Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-04-30, n. 201402247

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-04-30, n. 201402247
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201402247
Data del deposito : 30 aprile 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08316/2008 REG.RIC.

N. 02247/2014REG.PROV.COLL.

N. 08316/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8316 del 2008, proposto da:
Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv. M S, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, n. 180;

contro

Comune di Crispano;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VII n. 09850/2008, resa tra le parti, concernente la rimozione dell’impianto di telefonia mobile


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 aprile 2014 il Cons. Massimiliano Noccelli e udito, per la parte appellante, l’Avv. Ruggiero su delega dell’Avv. Sanino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Telecom Italia s.p.a. realizzava, nel 1993, un impianto per la telefonia mobile, che veniva installato su una preesistente centrale telefonica in Crispano (NA), via A. Moro.

2. Il 14.4.2006 Telecom Italia s.p.a. presentava allo stesso Comune di Crispano una D.I.A. a sanatoria di tale impianto, ma il Comune, con provvedimento del 20.4.2006, respingeva tale istanza.

3. Con provvedimento immediatamente successivo, in data 26.4.2006, il Comune ordinava la demolizione dello stesso impianto.

4. Telecom Italia s.p.a. proponeva, perciò, ricorso al T.A.R. Campania avverso tali provvedimenti, contestando le ragioni del diniego e censurando altresì, per illegittimità derivata, l’ordinanza di demolizione.

5. Si costituiva nel giudizio di prime cure il Comune di Crispano, il quale eccepiva che Telecom Italia s.p.a. non avrebbe potuto presentare la d.i.a. in sanatoria, non essendo ciò consentito dal d. lgs. 259/2003, che non prevedrebbe espressamente il rilascio di titoli autorizzatori in sanatoria.

6. Con sentenza n. 9850 del 6.8.2008 il T.A.R. Campania rigettava il ricorso, ritenendo ammissibile nonché condivisibile la motivazione postuma addotta dall’Amministrazione in sede di giudizio, per l’assorbente considerazione secondo cui, anche prescindendo da ogni rilievo sulla fondatezza delle ulteriori ragioni ostative invocate nel provvedimento di diniego, l’Amministrazione era comunque tenuta a respingere la domanda presentata da Telecom Italia s.p.a. in ragione del divieto di rilasciare in sanatoria i titoli abilitativi previsti dall’art. 87 del d. lgs. 259/2003.

7. Avverso tale sentenza ha proposto appello Telecom Italia s.p.a., ritenendo erronea la motivazione del primo giudice e riproponendo tutti i motivi di censura sollevati nell’originario ricorso, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma.

8. Non si è costituto in giudizio, nonostante la ritualità della notifica, il Comune di Crispano.

9. Con ordinanza n. 6020 dell’11.11.2008 veniva respinta l’istanza cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza.

10. Nella pubblica udienza del 10.4.2014, presente il solo difensore della società appellante, la causa è stata trattenuta in decisione.

11. L’appello deve essere accolto.

12. La sentenza impugnata ha ritenuto ammissibile, in via preliminare, la motivazione postuma, addotta dall’amministrazione comunale in primo grado per giustificare la reiezione della d.i.a. in sanatoria, osservando che, nel caso di provvedimenti vincolati, il tradizionale principio del divieto di motivazione postuma è superato dall’introduzione dell’art. 21 octies , comma 2, prima parte, sicché, “ posto che attraverso l’introduzione della regola del raggiungimento dello scopo si è realizzata una vera e propria trasformazione del processo amministrativo in materia di attività vincolata da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto, l’Amministrazione resistente ha correttamente provveduto a rappresentare nel corso del giudizio un’ulteriore causa ostativa all’accoglimento della domanda di sanatoria e che da sola giustifica il rigetto di tale domanda ” (p. 16 dell’impugnata sentenza).

13. Ad avviso del Collegio si tratta di un assunto infondato, in fatto e in diritto, non soltanto perché il provvedimento in questione non ha natura vincolata, sicché ogni argomento fondato sull’art. 21- octies , comma secondo, della l. 241/1990, difetta del suo necessario presupposto logico, ma soprattutto perché la motivazione del provvedimento costituisce l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata, e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio.

14. Questa Sezione ha già avuto modo di osservare, al riguardo, che il difetto di motivazione nel provvedimento impugnato non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma, costituendo la motivazione del provvedimento il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21- octies , comma 2, della l. 241/1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti (v., di recente, Cons. St., sez. III, 7.4.2014, n. 1629).

15. Di qui l’erroneità dell’assunto dal quale muove il primo giudice, assunto che non può essere condiviso e che, anzi, proprio nel caso di specie deve essere con maggior forza disatteso anche perché la motivazione postuma, addotta dall’Amministrazione in sede giudiziale, è errata anche nella sostanza.

16. Non si può disconoscere, infatti, la possibilità di richiedere la d.i.a. (ora s.c.i.a.) in sanatoria anche per gli impianti di telefonia mobile, non ostando a ciò la sola mancata espressa previsione di tale possibilità nell’art. 87 del d. lgs. 259/2003, dato che lo stesso art. 87, comma 3, del d. lgs. 259/2003 richiama sic et simpliciter il procedimento della s.c.i.a. (un tempo d.i.a.) e, con esso, non esclude affatto anche la d.i.a. in sanatoria.

