Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-03-24, n. 201401443

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-03-24, n. 201401443
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201401443
Data del deposito : 24 marzo 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01644/2002 REG.RIC.

N. 01443/2014REG.PROV.COLL.

N. 01644/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1644 del 2002, proposto da V C rappresentato e difeso dagli avvocati L E e V P, con domicilio eletto presso i predetti difensori in Roma, Via Poggini n. 53, int. 3

contro

Regione Puglia in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. A d F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Maria Lucrezia Turco in Roma, Via Barberini n. 47

per l’annullamento

della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sezione II, n. 4259/2001, resa tra le parti, concernente esclusione dalla partecipazione al concorso per titoli ed esami per n. 482 posti di 8° qualifica funzionale (funzionario) per carenza del titolo di studio prescritto nel bando.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2013 il Cons. Sabato Malinconico e uditi per le parti gli avvocati avv. Antonio Messina su delega dell'avv. Antonio De Feo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso al Tribunale Amministrativo regionale per la Puglia il sig. V C, odierno appellante, quale dipendente di ruolo della Regione Puglia inquadrato nella VII° qualifica funzionale, impugnava con istanza di sospensiva la deliberazione n. 12 del 19 agosto 1998, con la quale il dirigente del settore personale e metodi della Regione Puglia disponeva l’esclusione del ricorrente dalla partecipazione al concorso per titoli ed esami per n. 482 posti di 8° qualifica funzionale (funzionario) indetto con deliberazione della Giunta Regionale n. 10179 del 10.12.1997, pubblicata sul B.U.R. n. 132 suppl. del 31.12.1997 per carenza del titolo di studio prescritto dal bando, nonché ogni altro atto presupposto e collegato, conseguenziale e comunque incompatibile ed in particolare il provvedimento n. 3 del 4.6.1998 del dirigente del Settore organizzazione e gestione risorse umane della Regione Puglia con il quale era stata data esecuzione alla menzionata deliberazione della G.R. n. 10179 del 30.12.1997.

Si opponeva in quella sede al gravame la Regione Puglia contestando in radice le censure con lo stesso dedotte.

Con ordinanza del 24 marzo 2009 il T.A.R. adito respingeva l’istanza cautelare di sospensione e con la menzionata sentenza n. 4529/2001, definitivamente pronunciando sul ricorso, lo respingeva rilevando preliminarmente che il ricorrente, dopo aver impugnato separatamente il bando di concorso che richiedeva in via cumulativa il possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso alla qualifica messa a concorso e il possesso della qualifica immediatamente inferiore a quella oggetto della selezione, con il gravame oggetto del giudizio contestava l’esclusione dal concorso disposta con il provvedimento impugnato con le censure già indicate.

Lo stesso giudice di primo grado motivava la pronuncia di rigetto adottata rilevando l’infondatezza e insussistenza di tutti i motivi di impugnativa dedotti dal ricorrente.

Avverso la sentenza n. 4529/2001 è insorto, come giù detto, il sig. V C con l’odierno appello con il quale deduce le seguenti doglianze:

a) Violazione dell’art. 3 legge n. 241/90;
eccesso di potere;
difetto di motivazione;

b) Violazione e falsa applicazione di legge-violazione dell’art. 32 della L.R. 4.2.1997, n. 7 nonché dell’art. 39 L.R. 9.5.1984, n. 26. Illegittimità derivata;
eccesso di potere: travisamento, illogicità;
disparità di trattamento, ingiustizia manifesta;

