Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-12-27, n. 202108616

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-12-27, n. 202108616
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202108616
Data del deposito : 27 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/12/2021

N. 08616/2021REG.PROV.COLL.

N. 07965/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7965 del 2019, proposto da
Gestore dei Servizi Energetici - GSE - S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati S F, A G e A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

ICQ Holding S.p.A. e Romagna Energia S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese dagli avvocati G B C, L N e M A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Autorità di Regolazione per l'Energia, Reti e Ambiente, non costituita in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, sezione Sesta, n. 5324/2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di ICQ Holding S.p.A. e di Romagna Energia S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2021 il Cons. F D L e uditi per le parti gli avvocati Conte Giovanni Battista, Sandulli Maria Alessandra. Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, la società Gestore dei Servizi Energetici – GSE SpA (per brevità anche GSE) ha impugnato per revocazione la sentenza n. 5324/19 con cui la Sezione, in accoglimento dell’appello delle società ICQ Holding S.p.A. e Romagna Energia S.r.l. (e in riforma della sentenza del T Lazio, sez. III-Ter, 16 maggio 2013, n. 4959), ha accolto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalle stesse società in primo grado.

In particolare, secondo quanto dedotto dalla ricorrente:

- nell’ottobre 2011 il GSE ha avviato nei confronti delle società ICQ Holding e Romana Energia un procedimento incentrato sull’asserita illegittima discordanza tra la data di entrata in esercizio degli impianti delle società (ai fini dell’incentivazione CIP 6) rispetto a quella dichiarata, ai fini dell’ottenimento dei certificati verdi, in sede di qualifica IAFR (di impianto alimentato da fonti rinnovabili);

- all’esito di verifiche all’uopo svolte, sarebbe emersa una difformità tra le date dichiarate di entrata in esercizio degli impianti, avendo il produttore dichiarato: a) con riferimento all’impianto di Cesena, le date del 24 giugno 2005 (con la comunicazione del 28 giugno 2005 ed all’atto della stipula della convenzione) e di ottobre 2005 in sede di qualifica IAFR (con la richiesta del 2 dicembre 2005);
b) con riferimento all’impianto di Firenzuola, le date del 27 giugno 2005 (con la comunicazione del 28 giugno 2005 ed all’atto della stipula della convenzione) e del dicembre 2005 in sede di qualifica IAFR (con la richiesta del 23 febbraio 2009);

- il termine ultimo stabilito nel decreto del Ministero delle Attività Produttive del 29 maggio 2003 relativamente alle convenzioni intestate a ICQ Holding e Romagna Energia era fissato per il 1° luglio 2005;
tale termine non sarebbe stato rispettato, ragione per cui avrebbe dovuto applicarsi la presunzione iuris et de iure di rinuncia alle incentivazioni CIP 6/92 ex art. 15, comma 1, D. Lgs. n. 79 del 1999;

- con note del 3 gennaio 2012, il GSE ha chiesto alle società ICQ Holding e Romagna Energia di fornire “ copia della comunicazione trasmessa all’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas con la quale è stata fornita idonea prova di avere concretamente avviato la realizzazione dell’iniziativa in oggetto in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 15 del D.Lgs 16 marzo 1999 n° 79, così come modificato dal comma 75 dell’art. 1 della Legge 239/04 ”;

- le società richieste hanno impugnato le note in esame con due ricorsi dinnanzi al T Lazio, Roma;

- all’esito dell’istruttoria, con provvedimenti del 12.6.2012, il GSE, rilevando che, alla stregua di quanto risultante dalle verifiche documentali svolte, gli impianti di Cesena e di Firenzuola non erano entrati in esercizio entro la data del 1° luglio 2005, ha considerato ciascuna delle società sottoposte a verifica “ rinunciatarie ” ai benefici derivanti dalle convenzioni CIP6, ai sensi dell’art. 15 d.lgs. n. 79 del 1999, disponendo altresì la cessazione dell’erogazione dei pertinenti incentivi;

- i provvedimenti sono stati impugnati dalle società ICQ Holding e Romana Energia con motivi aggiunti dinnanzi al T Lazio;

- il primo giudice, con sentenza n. 4959 del 2013, ha rigettato i ricorsi e i successivi motivi aggiunti;

- le parti ricorrenti hanno appellato la sfavorevole sentenza di prime cure dinnanzi a questo Consiglio, che con la sentenza revocanda ha accolto l’impugnazione, annullando, previa riforma della sentenza gravata e accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado, i provvedimenti assunti dal GSE;

- la sentenza così emessa sarebbe inficiata da errori revocatori idonei ad influire sulla decisione in concreto assunta.