16.1. A nulla giova invocare, in senso ostativo a tale conclusione, il principio di cautela nel rilascio di titoli autorizzatori per l’installazione degli impianti in questione, come fa il T.A.R. nella sentenza impugnata, e trarne il corollario che tale regime debba essere necessariamente preventivo a tutela della salute umana, poiché la stessa scelta legislativa della d.i.a. (ora s.c.i.a.) e il favor che assiste l’installazione degli impianti e la semplificazione delle procedure, “ fermo restando il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità ” indicati dall’art. 87 del d. lgs. 259/2003, consente di affermare la legittimità della d.i.a. in sanatoria, in presenza di tutte le autorizzazioni richieste dalla normativa in materia.

17. Ciò premesso sull’erronea motivazione al riguardo espressa dalla sentenza impugnata, che deve essere in toto corretta e riformata, occorre ora esaminare i motivi di censura proposti da Telecom Italia s.r.l. in primo grado e non esaminati dal T.A.R. per l’assorbente accoglimento della suddetta motivazione postuma.

17.1. Tali motivi sono tutti fondati.

17.2. È anzitutto fondata – ed è addirittura, in sé sola, assorbente – la censura relativa alla violazione dell’art. 10- bis della l. 241/1990, posto che l’Amministrazione, in effettivo spregio di tale disposizione, ha omesso di comunicare preventivamente a Telecom Italia s.p.a. i motivi del rigetto, senza quindi porla in condizione di interloquire sull’istanza e di rappresentare le ragioni che avrebbero potuto condurre, al contrario, all’accoglimento della d.i.a., vertendosi in materia, come si è detto, di attività amministrativa non avente contenuto vincolato.

17.3. Telecom Italia s.p.a. ha potuto rappresentare tali ragioni solo nel corso del presente giudizio, una volta impugnato il provvedimento di diniego, mediante i motivi di censura sviluppati in prime cure avverso lo stesso provvedimento, motivi che, come ora si dirà, sono tutti meritevoli di accoglimento.

17.4. Quanto alla mancanza del parere dell’A.R.P.A.C., infatti, Telecom Italia s.p.a. ha dedotto di aver richiesto tale parere il 13.4.2006 e che, alla data di adozione del provvedimento impugnato (20.4.2006), non era ancora decorso il termine fissato dall’art. 87, comma 4, del d. lgs. 259/2003, per l’adozione di tale parere.

17.5. Il motivo è fondato, essendo stato il provvedimento di diniego adottato prima che fosse decorso detto termine, dopo il quale è stato rilasciato, poi, il parere positivo della medesima A.R.P.A.C. prot. n. 3441 del 29.8.2006.

17.6. Del pari sono fondati gli altri due motivi, con i quali Telecom Italia s.p.a. aveva lamentato l’erroneità dell’impugnato diniego anche nella parte in cui rilevava che l’istanza mancava del parere A.S.L. NA3 e del “ deposito strutture al Genio Civile ”.

17.7. Anche tali motivi di rigetto sono erronei, perché il parere della A.S.L. NA3 è necessario solo laddove non operi l’A.R.P.A., che in Campania è pienamente operativa, essendo il parere dell’A.R.P.A. integralmente sostitutivo di ogni altra autorizzazione, mentre, per quanto concerne la mancanza del progetto e del suo deposito presso il Genio Civile, ben avrebbe dovuto l’Amministrazione, entro quindici giorni dalla data di ricezione dell’istanza, richiedere a Telecom Italia s.p.a. l’integrazione documentale, prodotta a corredo della d.i.a., secondo quanto prevede l’art. 87, comma 5, del d. lgs. 259/2003, anziché respingere seccamente l’istanza senza possibilità di integrare la documentazione mancante.

17.8. L’impugnato provvedimento di diniego, infine, è illegittimo anche nella parte in cui ha rilevato “ che, trattandosi di antenne con potenza superiore a 20W, ai sensi di quanto disposto dall’art. 87, commi 1 e 5, del d. lgs. 259/2003, l’istanza non è soggetta a d.i.a., ma ad autorizzazione edilizia ”.

17.9. L’Amministrazione non ha infatti considerato, errando, che l’art. 87, comma 3, del d. lgs. 259/2003 prevede la presentazione della d.i.a. per gli impianti aventi una potenza in singola antenna uguali o inferiori a 20W, sicché, ai fini della presentazione della d.i.a., non rileva la potenza dell’impianto stesso, nella sua composizione globale, derivante dalla sommatoria delle antenne di cui si compone, bensì la potenza singola delle varie antenne che costituiscono l’impianto stesso, come ha affermato anche la giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. St., sez. VI, 9.6.2005, n. 3040), laddove, nel caso si specie, le singole antenne che compongono l’impianto di cui è stata chiesta la sanatoria avevano ciascuna potenza uguale o inferiore a 20 W (cfr. pp. III e 12 della relazione tecnica, depositata anche in Comune).

18. Ne segue che, per tutti gli esposti motivi, l’impugnato provvedimento di diniego è illegittimo e deve essere annullato, come deve essere annullata, per invalidità derivata, anche l’impugnata ordinanza di demolizione adottata dal Comune di Crispano, fatti ovviamente salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione in ordine all’assentibilità della d.i.a. (ora s.c.i.a.) in presenza di tutti i requisiti fissati dalla legge.

19. Le spese del doppio grado di giudizio, attesa la peculiare complessità del caso in esame, possono essere interamente compensate tra le parti ai sensi del combinato disposto dell’art. 26 c.p.a. e dell’art. 92, comma secondo, c.p.c.

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