c) Illegittimità costituzionale dell’art. 92, c. 2 della L.R. 47/1997 nonché dell’art. 39 L.R. n. 26/1984 per violazione degli artt. 3, 4 e 97 Cost. In sostanza l’appellante sostiene che il giudice di prime cure nel pronunciare la sentenza appellata non avrebbe tenuto conto: 1) del fatto che il ricorrente aveva proposto ricorso giurisdizionale avverso la deliberazione della G.R. di indizione del bando di concorso con il quale venivano fissati i requisiti dei concorsi interni in questione, per cui con riferimento a tale impugnativa, l’amministrazione aveva l’obbligo di motivare a norma dell’art. 3 della L. n. 241/90 il provvedimento di esclusione in relazione alle censure dedotte con tale ricorso giurisdizionale;
2) dell’indirizzo elaborato dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con pronuncia n. 1/1998 secondo la quale la P.A. ha facoltà di derogare nei concorsi interni al titolo di studio prescritto per l’accesso dall’esterno, atteso che tale requisito può essere sostituito dal possesso del titolo di studio richiesto per il livello immediatamente inferiore e contestuale possesso di una determinata anzianità di servizio nella qualifica immediatamente inferiore;
tale orientamento ad avviso dell’appellante rappresenterebbe un principio generale in materia di pubblico impiego sul quale il T.A.R. avrebbe omesso ogni approfondimento e valutazione. In particolare l’appellante tende a valorizzare un’interpretazione delle norme contenute negli art.. 32 della L.R. n. 7/1997 e 39 della L.R. n. 26/1984 secondo la quale la disciplina dettata dalle citate disposizioni non prevederebbe nel caso in esame (vale a dire nel caso di concorso interno) ai fini della partecipazione alla selezione il requisito del possesso del titolo di studio previsto per l’accesso esterno al posto messo a concorso, ma solo il possesso del titolo di studio immediatamente inferiore;
ad avviso del ricorrente il titolo di studio richiesto per l’accesso dall’esterno sarebbe invece prescritto solo per la procedura del corso-concorso prevista dall’art. 32 della L.R. n. 7/97;
3) del fatto che il ricorrente aveva avanzato, in via subordinata, un’eccezione di incostituzionalità delle norme regionali dettate nella materia de qua per contrasto con gli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione. Secondo l’appellante una eventuale interpretazione delle norme regionali recate dall’art. 32 della legge n. 7/1997 e dall’art. 39 della L.R. n. 26/1984 nel senso di richiedere per i concorsi interni il possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso dall’esterno (nel caso di specie il diploma di laurea per la qualifica ottava) sarebbe discriminatoria e, precludendo la possibilità di accesso a determinati dipendenti dotati di tutti i requisiti di professionalità e di esperienza necessari, contrasterebbe apertamente con gli artt. 3,4 e 97 della Costituzione. Peraltro in conseguenza di tale interpretazione l’eventuale sviluppo di carriera mediante accesso alla qualifica superiore risulterebbe precluso per sempre al ricorrente, una volta coperti tutti i posti disponibili.

Si è costituita nel presente giudizio di appello la regione Puglia, la quale con due memorie contro deduttive, rispettivamente del 4.3.2002 e dell’8 novembre 2013, contesta in radice le doglianze esposte nell’appello eccependone in via pregiudiziale l’inammissibilità per mancata specificazione dei motivi di ricorso (in quanto il sig. V C si è limitato a riproporre pedissequamente le censure dedotte in primo grado) nonché l’inammissibilità ed improcedibilità dell’appello per sopravvenuta inoppugnabilità rispetto al ricorrente della delibera della G.R. n. 10179 del 30.121997 di indizione del bando di concorso interno (detta delibera era stata impugnata separatamente dall’odierno appellante unitamente ad altri dipendenti con riferimento ai requisiti in essa prescritti dinanzi al T.A.R. Puglia, Sezione di Bari, che con una prima ordinanza n. 1116/2004 ha dichiarato l’interruzione del processo e con successivo decreto n. 4411/2005 del Presidente ha dichiarato l’estinzione del processo).

Nel merito sottolinea l’infondatezza delle censure dedotte nel ricorso di appello avverso la sentenza di primo grado.

DIRITTO

Il ricorso deve essere respinto.

La difesa della Regione Puglia ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 101 cod. proc. amm. e del correlato principio di specificità dei motivi, nonché per l’omessa notificazione del ricorso di primo grado e dell’appello medesimo ai contro interessati;
e ha – altresì – formulato, sempre in via preliminare, non evanescenti eccezioni di improcedibilità avuto riguardo alla sopravvenuta inoppugnabilità – rispetto alla posizione del V – della deliberazione della Giunta Regionale n. 10179 dd. 30 dicembre 1997, alla sopravvenuta collocazione in quiescenza del V medesimo disposta con effetto 1° ottobre 2010, al perdurante mancato suo possesso del requisito del titolo di studio contemplato anche dagli omologhi bandi concorsuali susseguenti a quello per cui è ora causa e in ordine ai quali egli non ha presentato domande di partecipazione né impugnative di sorta, nonché all’evoluzione giurisprudenziale e normativa susseguente ai fatti di causa.