2. In particolare, il GSE denuncia, da un lato, “ errore di fatto revocatorio risultante dagli atti o documenti di causa per supposta esistenza di un fatto (la natura di “autorità indipendente” del GSE) la cui verità era incontrastabilmente esclusa dagli atti e documenti di causa ”;
dall’altro, “ errore di fatto revocatorio risultante dagli atti o documenti di causa per supposta inesistenza di un fatto (la interlocuzione procedimentale con le società appellanti) la cui sussistenza era positivamente stabilita dagli atti e documenti di causa ”.

3. Le società ICQ Holding S.p.A. e Romagna Energia Srl si sono costituite in giudizio, resistendo al ricorso.

4. Le parti hanno svolto argomentazioni difensive a sostegno delle rispettive conclusioni con il deposito di memorie conclusionali. Il GSE ha depositato, altresì, repliche alle avverse deduzioni e note di udienza, chiedendo la decisione della controversia.

5. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 24 settembre 2021.

6. Il ricorso per revocazione consta di due motivi di impugnazioni, entrambi diretti a denunciare un preteso errore di fatto inficiante la sentenza impugnata.

6.1. Con il primo motivo di revocazione il ricorrente rileva che il giudice a quo avrebbe definito la controversia ritenendo che il Gestore dei Servizi Elettrici sia un’Autorità indipendente, risultando di contro pacifico in causa che il GSE è una società per azioni.

Una tale svista avrebbe condizionato il contenuto motivazionale e precettivo della sentenza, conducendo il giudice a quo all’erroneo accoglimento dell’appello: in particolare, proprio sulla base del fatto (asseritamente decisivo) per cui il GSE fosse un’Autorità indipendente, la Sezione, da un lato, avrebbe negato la spettanza al GSE del potere generale di verifica dei dati forniti dalle imprese ammesse al beneficio, dall’altro, avrebbe applicato gli speciali principi sull’autotutela valevoli per le Autorità indipendenti, suscettibili di condurre ex se all’annullamento dei provvedimenti impugnati.

Ove il Consiglio di Stato non fosse incorso in errore, avrebbe riconosciuto al GSE il potere di verifica dei dati in contestazione e avrebbe al più applicato i principi comuni e le norme generali in tema di autotutela amministrativa, implicanti una verifica concreta circa le conseguenze del vizio procedimentale in ipotesi sussistente (nella specie non esaminate nella pronuncia revocanda).

L’errore in parola avrebbe inciso pure sull’interpretazione dell’art. 15, commi 1 e 5, D. Lgs. n. 79 del 1999, condizionata dall’erroneo richiamo ai principi in materia di autotutela, derivanti dall’erronea considerazione del GSE come Autorità indipendente;
in assenza di tale errore, il giudice a quo avrebbe concluso per ritenere l’ultima parte del comma 5 cit. idonea a vietare la sospensione del termine perentorio di cui al comma 1 del medesimo art. 15.

In via rescissoria, il ricorrente ha chiesto che, per l’effetto della revocazione della sentenza impugnata, venga rigettato l’appello delle società con conferma della sentenza del T, tenuto conto che:

- il GSE sarebbe titolare di un potere di verifica (diverso dal potere di autotutela) della spettanza degli incentivi esercitabile anche a valle del provvedimento di ammissione al beneficio, persistendo un tale potere per tutto il periodo di validità della convenzione;
con la conseguenza che nella specie, avendo le appellanti dichiarato falsamente l’entrata in esercizio dell’impianto nel mese di giugno 2005, non avrebbe potuto ravvisarsi la conservazione in capo alle stesse dei benefici per cui è causa;

- non sarebbe sufficiente il mero riscontro di un vizio procedimentale per annullare il provvedimento del GSE ove pure qualificato come di autotutela, occorrendo l’espletamento del giudizio controfattuale destinato a concludersi nella specie con la conferma della legittimità dei provvedimenti censurati in primo grado;

- l’art. 15 d. lgs. n. 79 del 1999 avrebbe dovuto essere interpretato nel senso che, escluso l’effetto sospensivo in conseguenza della comunicazione inerente alla modifica della localizzazione, era ormai decorso il termine perentorio gravante sulle società.

