in questione il presupposto stesso del potere pubblico.
Peraltro, tale impropria dilatazione di uno strumento dagli effetti assai perniciosi sugli operatori economici – e, generaliter , sul diritto costituzionalmente garantito della libertà di iniziativa economica - non poteva prescindere dall’intesa negoziale delle imprese aderenti ai protocolli, a pena di forzare il dato normativo della novella del 2012 la cui mens legis era resa ben chiara nella relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 218/2012.
6.1.5. – Tali assunti trovano ulteriore corroborazione nella successiva interpolazione ad opera dell’art. 3, comma 7, D.L. 16 luglio 2020, n. 76, della disposizione di nuovo conio di cui all’art. 83- bis dedicata proprio ai Protocolli di legalità, a riprova dell’avvertita esigenza di una base normativa inequivoca che consacrasse tale pratica amministrativa volta ad estendere su base convenzionale il ricorso alla documentazione antimafia.
6.2. – Preme in limine osservare che non può assolutamente rivestire alcuna valenza esimente la circostanza che la pronuncia n. -OMISSIS- abbia ritenuto – sia ben chiaro, a titolo di mero obiter dictum - sussistenti sul piano sostanziale elementi indiziari tali da legittimare, in astratto, l’adozione dell’interdittiva impugnata: un siffatto argomento congetturale non varrà mai a sanare, agli effetti caducatori, la rilevata carenza del potere prefettizio a rilasciare la documentazione antimafia nella specifica fattispecie concreta, né ad elidere, agli effetti risarcitori, la responsabilità della p.a. per un provvedimento illegittimo sulla base di un ragionamento ipotetico in forza del quale sostenere che, in presenza di diverse condizioni, un provvedimento analogo avrebbe potuto essere legittimamente adottato.
6.3. – Si deve, dunque, concludere che nel caso di specie il Ministero ha colpevolmente esercitato un potere di rilascio di documentazione antimafia che concretamente non gli spettava, carenza di cui ben avrebbe potuto avvedersi usando la diligenza qualificata esigibile all’amministratore pubblico nell’applicazione della disciplina sostanziale di propria pertinenza.
7. – Acclarato ciò, si può passare alla disamina relativa alla sussistenza del nesso eziologico, sub specie di causalità materiale tra l’informativa illegittima e l’incisione pregiudizievole sulla sfera giuridica della Società ingiustamente interdetta.
La difesa erariale patrocina la tesi dell’interruzione del nesso causale per via dell’autonoma iniziativa assunta da -OMISSIS- nel risolvere i rispettivi rapporti contrattuali in considerazione del rischio di infiltrazioni mafiose cui era esposta la -OMISSIS-.
Senonché, la tesi erariale sottace il chiaro tenore testuale delle due comunicazioni indirizzate dalle committenti all’attenzione della odierna società appellante: con la nota del 26 settembre 2017 -OMISSIS- evidenzia il proprio obbligo, in forza delle previsioni del protocollo di legalità cui aderisce, di procedere alla risoluzione del rapporto contrattuale con i fornitori della propria vendor’s list che risultino attinti da informativa antimafia;del pari, la ITI S.p.a. con la nota del 24 gennaio 2018, si è avvalsa della clausola risolutiva espressa in considerazione della sopravvenuta emissione dell’interdittiva antimafia di talché si è sciolta dai sei rapporti di subappalto che la avvincevano alla appellante.
Orbene, vero è che le due Società hanno liberamente aderito al protocollo di legalità (e non già la -OMISSIS-, quantunque la difesa erariale sembri cursoriamente voler alludere ad un suo non meglio precisato consenso), nondimeno la determinazione di risolvere i rapporti contrattuali rinviene dichiaratamente il proprio antecedente causale nella sopravvenienza dell’informativa antimafia e ciò emerge incontestabilmente per tabulas .
7.1. – Ad avviso del Collegio, non può negarsi che tra i due eventi – informativa e comunicazioni di risoluzione contrattuale – sussista un rapporto di causalità materiale secondo la classica teorica della “ condicio sine qua non ” su base probabilistica la cui legge di copertura nel caso di specie è agevolmente rinvenibile nella regola convenzionale assunta dalle imprese aderenti al Protocollo di legalità: il costrutto logico “se A, allora B” in questo caso si attaglia de plano alla situazione in commento, scevra di note naturalistiche (e delle correlate problematiche empiriche di individuazione della legge di copertura scientifica), e riassumibile secondo le cadenze della causalità normativa, rectius : causalità negoziale, delineata nell’art. 3 del Protocollo di legalità 2010 (che prevede appunto l’immediata risoluzione con estromissione dalla vendor’s list nel caso in cui intervenga una informativa interdittiva della Prefettura). Nello scenario controfattuale di mancata emissione dell’informativa (cd. eliminazione mentale), consta che le due committenti non si sarebbero determinate alla risoluzione in assenza di una causa tipizzata di risoluzione contrattuale.
8. – Tutto ciò considerato, in punto di an debeatur devono ritenersi sussistenti tutti gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione per illecito provvedimentale per esser stato, nel caso di specie, emesso colpevolmente un provvedimento amministrativo incidente in senso pregiudizievole sulla sfera giuridica dell’impresa destinataria senza che l’ordinamento preveda espressamente un potere autoritativo di tal fatta.
9. – Ne riviene che può ritenersi naturaliter assorbito il secondo capo di censura, mentre va respinto in quanto palesemente infondato il terzo e ultimo motivo con cui l’appellante ripropone le proprie censure in relazione alla posizione di ANAC e l’asserita illegittimità dell’annotazione dell’informativa nel Casellario informatico gestito dall’Autorità.
