Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-03-21, n. 201701296
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Pubblicato il 21/03/2017
N. 01296/2017REG.PROV.COLL.
N. 05577/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5577 del 2016, proposto da:
-OMISSIS- in proprio e nella qualità di amministratore unico della società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato D M, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Due Macelli n. 66 ( St. A. Lanzi);
contro
Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Caserta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
Hotel -OMISSIS- non costituita in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, n. 01846/2016.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Caserta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2017 il consigliere M A e uditi per le parti gli avvocati Carmelo Barreca su delega dell’avvocato D M e l'avvocato dello Stato Tito Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso al Tribunale Amministrativo della Campania, sede di Napoli, rubricato al n. 511 del 2015, la signora -OMISSIS-, in proprio, e la-OMISSIS-, hanno impugnato la revoca dell’affidamento provvisorio in economia di una fornitura di vitto alla Sottosezione della Polizia Ferroviaria di Villa Literno, già disposto in favore della suddetta-OMISSIS-, con la conseguente aggiudicazione della gara alla seconda partecipante alla stessa gara Hotel “-OMISSIS-”, gestito dalla -OMISSIS-, nonché la presupposta informativa antimafia emessa a carico della stessa società dalla Prefettura di Caserta il 31 marzo 2014.
Con sentenza n. n. 5310 del 16 novembre 2015 il Tribunale Amministrativo della Campania, sede di Napoli, Sezione I, accoglieva il ricorso, per l’effetto annullando i provvedimenti impugnati.
Avverso la predetta sentenza il Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Caserta, proponeva ricorso al Consiglio di Stato, rubricato al n. 1547/2016, contestando le argomentazioni che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e il rigetto del ricorso di primo grado.
Con la sentenza in epigrafe, n.1846 in data 9 maggio 2016, il Consiglio di Stato, Sezione III, accoglieva l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respingeva il ricorso n. 551 del 2015 e i motivi aggiunti, proposti in primo grado dalla signora -OMISSIS- e dalla-OMISSIS-.
2. Avverso la predetta sentenza la signora -OMISSIS- in proprio e la-OMISSIS-, propongono ricorso rubricato al n. 5577/2016, sostenendo che la medesima è inficiata da abbaglio dei sensi chiedendo quindi la sua revocazione nonché il rigetto o la declaratoria dell’inammissibilità dell’appello.
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno chiedendo la declaratoria dell’inammissibilità ovvero il rigetto del ricorso.
La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 16 febbraio 2017.
3. Le parti ricorrenti in revocazione deducono tre elementi che a loro avviso dimostrano l’errore revocatorio che inficerebbe la sentenza in epigrafe.
3.a. Affermano i ricorrenti che il Collegio avrebbe fondato la propria decisione su circostanze escluse dagli atti acquisiti al fascicolo.
In particolare, la sentenza revocanda si fonda sul fatto che il signor -OMISSIS-, fino a tempi recenti socio e amministratore della s.r.l. ricorrente, è figlio di un affiliato al cosiddetto “ clan dei -OMISSIS- ” e con lui conviverebbe nello stesso domicilio.
La circostanza sarebbe esclusa dal certificato rilasciato in data 15 gennaio 2015 dal Comune di San Marcellino, depositato nel fascicolo del primo grado, dal quale risulta che la convivenza è cessata dall’8 settembre 1999.
Le risultanze della certificazione del Comune non potrebbero essere superate sulla base del “foglio famiglia residenti” in data 15 settembre 2008, avente mero valore statistico e non di certificazione, non contemplato da alcuna norma, non incluso fra le certificazioni anagrafiche di cui all’art. 33 del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, e privo di sottoscrizione.
Inoltre, non corrisponde al vero l’affermazione secondo la quale il signor -OMISSIS- sarebbe stato amministratore della Società in quanto questa ha sempre avuto un amministratore unico nella persona dell’odierna ricorrente.
Infine, il Collegio non ha tenuto conto del fatto che il coniuge della ricorrente, pacificamente gestore di fatto della struttura, è stato persona offesa e denunciante di reati di stampo camorristico.
Gli elementi appena descritti non possono essere qualificati come errori revocatori, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale, pacifico, maturato al riguardo.
Da ultimo C. di S., V, 12 gennaio 2017, n. 56, ha affermato che nel processo amministrativo l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4, c.p.c., deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità (cosiddetto “abbaglio dei sensi”), senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche;pertanto, mentre l'errore di fatto revocatorio è configurabile nell'attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento;non ricorre, quindi, errore revocatorio nell'ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai ad un ipotetico errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, la quale altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall'ordinamento.
Allo stesso modo, C. di S., A.P., 24 gennaio 2014, n. 5, stabilisce che mentre l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale (senza coinvolgere la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento), esso non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione;l’errore di fatto revocatorio si sostanzia quindi in una svista o abbaglio dei sensi che ha provocato l’errata percezione del contenuto degli atti del giudizio (ritualmente acquisiti agli atti di causa), determinando un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa: esso pertanto non può (e non deve) confondersi con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice, costituendo il peculiare mezzo previsto dal legislatore per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, proprio a causa della svista o abbaglio dei sensi.
Osserva quindi il Collegio che le argomentazioni dedotte dalle parti ricorrenti costituiscono, giustappunto, critiche al processo di valutazione degli elementi acquisiti al fascicolo di causa, e si sostanziano nell’affermazione della sopravvalutazione di taluni elementi che ha condotto alla sottovalutazione di altri, sui quali si fondavano le loro difese.
Gli elementi fino a ora dedotti non sorreggono, quindi, la domanda di revocazione.
3.b. I ricorrenti sostengono poi che il Collegio decidente avrebbe trascurato la palese tardività dell’appello dell’Amministrazione.
La censura non può essere condivisa in quanto la sentenza di primo grado è stata notificata presso il domicilio dell’Amministrazione anziché presso l’Avvocatura Generale dello Stato per cui l’Amministrazione è stata legittimata a proporre l’appello nel termine ordinario anziché in quello dimidiato.
4. Il ricorso in revocazione deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.