6.2 Con il secondo motivo di revocazione viene censurato un ulteriore preteso errore di fatto, per avere il giudice a quo escluso un’interlocuzione procedimentale con le due società ICQ Holding e Romana Energia, quando, invece, una tale interlocuzione vi era stata, come emergente dagli atti e documenti di causa (a tali fini vengono, in particolare, richiamati i documenti 1, 9 e 10 prodotti in primo grado).

Per l’effetto, in assenza di tale errore, il giudice a quo non avrebbe dovuto riscontrare un’inesistente violazione delle regole proceedimentali in materia di autotutela e, dunque, avrebbe dovuto escludere l’illegittimità dei provvedimenti censurati in primo grado.

Per la fase rescissoria il GSE ha chiesto il rigetto dell’appello con conferma della sentenza pronunciata dal T, dovendosi escludere la violazione delle regole in tema di interlocuzione procedimentale nel procedimento di autotutela.

7. Le società intimate hanno eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità dei motivi di revocazione, specificando, in relazione al primo motivo di ricorso, che il GSE tende a “ proporre un inammissibile terzo grado di giudizio su valutazioni in diritto totalmente indipendenti dal lamentato, ma inesistente, errore di fatto revocatorio ” (pag. 22 memoria conclusionale);
in relazione al secondo motivo di ricorso che “ La piana lettura della Sentenza dimostra tuttavia che mai essa ha affermato che il Gestore non aveva interloquito con le imprese ” (pag. 23 memoria conclusionale). Le stesse società si sono difese anche nel merito, eccependo l’infondatezza delle avverse censure.

8. Come correttamente rilevato dalle società appellante, nella specie non risulta riscontrabile alcun errore di fatto revocatorio rilevante ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 del c.p.a. e 395 n. 4 del c.p.c.

9. Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. III, 06 novembre 2020, n. 6842), l’errore di fatto "revocatorio" - da distinguere dall'errore di diritto, per propria natura inidoneo a giustificare la fase rescindente dell’odierno processo, non potendo impiegarsi la revocazione, attesa la sua eccezionalità, come terzo grado di giudizio - deve rispondere a tre requisiti:

a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo esistente un fatto documentale escluso ovvero inesistente un fatto documentale provato;

b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
dove “ per errore su un “punto controverso”, come tale non rilevante ai fini in esame, si intende quello formatosi su un punto che nella sentenza impugnata è stato deciso in base all'apprezzamento delle risultanze processuali, alla loro valutazione e alla loro interpretazione da parte del Giudice ” (Consiglio di Stato, sez. IV, 26 febbraio 2020, n. 1418);

c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

Tale errore, inoltre, deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche;
esso non coinvolge, in particolare, l’attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ma è configurabile nella sola attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella risultante dagli atti e dai documenti processuali (tra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, 19 febbraio 2019, 1144).

L’errore di fatto, in altri termini, “ consiste in una falsa percezione della realtà processuale e cioè in una svista - obiettivamente ed immediatamente rilevabile - che abbia portato ad affermare o soltanto supporre - purché tale supposizione non sia implicita, ma sia espressa e risulti dalla motivazione, in quanto "un abbaglio dei sensi è incompatibile con l'omissione di motivazione, perché è la motivazione che rivela l'abbaglio" (cfr. Cons. St., Ad. plen., 30 luglio 1980, n. 36) - l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero la inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato ” (Consiglio di Stato Sez. VI, 28 settembre 2020, n. 5684).

10. Sulla base di tali coordinate ermeneutiche, è possibile soffermarsi sul caso di specie, evidenziando le ragioni per cui i pretesi errori censurati dal ricorrente non possano integrare gli estremi dell’errore revocatorio deducibile nell’odierna sede processuale.

A tali fini, occorre ricostruire il contenuto precettivo della sentenza revocanda, senza limitarsi ad una lettura atomistica dei singoli passaggi in cui si articola il relativo impianto motivazionale. Per verificare se il giudice procedente abbia correttamente percepito il petitum della domanda processuale e i fatti sottesi alle censure componenti il thema decidendum , per come allegati ed emergenti dagli atti acquisiti al giudizio a quo , occorre infatti procedere ad un’interpretazione sistematica delle statuizioni componenti la pronuncia revocanda, avendo riguardo all’ordito complessivo della motivazione giudiziale (cfr. Consiglio di Stato Sez. III, 20 novembre 2013, n. 5487 che valorizza la necessità di un esame complessivo dell’apparato motivazionale, onde verificare se la pronuncia revocanda sia connotata da una completa ed esaustiva cognizione del thema decidendum ).