A tale ultimo riguardo non va in effetti sottaciuto che l’anzidetta impugnativa proposta in primo grado dal V - unitamente ad altri colleghi che si trovavano in analoga situazione - innanzi al T.A.R. per la Puglia, Sede di Lecce, avverso la presupposta deliberazione della Giunta Regionale n. 10179 dd. 30 dicembre 1997, è stata anch’essa poi trasposta innanzi alla Sede di Bari dello stesso T.A.R., e che ivi la Sez. I ha dapprima respinto con ordinanza la domanda di sospensiva del provvedimento impugnato chiesta dai ricorrenti e ha poi disposto con ordinanza collegiale l’interruzione del procedimento giudiziale, dichiarato poi estinto con decreto presidenziale n. 4411 del 18 ottobre 2005, “considerato che nei termini di legge nessuna delle parti in causa ha provveduto a riassumere il processo”.

Tale provvedimento, non opposto dai ricorrenti (e, quindi, anche dal V), è divenuto inoppugnabile.

Né può contestarsi la valenza lesiva dell’anzidetta deliberazione giuntale n. 10179 del 1997 rispetto all’interesse giudizialmente azionato dal V, posto che ivi si legge testualmente che “i requisiti necessari per partecipare ai concorsi interni sono: inquadramento in ruolo nella qualifica immediatamente inferiore ed un’anzianità nella qualifica di appartenenza di almeno tre anni ed il possesso del titolo di studio previsto per l’accesso dall’esterno per la qualifica di appartenenza, e precisamente …”.

Inoltre - anche al di là dell’indubbia circostanza che con il susseguente ricorso proposto sempre dapprima al T.A.R. di Lecce, poi anch’esso trasposto al T.A.R. di Bari e da quest’ultimo definito con la sentenza qui impugnata era stato chiesto da parte del V l’annullamento di provvedimenti naturalmente consequenziali rispetto alla predetta deliberazione giuntale n. 10179 del 1997 - non può non considerarsi che, come puntualmente documentato dalla difesa della Regione, la Corte Costituzionale - a seguito di ordinanza di rimessione formulata dal T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, nell’ambito di un giudizio proposto da un candidato escluso dal concorso per cui è ora causa in quanto privo dell’inquadramento nella qualifica immediatamente inferiore a quella messa a concorso, ma in possesso di tutti i requisiti per l’accesso dall’esterno al concorso medesimo, con sentenza n.373 del 10 – 23 luglio 2002 - ha dichiarato l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 97 e 3 Cost. del combinato disposto dell’art. 32, comma 1, della L.R. 7 del 1997 e dell’art. 39 della L.R. 26 del 1984 nella parte in cui riservava la copertura del cento per cento dei posti messi a concorso al personale interno dell’Amministrazione regionale.

In dipendenza di ciò, con varie sentenze (cfr. nn. 2610 e 2616 dd. 21 giugno 2004, 2826 dd. 29 giugno 2004 e 2842 dd. 5 luglio 2004) la Sez. II del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, ha evidenziato che “dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 32 della L.R. n. 7 del 1997, viene meno la fonte normativa attributiva del potere esercitato che legittimava (in conformità ai principi di legalità) l’adozione dell’atto impugnato di cui va dichiarata l’illegittimità, con conseguente annullamento. Invero la copertura dei posti disponibili non poteva avvenire attraverso un reclutamento soltanto interno e l’annullamento della procedure concorsuale attribuisce alla ricorrente la possibilità di partecipare ad una nuova procedura concorsuale da indirsi ora per allora, secondo la disciplina normativa che regolava lo status dei dipendenti regionali allora vigente”.

Deve pertanto concludersi nel senso che è stato così espunto dall’ordinamento regionale pugliese l’istituto del concorso interno riservato ai dipendenti regionali che intendevano accedere a posti di qualifica funzionale immediatamente superiore a quella da loro rivestita nell’ambito dell’organico della Regione medesima: ossia, è stato eliminato lo stesso “strumento” attraverso il quale il V intendeva intraprendere la propria progressione di carriera.

La Regione non ha potuto che prendere atto di tale nuovo contesto normativo determinatosi per effetto della predetta sentenza della Corte Costituzionale, e ha quindi successivamente indetto ai sensi dell’art. 59 della L.R. 4 agosto 2004, n. 14, concorsi pubblici per l’accesso agli impieghi regionali con riserve del 20, ovvero al massimo del 50% dei posti per il personale interno bandendoli “ora per allora” a beneficio di coloro che erano stati esclusi dai concorsi precedenti in quanto non dipendenti dell’Amministrazione regionale, mantenendo inoltre fermi il risultato del concorso al quale non era stato ammesso il V e le conseguenti assunzioni in servizio non essendone stata impugnata la graduatoria finale.

