Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-09-05, n. 201104996
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N. 04996/2011REG.PROV.COLL.
N. 03394/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3394 del 2008, proposto da:
Lido di Chelo Alessandro &C. s.n.c., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. D P, S S, con domicilio eletto presso Eugenio Picozza in Roma, via San Basilio, 61;
contro
Regione Autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv. G P C, A C, S T, con domicilio eletto presso Regione Autonoma Sardegna, Ufficio di rappresentanza in Roma, via Lucullo, 24;
Ministero delle finanze, Ministero dei trasporti e della navigazione, Agenzia del demanio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono per legge domiciliati;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della SARDEGNA - Sede di CAGLIARI - SEZIONE I n. 00038/2008, resa tra le parti, concernente CANONE PER CONCESSIONE DEMANIALE MARITTIMA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma della Sardegna e del Ministero delle Finanze e di Agenzia del Demanio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2011 il Consigliere F T e uditi per le parti l’ Avvocato Barberio per delega di Piras e Segneri e l’ Avvocato dello stato, Vitale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale della Sardegna ha respinto il ricorso con il quale la società odierna appellante Lido di Chelo Alessandro &C. s.n.c., aveva impugnato il provvedimento in data 21 dicembre 2000, n. 7901, del Settore Demanio e Patrimonio del Servizio Finanze dell’Assessorato regionale degli EE.LL, Finanze e Urbanistica, la nota n. 173862/98 della Direzione generale del Demanio e dei Porti - Ministero dei trasporti e della navigazione ed il parere della Direzione centrale di Roma del Ministero delle Finanze, con i quali era stata respinta la propria richiesta di riduzione alla metà del canone demaniale con la motivazione secondo cui “l’art. 1 del D.M. 05.08.1998 n. 342 prevede espressamente che la riduzione sia applicabile soltanto alle concessioni aventi decorrenza successiva al 31.12.1997” e la si era invitata al versamento del canone per l’anno 2000 nella misura di lire 12.283.000.
Essa aveva premesso di essere titolare di una concessione demaniale ventennale relativa al manufatto marittimo censito nel N.C.E.U. di Bosa al foglio 43, mappali 139 e 140, assentita da ultimo con delibera della Giunta Regionale n. 31/34 del 12 luglio 1995 e che la propria domanda di riduzione del canone scaturiva dalla circostanza che essa aveva effettuato numerosi lavori di manutenzione straordinaria e ristrutturazione dell’immobile in concessione, migliorandone la qualità.
Era insorta avverso i provvedimenti reiettivi prospettando due censure di violazione di legge ed eccesso di potere anche in relazione a profili infraprocedimentali.
Il primo giudice (che in sede cautelare, con ordinanza n. 139/2001, aveva accolto l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato) ha respinto il ricorso alla stregua della considerazione per cui il d.m. 5 agosto 1998, n. 342 faceva esclusivo riferimento alle concessioni rilasciate successivamente al 31 dicembre 1997 (tra cui non rientrava quella di cui era titolare l’appellante).
Inoltre, non potendosi attribuire all’atto impugnato la natura di atto di autotutela, non doveva essere inoltrato l’avviso di avvio del procedimento di ritiro.
La società originaria ricorrente rimasta soccombente ha proposto un articolato appello chiedendo la riforma della decisione del Tribunale amministrativo.
L’art. 2 del d.m. 5 agosto 1998, n. 342, che al comma 5 prevedeva la riduzione del canone, non conteneva alcuna delimitazione temporale: esso poteva applicarsi anche alle concessioni demaniali rilasciate con decorrenza antecedente al 31 dicembre 1997.
Soltanto il comma 1 del citato decreto, infatti, conteneva il riferimento temporale preclusivo citato.