11. Con la sentenza revocanda la Sezione ha accolto l’appello proposto dalle odierne società intimate, rilevando in punto di fatto (nell’ambito del paragrafo 3 della motivazione), che:

- le società ICQ Holding e Romagna Energia, ciascuna titolare di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile alimentato a biogas da discarica, l’uno ubicato in Firenzuola (ICQ) e l’altro in Cesena (RE), avevano ottenuto l’ammissione ai benefici di cui al provvedimento CIP 6/1992 in relazione a una quota dell’energia prodotta (venendo la rimanente parte incentivata attraverso il meccanismo dei certificati verdi, cc.dd. CV);

- diversi anni dopo la conclusione della convenzione cip6\92 con Gse in data 14\2\2006, all’esito di una verifica ispettiva intrapresa presso l’impianto di Imola, il GSE (nota 17\11\2011) avviava un’interlocuzione con la società ICQ intesa a chiarire alcuni dati concernenti le proprie iniziative;
in particolare, è stata esaminata la presunta discordanza tra la data di entrata in esercizio dei rispettivi impianti (ICQ 27\6\2005 e RE 24\6\2005) e quella dichiarata in sede di riconoscimento della qualifica IAFR (ICQ dicembre 2005 e RE ottobre 2005);

- non condividendo la prospettazione delle appellanti il Gse, sulla scorta di una interpretazione più rigorosa dell’art. 15 cit., considerava le imprese rinunciatarie della convenzione cip 6\92 stipulata in data 14\2\2006, cessava l’erogazione degli incentivi e prospettava il recupero di quanto indebitamente erogato.

12. Alla stregua di tali emergenze fattuali, l’appello è stato ritenuto “ fondato sotto gli assorbenti motivi concernenti la violazione dell’affidamento delle imprese nonché il difetto di motivazione in ordine agli elementi forniti dalle stesse in sede procedimentale rispetto alla norma di riferimento, contenuta nell’art. 15 d.lgs. 79\1999 cit ” (par. 4 motivazione in diritto).

12.1 In particolare, nell’ambito del paragrafo 4.1 della motivazione in diritto, il giudice a quo ha ritenuto che, a fronte della rivalutazione, a diversi anni di distanza dal positivo esito (conclusosi con la stipula della relativa convenzione), della effettiva spettanza dei benefici, già erogati ed in corso di erogazione, il potere esercitato non potesse che “ qualificarsi in termini di autotutela, cui conseguono una serie di principi e regole che il titolare del potere autoritativo in essere è chiamato a rispettare. E nel caso di specie non appaiono essere stati adeguatamente considerati, né tantomeno applicati, i principi che impongono una adeguata valutazione non solo dell’interesse pubblico – essendo insufficiente il mero presunto ripristino della legalità – ma anche della situazione del soggetto titolare della situazione giuridica in precedenza positivamente rilasciata ”.

I provvedimenti in contestazione avevano infatti “ dato luogo ad una vera e propria decadenza e revoca in autotutela di atti ed effetti favorevoli, a fronte di una diversa valutazione delle originarie risultanze procedimentali, svolte attraverso una vera e propria nuova istruttoria, all’esito della quale l’elemento temporale, reputato dirimente, è stato valutato in termini opposti ”.

Al riguardo, assumevano “ specifico ulteriore rilievo, nei termini di mancata adeguata valutazione nell’esercizio di un potere di autotutela, anche il dimostrato mutamento della prassi favorevole, che a suo tempo aveva consentito l’esito positivo con la conclusione della convenzione, nonché dell’impossibilità, per le stesse imprese interessate di seguire strade alternative (i cc.dd. certificati verdi) fra quelle che, proprio al fine di incentivare impianti del genere, l’ordinamento prevede ”.

12.2 Ritenendo di dovere qualificare il potere esercitato con gli atti censurati in prime cure in termini di autotutela, il Collegio ha ritenuto richiamare “ in linea generale ”, nell’ambito del par.

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