Va soggiunto che la relativa norma legislativa “sanante”, segnatamente contenuta nel comma 3 del predetto art. 59, è stata a sua volta dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3 e 97 Cost. con sentenza della Corte Costituzionale n. 354 dell’1-15 dicembre 2010.

Appare, pertanto, di per sé significativo che il V – pur essendo stato parimenti escluso da un concorso precedente, ancorché per motivo diverso - non abbia inteso partecipare a tali susseguenti concorsi, all’evidenza proprio in quanto costretto dallo ius superveniens a confrontarsi con candidati anche esterni all’Amministrazione di sua appartenenza, e ciò – dunque – pur prescindendo dalla dirimente circostanza del mancato suo possesso del titolo di studio previsto al riguardo.

Ma, anche a prescindere da tutto ciò, va rilevato – in via del tutto assorbente, e in adesione a quanto correttamente osservato dal giudice di primo grado – che il TAR ha correttamente respinto le censure ivi proposte dal V e da lui reiterate nel presente giudizio d’appello.

Va infatti considerato in proposito quanto segue.

1) Non può essere accolta la censura di violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, e di eccesso di potere per difetto di motivazione, risultando il dato testuale dell’impugnato provvedimento di esclusione dal concorso del tutto inequivoco nel suo significato ed esaustivo al fine di individuare le ragioni dell’esclusione medesima, ossia che il V non possedeva il titolo di studio previsto dal bando per l’ammissione al concorso.

Nessuna ulteriore chiarificazione risultava pertanto necessaria, trattandosi, del resto, di provvedimento del tutto vincolato nel suo contenuto dal bando concorsuale, altrettanto in equivoco sul punto, e dalle sovrastanti disposizioni legislative regionali a loro volte ben chiare al riguardo.

2) Neppure possono essere condivise le censure di violazione dell’art. 32 della L.R. 7 del 1997 e dell’art. 39 della L.R. 26 del 1984, nonché di eccesso di potere per travisamento, illogicità, disparità di trattamento e ingiustizia manifesta.

A tale riguardo il V muove dall’erroneo presupposto che le anzidette disposizioni di legge siano state erroneamente interpretate dall’Amministrazione regionale.

Sul punto va innanzitutto precisato che l’art. 32, comma 3, della L.R. 7 del 1997 per quanto qui interessa, dispone nel senso che, nel contesto di un regime transitorio a suo tempo normato dal comma precedente, “i posti risultanti vacanti in ogni qualifica funzionale, in progressione successiva, a partire dall’ottava e fino alla terza qualifica funzionale, sono coperti mediante concorsi interni per titoli ed esami ovvero, per le qualifiche della quinta all’ottava, mediante corsi - concorso riservati al personale inquadrato nella qualifica immediatamente inferiore con un’anzianità di effettivo servizio di almeno tre anni nel livello medesimo ed in possesso del titolo di studio richiesto per la qualifica funzionale di appartenenza”.

L’art. 39, comma 1, della L.R. 26 del 1984 dispone invece, sempre per quanto qui segnatamente interessa e parimenti in un contesto transitorio, che “il 100% dei posti vacanti in ciascuna qualifica funzionale, dalla seconda all’ottava è coperto mediante concorsi interni per titoli ed esami riservati al personale inquadrato nel livello immediatamente inferiore con una anzianità di servizio di almeno tre anni nel livello medesimo e in possesso del titolo di studio richiesto per il livello di appartenenza”.

A sua volta, con deliberazione n. 10179 del 30 dicembre 1997, “artt.30 e 32 della L.R.n.7 del 1997 – bandi di concorsi interni riservati al personale di ruolo della Regione”, la Giunta Regionale ha bandito i concorsi interni riservati al personale regionale, ivi compreso – per quanto qui segnatamente interessa - il concorso interno per n. 482 posti di ottava qualifica funzionale, prescrivendo che “i requisiti necessari per partecipare ai concorsi interni sono: inquadramento in ruolo nella qualifica immediatamente inferiore ed una anzianità nella qualifica di appartenenza di almeno tre anni ed il possesso del titolo di studio previsto per l’accesso dall’esterno per la qualifica di appartenenza”.