La l. 4 dicembre 1993, n. 494 di conversione del d.-l. 5 ottobre 1993, n. 400 prevedeva che i canoni annui relativi alle concessioni demaniali marittime fossero aggiornati annualmente, con decreto del Ministro della marina mercantile e che, qualora, entro il 1° marzo 1994, non fosse stato emanato il predetto decreto, si sarebbe proceduto al rinnovo delle concessioni in atto con l'applicazione dei canoni precedenti salvo conguaglio successivo.
Vigente tale contesto normativo, la concessione per cui è causa venne assentita (convenzione del 20 ottobre 1995): ne discendeva che alla stessa si dovessero applicare tutte le ipotesi di riduzione del canone previste dalla citata l. 4 dicembre 1993, n. 494.
A tale interpretazione non ostava il disposto di cui all’art. 10 comma 1 della l. 27 dicembre 1997 n. 449.
In ogni caso, se anche non si fosse ritenuto che il presupposto della riduzione del canone si potesse rinvenire nell’art. 2 del citato d.m. 5 agosto 1998, n. 342, ugualmente sarebbe spettata ai sensi dell’art. 3, lett. g), l. 4 dicembre 1993, n. 494.
A tali conclusioni si erano originariamente attenute le amministrazioni competenti: in carenza di motivazione, avevano modificato il loro orientamento.
La nota regionale n. 5219 del 7 agosto 2000 non possedeva – contrariamente a quanto ritenuto del Tribunale amministrativo- carattere meramente interlocutorio, tanto che ivi era stato riconosciuto all’appellante il beneficio dell’abbattimento del canone.
Gli atti impugnati costituivano veri e propri atti di ritiro, illegittimi in quanto non assistiti dalle garanzie infraprocedimentali.
Alla camera di consiglio del 20 maggio 2008, fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la Sezione con ordinanza cautelare n. 2643/2008 ha accolto l’appello cautelare “tenuto conto del pregiudizio per l’appellante riconducibile all’efficacia della sentenza appellata” .
Successivamente, con il decreto decisorio emesso dal Presidente di questa VI Sezione del Consiglio di Stato nr. 8889/2010 il ricorso nr. 3394/2008 RG è stato dichiarato perento con riferimento al decorso biennio dall’ultimo atto di procedura (risalente al 23 aprile 2008, data di deposito del ricorso in appello) e nella considerazione che nessun altro atto di procedura era stato compiuto dalle parti nel biennio successivo a tale data (e che, in particolare, non era stata presentata la domanda di fissazione della pubblica udienza decisoria del merito del ricorso).
L’odierna appellante ha ritualmente proposto opposizione avverso questo decreto e la Sezione, con ordinanza collegiale n. 1485/2011, alla camera di consiglio del giorno 1 marzo 2011 in accoglimento dell’opposizione, ha annullato il decreto n. 8889/2010 dichiarativo della perenzione ed ha fissato l’udienza di trattazione del merito della causa per la pubblica udienza del 19 luglio 2011.
Con due memorie ritualmente depositate le appellate amministrazioni hanno chiesto la reiezione dell’appello perché infondato.
Alla odierna pubblica udienza del 19 luglio 2011 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1.L’appello è fondato e deve essere accolto nei termini che seguono, con conseguente annullamento dell’impugnata sentenza, accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento degli atti impugnati.
2. Appare al Collegio condivisibile e riveste portata assorbente il secondo motivo di censura, incentrato sull’omesso inoltro dell’avviso dell’avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione rilasciata dalla Regione con la nota n. 5219 del 7 agosto 2000.
Il primo giudice ha respinto la doglianza sul presupposto che detta nota avesse portata non provvedimentale, ma meramente interlocutoria;e che dunque gli atti successivi non assumessero la connotazione di atti di ritiro.
Sennonché, la stessa appellata Regione esclude l’esattezza di tale qualificazione (si veda in particolare quanto dalla stessa affermato a pag. 9 della memoria 16 maggio 2008 di costituzione in giudizio).