9.1. – Tale annotazione è con tutta evidenza un atto vincolato rispetto al quale l’Autorità non può operare alcun sindacato sulla legittimità degli atti che le vengono trasmessi per l’iscrizione;di tale doverosità fa un’ammissione fugace la stessa appellante allorché riconosce che, in base all’articolo 91 del d.lgs. n. 159/2011, è doverosa la trasmissione all’Osservatorio dei contratti pubblici delle informative antimafia emesse in favore dei soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2. In definitiva, in disparte ogni considerazione sulla legittimità dei provvedimenti che le vengono trasmessi, deve comunque escludersi che in capo all’Autorità sussista un potere di verifica incidentale di tale illegittimità e conseguentemente la possibilità di rifiutare od omettere l’iscrizione - facoltà che l’avrebbe invece esposta fatalmente a profili di potenziale responsabilità per il cattivo esercizio di tale potere.
10. – Si deve ora passare alla delicata disamina delle voci di danno suscettibili di effettivo ristoro in sede di condanna risarcitoria aderendo con rigore al canone di causalità giuridica che delimita le voci risarcibili alle conseguenze pregiudizievoli immediate e dirette secondo un criterio di regolarità causale, purché puntualmente allegate e provate.
10.1. – Principiando l’analisi dalle voci di danno patrimoniale, l’appellante si duole di aver patito un danno all’avviamento commerciale in ragione dell’asserito consolidato legame con quattro importanti società committenti (la -OMISSIS-): nondimeno preme soggiungere, in adesione ai rilievi critici della difesa erariale, che appare arduo configurare un avviamento commerciale, in specie ai fini risarcitori, con riguardo ad una società di recente costituzione (solo tre anni prima dell’informativa) che comunque non documenta puntualmente il giro di affari se non producendo un generico e non meglio qualificato prospetto riepilogativo dei ricavi degli anni 2017-2018-2019 da cui si dovrebbe inferire il calo delle commesse pubbliche.
10.2. – Stringendo il fuoco della disamina sulle voci schiettamente patrimoniali rivenienti dal danno emergente e soprattutto dal lucro cessante per quanto concerne il calo di fatturato per il biennio 2018-2019 (si badi bene che l’annullamento dell’interdittiva è intervenuto il 20 gennaio 2020) il Collegio osserva che, se da un lato, non può accedersi a prospettazioni risarcitorie su base contabilistica e sintetica, dacché non è agilmente predicabile un nesso di causalità immediata e diretta tra interdittiva e andamento calante del fatturato, concorrendo una pluralità di altre variabili che rendono sfuggente e aleatoria l’indagine causale in subiecta materia , ben si può – e si deve - ascrivere rilievo, di contro, alle risoluzioni contrattuali che hanno comportato l’inopinata interruzione dei rapporti commerciali con -OMISSIS-.
Tali voci di danno sono anche riconosciute, sia pur in via subordinata, dalla stessa difesa erariale che invoca un coefficiente di utile decurtato al 3%, a fronte del 6% rivendicato dall’appellante.
In un’ottica equitativa appare congruo applicare un coefficiente di utile del 5% sul volume di ricavi mancati in esito alle repentine e subitanee risoluzioni e stimabili in circa 600 mila euro di corrispettivi contrattuali per i segmenti di commesse non eseguite sulla scorta del compendio documentale versato in atti: ne discende un lucro cessante per utile mancato pari a 30.000 euro.
10.3. – Per quanto concerne il danno non patrimoniale, nel caso di specie circoscritto dalla appellante al lamentato danno all’immagine, si deve osservare che esso è allegato in termini assai generici e manca anche della prospettazione di un’ipotetica quantificazione.
A rigore, tale pregiudizio, identificato di norma dalla giurisprudenza civile nella diminuzione della considerazione dell’ente o della persona giuridica da parte dei consociati in genere, ovvero di settori o categorie di essi, con le quali il soggetto leso di norma interagisca (v. Cassazione civile, sez. lav., 1° ottobre 2013, n. 22396) abbisognerebbe nel caso di specie della allegazione e prova che l’emissione dell’interdittiva illegittima fosse stata divulgata nel circuito dei partner commerciali della Società infliggendo un colpo alla reputazione e al credito di cui asseritamente gode -OMISSIS- in via autonoma e distinta rispetto alle ricadute immediatamente commerciali della interruzione dei rapporti, oggetto di ristoro a titolo di danno patrimoniale. Senonché, non vi è traccia di tale sforzo argomentativo e probatorio nel mezzo di impugnazione, sicché la propalazione lesiva dell’immagine deve circoscriversi all’annotazione nel Casellario informatico gestito da ANAC, con portata indubbiamente più circoscritta agli addetti alle commesse pubbliche. In difetto di elementi probatori appare congruo liquidare in via equitativa un ristoro pari a 5.000 euro a titolo di danno all’immagine.
11. – Conclusivamente, l’appello deve trovare accoglimento nei limiti di quanto esposto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolta la domanda risarcitoria proposta col ricorso di primo grado con conseguente condanna in via esclusiva del Ministero dell’interno al risarcimento del danno liquidato nella somma complessiva di euro 35.000 oltre accessori di legge.
12. – A tacitazione della richiesta di parte appellante di ottenere un ristoro per le spese legali scaturenti da altri giudizi si soggiunge che, come regula iuris generale, la statuizione sulle spese di lite concerne esclusivamente il giudizio nel quale viene pronunciata. Conseguentemente, si può disporre solo la regolazione delle spese di lite del doppio grado del presente giudizio, da attuarsi secondo il canone di soccombenza e da liquidarsi come da dispositivo.