La medesima Giunta ha, contestualmente, demandato al Dirigente preposto al Settore organizzazione e gestione risorse umane l’emanazione delle ulteriori disposizioni attuative di tale prescrizione.

Secondo la tesi del V, l’anzidetto art. 32, comma 3, della L.R. 7 del 1997 recherebbe una disciplina ex novo ed integrale delle modalità di copertura dei posti vacanti nell’organico della Regione, e a conferma di ciò deporrebbe la circostanza dell’avvenuta introduzione di un’ulteriore modalità selettiva (il corso-concorso) per l’accesso alle qualifiche superiori, per l’innanzi non prevista;
e, sempre secondo il V, proprio e soltanto per l’evenienza del corso-concorso, e non già per l’ipotesi del concorso interno, il comma 3 anzidetto richiederebbe, oltre all’inquadramento nella qualifica immediatamente inferiore, il possesso del titolo di studio richiesto per la qualifica di appartenenza.

In tal senso il V rimarca che l’uso della disgiuntiva “ovvero” assumerebbe - per l’appunto - la funzione di distinguere nell’ambito del periodo la locuzione “concorso interno” da quella di “corso-concorso”, con la conseguenza che il termine “riservati” non potrebbe che riferirsi - grammaticalmente e sintatticamente - solo alla seconda di tali due locuzioni, ossia il “corso-concorso”.

Questa interpretazione non può essere accolta.

Anche a prescindere dalla già di per sé rilevante circostanza che il materiale normativo qui complessivamente in esame comunque presuppone l’indizione di concorsi riservati, espunti in quanto tali dall’ordinamento regionale – come si è detto – per effetto dell’anzidetta sentenza della Corte Costituzionale n. 373 del 2002, va in ogni caso evidenziato che il testè riferito comma 3 dell’art. 32 non consente di affermare la sussistenza nel “sistema” da esso contemplato di una diversità di requisiti richiesti ai concorrenti tra la distinte procedure del concorso interno per titoli ed esami e il corso-concorso, e ciò – come correttamente puntualizzato dal giudice di primo grado - per due concorrenti ragioni.

Innanzitutto, l’attributo “riservati”, ivi contenuto, non può che riferirsi sia ai “concorsi interni”, sia ai “corsi-concorso”, non apparendo possibile per lo stesso significato letterale assunto dalla disposizione interpretata (cfr. art. 12, primo comma, disp. prel. cod. civ.) , riferire l’attributo medesimo all’uno o all’altra delle due procedure selettive menzionate nella disposizione medesima.

Inoltre, la previsione di un concorso interno per titoli ed esami del tutto disancorato dalla previsione di limiti per quanto attiene alla natura dei titoli richiesti, così come sostanzialmente prospettato dal V, inciderebbe in senso oltremodo negativo sulla stessa possibilità di esercizio del potere rimesso alla Regione di dotarsi del personale necessario e – intuitivamente - qualificato per i posti a concorso.

In tale contesto, pertanto, è indubbio che i requisiti in ordine al titolo di studio contemplati dal bando e mutuati dalla legge regionale nella sopradescritta sua interpretazione resa dal giudice di primo grado e confermata dal Collegio, sono deputati a garantire la miglior selezione del personale interno, in conformità ai principi propri degli artt. 97, 51 e Cost.

Né va sottaciuto che, nello stesso “sistema” vigente all’epoca dei fatti di causa e attinente comunque – come rilevato dianzi – ai non più praticabili concorsi esclusivamente interni, la previsione della loro indizione risultava, comunque, correlata all’espressa indicazione dei requisiti per partecipare agli stessi;
in tal senso, perciò, il richiamo all’art.39 è confermativo di tale indicazione, a sua volta ulteriormente confermata dall’esplicito assunto contenuto nello stesso art.32, nonché dai richiami operati dal comma 1 di quest’ultimo nei confronti non soltanto dell’anzidetto art. 39, ma anche dell’art. 61 della L.R. 13 aprile 1988, n. 13, e dell’art. 46, comma 2, della L.R. 5 maggio 1990, n. 22.

Concludendo sul punto, pertanto, il quid novi dell’art. 32 della L.R. 7 del 1997 è essenzialmente costituito dalla previsione della possibilità di indire corsi-concorso riservati, in aggiunta o in alternativa ai concorsi interni, in ordine ai quali il legislatore si è limitato a ribadire i requisiti richiesti per i concorsi interni, senza dunque introdurre distinzioni di sorta.