Essa infatti, con la nota n. 5219 del 7 agosto 2000, nell’ambito della propria competenza, aveva comunicato all’odierna appellante l’accoglimento della sua domanda di abbassamento del canone.
Alcuni mesi dopo, con l’atto di revoca (qui impugnato in primo grado) decise di rivedere tale statuizione e di negare il richiesto abbattimento del canone.
Ritiene il Collegio che si deve escludere che il primo atto favorevole fosse privo del carattere della decisorietà, e concludere che manifestava un vero e proprio provvedimento favorevole. Invero, il suo contenuto, conforme alla domanda dell’interessato, era idoneo ad esternare la volontà di accoglimento dell’amministrazione. Detto atto aveva indubbia natura provvedimentale, non solo perché disponeva definitivamente in ordine al rapporto, ma anche perché la Regione vi esaminava tutti gli argomenti prospettati dall’odierna appellante a sostegno della domanda;non aveva avanzato dubbi in ordine all’effettiva esecuzione da parte della Lido di Chelo Alessandro &C. s.n.c., delle opere e dei miglioramenti che legittimavano la richiesta;aveva fatto riferimento alla legislazione vigente e non aveva espresso elementi di contrarietà sulla stessa fondati.
Sostanzialmente la nota citata era dunque espressiva del motivato convincimento dell’amministrazione circa l’attribuzione all’odierna appellante del domandato bene. Da una tale qualificazione consegue che le successive determinazioni di riesame costituiscono espressione di autotutela decisoria, che hanno ad oggetto quello stesso provvedimento.
Ma, così stando le cose, si è in presenza di un distinto procedimento amministrativo, finalizzato al riesame o alla revisione di quel provvedimento di base. Perciò andavano applicate a questo stesso procedimento di secondo grado le garanzie di partecipazione procedimentale di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241. In particolare, l’appellante avrebbe dovuto essere destinataria di un avviso dell’avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7, per poter contraddire in ordine alle questioni poi tenute in considerazione nell'atto di autotutela (cfr. Cons. Stato, VI, 28 febbraio 2006, n. 887).
Ma, in punto di fatto, è incontestato che un tale atto non le è stato inviato: sicché non ha avuto conoscenza dell’avvio del procedimento di revoca della nota citata, né ha avuto modo di interloquire in quelle circostanze.
Sussiste dunque il vizio di violazione dell’art. 7 l. n. 241 del 1990, a fronte del quale l’Amministrazione non ha opposto in giudizio (né risultano aliunde acquisiti) elementi da valutare in senso contrario, ai sensi dell'art. 21- octies l. 7 agosto 1990, n. 241 (come aggiunto dall'art. 14 l. 11 febbraio 2005, n. 15), e tali escludere un’annullabilità a cagione dell’avvenuta dimostrazione “che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” .
Nemmeno l’Amministrazione ha, di suo, valutato l’eventuale rilevanza dell’affidamento che l’appellante avrebbe potuto riporre sulla possibilità – se del caso - di ottenere una riduzione del canone a fronte delle migliorie eseguite sull’immobile avuto in concessione (cfr. circolare del Ministero dei Trasporti e della Navigazione n. 73 del 28 agosto 2008, che dà atto della circostanza che l’ufficio di controllo era dell’avviso che le prescrizioni di cui alla l. 4 dicembre 1993, n. 494 “dovessero applicarsi a tutte indistintamente le concessioni, indipendentemente dalla data di origine del provvedimento concessorio” ).
Peraltro, la stessa Amministrazione appellata ha riconosciuto le difficoltà applicative della normativa in esame, dal che è dato desumere che non è ragionevole affermare che l’apporto partecipativo del privato sarebbe stato senz’altro inutile.
3. L’appello va pertanto accolto, con conseguente riforma dell’appellata sentenza e, in accoglimento del ricorso di primo grado devono essere annullati gli atti impugnati, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
4. Le spese del giudizio vanno integralmente compensate in relazione alla natura ed all’oggetto della controversia.