3) Né possono essere accolte le eccezioni di incostituzionalità del combinato disposto degli artt. 32 della L.R. 7 del 1997 e 39 della L.R. 26 del 1984, in quanto non valorizzerebbero a sufficienza i dipendenti interni che abbiano maturato anzianità nella qualifica immediatamente inferiore a quella messa a concorso, precludendo agli stessi la possibilità di avanzamento di carriera.

Il giudice di primo grado aveva affermato, a tale ultimo riguardo, che la natura derogatoria del concorso interno rispetto a quello pubblico richiedeva che allo stesso si accedesse, in deroga al generale principio della selezione esterna, nella ricorrenza di requisiti che la norma legislativa di fonte regionale aveva dettato in maniera discrezionale ma non irragionevole: e ciò in considerazione – per l’appunto - della sua natura derogatoria al sistema del concorso pubblico, ma non della persistente necessità di selezione meritocratica, garantendo attraverso i requisiti richiesti, la miglior selezione del personale interno: e ciò, anche in considerazione che il sistema di selezione prescelto dal legislatore, ancorché derogatorio del concorso pubblico, doveva comunque “consentire una seria verifica della professionalità richiesta” per la qualifica messa a concorso (cfr. Corte cost., 4 gennaio 1999 n.1).

Il susseguente venir meno della tipologia del concorso interno per effetto della predetta sentenza della Corte Costituzionale n. 373 del 2002 rende, all’evidenza, tale argomento del tutto recessivo, posto che – come detto innanzi – tale sopravvenuta evoluzione dell’ordinamento rende di per sé improponibile ogni prospettazione del ricorrente intesa a introdurre nell’attuale contesto ordinamentale un concorso per l’accesso alla qualifica superiore con deroga non solo per quanto attiene all’ordinario requisito del possesso del titolo di studio previsto per l’accesso all’esterno per il posto di qualifica superiore a quella ricoperta, ma anche contemplante quale necessario requisito di partecipazione la sussistenza del rapporto d’impiego presso la stessa Regione con qualifica inferiore rispetto a quella messa a concorso.

Tale considerazione risulta, quindi, del tutto assorbente per respingere la tesi del V.

Va anche – da ultimo – soggiunto che il V neppure può utilmente invocare a suo favore il precedente costituito dalla decisione n. 1 del 1998, resa dall’Adunanza Plenaria, secondo la quale, in effetti – in relazione a quanto contemplato dalla disciplina all’epoca vigente, per gli impiegati pubblici già interni all'amministrazione, l’accesso alle varie qualifiche funzionali, ivi comprese quelle corrispondenti all'ex carriera direttiva (VII e VIII), non è precluso dall’eventuale mancanza del titolo di studio per l'accesso dall’esterno (nel caso di specie, la laurea), potendosi supplire a tale carenza con il possesso del titolo di studio immediatamente inferiore e con una determinata anzianità di servizio nella qualifica immediatamente inferiore.

Orbene, anche a prescindere dalla circostanza che questa censura è stata introdotta dal V soltanto nel presente giudizio d’appello e che comunque essa è da lui formulata al fine di sostenere che il surriportato assunto giurisprudenziale costituirebbe “diritto vivente” tale da sostituirsi a quello proprio delle fonti legislative regionali reputate costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 97, 3 e 4 Cost., va evidenziato che la pronuncia citata dall’appellante riguarda esclusivamente il comparto statale dei Ministeri, come del resto comprova la “razionalizzazione” operata nel comparto stesso (e non già in quello proprio del personale dipendente dalle Regioni e dagli Enti Locali) dal surriferito art. 5, comma 11, del D.P.R. 44 del 1990, il quale – per l’appunto – nel contesto dei concorsi pubblici indetti dalle amministrazioni del comparto Ministeri interno introduce una riserva di posti per il personale interno se inquadrato nella qualifica immediatamente inferiore da almeno cinque anni ed in possesso del titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto ai candidati esterni, con ciò pertanto attualizzando nel solo comparto anzidetto il principio a suo tempo introdotto dall’art. 161 del T.U. 3 del 1957 nel ben diverso contesto dell’inquadramento “per carriere” proprio degli impiegati civili dello Stato: principio, quest’ultimo, di per sé altrimenti impraticabile nell’attuale contesto normativo nel senso voluto dall’attuale appellante.

Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti.

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